• Non ci sono risultati.

Gabriella Kuruvilla racconta Milano

Luoghi da raccontare

3.1 Gabriella Kuruvilla racconta Milano

In un articolo del 2012 pubblicato sul Corriere della Sera Gabriella Kuruvilla scrive che, assieme all’amica fotografa Silvia Azzari, ha voluto raccontare i cambiamenti di Milano, focalizzando maggiormente l’attenzione sui quartieri oggi più poveri che sono diventati zone «multietniche» in cui vivono o lavorano cinesi, indiani, africani, sudamericani e in alcuni casi anche gli italiani provenienti dal sud del paese. Attraverso la storia di quattro personaggi e delle loro vite, Kuruvilla racconta il reale cambiamento a cui sta andando incontro Milano. I quattro punti di vista per mezzo dei quali si sviluppa il testo danno quasi l’impressione di raccontare gli spazi urbani come “spazi soggettivi” –anche quando si tratta di luoghi pubblici–, perché in quei racconti ci sono la loro vita, la loro storia, le loro emozioni e attraverso la narrazione il lettore ha l’impressione di attraversare queste zone assieme a loro, “visualizzando” luoghi, negozi, volti, parchi, panchine e palazzi, percependo persino gli odori che vengono descritti.

Milano cambia, velocemente, davanti ai nostri occhi e sotto i nostri piedi: io e Silvia Azzari, un’amica fotografa, abbiamo camminato quasi per un anno, io quaderno e penna in mano e lei macchina fotografica al collo, per diversi quartieri della città. Quelli in cui il mutamento era forse più evidente. Quelli “multietnici”, direbbe qualcuno. Anche se tutta la metropoli, lo è e lo è sempre stata: un miscuglio, o fritto misto, di persone diverse. I milanesi, probabilmente, sono un’idea che affonda poche radici nella realtà. E la realtà che noi osservavamo, immergendoci dentro, parlando con la gente, […] era una realtà che mutava in continuazione, come in un caleidoscopio: offrendo non solo colori, ma anche sapori, odori e suoni differenti. E che, soprattutto, narrava storie […] di individui e di luoghi, sempre molto diversi. Tutti questi stimoli, raccolti sotto forma di parole e di immagini, sono poi diventati un libro, Milano, fin qui tutto bene […]. Un volume che raccoglie quattro racconti, interpretati da quattro diversi personaggi –un’italo- indiana, un egiziano, una milanese doc e un napoletano– che parlano quattro linguaggi differenti e che raccontano le quattro diverse zone in cui abitano: via Padova, viale Monza, Paolo Sarpi e Corvetto, passando anche attraverso San Babila, porta Romana, l’Isola e porta Venezia. Queste quattro storie si intrecciano, attraverso il passaggio di vari oggetti [, due sono i principali: un letto a soppalco Ikea e un paio di stivali «alti fin sopra il

5

38 ginocchio con il tacco di almeno dodici centimetri»], descrivendo quattro

vite […] e anche quattro modi di vivere, vedere e sentire la città. Non è un reportage ma neanche un’antologia: l’intenzione era quella di dare vita a un romanzo a quattro voci, che potevano offrire una visione, realistica anche se romanzata, di quella che è oggi Milano, cogliendola in presa diretta.6

La scelta che ha spinto Kuruvilla a raccontare Milano e non un’altra città è stata dettata dal fatto che quella è la sua città natale; così come non è casuale la scelta di raccontare quattro storie, ma soprattutto quattro zone di Milano: via Padova, viale Monza, via Paolo Sarpi, e Corvetto. Questi quartieri sono particolari perché sono «stati oggetto di provvedimento di coprifuoco nel 2010», ma allo stesso tempo rappresentano zone «molto vive della città», e non la città «“da copertina”», ma quella multietnica, mantenuta viva proprio grazie alle attività commerciali che hanno rilevato gli straneri con il loro arrivo.

[Ho raccontato] Milano perché è la città in cui sono nata, e dove ho sempre vissuto, che fa da tessuto alla mia storia personale. Non mi interessava parlare della Milano “da copertina” ma di quella più nascosta, e quindi meno conosciuta. Così ho scelto di raccontare quattro quartieri particolari, che sono stati oggetto del provvedimento di coprifuoco nel 2010, descritti da molti media e politici come delle periferie ghetto: in realtà queste zone, oltre a non essere periferiche, almeno a livello geografico, sono anche molto vive e vissute, soprattutto grazie alla forte presenza di stranieri. Sono loro che hanno portato novità, volti–voci–colori–sapori e culture differenti, e che hanno rilevato molte attività, come le latterie e i piccoli alimentari che stavano chiudendo, trasformandole in bazar e negozietti.7

Nonostante i protagonisti siano un’invenzione dell’autrice, la Milano descritta è reale, come reali sono alcuni fatti di cronaca raccontati nel libro, come il seguente esempio relativo agli scontri fra immigrati in via Padova del febbraio 2013:

[…] sono stati paragonati alle rivolte delle banlieues parigine, per le auto ribaltate e le vetrine fracassate […]. Ma in via Padova non ci sono stati né fuoco né fiamme, solo un gran casino di grida e di gesti, senza alcuna luce a squarciare il buio, se escludiamo quella bluastradelle macchine dellapolizia

6 GABRIELLA KURUVILLA, Quattro vite in quattro quartieri della città: “Milano, fin qui tutto bene”, in

http://lacittanuova.milano.corriere.it/2012/06/08/quattro-vite-in-quattro-quartieri-della-citta-milano-fin-qui-tutto- bene/, consultato aprile 2017.

7

Milano fin qui tutto bene?, in omniamilanolibri/il blog, https://omniamilanolibri.com/2012/09/03/milano-fin-qui- tutto-bene/, consultato aprile 2017. È ciò che dichiara l’autrice nell’intervista riportata nell’indirizzo on-line.

39 e quella giallognola dei lampioni stradali. […] Sulla 56, l’autobus babele che

percorre quasi tutta via Padova raccogliendo e smistando i suoi abitanti,un diciannovenne egiziano e un trentenne domenicano, che non abitavano in via Padova, hanno litigato perché uno ha pestato il piede all’altro. Sono scesi alla mia fermata [sta raccontando l’episodio la protagonista Anita Patel], quella vicino al mio bar, alla mia panchina e al mio palazzo, e il dominicano ha ucciso con una coltellata l’egiziano. Il cadavere è rimasto riverso sulla strada per ore, provocando lo sconcerto e la rabbia di un gruppo di maghrebini, che hanno ribaltato e fracassato tutto quello che potevano ribaltare e fracassare: auto e vetrine.8

Nell’intervista Kuruvilla racconta che la risposta delle autorità è stata quella di militarizzare la zona e attuare misure restrittive nei confronti dei residenti.

Nella medesima intervista l’autrice racconta che l’ispirazione per scrivere questo libro in lei è nata dopo aver visto il film Babel, e dopo aver girato un anno per campi rom, quartieri e vie di Milano, «le storie sono crescite e si sono intrecciate» con il procedere della scrittura.

L’ispirazione nasce dal film Babel, di [Alejandro Gonzàles] Inàrritu: anche in quell’opera ci sono quattro diversi mondi, molto distanti tra loro, che si incontrano grazie allo scambio di alcuni oggetti. L’oggetto “trasversale” che, nel mio libro, passa di mano in mano è un soppalco dell’Ikea […]. Poi, le varie storie, sono cresciute e si sono intrecciate scrivendo, non progetto mai nulla a tavolino. Per questo libro però ho girato per un intero anno […]: dal campo rom di via Idro al quartiere Mazzini, e poi locali, bar, strade, palazzi, centri culturali. Ho conosciuto una città ben diversa dagli stereotipi con cui a molti piace raccontarla.9