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La maturazione della cultura rinascimentale: una nuova rappresenta- zione del mondo

Il teatro e l’allegoria

Tra Cinquecento e Seicento, l’arte fi gurativa tende a privilegiare la for- ma allegorica per rappresentare gli spazi geografi ci sconosciuti o appena scoperti, il globo terrestre e le sue mappe simbolicamente poste nelle mani dei conquistatori. Nel Ritratto di Elisabetta I d’Inghilterra (1592 circa) di Marcus Gheeraerts il Giovane (fi g.1), ad esempio, la sovrana compare eret- ta su una rappresentazione cartografi ca dei suoi territori, con un pendente a forma di globo all’orecchio e un globo cruciato nel palmo. Così nel grande affresco di Andrea Pozzo, in Sant’Ignazio a Roma, l’Allegoria dell’opera missionaria dei Gesuiti (1691-1694), l’America indossa un copricapo in- dio e cavalca un felino, uno strano ibrido tra una tigre e un puma (fi g. 3). Essa “guarda verso lo spettatore, quasi fosse, come l’Africa, indegna di volgere lo sguardo verso l’alto, mentre Europa e Asia si rivolgono verso le fi gure sacre e sono raggianti perché grate all’opera di conversione che le ha liberate dalle tenebre dell’idolatria”1. L’America come fi gura femminile,

1 F. Pellegrino, Geografi a e viaggi immaginari (I Dizionari dell’Arte), Milano,

Electa, 2006, pp. 58-59. Per una più ampia prospettiva sui viaggi e sulle scoperte della prima età moderna, si vedano, tra i più recenti: M. B. Campbell, The Wit-

ness and the Other World. Exotic European Travel Writing, 400-1600, Ithaca and

London, Cornell University Press, 1988; J. Lamb – V. Smith – N. Thomas (eds.),

Exploration & Exchange. A South Sea Anthology, 1680-1900, Chicago and Lon-

don, The University of Chicago Press, 2000; A. Hadfi eld (ed.), Amazons, Sav-

ages & Machiavels. Travel & Colonial Writing in English, 1550-1630, Oxford,

Oxford University Press, 2001-2006; I. Kamps – J. G. Singh, Travel Knowledge.

European “Discoveries” in the Early Modern Period, London, Palgrave, 2001;

J. Lamb – V. Smith – N. Thomas (eds.), Exploration & Exchange. A South Sea

Anthology, 1680-1900, Chicago and London, The University of Chicago Press,

nell’atto di cavalcare un animale esotico, costituisce in generale un’im- magine topica, come la vediamo effi giata nel dipinto di Maarten de Vos (Allegoria dell’America, 1594, fi g. 2).

Analogamente la parola teatrale mette in scena i nuovi spazi svelati ai viaggi, alle rotte dei mercati e delle conquiste, e dà così forma a un altrove fi no ad allora sconosciuto, favolistico o mitico, con un’ingente risposta emozionale in un pubblico ancora poco mobile, e con un’altrettanto no- tevole risonanza delle questioni portate sulla scena2. Inoltre, associando

ormai indissolubilmente parola e azione, è come se il teatro moderno con- ferisse un nuovo movimento a queste rappresentazioni allegoriche, dando loro spessore e un signifi cato più dinamico e problematico. “La storia emi- gra sulla scena”, mentre “il movimento nel tempo viene catturato e analiz- zato in un’immagine spaziale”3. Così per Walter Benjamin, che prende in

esame il passaggio dalla tragedia classica al dramma moderno, al Trauer- spiel tedesco ma anche al teatro elisabettiano e calderoniano, individuan- do in essi il passaggio da un orizzonte mitico a uno storico. L’allegoria diventa un modo per sintetizzare spazio e tempo in forma simbolica. Essa, allontanandosi dalla funzione medievale di interpretazione religiosa dei testi classici – e anche dalla referenzialità univoca (o quasi) delle varie psicomachie drammatiche del primo umanesimo4 – segna questo ingresso

della temporalità (e dell’alterità, in una prospettiva polifonica) nella narra- zione e nella rappresentazione drammatica, dove si accentua il signifi cato della convivenza di perdita e di lutto, ma anche la funzione dell’ironia all’interno di un gioco luttuoso dove anche il personaggio diventa con- temporaneamente (o grazie ai travestimenti) se stesso e un altro. La storia e la società entrano nello spazio letterario in forma frantumata, rovinosa, polisemica, esito di un’inevitabile visione imperfetta, di quell’accecamen- to di cui parla Nietzsche in Genealogia della morale. Anche per Paul de Man, in Cecità e visione, all’allegoria si riconduce la densità fi gurale, la sua connotazione, già aristotelica, di “enigma”, di parola “straniera”, che si situa fuori dall’ordinario, condannata ad essere metaforica, fi gurale,

2 Per una analisi storico-giuridica dell’immaginario europeo nella conquista e nella conoscenza dell’America, si veda il saggio: A. A. Cassi, Ultramar. L’invenzione

europea del Nuovo Mondo, Bari-Roma, Laterza, 2007.

3 W. Benjamin, Dramma e tragedia (I), in Il dramma barocco tedesco, Torino, Ei-

naudi, 1999, pp. 114-133, pp. 32-75, p. 67 [ed. orig. Ursprung des deutschen

Trauerspiels, Frankfurt, Suhrkamp, 1974].

4 Cfr. P. Boitani, Tradizione classica e tradizione cristiana, in Letteratura europea

ambigua, ironica, a signifi care qualcosa di diverso da ciò che rappresenta (Poetica, 57a-58b)5.

Scrivere l’altro: immagini, riproduzione, circolazione

Nello specifi co, è nelle descrizioni di un Mediterraneo che cambia fi - sionomia (nella focalizzazione sul personaggio degli ebrei in Marlowe e Shakespeare, ad esempio) o dell’incontro con l’altro che la letteratura si confronta con la moderne modalità economiche e politiche di scelta, ma anche di appropriazione e di divulgazione dell’immaginario incontrato6, in

relazione alla pervasività simbolica già tipica del primo capitalismo, alla sua tendenza a estendersi anche al di là dei limiti precedentemente attribuiti alla sfera commerciale7.

Nelle raffi gurazioni per l’Americae decima pars di Jean-Théodore de Bry (fi g. 4), ad esempio, è rappresentato L’esploratore (Vespucci) davanti all’Indiana che si chiama America, una fi gura femminile che si offre al conquistatore:

5 P. de Man, Allegoria e simbolo, in La retorica della temporalità, in Cecità e vi-

sione/Linguaggio letterario e critica contemporanea, Napoli, Liguori, 1975, pp.

237-293 [Blindness and Insight. Essays in the Rhetoric of Contemporary Cristi-

cims, London, 1971]; Allegorie della Lettura, Einaudi, Torino, 1997 [ed. orig. Al- legories of Reading. Figural Language in Rouseeau, Nietzsche, Rilke and Proust,

London, 1979].

6 Sull’uso commerciale e propagandistico delle immagini, si veda il saggio D. Ro- mano, Immagine: marketing e comunicazione, Bologna, il Mulino, 1988. 7 “Il capitale […] era in prima istanza economico – una quantità di denaro o di beni

disponibili da investire per produrre profi tto e reddito: capitale nel senso conven- zionale della parola. Ma essi [scil. nella prima età moderna] possedevano capitale anche in due sensi ulteriori: primo, il “capitale culturale” delle abilità acquisite, conoscenza e competenza; secondo, il “capitale sociale”, sulla connessione di reti di associazione, obbligazioni e supporto. Entrambi potevano potenzialmen- te essere trasformati in capitale economico” (K. Wrightson, Earthly Necessities:

Economic Lives in Early Modern Britain, New Haven, Yale University Press,

2000, p. 290). Cfr. P. Bourdieu, Les trois états du capital culturel, in Actes de

la recherche en sciences sociales, 30 (1979), pp. 3-6; J. Guillory, A New Subject for Criticism, in H. S. Turner (ed.), The Culture of Capital. Property, Cities, and Knowledge in Early Modern England, New York and London, Routledge, 2002,

pp. 223-230. Si vedano anche: M. Woodmansee and M. Osteen (eds.), The New

Economic Criticism: Studies at the Intersection of Literature and Economics,

London, Routledge, 1999; D. N. McCloskey, La retorica in economia. Scienza

e letteratura nel discorso economico, Torino, Einaudi, 1988, in part. il cap. V, Figure retoriche in economia, pp. 138-174 [ed. orig. The Rhetoric of Economics,

Amerigo Vespucci lo Scopritore arriva dal mare, in piedi, vestito, corazzato, crociato; porta le armi europee del senso e ha dietro di sé i vascelli che ripor- teranno verso l’Occidente i tesori di un paradiso. Di fronte, l’indiana America: donna stesa, nuda, presenza innominata della differenza, corpo che si risveglia in uno spazio di vegetazioni e di animali esotici. […] Dopo un attimo di stupore su questa soglia segnata da un colonnato d’alberi, il conquistatore si appresa a scrivere il corpo e a tracciarvi la propria storia8.

Nel leggere questa allegoria, Michel de Certeau vi individua la “scrittura conquistatrice” che incontra una pagina bianca dove incidere il proprio sen- so. Essa dà forma all’altrove, fonde meraviglia e violenza e, al tempo stesso, “trasforma lo spazio dell’altro in un campo di espansione per un sistema di produzione”9. L’attenzione dell’antropologo si concentra anche sul quadro

di Joseph-François Lafi teau, Moeurs des sauvages américains comparées aux moeurs des premiers temps dove un uomo e una donna, che rappre- sentano rispettivamente il Tempo armato di falce e la Scrittura, sono incor- niciati da reliquie, tracce di antichità classiche e curiosità americane, sullo sfondo di un quadro che rappresenta l’Eden o l’eta dell’oro (fi g. 5). L’idea è simile alla precedente: la colonizzazione di uno spazio vergine e incontami- nato (almeno dal punto di vista occidentale), meraviglioso come un Eden, comporta l’uscita dal mito e il precipitare nella Storia, lo rende soggetto al potere duplice della scrittura che ricostruisce queste stesse reliquie, dà loro un senso pur mantenendo viva la loro forza mitica ed esercitando una fun- zione di diffusione e di propaganda sull’immaginario incontrato.

La scoperta dell’America porta con sé un nuovo modo di scrivere l’alterità e, insieme, di defi nire l’identità europea10. Si compilano mappe e carte geo-

grafi che, si scrivono testi documentari, resoconti di viaggio, lettere, diari, in cui le meraviglie fi no ad allora mitiche e favolistiche si traducono in realtà da descrivere minuziosamente11. In questa scrittura convergono fi nalità di-

verse e spesso contrastanti, dove lo scopo apparente del resoconto scientifi - co e geografi co (il piacere della scoperta e della conoscenza, l’amore che ne

8 M. de Certeau, La scrittura della storia, Roma, Il Pensiero Scientifi co, 1977, pp. XV-XVI [ed. orig. L’écriture de l’histoire, Paris, Gallimard, 1975]. Queste cita- zioni sono riportate anche nel saggio La scrittura dell’altro, a cura di S. Borutti e U. Fabietti, Milano, Cortina, 2005.

9 Ibidem.

10 La scoperta dell’America “annuncia e fonda la nostra attuale identità” (T. Todorov,

La conquista dell’America. Il problema dell’«altro», Torino, Einaudi, 1984-1992,

p. 7 [ed. orig. La conquête de l’Amérique: la question de l’autre, Paris, 1982]) . 11 Cfr. F. Marenco, introduzione a Nuovo Mondo. Gli inglesi. 1496-1640, Torino,

deriva, il rispetto per l’altro che si manifesta all’interesse del conquistatore) spesso nasconde una ragione meno evidente ma più concreta, rappresentata da quegli interessi economici e commerciali e da quelle ragioni propagandi- stiche spesso oscurati dalla più nobile fi nalità dell’evangelizzazione e della conversione degli indigeni alle religioni europee. Di conseguenza, è proprio dopo la scoperta dell’America che si manifesta la tendenza della società – impegnata in quest’opera di espansione e di propaganda rivolta a ottenere sovvenzioni e investimenti da parte delle monarchie e dei governi – alla conquista del mondo risolto in immagini12. Stephen Greenblatt, nel già ci-

tato saggio Meraviglia e possesso. Lo stupore di fronte al Nuovo Mondo, osserva che il rapporto tra mimesi e capitalismo si fa più stretto in relazio- ne alla volontà e alla capacità di “attraversare distanze immense e, nella ricerca del profi tto, di incontrare e rappresentare oggetti umani e naturali sostanzialmente estranei”13. Ed è con l’affermazione del capitalismo che la

proliferazione e la circolazione delle rappresentazioni (e degli strumenti per la generazione e la trasmissione delle stesse) raggiungono “una dimensione spettacolare cui è praticamente impossibile sfuggire”14.

Non bisogna dimenticare che il potere propagandistico delle immagini si manifesta e si intensifi ca ogni qual volta il centro che le produce vuole stabilire un effetto diretto sull’osservatore. “Perché una logica di dominio è sempre dipendente da una logistica di simboli”, scrive Debray15. Pen-

siamo soltanto alla Grecia periclea o alla Roma di Augusto (senza nulla togliere alla bellezza e al fascino della loro produzione artistica), prima ancora di arrivare all’età moderna e al colonialismo. “Il potere delle imma- gini si concretizza secondo uno schema circolare: anche i potenti fi niscono per soggiacere alle suggestioni dei propri simboli”, osserva Paul Zanker nell’Introduzione al saggio Augusto. Il potere delle immagini. “Sono i loro stessi slogan, e naturalmente quelli degli avversari, a condizionare in modo decisivo le loro identità e il loro ruolo. Quanto ai destinatari, le immagini non si riducono affatto a semplici portatori di un messaggio politico: anche

12 M. de Certeau, La scrittura della storia, Roma, Il Pensiero Scientifi co, 1977, pp. XV-XVI [ed. orig. L’écriture de l’histoire, Paris, 1975]. Questa citazione è ripor- tata nel saggio La scrittura dell’altro, a cura di S. Borutti e U. Fabietti, Milano, Cortina, 2005, p. 63.

13 S. Greenblatt, Meraviglia e possesso. Lo stupore di fronte al Nuovo Mondo, Bolo-

gna, il Mulino, 1994, pp. 28-29 [ed. orig. Marvelous Possessions: The Wonder of

the New World, Chicago, 1991].

14 Ibidem.

15 R. Debray, Dallo Stato scritto allo Stato schermo, in Lo Stato seduttore, Roma,

in questo caso […] esse vengono via via interiorizzate e usate come espres- sione di virtù e valori personali”16.

A maggior ragione doveva essere curata “con spettacolari coreografi e” la toma de posesión con cui gli spagnoli del Cinquecento occuparono i territori americani17. Un analogo potere di trasferimento dell’ideologia di potere oc-

cidentale nei territori conquistati può riferirsi alle immagini che riportano le esperienze dei viaggi di conquista compiuti nei territori orientali, dove eser- citano un forte potere di suggestione sia i miti più antichi sulle meraviglie ar- tistiche e sui prodigi naturali (dalle Storie di Erodoto alla Naturalis Historia di Plinio), sia i resoconti diretti di viaggio, dal Milione di Marco Polo ai Tra- vels di John Mandeville. Si allestisce così quel “palcoscenico” che Edward Said defi nisce come un’“entità atta a raffi gurare l’infi nito in forma fi nita”, dove le fi gure mitologiche fi niscono per comporre, tratteggiate dal punto di vista occidentale ed europeo, un insieme complessivamente stereotipato: “la Sfi nge, Cleopatra, l’Eden, Troia, Sodoma e Gomorra, Astarte, Iside e Osiride, Saba, Babilonia, i Geni, i Magi, Ninive, il prete Gianni, Maometto e altri ancora; luoghi, in certi casi soltanto nomi, metà immaginari, metà conosciuti; mostri, diavoli, eopi; terrori, piaceri, desideri”18. Un panorama

seducente e magico che si presta ad affascinare al punto da trasformarsi in moda, in fenomeni di costume e di consumo, e che – al tempo stesso – con- vive con la più radicale differenza religiosa, con lo spavento dell’islam, “il simbolo del terrore, della devastazione, dell’invasione da parte di un nemico barbaro e crudele, con cui non si può venire a patti”19.

È pur vero che, ormai da molti anni, studiosi di letteratura coloniale e post-coloniale hanno obiettato a quest’idea eccessivamente rigida della scrittura occidentale dell’alterità, presentata nel saggio di Said, con l’invito a non considerare come statico e monolitico il ruolo dei conquistatori nel defi nire questo immaginario ma, piuttosto, a prestare maggiore attenzione all’interazione reciproca dei due sguardi, nella prospettiva che sia il viag- giatore, l’europeo, a cambiare la propria identità e diventare altro20.

16 P. Zanker, Introduzione a Augusto. Il potere delle immagini, Torino, Einaudi, 1989,

pp. 3-6, p. 6 [ed. orig. Augustus und die Macht der Bilder, München, 1987]. 17 A. A. Cassi, I nuovi mari, in Ultramar. L’invenzione europea del Nuovo Mondo,

pp. 28-52, pp. 28-29.

18 E. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Milano, Feltrinel-

li, 1999-2006 [ed. orig. Orientalism, New York, Pantheon Books, 1978-1995], soprattutto il paragrafo Una geografi a immaginaria e le sue rappresentazioni:

orientalizzare l’Oriente, pp. 56-77, cit. p. 69.

19 Ivi, p. 66.

20 Cfr. J. G. Carrier (ed.), Occidentalism: Images of the West, Oxford, Clarendon Press, 1995; H. K. Bhabha, The Location of Culture, London, Routledge, 1994;

È proprio questa l’operazione compiuta dai nostri testi: il tentativo del teatro di riportare il corpo a una immagine di pienezza si oppone alla ten- denza alla commercializzazione di immagini scorporate, che rappresentano in extremis una sorta di vera e propria oscenità pornografi ca, di involucri da desiderare senza poterli amare. Il teatro inglese elisabettiano e quel- lo spagnolo del Siglo de Oro, in particolare, prevedono un decentramento dell’immaginario che rimette in gioco non solo l’idea di alterità, ma anche le tecniche teatrali per rappresentarla, nonché la funzione della fi guralità e del metateatro che trasferiscono tale incontro da un ambito geografi co a uno simbolico e critico. Le forme fi gurali e allegoriche contribuiscono ad aprire scorci metateatrali che ‘bucano’ letteralmente lo schermo della rap- presentazione e distinguono l’immaginario teatrale sia dalla propaganda uffi ciale che accompagnava la diffusione e la circolazione delle immagini provenienti dagli spazi conquistati facendone uno strumento di potere, sia da qualsiasi forma di spettacolarità acritica o fi ne a se stessa (quella delle esecuzioni pubbliche, ad esempio, di cui parla Montaigne nel saggio Des cannibales). Al teatro spagnolo, già nella critica del Settecento e Ottocen- do, si rimprovera la mancanza di verisimiglianza e la “corruzione” del te- atro antico – riconoscendo, però, in essa anche la sua grandezza e origina- lità21. La funzione del disinganno diventa così implicitamente rifl essione

metateatrale, la quale a sua volta rappresenta uno stimolo critico a prendere le distanze da una qualsiasi, indistinta dimensione spettacolare delle im- magini, fi ltrate dallo sguardo dei conquistatori e spesso trasmessa come “fantasmagoria della merce”, per usare un’espressione usata da Adorno nel Wagner, già feticcio economico senza più corpo né sostanza22.

S. Manzurul Islam, The Ethics of Travel: from Marco Polo to Kafka, Manchester, Manchester University Press, 1996; M. L. Pratt, Imperial Eyes: Travel Writing

and Transculturation, London, Routledge, 1992; G. Spivak, ‘Subaltern Studies: Deconstructing History’, in In Other Worlds: Essays in Cultural Politics, London,

Routledge, 1988, pp. 197-221.

21 Tra le prime critiche, si veda già il saggio di Nicolás Fernández de Moratín: N. Fernández de Moratín, Desengaños al teatro español, Madrid, 1762; e inoltre, G. H. Lewes, Spanish Drama: Lope de Vega and Calderón de la Barca, London, Knight, 1846. Più in generale, cfr. H. Weisinger, Theatrum Mundi: Delusion as Reality, in The Agony and the Triumph. Papers in the Use and Abuse of Myth, East Lansing, Michigan State University Press, 1964, pp. 67-68.

22 L. Abel, Metatheatre: A New View of Dramatic Form, New York, Hill and Wang,

1963; R. Hornby, Drama, Metadrama, and Perception, Lewisburg, PA. Bucknell University Press, 1986. Per il teatro spagnolo, terrò conto di: A. Truebood, Role-

Playing and the Sense of Illusion in Lope de Vega, in «Hispanic Review», 32

(1964), pp. 305-318; B. Wardropper, La imaginación en el metateatro calderoni-

Una tale coscienza critica del teatro, che così sottilmente distingue tra le diverse immagini e le forme di rappresentazione che esso stesso contiene, diventava allora uno dei mezzi più consapevoli ed effi caci per respinge- re le accuse rivolte soprattutto dalle fazioni religiose più estreme, come quella forma di iconoclastica esercitata dai puritani in Inghilterra23, oppure

per elaborare e discutere forme teologiche dogmatiche, rivendicando una responsabilità estetica dell’opera, da parte di un genere ortodosso come il dramma religioso o auto sacramental spagnolo. Questo valore critico incide anche sulla ricezione contemporanea, i cui canoni estetici risentono diffusamente di un mondo bombardato di immagini indistinguibili ormai le une dalle altre. Come scrive Calvino sulla televisione (genere nazional- popolare, come il teatro inglese e spagnolo del Cinque e Seicento, ma certo non altrettanto critico e autocritico):

Oggi siamo bombardati da una tale quantità d’immagini da non sapere più distinguere l’esperienza diretta da ciò che abbiamo visto per pochi secondi alla televisione. La memoria è ricoperta da strati di frantumi d’immagini come un deposito di spazzatura, dove è sempre più diffi cile che una fi gura tra le tante riesca ad avere rilievo24.

Il teatro, invece, produce proprio questo rilievo.

México, Colegio de México, 1970, pp. 923-30; A. Cascardi, The limits of illusion:

a critical study of Calderón, Cambridge, Cambridge University Press , 1984.

23 Si vedano i saggi: M. E. Henley – W. Speed – R. G. Siemens, Wrestling with

God. Literature-Theology in the English Renaissance, Vancouver, Henley, 2001;

M. O’Connel, The Idolatrous Eye. Iconoclasm and Theater in Early Modern

England, Oxford-New York, Oxford University Press, 2000; C. E. Rice, Ungodly Delights. Puritan Opposition to the Theatre (1576-1633), Alessandria, Dell’Orso,

1998; R. Weiman, Authority and Representation in Early Modern Discourse, Baltimore, The John Hopkins University Press, 1996; P. W. Sims, Britain and

Early Christian Europe. Studies in Early Medieval History and Culture, Norfolk,

Galliard Ltd., 1995; J. E. Howard, The Stage and Social Struggle in Early Mod-

ern England, London, Routledge, 1994; A. Sinfi eld, Literature in Protestant Eng- land, 1560-1660, London, Croom Helm, 1983; J. A. Barish, The Antitheatrical Prejudice, Berkeley-London, University of California Press, 1981; F. Jameson, Religion and Ideology, in Francis Barker et al. (eds.), Literature and Power in the Seventeenth Century, Brighton, University of Essex, 1981, pp. 315-36.

24 I. Calvino, Visibilità, in Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millen- nio, p. 103. Un principio ribadito anche da Roberto Escobar che, alla presentazio-

ne della stragione teatrale 2007-2008 del Teatro Stabile di Torino, ha scritto una nota in cui raccomandava questi spettacoli soprattutto ai giovani, che risentono particolarmente di “un mondo bombardato di immagini”.

L’economia entra in scena

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