«Non esiste uno stereotipo dell’adulto maltrattante»37. Esistono famiglie ben inserite socialmente che maltrattano i loro bambini al pari di genitori tossicodipendenti, alcolisti, gravemente disturbati o affetti da malattie mentali. Henry Kempe affermava che «i geni- tori maltrattanti non rientrano in un unico modello psicologico che possa essere compreso in una diagnosi psichiatrica»38. É opportuno, per questo, prendere in considerazione i dif-
ferenti tipi di personalità per cercare di comprendere come l’aggressività presente in ogni persona, possa essere rivolta in maniera violenta nei confronti della prole.
L’aspetto più caratteristico delle storie di famiglia che compiono abusi, scrive Kempe, è la ripetizione, da una generazione all’altra, di un modello di abuso, di trascuratezza, di perdita dei genitori, o di deprivazione39.
Dall’analisi della letteratura40 risulta che non tutti gli episodi di maltrattamento han-
no un unico fattore eziologico; alcuni genitori possono presentare delle caratteristiche patologiche legate a disturbi di natura psichiatrica, altri invece sono degli individui che «hanno seguito un accettabile modello educativo, ma che, forse, ha subìto fenomeni di radicalizzazione ed esasperazione solo a causa di situazioni ambientali e di stress»41.
Un errore che spesso può essere commesso è quello di non riconoscere che alcuni genitori hanno una personalità deviante, resistente ai metodi del trattamento.
Come sottolineato più volte nei capitoli precedenti, anche se è vero che non tutti i bambini maltrattati diventeranno genitori maltrattanti, è anche vero che i genitori che fan- no del male o non proteggono i loro figli hanno alle spalle una storia personale di violenza. Ad esempio, una giovane madre vittima di violenze, non sufficientemente in grado di oc- cuparsi e proteggere efficacemente i propri figli non è una cattiva madre, ma una donna traumatizzata che ha subito gravi danni nelle sue competenze e capacità genitoriali42.
Inoltre, è bene ricordare che la violenza ha una storia molto radicata.
«Essa si perde nella memoria individuale e storica e costituisce una spirale, un cerchio tragico che si ripropone e si consolida attraverso le generazioni»43.
Il ruolo genitoriale, così importante e difficile, secondo alcuni studiosi, trae le sue origini 37. GIOVANNI ATTOLINI et al., Infanzia e violenza: forme, terapie, interpretazioni, La Nuova Italia, Firenze 1990, p. 116.
38. KEMPEe KEMPE, op. cit., p. 23. 39. Ibidem, p. 25.
40. Si fa riferimento ai testi di AA. VV. Miller A. La persecuzione del bambino. Le radici della violenza, Bollati-Boringhieri,Torino, 1987; Ghezzi D., Vadilonga F. (a cura di), La tutela del minore, Raffaello Corti- na, Milano, 1996; Cancrini L. La cura delle infanzie infelici,Raffaello Cortina, Milano, Milano, 2012; Con- tributi di: G. Attolini, E. Beseghi, F. Cambi, C. Fratini, D. Marchi, F. Scarcella, S. Ulivieri, C. Ventimiglia in: Infanzia e violenza: forme, terapie, interpretazioni, La Nuova Italia, Firenze, 1990
41. ATTOLINIet al., op. cit.
42. FERNANDEZet al., op. cit., p. 66. 43. ATTOLINIet al., op. cit., p. 116.
in quella fase agli albori della vita, in cui ogni essere umano, uomo o donna, ha vissuto, ancor prima di imparare a parlare, prima del pensiero logico e della memoria una "rela- zione simbiotica" che viene ricercata con ardore come un paradiso perduto, definita dagli psicologi "narcisistica" indispensabile per la formazione del Sé.
Se questa fase viene vissuta in un ambiente sfavorevole, in maniera "infernale" gli esiti si ripercuoteranno per tutta la vita44.
Alice Miller, nota psicanalista zurighese, estende questo concetto fino alle conseguen- ze più estreme. Formula l’ipotesi secondo la quale l’esperienza di grave maltrattamento subita in età infantile è peggiore della situazione di un adulto in un campo di concentra- mento. Il sentimento di solitudine del fanciullo lasciato solo con il suo dolore senza aver modo di esternarlo in alcun modo fa si che la sofferenza patita per quei tormenti rimarrà allo stato inconscio e più tardi verrà a impedire l’immedesimazione negli altri.
Per tale motivo, secondo la Miller, i bambini che hanno subito violenza diventeranno a loro volta padri e madri che faranno uso di violenza45. Chiaramente si nota che la Mil- ler nella sua accorata denuncia della persecuzione dell’infanzia, radicalizza la situazione seguendo una precisa linearità degli eventi. Questi genitori estremamente sopraffatti da emozioni negative arrivano a sovvertire l’ordine naturale genitore-figlio: anzichè essere protettivi divengono dannosi.
É importante, dunque, considerare i genitori maltrattanti come delle persone in crisi, nei quali l’intervento nocivo verso i fanciulli è segno di una profonda patologia relazionale del nucleo familiare. Vediamo quali sono le concause generalmente condivise di un tale fenomeno:
- Un vissuto di sofferenza di entrambi i genitori o di uno di essi;
- Criticità familiari quali: lutti, trasferimenti, fallimenti e altri eventi dolorosi;
- Un contesto economico-sociale e un ambiente culturale sfavorevole come condizione aggravante la crisi della famiglia e concausa dei comportamenti lesivi verso i figli.
Ma queste cause di infelicità da sole non bastano. Un’altra ragione maggiormente determinatane è «il cattivo funzionamento relazionale basato su incomprensioni profonde tra coniugi e su attese familiari non corrisposte»46. É proprio questa disfunzionale relazio- ne tra i coniugi che rende insopportabili i fattori personali, quelli sociali, i cambiamenti e i lutti. Infatti, essere appoggiati dal proprio partner nei momenti difficili costituisce un’im- portante base per poter superare le difficoltà che la vita spesso ci propone. Al contrario, 44. Ivi.
45. Cfr. Miller A., La persecuzione del bambino, Boringhieri, Torino, 1987. 46. GHEZZIe VALDILONGA, op. cit., p. 8.
sentirsi abbandonati emotivamente dal proprio compagno, o addirittura sentirsi dallo stes- so attaccati nei momenti di difficoltà, può far ricadere sui figli tutti i sentimenti negativi: delusione, rabbia e confusione. Sono tante comunque le concause che possono provoca- re un cattivo funzionamento relazionale familiare e le coppie possono presentare diverse caratteristiche. É possibile incontrare una coppia coniugale/genitoriale debole, che ha al proprio interno un gravissimo conflitto e una moltitudine di incomprensioni irrisolte. Oppure coppie che hanno legami eccessivi e impropri con le rispettive famiglie di origine.
Possiamo quindi concludere che si tratta di famiglie o coppie in cui il naturale scambio di dare e avere stima, affetto, riconoscimento penalizza profondamente almeno uno dei due genitori senza che esso abbia gli strumenti idonei a cambiare o migliorare la situazio- ne47. Per questo quando in una coppia vengono a mancare l’accettazione, la protezione, la fiducia e tutti i sentimenti positivi alla base di ogni rapporto affettivo, i partner provano sentimenti opposti di frustrazione, smarrimento, delusione che portano a non saper più gestire la propria rabbia. Da quanto detto si evince chiaramente che in presenza di queste relazioni familiari tanto disfunzionali che si ripercuotono sui figli, può essere possibile in- dividuare percorsi per comprenderle, farle emergere e provare a modificarle. «Quando si comprendono le ragioni relazionali profonde che si coniugano con le difficoltà personali, allora è possibile aiutare a cambiare, è possibile rompere la spirale che porta i genitori a fare male ai loro figli»48.
47. Ibidem, pp. 6-9. 48. Ibidem, p. 9.