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Per poter approfondire il tema del divenire in Marx, adoperando ancora una volta lo sguardo di Gentile, mi pare indispensabile tornare a Hegel e osservare, seppur brevemente, come si delinea il rapporto Hegel-Marx. Questo paragrafo vorrebbe risultare “introduttivo” alla trattazione del nesso che intercorre tra Marx e Gentile, avendo per oggetto la rilettura della dialettica hegeliana compiuta da Marx. Mi pare inoltre che i tre autori considerati in questa seconda Parte siano così “intrecciati” nella loro riflessione, al punto che il mio lavoro di analisi del divenire non sarebbe completo se non considerasse anche il terzo “rapporto incrociato”, quello appunto tra Hegel e Marx.

Sia per Marx che per Gentile, Hegel è un antecedente imprescindibile nella loro formazione filosofica. Sono, infatti, entrambi riformatori della dialettica hegeliana, pur procedono in due direzioni opposte quanto al senso di questa; affini invece quanto alla forma: l’andamento dialettico, appunto. Mentre però Gentile applica la dialettica al pensiero, Marx torna al materialismo di Feuerbach, proponendo quindi di applicare la dialettica alla materia. Analizzando il marxismo, occorre distinguere tra la forma, che è la dialettica hegeliana, e il contenuto, proprio del materialismo. In Hegel - sostiene Marx - la contraddizione risiederebbe proprio qui, tra il suo metodo rivoluzionario (la dialettica) e il suo sistema conservatore. Ecco perché, allora, Marx tenta di sanare la contraddizione tornando sì alla dialettica hegeliana, ma introducendo il concetto di “prassi” che, pure, comprende in sé i tratti

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di divenire propri della dialettica: l’attività e la produttività. Anche nel rapportarsi a Feuerbach, Marx attua una riforma del suo materialismo, negandone il lato astratto. Feuerbach, infatti, concepiva la materia come statica e inerte; l’uomo era attivo – a suo avviso - solo come pensiero, producendo dunque “pensati” e non “fatti”: un uomo che si trovava quindi a “subire” e non a “produrre”25. L’obiettivo di Marx è

quello di trasportare la prassi dall’idealismo hegeliano, di cui questa condivide alcuni tratti, al materialismo, concepito a sua volta in maniera innovativa rispetto alle sue versioni precedenti.

Quanto alle differenze, tra Hegel e Marx si delineano in maniera nettamente diversa il “pensiero” e il “reale”, con evidenti conseguenze sull’intero impianto dialettico nei due autori. Leggiamo quanto scrive in proposito Carmelo Vigna: «Il reale è, come nello Hegel, ciò che va in circolo col pensiero. Mentre però lo Hegel ritiene che il pensiero sia una attività trascendentale che si incarna nel singolo, rendendo quest’ultimo testimone e veicolo di una presenza che lo oltrepassa e lo avvolge, Marx ritiene che il pensiero sia un’attività individuale»26

. Hegel, potremmo dire sempre adoperando le parole di Vigna, concepisce un solo Pensiero; per Marx invece ci sono tanti pensieri quante sono gli individui umani. Per Hegel il Pensiero è reale e i molti sono ideali, per Marx i molti sono reali e l’Uno, cioè la totalità, è ideale. Marx, insomma, nega la riduzione dell’orizzonte del reale all’orizzonte del pensiero del singolo: non può essere altrimenti, dal momento che concepisce più singolarità come pensanti in quanto tali. Non nega, invece, che le cose “individue” siano “razionali”, e quindi sempre conoscibili.

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Marx tratta del materialismo in Feuerbach nel suo testo intitolato Tesi su Feuerbach (1886), appunto. Mi pare interessante sottolineare che la prima traduzione italiana di quest’opera fu quella fatta da Giovanni Gentile, pubblicata nel suo volume La filosofia di Marx , Spoerri, Pisa 1899, pp. 58- 61.

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Di Hegel ”riveduto” da Marx, che cosa Gentile tratterrà? Che cosa, invece, non accetterà? In una battuta, il filosofo attualista lavorerà, secondo quanto dichiara, per portare a coerenza la riforma della dialettica hegeliana iniziata da Marx la quale - come Gentile afferma - porta con sé la contraddizione tra forma e contenuto. Tale contraddizione prende piede nel tentativo marxiano di conciliare la dialettica hegeliana con il materialismo feuerbachiano, a sua volta da Marx riformato.

Il “compito” che Gentile riconosceva al marxismo era quello di riportare la cultura italiana allo hegelismo: un hegelismo che, però, doveva essere letto con le lenti dell’attualismo. Ugo Spirito - oramai nel secondo dopoguerra - riterrà che l’attualismo sia stata la vera continuazione critica della riforma della dialettica hegeliana iniziata da Marx27. Condivide il medesimo pensiero Antimo Negri, il quale in Attualismo e marxismo scrive che Gentile “invera” Marx liberando la prassi dall’oggettivismo materialistico, tanto quanto Marx “invera” Hegel liberando la prassi dal soggettivismo idealistico. Negri sottolinea una sorta di continuità tra i tre (Hegel, Marx, Gentile), nonostante i tratti distintivi di ognuno. Ecco allora perché è imprescindibile, per noi, proporre in prima battuta una breve nota sul rapporto Hegel- Marx quanto al divenire.

Lo Hegel cui Marx guarda è quello della Fenomenologia dello spirito; opera in cui, secondo Marx, Hegel ha trovato l’espressione astratta, logica e speculativa del movimento della storia. Nei Manoscritti economico filosofici28 leggiamo: «L’importante nella Fenomenologia di Hegel e nel suo risultato finale - la dialettica

26 Cfr. C. Vigna, Filosofia e marxismo, Celuc, Milano 1974.

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Il riferimento è alle conclusioni del saggio Gentile e Marx, in La filosofia del comunismo, Firenze, Sansoni 1948.

28 Il capitolo conclusivo di questo testo, scritto da Marx nel 1844 e pubblicata per la prima volta nel

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della negatività come principio motore e generatore - sta dunque nel fatto che Hegel concepisce l’autogenerazione dell’uomo come un processo, l’oggettivazione come una contrapposizione, come alienazione e soppressione di questa alienazione; che in conseguenza egli intende l’essenza del lavoro e concepisce l’uomo oggettivo, l’uomo vero perché reale, come il risultato del suo proprio lavoro»29. Questo è possibile, secondo Marx, grazie all’agire comune degli uomini. Naturalmente Marx è interessato al ruolo che il lavoro ricopre nella riflessione hegeliana, in cui la dialettica stessa, come ho scritto nel paragrafo dedicato a Hegel e Gentile, può definirsi come lavoro. Il rapporto signore-servo incarna l’incontro di due individui che lottano per la vita e per la morte. Tale conflitto si risolverà dando vita ad una società di persone libere che, grazie al lavoro, hanno acquisito una nuova coscienza sociale. Marx rileva che in Hegel il lavoro è concepito come essenza dell’uomo, che afferma se medesima: è dunque trattato solo nella sua accezione positiva, riconoscendo come lavoro quello astrattamente spirituale. Su questa affermazione di Hegel, Marx fonda la sua critica della concezione hegeliana del lavoro, ai suoi occhi

troppo astratta e spirituale. Il lavoro nel sistema capitalistico, infatti, non risulta più uno strumento di realizzazione e di libertà per l’uomo, ma di alienazione e di asservimento. Il servo in Marx è rappresentato dal proletariato, che si ribella al signore, la classe dominante, dando vita all’episodio estremo della lotta fra classi. Questa dialettica, che in Hegel sfocia

nella libertà, in Marx termina nella società senza classi. Ciò che accomuna Hegel e Marx è la concezione del lavoro come medio attraverso cui l’uomo prende coscienza della sua dignità. Il ruolo dell’individuo nella società è strettamente connesso al tema del lavoro, ed è

fondamentale nella filosofia della prassi, che sarà oggetto della riflessione gentiliana.

pagine in cui il filosofo di Treviri approfondisce, e critica, il sistema dialettico di Hegel, riconoscendone quelli che, secondo la sua lettura, sono i meriti e gli errori.

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Altrettanto importante è il lavoro nella dialettica hegeliana, che è appunto “lavoro” vero e proprio, in cui lo spirito accetta di alienarsi per riappropriarsi di sé ad un livello più profondo. La riflessione sul lavoro in Hegel e in Marx è per noi rilevante poiché dà un’idea viva di che cosa essi intendano per “divenire”. Vedremo nel prossimo paragrafo come si porrà Gentile nei riguardi di queste due differenti posizioni30.

Per Marx l’elemento ideale, a differenza che per Hegel, è l’elemento materiale trasferito nel “cervello” degli uomini. L’uomo è da lui concepito come essere naturale e corporeo, con bisogni che devono essere soddisfatti ricorrendo alla natura, fatta di oggetti sensibili. Scrive Augusto Del Noce: «La soggettività di cui parla Marx è una soggettività finita che fa i conti con una realtà che è indipendente da essa e che essa deve trasformare»31. Ciò che distingue la filosofia di Marx e, potremmo dire anche quella di Gentile, dallo hegelismo, è l’assoluto immanentismo a cui queste aspirano32: immanentismo inteso come liberazione da ogni forma di trascendenza. Il torto di Hegel - secondo Marx - sarebbe quello di aver pensato che il soggetto possa riconquistarsi nel pensiero.

29 Cfr. K. Marx, Manoscritti economico filosofici del 1844, trad. it. di N. Bobbio, Einaudi, Torino

1975, p. 167.

30 Gentile tratta del tema del lavoro in Genesi e struttura della società (1946). Il valore che il filosofo

attualista attribuisce al lavoro trova radici sia in Hegel che in Marx. Il lavoro, per Gentile, diventa mezzo per attribuire valore all’uomo che, “lavorando”, diventa artefice del proprio destino.

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Cfr. A. Del Noce, Giovanni Gentile, il Mulino, Bologna 1990, p. 66.

32 Si tratta, naturalmente, di due filosofie dell’immanenza molto differenti tra di loro, e con esiti

altrettanto distanti, pur essendo l’immanenza il tratto che le accomuna. Tratterò di questo nel prossimo paragrafo.

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