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La riforma della dialettica hegeliana: rapporti con l’attualismo

In una battuta, potremmo affermare che l’attualismo gentiliano tenta di coerentizzare il discorso hegeliano, dove questo rimane imbrigliato nei medesimi meccanismi che dichiara fallaci. A ben rileggere la posizione di Gentile - scrive Piero di Giovanni16 -, non si può parlare di puro e semplice “ritorno” all’idealismo, bensì di una “riforma” dei contenuti dell’idealismo facente capo, appunto, ad Hegel. La ripresa dell’idealismo in Italia, prima con Spaventa e poi con Gentile, coincide infatti con una presa di posizione polemica nei confronti dello stesso idealismo di Hegel. La filosofia hegeliana, indubbiamente, è stata determinante per il neoidealismo italiano: il pensiero di numerosi filosofi contemporanei, infatti, ne subisce l’influenza e si sviluppa, a partire da questo, per affinità o, più frequentemente, per opposizione e critica. Tra i seguaci dell’hegelismo emerge la figura di Donato Jaja il quale,

16 Cfr. P. Di Giovanni, Kant ed Hegel in Italia: alle origini del Neoidealismo, Laterza, Bari 1996,

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seguendo l’insegnamento di Spaventa, tenta di fondare nel soggetto l’unità di pensiero ed essere. È stato proprio Spaventa17 il primo ad aver intuito la necessità di riformare la dialettica hegeliana: attraverso la sua riflessione, egli arriva a constatare che l’identità di soggetto e oggetto non era stata provata in maniera esaustiva da Hegel. La soluzione idealistica del problema doveva consistere, secondo lui, nell’inserimento, all’interno delle categorie di essere e non essere, della vita del pensiero: nel ridurre, cioè, il pensato (oggetto) al pensare (soggetto). È questa l’eredità su cui Gentile maturerà la sua adesione all’idealismo: il suo pensiero si svilupperà attraverso un serrato confronto con l’hegelismo, in rapporto al quale compirà un passo ulteriore rispetto alle osservazioni di Spaventa. Il filosofo attualista, infatti, non riconosce a Spaventa il merito di aver portato a termine il progetto di riforma dell’idealismo; il compimento di tale riforma si sarebbe determinato solo con il suo attualismo.

Come rileva efficacemente Emilio Chiocchetti, due sono le osservazioni che Gentile elabora a proposito della riflessione spaventiana, dalla quale egli muove per elaborare la sua rilettura dell’opera hegeliana: «Sopra tutto non vide il singolar carattere della deduzione dialettica, che non è analitica, e non muove da concetti: perché i concetti presuppongono l’atto del pensare, ossia appunto la dialettica. Non è perciò dimostrazione»18. Il pensiero non è ancora inteso, qui, come pienezza dello spirito che pone ogni realtà senza alcun presupposto. Gentile, in secondo luogo, rileva un errore: Spaventa pone l’essere, e solo in seconda battuta cerca la

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Non mi soffermo ora sul rapporto di questo autore con Gentile, se non per ciò che concerne Hegel. Dedicherò a Spaventa (sempre rispetto a dialettica e divenire) il secondo capitolo di questa seconda parte del lavoro.

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contraddizione che lo fa “muovere”: «cercare la contraddizione è fissare l’essere, cioè falsificarlo (uscire dalla logica attualità mentale)»19.

Leggendo le pagine della Teoria generale dello spirito come atto puro, ci si imbatte in alcuni passaggi20 che esprimono chiaramente come anche Hegel voglia pensare a priori e dialetticamente la realtà; la dialettica da lui concepita è, però, legge archetipa del pensiero in atto, dunque suo ideale presupposto: fissata in concetti astratti, cioè immobili, privi di dialettismo, di cui non si comprende come possano passare l’uno nell’altro. La difficoltà principale incontrata da Hegel nell’idea del divenire da lui elaborata, consiste nel concepire essere e nulla o come opposti, in modo da non rendere possibile alcun rapporto fra loro, oppure come identici: tali che l’uno non può passare nell’altro, perché è già l’altro e in esso si risolve. Deduciamo, in entrambi i casi, l’impossibilità di ogni dialettismo, per lo svolgersi del quale necessita la differenza nell’unità. Hegel, intendendo la dialettica in questa maniera, neutralizza il divenire nel divenuto: l’essere svanisce nel non essere, il divenire nella negazione di se medesimo. Essere e non essere sono sia identici che diversi: se non fossero tali, non potrebbero tra loro immedesimarsi. Gentile afferma che «Hegel ha l’intuizione vaga del divenire, non ne ha il concetto. E non si mette in condizione di possederlo, perché analizza questo concetto, invece di realizzarlo, come avrebbe dovuto, per pensarlo dialetticamente e conforme al principio dell’identità di essere e pensiero»21.

Il merito che Gentile riconosce a Hegel è quello di aver elaborato una logica dialettica e di aver compiuto un progresso rispetto a Kant, consistente nel dimostrare

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Cfr. ibi, p. 39.

20 Cfr. G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro (1916), Sansoni, Firenze 1938, pp. 54-

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l’identità di essere e pensiero; è, tuttavia, a proposito di questa medesima dialettica che Gentile elabora la sua critica radicale al filosofo tedesco. Il suo torto, sostanzialmente, sarebbe quello di aver privilegiato la dialettica del pensato, cioè del concetto e della realtà pensabile, a discapito della dialettica del pensante, cioè del soggetto attuale del pensiero. Hegel avrebbe confuso due dialettiche, che invece dovrebbero restare ben distinte: avrebbe individuato e colto la “dialettica del pensare”, lasciandovi però residui della “dialettica del pensato”; avrebbe mescolato l’una con l’altra. Questo è un grave errore poiché, come leggiamo nelle prime pagine della Riforma della dialettica hegeliana, «la dialettica del pensato è, si può dire, la dialettica della morte; la dialettica del pensare, invece, la dialettica della vita. […] La dialettica del pensare non conosce mondo che già sia; che sarebbe un pensato; non suppone realtà, di là dalla conoscenza, e di cui toccherebbe a questa d’impossessarsi»22

. Hegel, secondo il parere di Gentile, non ha portato a termine la sua rivoluzione: contrappone a sé, come attività pensante, la realtà che è oggetto presupposto del pensiero. Alla logica del conosciuto l’attualismo vuole sostituire la logica del conoscere. Occorre eliminare dalla dialettica del pensare ogni componente statica e inerte, conferendo assoluta libertà al concreto e inquieto atto del pensiero. Il pensiero è, secondo Gentile, un sistema in fieri; non può mai precipitare in un risultato che sia definitivo. Emerge la distanza dalla concezione hegeliana, rispetto alla quale il filosofo dell’attualismo si pone in atteggiamento critico, richiamandosi qui in particolare, alla Scienza della logica. In quest’opera, il filosofo tedesco afferma la necessità che il divenire del processo dialettico precipiti in un risultato che resti valido indipendentemente dal processo che lo ha prodotto: ciò che Gentile mette

22 Cfr. ibi, pp.5-6.

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in discussione non è il risultato in quanto tale, ma la “fissazione” del risultato. Il divenire, nell’attualismo, è inteso come un processo che è se stesso in quanto non precipita mai in un risultato stabile e definitivo: tratti che sembrano invece essere propri dei risultati della dialettica hegeliana.

La “dialettica del pensato” muove da una concezione definitiva della verità: pensare all’essere come a una dimensione esterna all’attualità del pensiero significa pensare in modo astratto. L’idealismo attuale, invece, colloca la realtà dell’essere unicamente nel pensiero: ogni pensato - scrive Gentile - è reale nell’atto unico del pensiero che lo pensa: luogo in cui ha la sua verità. Il pensiero è capace di tenere insieme in modo concreto la molteplicità dei pensati: ecco il nodo dell’attualismo nel quale, perché possa dirsi “assoluto”, l’idea deve coincidere con l’atto del conoscerla. Se così non fosse, l’idea lascerebbe qualcosa fuori di sé, e l’idealismo non sarebbe più, in tal modo, assoluto.

Gentile sostiene che il modo in cui la dialettica hegeliana pretende di risolvere il problema del divenire come unità di essere e non-essere, conduce ad un risultato opposto a quello che il filosofo si era prefissato: il divenire si neutralizza nel divenuto. La dialettica hegeliana si presenta come uno strumento dinamico di comprensione della realtà; si traduce, però, in staticità e alterità dell’essere rispetto al pensiero. Scrive Gentile nel primo volume del Sistema di logica: «Se con Kant ed Hegel il problema logico s’avvia per una nuova strada, il cui punto di partenza è il principio di quella logica trascendentale che nega l’opposizione dell’oggetto al soggetto e dell’essere al pensiero, non s’è detto con ciò che Kant ed Hegel abbiano poi seguito questa nuova logica del pensiero che non presuppone il suo logo»23. La

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logica hegeliana, infatti, non riesce a sottrarsi a quello che definisce essa stessa come “falso concetto” del logo trascendente: anche Hegel, dunque, continua a concepire il logo come un al di là, da cui il pensiero in atto attinge il proprio valore. La dialettica hegeliana, allora, è un sistema chiuso di concetti, analogo a quello platonico, che presuppone tutto come è; la tesi e l’antitesi precedono la sintesi, che rimane immobile, concepita non come punto di partenza, bensì come meta del pensare dialettico.

Dalle osservazioni fatte, si rileva come l’attualismo gentiliano intenda procedere nella stessa direzione di Hegel, approfondendo però la sua intuizione, e andando oltre la sua istanza filosofica, ripristinando il valore di verità della coscienza, dalla quale non si esce più: si conferisce alla coscienza spessore assoluto, concreto, vero e autentico24. Tutto ciò che si colloca oltre l’atto del pensiero che pone se stesso, viene dall’attualismo considerato impossibile, poiché oggetto della presupposizione naturalistica che deve essere definitivamente debellata in nome di un idealismo che possa dirsi tale a tutti gli effetti. Nulla può infatti essere posto al di là di ciò che non conosce antecedenti, essendo l’originario; né trascendenti, essendo l’intrascendibile.

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Mi pare interessante riferire, senza soffermarmi ad approfondirne la posizione, come secondo alcuni critici la riforma della dialettica hegeliana proposta da Gentile non abbia alcun valore, rimanendo in intenzione e non attuata realmente. Mi riferisco, per esempio, all’opinione di Manlio Ciardo, che nel suo testo intitolato Un fallito tentativo di riforma dello hegelismo, Laterza, Bari 1948, ritiene che Gentile «tradendo improvvisamente le sue giuste intenzioni critiche in senso trascendentale, viene a svolgere un concetto dello spirito (lo spirito come “Atto puro”) del tutto contrario a una dialettica come “metodo dell’immanenza” e cade inavvertitamente in quella trascendenza e dualità e naturalità che egli, intanto, si propone di eliminare dallo hegelismo» (cfr. pp. 18-19).

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Cap. 2. Gentile e Marx