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Negli ultimi decenni, il fenomeno del maltrattamento all’infanzia ha riscosso parti- colare attenzione sia a livello di informazione pubblica, sia a livello di letteratura spe- cialistica. Nel corso della storia l’approfondimento delle conoscenze sui tipi di abuso, sull’incidenza statistica del fenomeno nella realtà sociale, sulla eziologia, sulle tecniche di intervento e più in generale sulla protezione offerta al bambino dalla società, è variata a seconda del periodo storico e dei luoghi2.

Uno dei primi strumenti internazionali a tutela dei diritti dell’infanzia è stata la "Con- venzione sull’età minima" in materia di lavoro minorile. Tale trattato fu adottato dalla Conferenza Internazionale del Lavoro. Negli anni a seguire, vi furono altri provvedimenti volti alla regolamentazione del lavoro minorile e non solo. Di fatto, un’altra significati- va attestazione dei diritti del bambino, si ha nel 1924 con la Dichiarazione di Ginevra, o Dichiarazione dei diritti del bambino, adottata dalla Quinta Assemblea Generale della Società delle Nazioni. Tale documento, che precede di più di venti anni la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non è però ancora concepito come strumento atto a va- lorizzare il bambino in quanto titolare di diritti, ma solo in quanto destinatario passivo di 1. CORRADOBOGLIOLO, Bambini e violenza. Dalle dinamiche familiari all’evento sociale, Edizioni del Cerro, Pisa 1998, p. 46.

2. Cfr. Cesa Bianchi M., Scabini E., La Violenza sui bambini: immagine e realtà, Franco Angeli, Milano, 1991.

essi. L’aspetto più interessante è che tale documento riconosce al fanciullo diritti assisten- ziali e il soddisfacimento di bisogni materiali. Inoltre, la Dichiarazione non si rivolge agli Stati per stabilirne gli obblighi, ma chiama in causa più genericamente l’umanità intera affinché garantisca protezione ai minori, ed impegna i paesi membri solo da un punto di vista morale3.

Successivamente, con lo sviluppo della famiglia nucleare e con l’avvento del puerocen- trismo, ai bambini viene riservato un posto di maggiore rilievo sia dal punto di vista legislativo che sociale, anche se spesso il bambino è considerato soggetto esclusivamente perché oggetto di gratificazione dei genitori. Solo il 20 Novembre del 1959, con la pro- clamazione della Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo4, il bambino diventa "soggetto

di diritto" e così anche il fenomeno del maltrattamento diviene specifico oggetto di studio empirico.

Qualche anno più tardi, nel 1976 con il 1°Congresso internazionale tenutosi a Ginevra presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Europa incominciò a mostrare maggiore interesse al fenomeno del maltrattamento infantile.

In quella sede venne fondata la International Society for the Prevention of Child Abuse and Neglecte la relativa rivista Child Abuse and Neglect. Anche l’Italia entrò a far parte di questo processo mondiale di sensibilizzazione verso la violenza sui bambini. Di fatto, il problema dell’infanzia ferita ha avuto un forte impatto sulla popolazione italiana so- prattutto a partire dalla fine degli anni Settanta. In quegli anni alcuni centri specialistici ed équipe interprofessionali, in diverse aree del Paese, avviarono percorsi di cura rivolti ai bambini e alle loro famiglie. I servizi iniziarono a basarsi sui nuovi standard interna- zionali ed in stretta connessione con il sistema di protezione legale.

Un grande traguardo fu raggiunto nel 1979 con l’istituzione della sezione italiana della International Society for the Prevention of Child Abuse, denominata Associazione Italia- na per la Prevenzione dell’Abuso all’Infanzia (AIPAI)5.

I primi studi in ambito medico sul maltrattamento infantile, invece, risalgono al 1946, quando Caffey, radiologo del Dipartimento di pediatria della Columbia University, deli- neò un quadro clinico, tipico dei bambini, «caratterizzato dalla associazione fra ematoma subdurale e frattura multipla delle ossa lunghe»6.

Qualche decennio più tardi (nel 1962) Hanry Kempe, nell’ambito della pediatria ameri- cana, identificò la Battered Child Syndrome o "Sindrome del bambino picchiato" in cui 3. Tappe storiche:Convenzione sui diritti dell’infanzia, http://www.unicef.it.

4. Ibidem.

5. PAOLA DI BLASIO e GIOVANNA ROSSI., Trascuratezza, maltrattamento e abuso in danno dell’infanzia: Servizi e Centri presenti in Regione Lombardia, 2004, p. 6.

6. NEVIO DEL LONGO et al., Il dolore innocente. Guida per operatori ed educatori nei casi di maltrattamento infantile, Città nuova, 2002, vol. 7, p. 19.

cercò, insieme ai suoi collaboratori, di classificare secondo una serie di elementi clinici, radiologici e anamnestici quei fattori necessari per poter effettuare una accurata diagnosi di "bambino battuto". Dopo qualche anno, lo stesso Kempe sostiuì la prima definizione di Battered Child Syndrome con quella di abused child7che aggiungeva alla sola violenza fisica anche gli aspetti psicologici del problema. Più avanti, venne aggiunto al termine "abused" quello di neglect child (bambino trascurato) "childe abuse".

Gli aspetti riguardanti le situazioni di maltrattamento all’infanzia sono divenuti sem- pre più articolati, declinando il fenomeno secondo specifiche caratteristiche come, ad esempio, la tipologia, la ripetitività o l’unicità dell’evento, capaci di determinare conse- guenze a livello psicopatologico per il minore, prendendo in considerazione anche l’inte- razione con i diversi elementi strutturali ed evolutivi del bambino da un lato, e le carat- teristiche del suo contesto familiare dall’altro8. Attualmente, esistono chiare prove che l’abuso sui bambini rappresenti un problema globale. Esso si presenta sotto svariate for- me e ha origini profonde nelle pratiche culturali, economiche e sociali in cui il minore è inserito.

Per comprendere la portata del danno provocato non solo al minore, ma anche alla no- stra società, da tutti i fenomeni di violenza esercitata nelle relazioni familiari, si ritiene importante citare la definizione sulla violenza e l’abuso sui bambini, elaborata dal Coor- dinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso:

«La violenza, come ha affermato anche l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nel 2002, è un serio problema di salute pubblica e quindi gli interventi di prevenzione, protezione e cura rappresentano atti dovuti per soddisfare il diritto fondamentale alla salute sancito nella stessa Costituzione italiana. La violenza è un’esperienza che non interessa solo gruppi marginali e disa- giati. Il lavoro sul campo ci ha insegnato che i maltrattamenti e gli abusi interessano bambini e bambine appartenenti ai più disparati contesti sociali e culturali: figli di operai e di docenti uni- versitari, bambini italiani e migranti. Ci sono danni derivanti da forme misconosciute di violenza, quali la violenza assistita intrafamiliare, o il ciclo intergenerazionale di violenze. È importante la rilevazione precoce e il sostegno alla famiglia e alla genitorialità (informazione sulle cure prenata- li e neonatali, riconoscimento precoce della depressione post-partum, iniziative di accrescimento delle conoscenze e delle competenze parentali di padri e madri). La violenza sulle madri è una forma di maltrattamento primario, e gravi sono i suoi effetti a livello fisico, psicologico, cognitivo e relazionale. C’è una tendenza alla minimizzazione del problema della violenza domestica e dei gravi effetti che questa ha sulla capacità genitoriale e sui minori che vi sono esposti»9.

7. CORINNEMAY-CHAHALet al., «Child maltreatment in the family: a European perspective», European Journal of Social Work, 9, 1 (2006), pp. 3-20.

8. MASSIMO AMMANITI et al., La prevenzione del maltrattamento:sostegno ai genitori, Istituto degli Innocenti, Firenze 2004, p. 79.

9. Linee di indirizzo per una politica di contrasto all’abuso all’infanzia: lettera aperta al Governo e alle forze politiche, 2006, http://cismai.it.

Inoltre, a tal proposito l’ O.M.S. , dopo aver confrontato le definizioni di abuso pre- senti in 58 nazioni diverse, ha indicato la definizione di "maltrattamento".

Secondo l’ O.M.S il maltrattamento all’infanzia si configura in tutte le forme di «cattivo trattamento fisico e/o affettivo, abuso sessuale, incuria o trattamento negligente nonché sfruttamento sessuale o di altro genere che provocano un danno reale o potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del bambino, nell’ambito di una relazione di responsabilità, fiducia o potere»10. Tale definizione, come indicato anche da

Di Blasio e Rossi11 in un report di ricerca del 2004, ha il vantaggio di superare i pro-

blemi relativi sia alla volontarietà o meno dei comportamenti lesivi, sia alle cause o le conseguenze di tali azioni. Altro aspetto importante della definizione dell’OMS è che non esclude tutte quelle forme di violenza che possono verificarsi in contesti anche extra- familiari, come quelli educativi o scolastici. Tuttavia, la violenza e l’abuso nei confronti dei minori sono, tendenzialmente, fenomeni intrafamiliari.

Il maltrattamento intrafamiliare viene oggi percepito come un evento che caratterizza un ambiente di vita di per sé traumatogeno non solo per la vittima, ma per tutti coloro che ne sono coinvolti anche in maniera indiretta. Ad esempio, in molte situazioni in cui un bambino che vive in una famiglia nella quale avvengono ripetutamente violenze contro la madre o un altro familiare, anche se non subisce atti violenti diretti, è comunque vittima di violenza assistita, un’espressione del maltrattamento traumatica e grave quanto il mal- trattamento fisico o l’abuso sessuale12. Purtroppo, molto spesso, tali situazioni restano inespresse e a causa della loro cronicità producono, in coloro che ne sono vittime, gravi e invalidanti conseguenze sul piano fisico e psicologico13.

Facendo ancora riferimento alla definizione di maltrattamento dell’OMS, emerge l’or- mai consolidata classificazione delle tipologie di azioni commesse a danno del minore da parte delle persone a cui è affidato e precisamente:

- maltrattamento fisico; - abuso sessuale;

- maltrattamento psicologico; - grave trascuratezza.

Successivamente tale classificazione si è arricchita di nuove sfumature, diventando più complessa. Sono state introdotte alcune caratteristiche specifiche per il maltrattamento 10. OMS, «Violenza e salute nel mondo», Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Salute. CIS editore. Milano(2002), pp. 85-86.

11. DIBLASIOe ROSSI., op. cit.

12. FERNANDEZet al., op. cit., pp. 65-66. 13. DIBLASIOe ROSSI., op. cit., p. 9.

psicologico, esso viene suddiviso in maltrattamento psicologico vero e proprio e violenza assistita.

La prima distinzione riguarda tutte le situazioni in cui il bambino è vittima di persistenti atti di denigrazione, rifiuto, umiliazione e svalutazione da parte di chi, invece, dovreb- be occuparsi del suo benessere. La violenza assistita, al contrario, si verifica quando il minore assiste a liti violente tra le figure di riferimento provando sentimenti di terrore e cercando di difendere il genitore che, ai suoi occhi, appare più debole.

Un’altra specificità è stata inserita anche per la trascuratezza14 che non viene più intesa

solo come incuria, ma anche come ipercuria (eccesso di cure) e sindrome di Munchau- sen15 per procura .

Sul versante operativo si è affermata una definizione del termine maltrattamento me- no dettagliata e più adatta per trasmettere un concetto che per specificare un’azione. Di fatto, le due parole indicano che vi siano dei segnali di sofferenza del minore ("il mal"), di un atto o contesto relazionale ("trattamento") ma anche di una connessione tra i due. Come sottolinea Bertotti16, questa ricostruzione concettuale del termine maltrattamento

era rinforzata dall’impianto teorico della ricerca europea CAPCAE (Concerted Action on the Prevention of Child Abuse in Europe)17 che spiegava come, per descrivere il mal-

trattamento, fosse necessario individuare sia le specifiche azioni, sia il tipo di danno da esse provocato, dato che la medesima azione causa esiti differenti in base alle caratteristi- che di chi la subisce e in base al contesto. Inoltre, lo stesso gruppo di ricerca delineò la distinzione tra comportamenti attivi (abuso sessuale, maltrattamento fisico e psicologico) e comportamenti omissivi, come incuria e abbandono.

A livello internazionale, nel IV Colloquio Criminologo, il Consiglio d’Europa, nella definizione di violenza ai danni all’infanzia, considera «l’insieme di atti e carenze che turbano gravemente il bambino attentando alla sua integrità corporea e al suo sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o lesio- ni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale»18, considerando come possibili autori di tali

azioni un familiare o altri soggetti che dovrebbero prendersi cura del minore.

14. TERESABERTOTTI, Bambini e famiglie in difficoltà: teorie e metodi di intervento per assistenti sociali, Carocci Faber, 2012, p. 139.

15. La sindrome di Munchausen per procura è una particolare forma di abuso nella quale un genitore o en- trambi (solitamente la madre), sottopone il proprio figlio a continue visite mediche, accertamenti sanitari e cure inopportune per sintomi o malattie da lei inventati o indotti. Si tratta spesso di genitori che presentano gravi disturbi psichici, quali ad esempio una personalità paranoide o addirittura psicotica e che instaurano col figlio una relazione patogena caratterizzata dallo spostamento su di lui delle proprie gravi ansie e pre- occupazioni patologiche. In questi casi i minori subiscono frequenti ricoveri ospedalieri per malattie di cui spesso non viene scoperta la causa.

16. BERTOTTI, op. cit.

17. MAY-CHAHALet al., op. cit.