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Gallesio e la Liguria Sergio Carlini

SUSINO COSCIAMONACA

2. Caso di studio: Liguria

2.2. Gallesio e la Liguria Sergio Carlini

Giorgio Gallesio nasce nel 1772 a Finalborgo, oggi Finale Ligure, Repubblica di Genova, appartiene ad una ricca famiglia di proprietari ed imprenditori agricoli, e per tradizione studia giurisprudenza.

Apprende criteri moderni della conduzione agricola, cura le sue proprietà, e si interes-sa anche della pubblica amministrazione locale.

In particolare riesce a conciliare interessi contrastanti, facilitando la realizzazione di un sistema viario di collegamento dei territori finalesi, racchiusi da montagne alle spalle e da promontori scoscesi a levante e ponente, con i territori circostanti.

Il periodo politico a cavallo tra 1700 e 1800 è burrascoso, dato che gli effetti della rivoluzione francese si fanno sentire anche in Liguria; in seguito alla occupazione francese Gallesio entra nella struttura amministrativa napoleonica e nel 1811 diven-ta Sottoprefetto a Savona, per il dipartimento di Montenotte, e poi a Pontremoli, per il dipartimento degli Appennini; caduto Napoleone, nella neonata Repubblica di Genova Popolare curerà il tentativo di riformarne la Costituzione.

Con la partecipazione in veste di assistente (assieme al plenipotenziario Antonio Brignole Sale), partecipa alle trattative del Congresso di Vienna (1814-1815) per il destino della Repubblica, ed assiste con sconcerto alla cessione a tavolino della Repubblica stessa al Regno di Sardegna decisa dagli Asburgo.

Il regno di Sardegna dei Savoia lo premia, e cerca di neutralizzarlo, con un incarico formale di modesta importanza, ma lui finisce col ricusare l’incarico. In questo modo si conclude la sua attività amministrativa pubblica. Si ritira a vita privata, cura le sue proprietà e si immerge nei suoi studi di Botanica e Pomologia.

Nel 1828 riceve dai Savoia il titolo di Conte, ed in seguito al matrimonio di suo figlio Giovanni Battista con la contessina Pellina Piuma di Prasco, gli eredi assumeranno il casato di Gallesio-Piuma. Gallesio, che non ha alcuna preparazione botanica specifica,

inizia a crearsi una importante cultura scientifica e botanica, in gran parte come ap-passionato autodidatta, ma anche facendo riferimento selettivo ad autori del suo tem-po che ritiene particolarmente validi, intelligenti e creativi; infatti l’assenza di una for-mazione tradizionale di base gli permette di spaziare senza preconcetti nella materia. Nei sui esperimenti di riproduzione per seme, soprattutto del genere Dianthus, (garofano) nota una ricorrenza di particolari caratteri del colore e di forma dei fiori, che lui descrive come una ereditarietà “non simmetrica”; queste osservazioni lo porta-no a definire il concetto di “dominanza” di alcuni caratteri su altri, termine che diverrà poi portante nell’espressione genetica dell’ereditarietà.

Gallesio non fa valutazioni quantitative, ma stabilisce l’origine genetica, e non ambien-tale o fisica, del fenotipo e annota l’evidenza di caratteri dominanti provenienti da uno dei due genitori (Baldini E., 2003, ripreso recentemente da Gimelli F., 2018). Questa sua affermazione sarà esaminata e sviluppata quantitativamente solo cinquanta anni dopo da Gregorio Mendel, nelle sue “Leggi della Ereditarietà”.

Per le sue deduzioni utilizza gli esperimenti che pratica nei suoi possedimenti in Finale e lo scambio di informazioni con quegli studiosi del suo tempo di cui si fida, non per la loro notorietà, ma per la loro, a suo solo giudizio, validità.

Sono rilevanti i suoi studi di fisiologia e riproduzione vegetale e di tassonomia fruttico-la. La sua maggiore opera (e certamente la più conosciuta, citata e diffusa, più all’estero che in Italia) è il Traité du Citrus, pubblicato in francese a Parigi nel 1811 (Gallesio G., 1811). Rilevante è la Teoria della riproduzione vegetale, pubblicata prima in tedesco a Vienna nel 1814 e in seguito in italiano a Pisa nel 1816 (Gallesio G., 1816).

L’opera di Giorgio Gallesio che ha avuto maggiore rilevanza in Italia, per la sua impo-nenza e bellezza, è Pomona Italiana, un’impresa che non è eccessivo definire “folle”. Gallesio nota che nel nostro paese non esiste un lavoro descrittivo completo dei frutti nazionali (occorre tenere conto che propriamente la Nazione Italiana ancora non c’è), quindi intraprende la realizzazione di un’opera che non ha precedenti (e che per livello non avrà successori), della quale sarà non solo autore, ma anche organizzatore e finanziatore.

Pomona Italiana nasce in un paese politicamente, etnicamente e culturalmente diviso e travagliato, che Gallesio percorrerà da un capo all’altro, per quanto gli sarà

possibi-le, per lo studio dei frutti, con tutte le difficoltà derivanti dal percorrere regioni insicure e con strade disagevoli. Quando ne ha la possibilità, approfitta delle sue conoscenze fra ducati, granducati e regni italiani, maturate durante la sua vita pubblica, o più spesso mediante le sue fitte corrispondenze tra appassionati.

L’opera ha oggi soprattutto un interesse storico-scientifico come trattato di pomolo-gia di inizio ‘800, con un approccio descrittivo per quanto possibile agile e moderno. Essa non offre solo conoscenze sull’argomento, ma piuttosto costituisce una finestra aperta sulla cultura scientifico-agricola di quel tempo. L’approccio di Gallesio, pur con

il timore di infrangere canoni considerati certi, va decisamente nella direzione dell’innovazione. Le sue affermazioni scientifiche, infatti, sono da considerarsi

moder-ne in quanto valorizzano la gemoder-netica: «le varietà non sono che fisionomie individuali, figlie del seme, ed impossibili ad ottenersi dall’arte». Non sfugge la valenza rivoluziona-ria di tali affermazioni. Lui stesso decide di pubblicare l’opera in articoli monografici, uno per ogni varietà di frutto, che prepara in funzione della disponibilità dei materiali via via raccolti con i viaggi, per corrispondenza e tramite i suoi esperimenti.

Ogni articolo consta di una immagine a piena pagina del fruttifero (o dell’argomento), stampata a riga sottile nera e colorata singolarmente a mano, a cui seguono la desi-gnazione botanica, anche col nuovo sistema linneano allora in fase di applicazione, e il testo descrittivo in perfetti “caratteri dei f.f. Amoretti in Pisa”, dedicato a caratteri-stiche, qualità, condizioni di coltivazione, disponibilità, diffusione, commercio, ecc.

La forma dell’ opera è imponente: è “in folio” (per la dicitura dell’Archivio di Stato: “in 2°”), con altezza alla pagina di frontespizio convenzionalmente “superiore a 38 cm”. Di norma fu rilegata in due volumi (la rilegatura era a cura del ricevitore) di 50 x 33 x 9 cm, su carta bianchissima della migliore qualità.

Vengono edite circa 176 copie, spedite ad altrettanti abbonati. È evidente che, pur essendo molto bella, per l’enorme costo (si consideri solo il lavoro per colorare a mano le pagine con disegni) non poté avere una grande diffusione.

Le immagini hanno molteplici autori: Paolo Fumagalli, Bernardino Rosaspina, Giuseppe Pera, Carlo Lasinio, Antonio Verico ed altri (per disegno ed incisione); Antonio Basoli, Carolina e Isabella Bozzolini, Rachele Cioni, Domenico Del Pino, Bianca Mojon, Antonio Serantoni ed altri (coloritori ed illustratori). Ogni immagine è stata singolarmente colorata avendo a modello una copia campione già colorata e approva-ta da Gallesio. Non esistendo, secondo Gallesio, al suo tempo una corrispondenza tra le disponibilità economiche degli abbonati e la loro capacità a comprendere i testi scientifici, egli prepara una opera costosa e bellissima, «da far lusso di biblioteca», ma riserva la parte che considera «di scienza» a quadernetti, a dir poco «molto modesti» in carta mediocre, di piccolo formato, e di ancor peggiori caratteri, che lui allega come

“dono” accessorio ai fascicoli primari (ad essi si fa riferimento come “Trattati” in co-pertina, dove si legge ad esempio «Fascicolo primo contenente il Trattato del fico»). Lo scopo è dichiarato: «affinché manco sian letti, ma buttati in un canterano sian da qualcuno ritrovati tra qualche secolo affinché, quando ritrovati allora si sappia cosa si pensa qui, oggi». (Nota dello scrivente: Questa citazione mi fu riportata da Carlo Ferraro della Fondazione Gallesio, che si riferiva direttamente alla corrispondenza privata del Gallesio, il sette dicembre 2007, in Albaro, Genova).

Giorgio Gallesio doveva anche curare la parte economica, anticipare i pagamenti dei lavori, riscuotere e sollecitare i clienti morosi, curare le discussioni di spedizioni perse o ritardate, rispondere ai corrispondenti rompiscatole: si distinsero particolarmente i partigiani delle “uve”, cioè coloro che sostenevano che fosse meglio lasciar perdere gli altri frutti e privilegiare la descrizione delle uve, prodotto portante della economia vini-cola di allora. Come si è detto Gallesio procedeva in modo diverso, cioè «secondo disponibilità certe di materiali, ed informazioni sufficienti». Una parte spropositata di tempo e risorse fu dedicata alle palme dattilifere che erano una novità del periodo. Gli articoli erano spediti agli “abbonati” mano a mano che erano completati, stampati e colorati. La rilegatura era a cura del ricevente che procedeva per propria parte anche coi materiali e finiture che preferiva. Quindi è molto probabile che non esistano due copie identiche dell’opera. Attualmente sono sopravvissute un numero presunto di 30-60 copie, non tutte complete o integre. Alcune sono disponibili in Italia e si trova-no a Bologna (Università degli Studi; Biblioteca Manaresi), Cesena (Biblioteca Malate-stiana), Faenza (Biblioteca Comunale Manfrediana), Genova (Biblioteca Comunale

Berio, Biblioteca del Istituto Agrario B. Marsano, Biblioteca Universitaria), Milano (Università degli Studi, Biblioteca di Scienze Agrarie e Alimentari), Padova

(Biblioteca dell’Orto Botanico dell’Università), Venezia (Biblioteca Nazionale Marciana). Il lavoro fu costosissimo e ne derivò una notevolissima perdita economica per Gallesio, che sottostimò le spese. Particolarmente costosi furono i viaggi scientifici e le spedizioni, che non erano certo facili a quell’epoca. Inoltre non tutti gli “abbonati” pagarono con varie scuse.

Le traversie economiche posero alla fine Giorgio Gallesio in grave conflitto col figlio Giovanni Battista (Bacicin), che era ben più propenso a curare la gestione del denaro e delle proprietà, che le soddisfazioni della scienza.

L’opera non finita, fu interrotta solo dalla morte dell’autore, nel 1839, a Firenze, dove è sepolto tra gli uomini illustri nel chiostro della Basilica di Santa Croce.