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Gentile dedica, nella sua opera che ha per argomento il pensiero italiano in epoca rinascimentale, ampio spazio a Giordano Bruno e al suo pensiero, riportando dettagliatamente anche la biografia del filosofo nolano54. Come per gli autori che ho considerato precedentemente, anche in questo caso non mi soffermerò sulle riflessioni gentiliane relative all’intera filosofia bruniana. Prenderò in esame invece quello che, di Bruno, a Gentile interessa in linea principale: il pensiero umano come “creatore” di un mondo, ovvero i prodromi di una filosofia dell’immanenza. È proprio lo sforzo bruniano di rendere particolarmente attivo il ruolo dell’uomo che motiva, a mio parere, l’ampia sezione dedicata da Gentile al filosofo di Nola.

Gentile, con pochi e assai efficaci tratti, sintetizza così il pensiero bruniano: «Il suo vero amore è l’amore dell’eterno e del divino. […] La conoscenza del divino propugnata dal Bruno non è estasi, o unione immediata. […] Essa è un processo razionale, un discorso dell’intelletto, una vera e propria filosofia»55

. Con queste parole il filosofo attualista chiarisce come per Bruno la conoscenza del divino abbia come termine l’unione con qualcosa che già c’è, e implichi un processo per raggiungerla: l’uomo si pone dunque, almeno in parte, in maniera attiva nella via che percorrere per raggiungere la meta. Pochi passi più avanti, Gentile chiarisce ulteriormente la questione, esponendo la distinzione operata da Bruno tra “veri e propri mistici”, passivi verso la divinità, e “filosofi”, che si sollevano razionalmente

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Cfr. ibi, p. 229.

54 Mi pare rilevante ricordare che, nel primo decennio del Novecento, Gentile cura un’importante

edizione critica commentata delle Opere italiane del Nolano.

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alla cognizione del divino56. La categoria dei filosofi, è formata da uomini che realizzano in sé medesimi lo spirito divino: essi non sono - adoperando le parole di Bruno qui riportate dal Gentile - “vasi e istrumenti”, ma “artefici ed efficienti”. Proprio per tale ragione il filosofo rappresenta un tipo di uomo che non può più operare nel mondo della realtà, di cui fanno parte gli uomini ordinari: il suo mondo è fuori di questo, poiché egli non ne condivide i comuni interessi pratici. Evidente è la netta distinzione che si crea tra la filosofia e la verità che essa porta con sé, e la verità della vita pratica, che nella concezione bruniana è diametralmente opposta alla prima. A quello che definisce “uomo vaso di Dio”, il filosofo nolano contrappone “l’uomo artefice ed efficiente di Dio”, che concepisce come sacro per il solo fatto di essere uomo. Bruno, e questo è l’aspetto fondamentale del suo sistema, su cui insiste e che andrà ad influenzare tutti gli aspetti della sua riflessione, nega non il divino, ma la trascendenza del divino57; Gentile riassume bene il concetto in poche battute: «c’è una religione dei contemplativi, dei filosofi, che è la filosofia per cui l’uomo crea a

sé il suo Dio; e c’è una religione dei popoli, che è la religione propriamente detta, del Dio ignoto, che crea l’uomo, e la sua legge, e la sua buona volontà e, quindi, la sua

stessa conoscenza di Dio»58. Approfondendo la questione, la distinzione si fa più sottile, non tanto procedendo sulla distinzione immanenza-trascendenza, quanto spostando il discorso sul rapporto tra filosofia e fede, e sugli ambiti di competenza delle due59.

56 L’opera in cui Bruno tratta il rapporto tra filosofia e religione nelle sue molteplici sfaccettature, è la

raccolta di cinque dialoghi intitolata De la causa, principio et uno. Per i suoi temi, che indirettamente riconducono al divenire, è l’opera bruniana considerata da Gentile che maggiormente interessa al mio lavoro.

57 La verità del divino non è concepita, in questo sistema, come trascendente. Proprio come

nell’idealismo gentiliano, essa è immanentizzata.

58 Cfr. ibi, p. 267.

59 Mi pare di dover fare un breve richiamo alla concezione gentiliana di Dio, riservandomi di

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In perfetta sintonia con la sua concezione di filosofo-creatore, Bruno elabora il suo pensiero a proposito del sapere scientifico e della libertà di esso: secondo il filosofo rinascimentale, la verità religiosa e la verità della scienza si collocano su due livelli tra loro differenti e incommensurabili. Alla stessa maniera, anche la filosofia e la fede occupano ambiti tra loro separati: il teologo determina la verità di fede, il filosofo la verità tout court. In questa maniera è ulteriormente ribadito il ruolo attivo del filosofo, che agisce razionalmente, diversamente dal teologo, che si occupa invece di qualcosa che è puramente irrazionale e che, quindi, per il filosofo nolano, non può avere sviluppo. Obiettivo di Bruno è non negare la verità di fede, la quale comporta la contemplazione di qualcosa che già c’è, ma separare quella che è fede da ciò che l’uomo consegue razionalmente. Scrive Gentile, tentando di chiarire il pensiero bruniano: «C’è una contemplazione superiore a quella della filosofia; perché c’è una divinità fuori del mondo, oggetto della filosofia […]; ma quella contemplazione superiore, a chi non creda, è impossibile e nulla»60. La sua filosofia, insomma, non nega l’esistenza di una verità superiore, termine della fede; nega soltanto la conoscibilità razionale di essa.

Bruno, portando avanti questa teoria, non fa altro che distruggere la tradizionale concezione di fede, professando una nuova fede dell’uomo, che cominciava a scorgere la divinità attorno e dentro a se medesimo: non in una dimensione trascendente, bensì immanente. La fede nuova si identifica infatti nello spirito umano: diviene “storica”, “concreta”, immanente. La facoltà propria dello

parole che il filosofo attualista pronuncia (e che poi verranno pubblicate) durante la conferenza La mia

religione, tenuta nell’Aula magna dell’Università di Firenze il 9 febbraio 1943, e all’Introduzione alla filosofia. In alcuni passaggi di questi testi - riportati e approfonditi da Augusto Del Noce in Giovanni Gentile, il Mulino, Bologna 1990, pp. 166 e sg. -, Gentile chiarisce come la sua sia una filosofia

dell’azione che interiorizza il divino; il filosofo attualista si fa portavoce della teoria giobertiana della “poligonia” del cattolicesimo e, abbandonando trascendente e soprannaturale, predica l’unità cristiana dell’umano e del divino: Dio è vivente in ogni uomo.

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spirito umano, che è quella che lo rende abile a conoscere la verità filosofica, è in parte data dall’ ingegno, quindi naturale, e in parte è acquisita con lo studio e l’esercizio del pensiero. La scienza incarna la libertà che l’uomo ha di fronte al suo oggetto da conoscere, che di per sé è fisso; e la scienza è storia, cioè attività progressiva dello spirito nel corso del tempo: è, in qualche maniera, divenire. Scrive Gentile a proposito di questa concezione dello spirito, nella quale probabilmente rintraccia i prodromi di quella che sarà la sua: «Lo spirito […] in tanto conosce quel che conosce, in quanto esso stesso è determinato nel tempo, o meglio, nella maturità

del giudizio che progredisce col progredire delle osservazioni e, in generale, del suo

stesso operare, o come benissimo dice il Bruno, del suo vivere. La vita dello spirito crea lo spirito»61. E lo spirito è, per Giordano Bruno, storia: non successione cronologica, bensì pieno e concreto processo spirituale. Per Bruno lo spirito si trasforma con lo sviluppo progressivo della sua conoscenza; e viceversa, la conoscenza si estende in funzione dell’incremento dello spirito, il quale si arricchisce di continuo: questo è il vero concetto di “progresso”. E dunque direi, in altre parole, di “divenire”.

La libertà di pensiero - scrive Gentile - della quale anche Giordano Bruno si è fatto portavoce, è un fatto storico; e nella storia non si può tornare indietro. Anche il filosofo nolano percorre la via di una filosofia dell’immanenza, e il suo merito sta indubbiamente nel non aver negato il trascendente, ma nell’averlo concepito come integrazione dell’immanente. Inoltre, Bruno, è l’unico filosofo del suo tempo ad aver intuito, e in qualche maniera dato forma e importanza, alla storicità dello spirito.

60 Cfr. ibi, p. 291.

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