• Non ci sono risultati.

Il paesaggio del Castagno Domenico Manna

Il castagno è una pianta forestale e agraria, molto diffusa in Italia nelle zone collinari e montane. Il suo nome botanico dal 1768 è Castanea sativa Mill., che sostituisce quel-lo di Fagus castanea della classificazione di Linneo del 1753. Il suo areale naturale si

colloca nella fascia forestale dell’orno-ostrieto, cioè nel piano medio montano dell’Appennino ove dominano i boschi di quercia a foglia caduca, sebbene sia

elemen-to di spicco anche nel paesaggio delle aree basali delle vallate Alpine e delle Prealpi. Vegeta in ambienti molto diversi tra loro ma sempre dotati di singolari qualità paesag-gistiche ed è una specie arborea così rappresentata in questo areale che il Pavari denominò tale fascia vegetazionale “Castanetum”, collocando la sua configurazione geografica e morfologica ad una altitudine da 400 a 800 m s.l.m. ed oltre.

Tutto questo paesaggio è variamente articolato e riflette peculiarità, unicità, pregi ambientali che ancora oggi, in alcuni contesti, conservano l’integrità e il fascino origi-nario.Come altri sistemi agrari montani, il castagneto è indispensabile nella tutela del territorio, in quanto contribuisce a conservarne la stabilità e le peculiarità ambientali e culturali. In questo ambiente, infatti, si ritrovano i segni della cultura materiale, le tracce del modo di vivere, di lavorare e di tanti “saperi” di notevole valore documenta-rio e culturale, sedimentati nei secoli dall’opera dell’uomo.

Il castagno è esigente in fatto di terreno e di esposizione, perciò la sua forma da frut-to, il marrone, occupa generalmente delle nicchie e raramente notevoli estensioni, richiedendo un ambiente pedologico specifico, con un suolo fresco, profondo, a reazio-ne acidofila (chiamato reazio-nello spoletino “focaro”). In Umbria le maggiori superfici casta-nicole da frutto sono diffuse nei Comuni di Città di Castello, S. Maria Tiberina e Spole-to, ma si ritrovano anche nei Comuni di Montecchio, Umbertide, OrvieSpole-to, Terni, Castel Viscardo, Lisciano Niccone, Baschi, Stroncone, S. Giustino, Piegaro (Antognozzi E., 1987) e piccole oasi in località Casteldelmonte di Acquasparta e Manciano di Trevi. Attualmente la superficie coltivata in Umbria viene stimata in 941 ha (Jacoboni A., 2002), mentre l’area complessiva, compresi i cedui semplici e composti, presenta dati discordanti, ma si ritiene più attendibile quello di Calandra (1996) di 12.750 ha. La coltura del Castagno in Italia si è sviluppata soprattutto fra l’XI e il XV secolo e, fino alla prima metà del’900, ha ricoperto un ruolo primario sia per il tessuto sociale e produttivo delle popolazioni montane che per il contesto geomorfologico ed ambienta-le. Man mano che questa coltura si diffondeva, progredivano e si consolidavano anche le tecniche colturali alla ricerca di un prodotto migliore e dalla castagna, gradualmen-te, si è arrivati al marrone, molto più pelabile e sapido.

Inoltre, l’opera attenta e selettrice dell’uomo, attraverso la cura e la riproduzione delle sole piante di maggior pregio e migliore adattamento, ha permesso la selezione di ecotipi, anche a livello territoriale comunale, come nel caso dello spoletino in cui si ravvisano particolarità eco-ambientali fra le diverse località di produzione (Jacoboni A., 2002).Questo albero nel passato ha avuto grande importanza nell’alimentazione delle popolazioni montane italiane, tanto da essere stato definito “l’albero del pane”, e anche in Umbria la produzione castanicola ha rappresentato un importante elemento

di sussistenza per le popolazioni delle are montane in cui era presente. Fino agli anni 60 del ‘900, prima delle avversità parassitarie che hanno colpito più duramente la coltura, la produzione dei marroni è stata una significativa fonte di reddito, insieme al commercio del legno di castagno, che veniva utilizzato per diversi usi. In particolare la paleria delle nostre selve castanicole veniva preferita per la sua maggiore resistenza nelle opere che richiedevano l’infissione nel terreno (recinzioni e altro). La produzione di marroni e castagne, invece, da 23.100 q crollò nel 1990 a 5.709 q (Fonte ISTAT). Dapprima il “mal dell’inchiostro”, a cavallo fra la fine del ‘800 e l’inizio del ‘900, ma soprattutto il successivo patogeno, il “cancro corticale” (Endothia parasitica (Murr.) And.), hanno arrecato ingenti danni alle aree castanicole italiane, non risparmiando naturalmente quelle umbre, causando la morte o comunque il danneggiamento grave delle piante. Con l’istituzione delle Comunità Montane, a cominciare dagli anni ’80 del secolo scorso, in Umbria è stato sviluppato un programma di interventi di cura e rico-stituzione arborea, con cui sono state combattute queste fitopatie e ridato vigore alla coltura, con la lodevole e attiva partecipazione dei pochi abitanti rimasti nelle zone.

I lavori consistevano generalmente in energiche potature di rinvigorimento, con distruzione del materiale malato, come mostra la foto, mentre nel ternano si è proce-duto a una sorta di “vaccinazione” delle piante colpite, con l’inoculazione di un ceppo antagonista ipovirulento, che si insinuava fra la corteccia e il legno e tendeva ad espel-lere il patogeno virulento. Mentre questi interventi producevano il loro effetto positivo e la fitopatia era in notevole regressione è, però, sopraggiunto un nuovo insetto dalla Cina, il Cinipide (Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu), che stava provocando di nuovo gravi danni, ma questa volta le Istituzioni sono state pronte ad avviare un valido progetto di lotta biologica, che sta dando lusinghieri risultati. Più recentemente, con i

Drastica potatura per eliminazione delle parti attaccate dal cancro corticale e ricostituzione della chioma(D. Manna).

finanziamenti pubblici della filiera del castagno, la Comunità montana dei Monti Martani, Serano e Subasio, congiuntamente a quelle confinanti, hanno continuato attivamente l’opera di recupero degli antichi castagneti e della relativa viabilità, per avviare la procedura per la richiesta della D.O.P.

Per la valorizzazione e la promozione di questo prodotto tipico, molto importante per il comprensorio spoletino, ma anche per varie zone dell’Umbria, nell'anno 1993 venne organizzato a Spoleto il I Congresso Internazionale sul Castagno, con la partecipazio-ne della Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia, che curò magistralmente la parte scientifica. Si registrò una numerosissima e qualificata presenza, che riaccese l’attenzione delle istituzioni e del mondo scientifico su questo comparto agro-forestale abbastanza dimenticato, considerato bosco nella sua interezza dalla legislazione forestale nazionale, anche se presenta indubbi risvolti agronomici. Inoltre, nel 2003, per iniziativa di un gruppo di castanicoltori dei comprensori dello Spoletino, del Terna-no e della Valnerina, sostenuti dai rispettivi Enti montani territoriali, è stato costituito a Spoleto il Consorzio dei Produttori della Castagna Umbra, con lo scopo di “difendere e tutelare la produzione, la trasformazione e la commercializzazione delle castagne coltivate in Umbria, contraddistinte dalla denominazione tipica di “Castagna Umbra”. Al consorzio hanno aderito anche i tre enti suindicati.

Marrone plurisecolare in loc. Montebibico-Battiferro (Spoleto) dalla circonferenza di m. 8,50 (Z. Zengoni).

Il paesaggio del castagneto, che riflette il secolare rapporto tra uomo e territorio, nonostante il progressivo spopolamento delle zone rurali montane negli ultimi decenni del ‘900, che ha inevitabilmente generato un depauperamento delle selve castanili, in Umbria conserva ancora caratteri di pregio ambientale e buona valenza socio-economica. L’ambiente naturale dei marroneti è generalmente caratterizzato da un andamento morfologico dolce e da un contesto distensivo e perciò adatto per meravi-gliose passeggiate. Si possono ammirare le varietà di habitat in cui si alternano diver-se associazioni vegetali e, scorrendo nei vecchi castagneti, è possibile imbattersi in esemplari di piante monumentali, veri e propri “Patriarchi vegetali” che hanno sfidato

le insidie del tempo e tanti attacchi di parassiti. Nello spoletino, in località Montebibico, secondo quanto riferito allo scrivente alcuni anni fa dal Signor Alfredo

Viola, provetto e appassionato castanicoltore, nel 1929 furono abbattuti circa seicento di questi esemplari plurisecolari. Ne furono lasciati tre, a testimonianza della loro imponente presenza, e dalla misurazione grossolana della circonferenza di uno di essi, ne risultò la ragguardevole misura di circa 8,50 m.

Degustazione di prodotti a base di castagne preparati in occasione del Seminario sulla Castanicoltura a Montebibico nel 1990 (E. Tassinato, D. Manna). Da sinistra a destra: Zuppa alle castagne (nella foto la Sig.ra Mancini e l’artista pittore Sergio Bizzarri), Palline di castagne (Sig.ra Bizzarri), Rotolo alle castagne fresche.

Oggi i boschi di castagno, per la loro multifunzionalità, sono in grado di svolgere nume-rose funzioni che valorizzano il territorio, in quanto ne esaltano gli aspetti ambientali e arricchiscono il paesaggio conferendogli valori estetici ed identità territoriale.

Forte è poi il legame fra tale prodotto e i valori tradizionali nelle frazioni montane con-notate dalla notevole presenza dei castagneti da frutto. Ne è un esempio proprio la succitata frazione spoletina di Montebibico, ove nel 1990, in occasione di un semina-rio sulla castanicoltura promosso dalla locale Comunità montana, fu preparata dalle massaie locali una ricca colazione, con protagonista la castagna, soprattutto nel fina-le con varie qualità di dolce, tutte a base di marroni e castagne.

Per quanto riguarda la valorizzazione turistica e la promozione dei territori e del pro-dotto, i sentieri recuperati e riattivati sono stati inseriti nella rete sentieristica regio-nale, per escursioni tra i castagneti da frutto. Inoltrandosi in questi sentieri appare un sottobosco rigoglioso di tipo erbaceo ed arbustivo, in cui dominano le felci, che sono un chiarissimo indicatore vegetale dell’habitat castanicolo, mentre dopo le prime piog-ge estive, esplodono lattari, porcini, ovoli ed altri funghi, il tutto in un ambiente con tanti colori e alta valenza ricreativa.

Non può essere trascurato infine l’aspetto protettivo e naturalistico, perché i casta-gneti sono in grado di contrastare fortemente il degrado del suolo e il dissesto idrogeologico sia direttamente, attraverso un robustissimo apparato radicale, che indirettamente grazie al florido manto vegetale basale.

Inoltre, benché coltivato, mantiene numerosi elementi di naturalità e biodiversità, tanto vegetale che animale, e rappresenta quindi un grande patrimonio ambientale.

ll nocciolo: un nuovo paesaggio all’orizzonte Daniela Farinelli

In Italia, il nocciolo è tradizionalmente coltivato in Campania, Lazio, Piemonte e Sicilia, mentre la sua diffusione in Umbria è più recente e legata alla favorevole congiuntura di mercato che ha determinato lo sviluppo della coltura a seguito di accordi interprofessio-nali con le industrie dolciarie: Nestlé e Ferrero.

Nel 2018, secondo dati ISTAT, in Umbria erano presenti 164 ha di noccioleti ma, grazie al Piano di Sviluppo Rurale della Regione (Misure 16.4.1 e 4.1), sono in corso di realizza-zione numerosi nuovi impianti (corileti). Infatti, si stima che, entro il 2022, ci saranno complessivamente oltre 1.100 ha di terreno coltivati a nocciolo (0,33% della SUA). I noc-cioleti verranno realizzati in molte aree della regione, ma soprattutto nella Media e Alta Valle del Tevere, oltre che nella Valle Umbra e nel ternano, in sostituzione di colture quali il tabacco, nelle zone pianeggianti ed irrigue, e di cereali nelle zone pedecollinari. Pertanto, il paesaggio sarà influenzato da questa nuova coltura, rappresentata da una specie arborea caducifoglia che sostituirà colture a ciclo annuale. Il nocciolo (Corylus avellana L.) è una specie già diffusa nei boschi umbri e molto utilizzata nelle tartufaie coltivate, come ottima specie simbionte con funghi micorrizici, e quindi non nuova per la regione.

I nuovi noccioleti saranno costituiti da piante disposte con sesto regolare (distanze di piantagione di 3,5–4 m sulla fila a 4-5 m tra le file), allevate a monocaule (vaso cespuglia-to o alberello), nelle zone più comode per la meccanizzazione, oppure a policaule (cespuglio), nelle aree più declivi, ma comunque meccanizzabili.

Le piante utilizzate saranno per circa il 50% prodotte da margotta di cep-pai, il 45% micropropagate e per il restante 5% innestate su portainnesto non pollonifero. Per quanto riguarda le cultivar utilizzate, gli accordi di filiera impongono di piantare quelle con nocciole idonee alla trasformazio-ne industriale, quali Tonda Giffoni, Tonda Romana e Tonda Francescana ® (nuova varietà brevettata dal- l’Università di Perugia nel 2019). Si stima che la Tonda di Giffoni e la Tonda Francescana® andranno ad occupa-re, rispettivamente, il 33% ed il 35%

della superficie destinata alla coltivazione del nocciolo, seguite da Tonda Gentile Romana e Nocchione, quest’ultimautilizzatacomeimpollinatore. Altre varietà, quali Tonda Gentile Trilobata, Mortarella e Camponica, saranno invece impiantate su pochissimi ettari. Nei primi anni dopo l’impianto il suolo sarà gestito con lavorazioni meccaniche e dal 4-5° anno sarà gestito mediante inerbimento permanente.

1.6 Le iniziative regionali per la conservazione e la