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IL FUTURO DELLA POLITICA DEL COLTAN: VECCHIE SFIDE E NUOVI ATTOR

Campagne ed iniziative contro i “minerali insanguinati”

Il   circolo   vizioso   che   vede   alimentarsi   a   vicenda   il   fenomeno   dell’estrazione   del   coltan e   quello   della   prosecuzione   del   conflitto   nell’est   della   Repubblica   Democratica del Congo ha spinto numerose ONG e istituzioni di vario tipo a tentare di sfruttare questa interconnessione in favore del processo di pacificazione. La ratio è di influenzare positivamente la guerra congolese rimodellando e riformando la produzione e il commercio di questo prezioso minerale. È   all’interno   di   questo   tentativo che si inseriscono le molteplici iniziative volte a colpire quella fetta di attività estrattiva in mano ai gruppi armati e condotta in maniera illegale. A partire dai   primi   anni   2000,   cioè   in   concomitanza   con   l’esplosione   del   fenomeno   coltan,   sono state intraprese numerose campagne di vario genere, molte delle quali sono tutt’oggi   in   corso   d’opera   e   che   per   questo,   è   necessario   premetterlo,   sono   anche   difficilmente riconoscibili come efficaci o meno. In ogni caso possiamo addentrarci nello studio di alcune fra queste iniziative operando una loro prima suddivisione in iniziative congolesi e iniziative poste in essere, invece, da associazioni ed enti esteri. Fra gli strumenti utilizzati dal governo congolese per regolare il settore minerario, e che in particolare contribuiscono a circoscrivere e sradicare le pratiche di estrazione e commercializzazione illegale, dobbiamo anzitutto annoverare le norme contenute nel Code minier e nel Règlement minier in vigore dal 2002-2003. Essi individuano ad esempio gli enti deputati alla loro implementazione sul territorio, quali il Cadastre

minier (CAMI) che deve   indicare   le   aree   adibite   all’estrazione   artigianale,   e  

stabiliscono una base di calcolo delle tasse, dei diritti di dogana e dei costi dei permessi di esplorazione ed estrazione1. Quindi già la semplice applicazione e il rispetto di questi testi normativi costituirebbero una componente determinante della lotta   all’evasione   fiscale   e,   in   generale,   alle   pratiche   informali   che   caratterizzano  

1 Étude  sur  le  rôle  de  l’exploitation  des  ressources  naturelles  dans  l’alimentation  et  la  perpétuation  

des   crises   de   l’Est   de   la   RDC, International Alert, ottobre 2009, p. 57, http://www.internationalalert.org/sites/default/files/publications/Role_de_l%27exploitation_des_resso urces_RDC_Nov09.pdf.

97 l’intero  settore.  Ma come ho già illustrato nel secondo capitolo, le norme contenute nel Code e nel Règlement stentano a trovare una effettiva applicazione nel Paese e anche laddove determinate istituzioni sono realmente attive sul territorio, esse si compongono molto spesso di funzionari corrotti e indisciplinati, il cui comportamento affatto trasparente compromette   l’azione   di   controllo   statale   sulle   attività minerarie nelle province. Ad esempio il Service   d’Assistance   et  

d’Encadrement   du   Small-Scale Mining (SAESSCAM) ha dovuto far fronte a forti

accuse di  corruzione  interna  e  di  conflitti  d’interesse  riguardo  la  sua  responsabilità  di   riscuotere le tasse versate dai minatori artigianali2. Inoltre la legge congolese ha istituito   nel   corso   degli   anni   agenzie   indipendenti   con   l’obiettivo   di   svolgere   valutazioni di tipo sia qualitativo che quantitativo sui minerali destinati all’esportazione,   in   modo   tale   da   offrire   un   punto   di   appoggio   fondamentale   per l’attuazione  di  quei  sistemi  di  certificazione  di  origine  e  di  tracciabilità  di  cui  parlerò   meglio in seguito. Fra i vari enti possiamo citare il Centre  d’evaluation  d’expertise e

de certification (CEEC),   un’agenzia   del   ministero   delle   Miniere   creata   al   fine di

mettere in pratica il Processo di Kimberley per i soli diamanti, ma che successivamente ha visto estendersi a tutti i minerali il proprio compito di analisi e di tracciamento di questi ultimi, dalle miniere fino ai comptoirs   d’achat. Esso si impegna nell’applicazione   effettiva   dei   meccanismi   di   certificazione   dei   minerali   pensati sia in ambito regionale che imposti a livello internazionale3. Tuttavia la caratteristica che accomuna questi enti pubblici è la scarsa capacità di svolgere un’azione   di   sorveglianza   reale   ed   efficace,   in   quanto   l’inclinazione   cleptocratica dell’élite   al   potere   ostacola   ancora   oggi il manifestarsi di una sincera volontà di intraprendere un percorso di risanamento delle pratiche produttive ed economiche nazionali.

In contraddizione con il tenore “soft” dei provvedimenti governativi presi contro l’attività mineraria illegale, nel 2010 il presidente Kabila decise di sospendere l’estrazione   e   l’esportazione   dei   minerali   estratti   nelle   tre   province   del   Nord   Kivu,   Sud Kivu e Maniema. Infatti egli era reduce da una visita in Nord Kivu, durante la quale   manifestò   la   sua   determinazione   nel   pacificare   quell’intera   regione   in   cui   i   comportamenti bellicosi e illegali dei vari gruppi armati erano finanziati attraverso lo

2 N. Garrett, Artisanal Cassiterite Mining and Trade in Nord Kivu: Implications for poverty Reduction

and Security, report per il Communities and Artisanal & Small-scale Mining initiative (CASM),

giugno 2008, p. 22, http://www.rcsglobal.com/documents/CASM_WalikaleBooklet2.pdf.

98 sfruttamento delle miniere. Così il 9 settembre 2010, in occasione di un incontro con i notabili e le istituzioni di Goma, il presidente annunciò la sospensione delle attività4, dandone poi conferma attraverso   l’emanazione   di   un’ordinanza   ministeriale5. In   quest’ultima   venivano   specificati   i   soggetti   destinatari   della   sospensione, ovvero i titolari di diritti minerari, i minatori artigianali, le cooperative minerarie, i négotiants, i comptoirs autorizzati e le entità di trattamento e trasformazione; solamente ai titolari dei titoli minerari in fase effettiva e regolare di sviluppo e di costruzione veniva lasciata la possibilità di proseguire nel proprio lavoro6. Sostanzialmente  con  quest’ultima  categoria  la  norma  si  riferiva  alle società industriali già attive sul territorio e che, dunque, essendo esenti dalla sospensione avrebbero potuto continuare ad estrarre e commerciare le ricchezze del sottosuolo congolese7. In concreto la sospensione delle attività consisteva sia nel divieto di esportare i minerali già estratti e stoccati nei magazzini dei centri di vendita, sia in quello di estrarre ex novo le risorse della regione. Pertanto  l’amministrazione  locale   avrebbe dovuto fare un inventario delle riserve di materie prime in possesso dei

comptoirs   d’achat e dei négotiants al fine di controllare che tali depositi non

venissero esportati, e avrebbe dovuto individuare tutti i siti minerari nonché tutti gli attori del settore coinvolti. Dal canto loro i minatori artigianali furono pregati di fermare i propri lavori e di lasciarsi identificare per poi andare a confluire in delle cooperative. Infatti la motivazione ufficiale della manovra di Kabila era duplice: operare una stangata ai finanziamenti ai gruppi armati e riorganizzare il settore minerario artigianale in modo da renderlo più controllabile e meno sottoposto a derive di tipo informale8. Tuttavia molti osservatori hanno fin da subito nutrito consistenti dubbi sulla veridicità delle motivazioni ufficiali alla base di questo provvedimento. In effetti risulta alquanto spontaneo chiedersi come mai Kabila abbia deciso di considerare ed affrontare seriamente il problema della relazione fra sfruttamento delle risorse e prosecuzione del conflitto solo in quel momento, quando

4 S. Geenen, G. Kamundala, F. Iragi, Le pari qui paralysait: la suspension des activités minières

artisanales au Sud-Kivu, in S. Marysse, F. Reyntjens, S. Vandeginste, L’Afrique   des   Grands   Lacs.   Annuaire 2010-2011,  Paris,  L’Harmattan,  2000,  p.  162.

5 Ministère des Mines, Arrêté ministériel n°0705/CAB.MIN/MINES/01/2010 du 20 septembre 2010

portant suspension des activités minières dans les provinces du Maniema, Nord-Kivu et Sud-Kivu,

2010.

6 Ibidem.

7 Radio Okapi, Kivu,   suspension   de   l’exploitation   minière,   le   ministre   des   Mines   rassure, 21

septembre 2010, http://radiookapi.net/economie/2010/09/21/kivu-suspension-de- l%E2%80%99exploitation-miniere-le-ministre-des-mines-rassure/.

99 invece risale al 2001 il primo report degli esperti ONU che ha fatto emergere con forza questa verità. Inoltre sembrerebbe oltremodo azzardato, da parte di Kabila, porre in essere una decisione così impopolare per un cospicuo numero di congolesi a pochi mesi dalle elezioni presidenziali in cui egli intendeva ricandidarsi. La stampa nazionale e straniera ha perciò avanzato delle ipotesi circa i veri motivi che avrebbero spinto il presidente ad agire in questo senso. Secondo alcuni il provvedimento costituirebbe prima di tutto una risposta alle pressioni internazionali che  chiedono  a  gran  voce  la  fine  dell’economia  di  guerra  e  del  fenomeno  dei  minerali   insanguinati,  con  particolare  riferimento  all’emanazione, proprio nel luglio 2010 da parte del Congresso statunitense, della legge Dodd-Frank, che approfondirò fra poco9. In tal senso Kabila avrebbe tentato di dimostrare la sua volontà di assecondare certe richieste e di dare prova della sua capacità di controllare il settore. Altri invece hanno  posto  l’accento  sul  presunto  tentativo  del  presidente  di  fare  gli  interessi  delle società industriali, che dopo anni di assenza stavano iniziando a ricomparire anche nelle province orientali del Paese. Proibendo le attività artigianali, le grandi compagnie del settore avrebbero avuto a disposizione più terre da sfruttare e più possibilità di ottenere le relative concessioni, mentre lo Stato avrebbe avuto finalmente   la   possibilità   di   confrontarsi   con   un’attività   mineraria   sicuramente   più   inquadrata e controllabile, traendone profitto in termini di legalità e maggiori entrate fiscali10. Ad avvalorare questa tesi c’è   l’esempio della canadese Banro, una delle realtà industriali più grandi di tutto il settore estrattivo congolese, la quale, non solo poté continuare ad estrarre oro e niobite in maniera indisturbata, ma riuscì agilmente ad espellere la forza lavoro artigianale dai siti su cui aveva messo le mani, facilitata proprio dalla misura di sospensione e protetta dalle autorità locali11. In ultima istanza il provvedimento in questione è stato interpretato anche come un tentativo da parte del governo nazionale di sbarazzarsi di quella frangia di militari delle FARDC (soprattutto ex Mai Mai ed ex CNDP) il cui atteggiamento predatorio finalizzato allo sfruttamento delle risorse per il semplice arricchimento personale era divenuto insostenibile.  Per  cui  l’idea  sarebbe  stata  di  rimpiazzare  certe  unità  dell’esercito  con   delle unità più leali ed obbedienti, in modo tale che il governo avrebbe potuto

9 C. Braeckman, La révolte des creuseurs gronde, in “Le   Soir”,   2 dicembre 2010,

http://archives.lesoir.be/la-revolte-des-creuseurs-gronde_t-20101202-015F5T.html.

10 Ibidem.

100 giovare in maniera più diretta delle ricchezze controllate da questi ultimi12. Queste sono solamente delle ipotesi che possono trovare conferma in alcuni fatti evidenti ma che, tuttavia, non possono assicurarci sul reale scopo di Kabila. Al contrario, ciò di cui siamo sicuri sono le conseguenze che tale misura ha avuto per la popolazione locale, la quale conviene in maniera quasi unanime sul ritenere tali ripercussioni del tutto negative. Salvo infatti coloro  che  hanno  visto  nell’embargo  uno  strumento  per   cancellare una grande fonte di lavoro forzato e minorile e un incentivo a tornare al lavoro agricolo13, la stragrande maggioranza dei congolesi identifica questa misura prima di tutto con la perdita della loro primaria fonte di sopravvivenza. La sospensione   della   produzione   e   dell’esportazione   dei   minerali   non   ha   solamente   significato la perdita del lavoro per i minatori e i commercianti a tutti i livelli della filiera   produttiva,   ma   ha   anche   danneggiato   l’intero   indotto   che   si   era   ormai   sviluppato attorno al settore minerario. Dalle compagnie aeree che trasportavano i minerali dalle miniere ai mercati urbani, ai produttori e i venditori dei prodotti alimentari che servivano a sfamare i minatori, i lavoratori dei settori produttivi più disparati hanno assistito ad un crollo della domanda e dunque ad un peggioramento della loro condizione economica. Insomma l’economia  locale  aveva  perso  la  propria   forza trainante. Tutto ciò ha avuto ovviamente delle importanti ripercussioni sul piano sociale, in quanto coloro che si erano ritrovati improvvisamente disoccupati sono andati ad ingrossare le fila dei gruppi armati, al contrario di quanto si potesse pensare a Kinshasa, speranzosa di un ritorno della popolazione alla vita nei campi14. Allo stesso modo i bambini che sono stati espulsi dai siti di estrazione non sono tornati  a  sedersi  fra  i  banchi  di  scuola,  sia  perché  erano  ormai  proiettati   in  un’altra   dimensione,   fatta   di   guadagni   più   o   meno   facili   e   indipendenza   dall’autorità   genitoriale,  sia  per  l’incapacità di pagare la retta scolastica, considerato che, appunto, il lavoro in miniera era terminato anche per i loro padri15. I danni non sono mancati neppure   per   l’amministrazione   locale   poiché,   sebbene   vi   sia   sempre   stato   un   altissimo tasso di evasione fiscale  nel  settore  artigianale,  gli  introiti  per  l’erario  locale   erano pur sempre maggiori prima della sospensione ed era grazie ad essi che il

12 J. Stearns, The mineral export ban: what gives?, Congo Siasa, 13 settembre 2010,

http://congosiasa.blogspot.it/2010/09/mineral-export-ban-what-gives.html.

13 Pole institute, Le secteur  minier:  état  des  lieux  après  la  re  ouverture  des  activités  à  l’est  de  la  RDC,

in  “Regards  croises”  n.  30,  Goma,  settembre  2011,  p.  14.

14 Pole institute, Les minerais de « sang » :   un   secteur   économique   criminalisé   à   l’est   de   la   RD  

Congo, Goma, novembre 2010, p. 46, http://www.pole- institute.org/images/Documents/Minerais%20du%20sang%20VF.pdf.

101 governo provinciale riusciva ad adempiere ai propri obblighi16. Nell’ambito  di  alcune   interviste svolte sul territorio, la popolazione ha commentato il provvedimento di sospensione in maniera estremamente critica, lamentando in primis il suo carattere brusco ed improvviso e la mancanza di un preavviso tale da poter far preparare i soggetti   destinatari   all’imminente   perdita del lavoro17. Il secondo tipo di lamentela riguardava  l’assenza  di  misure  di  accompagnamento,  per  cui  un  embargo  da  solo  non   è in grado di risolvere una situazione di conflittualità, né indurre il settore artigianale a riformarsi. Secondo la popolazione locale, non vi erano aziende private abbastanza grandi da poter riassorbire la manodopera disoccupata, né era stato incentivato lo svolgimento di attività alternative in grado di dare lavoro alla gente18. Ma la critica più delicata ed interessante riguardava   la   pertinenza   dell’ordinanza   ministeriale   rispetto al problema della militarizzazione dei siti minerari. Qualche intervistato sosteneva che una tale decisione adottata al fine di allontanare i gruppi armati dalle miniere si dimostrava totalmente fuori luogo per il semplice fatto che certi siti erano già stati abbandonati dai militari mesi prima: «quand il a pris la mesure il a dit que c’est  à  cause  des  infiltrés  des  FDLR  qui  exploitent  nos  matièrs  mais  ici  chez  nous  il   n’y  a  pas  de  FDLR»19. Se non ci è dato sapere con certezza se i ribelli fossero già assenti in determinati siti minerari, ciò che è emerso in maniera evidente è che l’embargo   non   ha   spinto   le   FARDC   a   perseguitare   i   soldati   delle   FDLR   o   di   altri   gruppi armati. Al contrario la maggior parte dei soldati e dei poliziotti congolesi hanno   colto   l’occasione   per   guadagnare   posizioni,   cioè   per   istallarsi   essi   stessi   su   nuovi siti minerari o per rafforzare la propria presenza intorno ai giacimenti già controllati, il tutto a loro esclusivo vantaggio. Dal canto loro, le milizie delle FDLR hanno continuato a presidiare indisturbate le miniere in cui erano già presenti prima del settembre 201020. Il comandante della polizia delle miniere di Kamituga (Sud Kivu)   ha   affermato   che   quando   l’esercito   congolese   e   la   polizia   non   riescono   ad   avere accesso a determinate miniere è perché esse sono controllate dalle FDLR e in queste località l’attività  estrattiva  non  si  è  mai  fermata21. Consapevoli della presenza di queste falle nel sistema di sospensione, i minatori del luogo erano determinati a

16 Pole institute, Les minerais de « sang » …  cit.,  p. 46. 17 S. Geenen, G. Kamundala, F. Iragi, op. cit., pp. 165-166. 18 Ibidem.

19 Intervista con un gruppo di minatori a Lugushwa, 25 gennaio 2011, Cfr. S. Geenen, G. Kamundala,

F. Iragi, op. cit., p. 166.

20 S. Geenen, G. Kamundala, F. Iragi, op. cit., p. 171.

21 Intervista con il comandante della polizia delle miniere di Kamituga, 19 gennaio 2011, Cfr. S.

102 spostarsi per raggiungere proprio quei siti ancora attivi sotto la direzione delle FDLR, in modo da poter continuare a lavorare e guadagnarsi da vivere22. Secondo l’Association  africaine  des  droits  de  l’homme  (ASADHO)

La  situation  a  empiré  et  la  paix  n’est  pas  restaurée  à  l’Est  du  pays.  Les  militaires,  policiers  et   les groupes rebelles ont pillé sérieusement les minerais pendant cette période [de la suspension], et aucune enquête  sérieuse  n’a  été  menée  par  la  justice  pour  mettre  la  main  sur   les responsables et les commanditaires de la mafia qui sévit dans cette partie de la République23.

In sostanza la decisione di sospendere le attività minerarie artigianali ha esasperato, invece di ridurre, il grado di militarizzazione del settore e i gruppi armati filo- governativi sono stati persino avvantaggiati24.  Se  accettiamo  l’ipotesi  per  cui  Kabila   avrebbe previsto tutte queste conseguenze, verrebbe fugato il sospetto che si sia trattato di un provvedimento ad hoc, introdotto dal presidente per favorire le élite militari e le grandi industrie pronte a tornare nella regione. Che sia stata una manovra politica piuttosto che un intervento riparatore , lo dimostra anche il tempismo con cui la stessa sospensione è stata revocata, appena dopo sei mesi   dall’entrata   in   vigore.   Infatti, dopo lunghe settimane di trattative fra il governo, la società civile, gli enti locali e gli esponenti del settore artigianale, Kabila decise di emanare una nuova ordinanza25 che avrebbe posto fine al periodo di embargo, così il 10 marzo 2011 le attività minerarie in Maniema, Nord Kivu e Sud Kivu furono riavviate26. Al contempo gli stessi soggetti che avevano preso parte ai colloqui col presidente si trovarono   d’accordo   nell’individuare   degli   impegni   da   portare   avanti,   ciascuno   nel   proprio   campo   d’azione,   al   fine   di   riempire   di   contenuti   la   volontà   condivisa   di   estirpare le pratiche illegali dal campo minerario. Pertanto i governi delle tre province si sarebbero impegnati a far rispettare le disposizioni del Code minier, a

22 Intervista con un gruppo di minatori di Kamituga, 20 gennaio 2011, Cfr. S. Geenen, G. Kamundala,

F. Iragi, op. cit., p. 171.

23 P. Mulumba, L’Asadho  préoccupée  par  la  levée  de  la  suspension  des  activités  minières  à  l’Est, in

“Le   Potentiel”, 11 marzo 2011, http://www.congoplanete.com/news/3175/asadho-suspension- activites-minieres-est-coltan-or-nord-kivu-sud-kivu-maniema.jsp.

24 S. Geenen, G. Kamundala, F. Iragi, op. cit., p. 175.

25 Ministère des Mines, Arrêté ministériel n. 0034/CAB.MINES/01/2011 du 1er mars 2011 portant

levée de la mesure de suspension des activités minières dans les provinces du Maniema, du Nord-Kivu et du Sud-Kivu, 2011.

26 Le Phare, Levée  de  la  mesure  d’interdiction  de  l’exploitation  minière  dans  les  provinces  du  Nord-

Kivu, du Sud-Kivu et du Maniema, Digitalcongo, 3 marzo 2011, http://www.digitalcongo.net/article/74105.

103 dispiegare sul terreno delle unità di polizia, a lottare contro gli episodi di saccheggio delle materie prime e colpire con sanzioni i comportamenti illegali27. La società civile avrebbe dovuto contribuire alla divulgazione dei contenuti della legislazione mineraria e alla sensibilizzazione della popolazione, si sarebbe preoccupata di promuovere la parternship con i servizi pubblici e la realizzazione dei progetti di sviluppo socio-economico   e   ambientale   all’interno   delle   varie   comunità28. Non dimentichiamoci che le due province del Kivu e il Maniema sono state fra i maggiori feudi elettorali del partito del presidente della repubblica sia in occasione delle elezioni del 2006, sia in quelle successive del novembre 201129, per cui è facile comprendere come la decisione di tornare sui propri passi sia stata presa da Kabila anche alla luce della crescita della sua impopolarità a pochi mesi dal voto. Il tentativo governativo di demilitarizzare e di riformare il settore artigianale è dunque fallito su entrambi   i   fronti,   mentre   la   virata   di   Kabila   all’ultimo   minuto   non   è   servita   ad   azzerare il malcontento popolare nei suoi confronti. In effetti, benché il risultato elettorale lo abbia riconfermato alla guida del Paese, la percentuale di consensi ottenuti in queste regioni ha subito una diminuzione considerevole in rapporto alla tornata elettorale di cinque anni prima30.

Infine,   un   dato   interessante   emerge   dal   constatare   come   l’embargo,   seppur breve, abbia avuto conseguenze dannose anche a livello internazionale. Come illustrerò fra poco, in Occidente gruppi di aziende, di organizzazioni non governative e istituti di vario tipo si stanno impegnando da alcuni anni nell’implementare   dei sistemi di certificazione per rendere tracciabili i minerali congolesi, al fine di porre un freno a quell’economia  di   guerra  che ormai fa indignare ben troppi consumatori. Di fatti il provvedimento  in  questione  non  ha  solamente  sospeso  l’attività  mineraria  in sé, ma ha anche provocato la sospensione delle azioni in corso nel quadro di questi progetti

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