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Mondi nuovi a teatro: l'immagine del mondo sulle scene europee di Cinquecento e Seicento

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21 July 2021 Original Citation:

Mondi nuovi a teatro: l'immagine del mondo sulle scene europee di Cinquecento e Seicento

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Mimesis

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MIMESIS

MONDI NUOVI

A TEATRO

L’immagine del mondo sulle scene

europee di Cinquecento e Seicento:

(5)

© 2011 – MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)

www.mimesisedizioni.it / www.mimesisbookshop.com Via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI)

Telefono e fax: +39 02 89403935

Via Chiamparis, 94 – 33013 Gemona del Friuli (UD)

E-mail: mimesis@mimesisedizioni.it

In copertina: Jacopo Zucchi (1541-1596), Allegoria della scoperta dell’America di Scienze del Linguaggio e Letterature moderne e comparate.

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PREMESSA p. 9

INTRODUZIONE p. 13

1. GEOGRAFIETEATRALI

La maturazione della cultura rinascimentale: p. 33 una nuova rappresentazione del mondo

Il teatro e l’allegoria p. 33

Scrivere l’altro: immagini, riproduzione, circolazione p. 35

L’economia entra in scena p. 41

Mercantilismo e teorie economiche moderne p. 41

Letteratura vs economia? p. 47

Il teatro italiano, inglese, spagnolo p. 52

Machiavelli e Bruno p. 52

Marlowe, Shakespeare, Jonson p. 53 Lope de Vega e Calderón de la Barca p. 57

Mappe dei mondi nuovi p. 62

Metamorfosi, dionisismo e apocalissi p. 62

2. LASCENAITALIANA p. 69

Paesaggi moderni p. 69

Simboli ed eterotopie p. 69

Firenze, Napoli e il teatro italiano p. 73

Venezia in Inghilterra p. 77

Firenze: Mandragola e Clizia p. 81

Diavoli, donne e capitale p. 81

La scena teatrale e le architetture distorte p. 91

Napoli: Il candelaio p. 97

Sotto questo campano clima… “subest Mercurio” p. 97

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Ancora Machiavelli p. 111 Tra Malta a Venezia: una lunga storia di ebrei p. 113 e mercanti

Barabas, Shylock e i ‘mondi chiusi’ p. 118 Il sacrifi cio, la fortuna, l’azzardo p. 129 Confusione e distopia in Volpone p. 137 “All the world’s his soil” p. 137

Diamanti a colazione p. 142

3. SCONFINAMENTI p. 149

“Aldilà delle mura fi ammeggianti del mondo” p. 149

Viaggiatori e attori p. 149

“From the east unto the further west”: p. 152 Tamburlaine the Great I-II

Conquista e spettacolo p. 152

Penna, spada, mappa: un immaginario ‘apocalittico’ p. 158

Defl agrazione e bellezza p. 164

4. NELNUOVOMONDO p. 169

America p. 169

Incontri p. 169

L’utopia e il fl irt p. 173

El nuevo mundo p. 176

Tra immaginazione, realtà e follia: la mappa p. 176 di Cristoforo Colombo

I rami d’oro p. 182

L’oro e la croce p. 186

The Tempest p. 191

Cannibali, diavoli, mostri p. 191 Le ‘risorse’ dell’isola: Calibano e Ariel p. 199

Miranda p. 207

(8)

L’immaginario orientale p. 217

Corporeità e repressione p. 217

Tra mori e paradossi: Othello p. 224

L’amore e l’Oriente: ancora su El nuevo mundo p. 224 La magia e il paradosso p. 228 “Haply, for I am black”: tra coccodrilli, p. 233 rospi, fi ori e alabastri

Antony and Cleopatra p. 238

Venere e bacco, giochi e baccanali: mondi ubriachi p. 238 “A wonderful piece of work”. Cleopatra p. 248 è un souvenir?

6. PAESAGGIINFERNALI p. 255

Nuove catabasi, altre strade p. 255

Doctor Faustus p. 260

“And search all corners of the new-found world”: p. 260 la ricerca di Faust

Sulla vetta dell’Olimpo: una cosmografi a spettacolare p. 268

El mágico prodigioso p. 275

“Al gran cadáver de oro / son monumentos de plata”: p. 275 la Turchia e il demonio

Magia e idolatria p. 279

“No ha sido el precio mucho”: Giustina, Elena p. 284 e le immagini vuote

CONCLUSIONI p. 287

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PREMESSA

E fi gurato è il mondo in breve carta; Ecco tutto è simile, e discoprendo, Solo il nulla s’accresce… (G. Leopardi, Ad Angelo Mai, vv. 98-100)

Questo studio è dedicato all’immagine con cui lo spazio viene rappre-sentato sulle scene della prima età moderna, dopo la scoperta dell’Ameri-ca. Se infatti nella drammaturgia tardo rinascimentale e barocca la storia tende a sostituirsi al mito, come ben ha illustrato Walter Benjamin1, con

essa fa il suo ingresso a teatro anche lo spazio, il mondo, che assume una diversa fi sionomia rispetto al passato, più stratifi cata e legata ai rapporti di forza e di dominio che lo delineano e lo connotano. L’immagine di cui si tratta non è perciò soltanto geografi ca, ma inevitabilmente sociale, esteti-ca, esistenziale in senso lato. Ed è il mondo stesso che comincia ad essere concepito e conquistato come immagine. In questo senso si può parlare di mondi nuovi, intendendo con essi sia l’America e l’Oriente, sia anche l’Italia e il Mediterraneo, riscritti e interpretati alla luce delle relazioni con gli altri spazi e con altri discorsi2 (quello economico, in primo luogo), e

persino l’Inferno, dal momento che la sua simbologia scivola dalle antiche catabasi alle odierne, ‘reali’ distopie.

Nel delineare la mappa performativa di questi mondi, quindi, l’analisi si concentrerà su alcuni drammi scritti tra Cinquecento e Seicento: Man-dragola (1520) e Clizia (1525) di Niccolò Machiavelli; Candelaio (1582) di Giordano Bruno; Tamburlaine the Great I-II (“Tamerlano il Grande”, 1 W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Torino, Einaudi, 1999 [ed. orig.

Ur-sprung des deutschen Trauerspiels, Frankfurt, 1963].

2 Per la nozione di “discorso”, rimando diffusamente alla teoria di Michel Foucault (cfr. L’ordine del discorso e altri interventi, Torino, Einaudi, 2004 [ed. orig.

L’or-dre du discours, Paris, 1971]; L’archeologia del sapere, Milano, Rizzoli, 1971

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1587-88), The Jew of Malta (“L’ebreo di Malta”, 1590) e Doctor Faustus (“Dottor Faustus”, 1588-93) di Christopher Marlowe; The Merchant of Venice (“Il mercante di Venezia”, 1596-1597), Othello (“Otello”, 1602-04), Antony and Cleopatra (“Antonio e Cleopatra”, 1606-1607), The Tem-pest (“La temTem-pesta”, 1611) di William Shakespeare; Volpone (“Volpone”, 1606) di Ben Jonson; El nuevo mundo descubierto por Cristóbal Colón (“Il nuovo mondo scoperto da Cristoforo Colombo”, 1598-1603) di Lope de Vega; El mágico prodigioso (“Il mago dei prodigi”, 1637) di Pedro Calderón de la Barca.

Oltre alla grandezza dei testi, che meritano continue riletture, la scelta di queste opere deriva dalla forza innovativa e critica con cui esse rap-presentano gli spazi ed elaborano un potenziale polifonico ad amplissimo spettro, specie in rapporto alle forze economiche e antropologiche che li attraversano. Tra le antiche favole di inaccessibili eldoradi, a cui si sostitui-scono le nuove, persuasive mitologie di conquista, e le distopie della prima età moderna, il teatro spicca come luogo potente di sconfi namenti (reali e simbolici), di incontri e inattese rivelazioni. E si impone come spazio uto-pico capace di restituire signifi cato e valore a quegli aspetti fondamentali dell’uomo che sono la corporeità e la parola, sempre più sacrifi cati alle logiche di affermazione del potere politico, religioso ed economico.

Occorrono, tuttavia, alcune precisazioni preliminari. In primo luogo, pur in un quadro generale di letteratura europea e comparata, il mio studio limi-ta la sua esemplifi cazione, per ragioni di competenza e di sintesi, al teatro inglese, italiano e spagnolo. Rispetto alla totalità degli spazi, inoltre, esso non pretende di essere esaustivo, ma nasce dalla volontà di individuare, nei testi scelti e nei motivi che li mettono in comunicazione, almeno al-cuni simboli capaci di re-inventare e ri-conoscere un mondo, dei mondi3.

In questo senso, si metteranno in luce punti di vista parziali, veri e propri scorci da disporre come le tessere di un mosaico imperfetto nel quale, però, il rilievo dipende dall’originalità delle visuali e dal palinsesto simbolico che viene a comporsi. Infi ne, per quanto collocati, per ovvie ragioni di ordine, entro capitoli separati, gli spazi qui analizzati sono da leggersi in una prospettiva di intertestualità e di interteatralità quasi macrotestuale, in una continua comunicazione reciproca, al di là di ogni barriera e divisione, e nella condivisione di un immaginario collettivo.

3 Si veda N. Goodman, Vedere e costruire il mondo, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 122-123 [ed. orig. Ways of Worldmaking, Indianapolis-Cambridge, 1978]. Per il teatro inglese, fondamentale S. Greenblatt, Renaissance Self-Fashioning. From

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Per il teatro moderno, affrontare questo rapporto con i mondi nuovi e con i loro abitanti signifi ca non soltanto dare corpo ai pregiudizi, agli ste-reotipi e alle paure ad essi collegati (la tirannide e la magia per l’Oriente, l’America come miraggio di ricchezze e di fortune, il male collegato al diavolo e ai paesaggi infernali), per discuterli, ridefi nirli, domandare a essi nuovi signifi cati, ma anche modifi care le proprie modalità di esprimersi e di rappresentarsi e, soprattutto, maturare e rifl ettere sulla propria funzione estetica e sociale.

In tal senso, sarà fondamentale non perdere mai di vista l’effetto dei testi e del loro immaginario ora sul pubblico del tempo, ora sulla ricezione contem-poranea, tanto più che è in questo tipo di lettura che si ritrova signifi cazione e valore. Alcune di queste opere, infatti, sono tuttora rappresentate con succes-so, mentre altre, dopo avere scatenato straordinari entusiasmi per la partico-lare suggestione sull’immaginario collettivo del tempo, non godono oggi di altrettanta notorietà, ma meritano senza riserve di essere riconsiderate.

I miei ringraziamenti vanno agli amici e a tutte le persone e le istituzioni che hanno permesso, stimolato e arricchito questo lavoro. Prima tra tutte l’Università di Torino e, in particolare: i dipartimenti di Scienze del Lin-guaggio e Letterature Comparate, di Scienze Linguistiche e Filologiche, di Filologia Classica, con le biblioteche e il personale che da sempre con impegno rendono concreti i nostri studi; la Scuola di Dottorato in Culture Classiche e Moderne; i colleghi e i professori; gli studenti che mi hanno seguita e da cui ho imparato molto.

Un ringraziamento particolare va a Franco Marenco, per i preziosi con-sigli, le idee, i suggerimenti e i progetti da lui condotti.

Grazie, quindi, anche ai colleghi dei progetti di ricerca nazionali PRIN, con cui mi sono confrontata su questi argomenti, alle sedi universitarie di Padova, Napoli, Perugia, Milano e soprattutto di Bari, che con particolare cura ha organizzato i nostri incontri e i convegni più importanti; ai colleghi dell’“Associazione per gli Studi di Teoria e Storia Comparata della Lettera-tura” e di “Synapsis” (European School for Comparative Studies).

Un dovere di gratitudine meritano la British Library di Londra e la Bi-bliothèque nationale de France, semplicemente perché esistono. Per i dia-loghi inglesi, Ciaran Ward e Benjamin Lesousky; per i diadia-loghi spagnoli, Angela Martinengo Arzano e Camilla Cortés.

Tra i ringraziamenti privati, menzione speciale ai miei genitori e ad Alessandro Boccardo.

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Le citazioni delle opere primarie sono tratte dalle seguenti edizioni:

NICCOLÒMACHIAVELLI, Mandragola e Clizia, in Teatro, a cura di Guido

Davico Bonino, Torino, Einaudi, 1964 e 1979.

GIORDANO BRUNO, Candelaio, a cura di Giorgio Bárberi Squarotti, in

Opere Italiane_1, a cura di Giuseppe Aquilecchia e Nuccio Ordine, Torino, Utet, 2002 e 2007.

CHRISTOPHERMARLOWE, The Complete Plays, ed. by Frank Romany and

Robert Lindsey, London, Penguin, 2003 [ed. it. Teatro completo, a cura di J. Rodolfo Wilcock, Milano, Adelphi, 1966-2002].

WILLIAMSHAKESPEARE, The Complete Works, ed. by. Stanley Wells, Gary

Taylor, John Jowett, Oxford, Oxford University Press, 2005 [ed. it. Teatro completo di William Shakespeare, a cura di Giorgio Melchiori, Milano, “I Meridiani” Mondadori, IX voll.].

BENJONSON, Volpone, ed. by Philip Brockbank, London, Ernst Benn,

col-lana “The New Mermaids”, 1968-1977 [ed. it. Volpone, a cura di Franco Marenco e tr. it. di Flavia Marenco, Venezia, Marsilio, 2003].

LOPEDEVEGA, El nuevo mundo descubierto por Cristóbal Colón, edición

electrónica de Ricardo Castells, Association for Hispanic Classical Theater internet textlist, Trinity University, 2003 [ed. it. Il nuovo mondo scoperto da Cristoforo Colombo, a cura di Sergio Bullegas, Torino, Einaudi, 1992].

PEDROCALDERÓNDELABARCA, El mágico prodigioso, a cura di Bernard

Sesé, Espasa-Calpe, Madrid, 1942-1989 [ed. it. Il mago dei prodigi, con intr. di Pier Luigi Crovetto e tr. it di Daniela Carpani, Torino, Einaudi, 2003].

Le edizioni italiane sono di riferimento.

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INTRODUZIONE

Mondi Nuovi. “Quando meditiamo sull’età moderna, siamo in cerca

dell’immagine moderna del mondo (Weltbild)”, affermava Heidegger in una conferenza tenuta a Friburgo nel 19381. Se nel pensiero greco l’uomo esisteva e si percepiva in rapporto all’essere, e nel Medioevo il mondo era concepito come ens creatum, appartenente al Dio-Creatore, “l’essen-za della modernità (der Neuzeit) è, in generale, il divenire-immagine del mondo”2. Svelato alla conoscenza nella sua totalità, in un’epoca di disin-canto e, secondo la defi nizione del fi losofo, di de-divinizzazione, il mondo moderno si concepisce essenzialmente come immagine. Un processo che si manifesta di pari passo al “divenire-subjectum dell’uomo”3. Il mondo ap-partiene all’uomo, all’occhio, alla conoscenza, alla libertà. Il potere politi-co ed epoliti-conomipoliti-co ne ridisegna e ne trasmette l’assetto, attraverso la visione e la visibilità, dal momento che “l’evento fondamentale del mondo moder-no è la conquista del mondo come immagine”4. L’attimo storico diventa il colpo d’occhio.

Le osservazioni di Heidegger sulla modernità trovano origini più lon-tane: per Michel de Certeau “la conquista del mondo risolto in immagini” avviene già dopo la conquista dell’America5. Anche Stephen Greenblatt, nel saggio Meraviglia e possesso. Lo stupore di fronte al Nuovo Mondo, scrive che nella prima età moderna la proliferazione e la circolazione delle rappresentazioni (e degli strumenti per la generazione e la trasmissione

1 M. Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo, in Holzwege. Sentieri erranti nella selva, Milano, Bompiani, 2002, pp. 91-137, pp. 106-107 [ed. orig. Die Zeit des Weltbildes, 1938, poi 1950].

2 Ivi, p. 109. 3 Ivi, p. 111. 4 Ivi, p. 114.

5 M. de Certeau, La scrittura della storia, Il Pensiero Scientifi co, Roma, 1977, pp. XV-XVI [ed. orig. L’écriture de l’histoire, Paris, 1975]. La citazione è riportata nel saggio La scrittura dell’altro, a cura di S. Borutti e U. Fabietti, Milano, Corti-na, 2005, p. 63.

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delle stesse) raggiungono “una dimensione spettacolare cui è praticamente impossibile sfuggire”6.

Nella letteratura tra Cinquecento e Seicento si colgono i primi segni di questo sviluppo della soggettività e del divenire-immagine del mondo: parallelamente al ridisegnarsi del mondo sulle carte geografi che di Ortelius e Mercator e alle allegorie pittoriche che trasmettono i simboli della pro-paganda di conquista, il Weltbild della prima modernità si traccia in forme letterarie. Non si tratta di un’immagine meramente geografi ca; nella mo-dernità, in generale, l’elaborazione e la percezione dello spazio assumono una centralità sempre maggiore. Nuovi sono non solo i mondi scoperti alle esplorazione e alle conquiste, come l’America, oppure l’Oriente delle vie commerciali, già in gran parte conosciuto ma ricondotto spesso all’imma-ginario mitologico, alle infi nite variazioni sul tema dei mirabilia di Plinio e Marco Polo; anche l’Italia, l’Europa e il Mediterraneo si ridefi niscono in rapporto all’incontro con l’altro e alle mutate esigenze e fi nalità politiche ed economiche della società; e nuove sono soprattutto le modalità di vi-sione e di rappresentazione, di uso sociale dello spazio. Nuovo è infi ne il modo di percepirsi dell’individuo come soggetto di questo mondo: “un Io confi nato nei propri desideri e rimesso al proprio arbitrio, oppure come il Noi della Società?”7.

Quella che ci interessa è l’epoca del grande teatro europeo e, in generale, di un teatro inteso come metafora del mondo, nella sua capacità evocativa e spettacolare. Sempre Heidegger usa una metafora teatrale per riferirsi all’uomo moderno: “mettendosi in immagine, l’uomo mette se stesso in

sce-na, cioè nell’aperta cerchia delle rappresentazioni generali e pubbliche”8. Ma l’importanza del teatro sta soprattutto nel maturare tale consapevolezza per manifestare la sua forza critica, e nell’imporsi in questo periodo come fenomeno internazionale, genere letterario particolarmente adatto a supe-rare confi ni, a stabilire zone di contatto, a rappresentare e a mettere in atto scambi materiali e simbolici che prendono vita attraverso la fi sicità degli attori, gli spostamenti delle compagnie, le forme della rappresentazione come il masque, la stessa cultura classica che traccia fi gure e topoi di un’in-tertestualità condivisa9.

6 S. Greenblatt, Meraviglia e possesso. Lo stupore di fronte al Nuovo Mondo,

Bolo-gna, il Mulino, 1994, pp. 28-29 [ed. orig. Marvelous Possessions: The Wonder of

the New World, Chicago, 1991].

7 M. Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo, pp. 111-112.

8 Ivi, p. 110.

9 R. Henke, Introduction a R. Henke – E. Nicholson (eds.), Transnational Exchange in Early Modern Theatre, Ashgate, Aldershot, 2008, pp. 1-15. Si vedano anche:

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Pur con le dovute differenze, l’immaginario elaborato dal teatro di Cin-quecento e Seicento sui mondi nuovi sarà al centro di questa analisi, che pur si limita al teatro italiano, inglese e spagnolo, concentrandosi sulla rap-presentazione dello spazio come chiave di lettura della modernità e di quei fenomeni economici, sociali e psicologici che la caratterizzano. Il teatro, infatti, è un mediatore cruciale tra produzione letteraria e drammatica e società10. Concepita e costruita per unirsi effi cacemente all’azione scenica (come prescriveva Amleto ai suoi attori)11, la parola teatrale si rivela capa-ce di essere mimetica quel tanto che basta per creare un forte potenziale

illusionistico nel pubblico, ma anche metateatrale e critica per poter

inter-rompere quella stessa illusione ogni qual volta sia necessario creare una reazione inversa nel pubblico, una forma di straniamento e di rifl essione rispetto a quelle stesse immagini che lo vedevano rappresentato.

Se la modernità è il divenire-immagine del mondo, nell’elaborazione dello spazio il teatro e la letteratura rimandano questa immagine in ma-niera tanto potente quanto imperfetta dal punto di vista realistico. E tale, però, perché allegorica e rivelatrice al di là dei confi ni fi sici che precludono all’uomo una visione precisa e totalizzante. Lo sfasamento tra letteratura e storia, e tra letteratura e geografi a, consiste così in una sorta di difetto della vista, tale per cui la visione diventa troppo ampia o troppo acuta, esatta soltanto in quanto policentrica e anamorfi ca.

Nel seguire la falsariga geografi ca dei mondi nuovi, la parola teatrale condivide questo contrasto tra i limiti della visione umana e la loro di-storsione, nello slancio e nella nostalgia di pienezza e di conoscenza, tra i confi ni tracciati dal potere politico, religioso, ed economico e il loro su-peramento, secondo una ricomposizione critica degli spazi in eterotopie e utopie nelle quali non solo il teatro, ma la società stessa necessariamente si rispecchia e si riconosce.

A. J. Cruz, Material and Symbolic Circulation between Spain and England, 1554-1604, Ashgate, Aldershot, 2008; A. Hoefele – W. Von Koppenfels, Renaissance

Go-Betweens: Cultural Exchanges in Early Modern Europe, Berlin, De Gruyter,

2005.

10 W. Cohen, Drama of a Nation. Public Theatre in Renaissance England and Spain,

Ithaca, Cornell University Press, 1985, p. 151. Tra gli altri, cfr. W.B. Worthen,

Shakespeare and the Force of Modern Performance, Cambridge University Press,

2003; J. María Díez Borque, Sociedad y teatro en la España de Lope de Vega, Bar-celona, Bosch, 1978; Id., Sociologia de la comedia española, Madrid, Cátedra, 1976.

11 W. Shakespeare, Hamlet, III, ii, 17-18. Cfr. F. Marenco, La parola drammatica,

in La parola in scena. La comunicazione teatrale nell’età di Shakespeare, Torino, UTET, 2004, pp. 3-21, p. 3.

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Lo spazio, gli spazi. Quali sono i mondi nuovi che si affacciano sulla

scena teatrale europea tra Cinquecento e Seicento? Il teatro, pur realizzan-do questa evidente forma di simbolizzazione, non trascura nessuno spazio geografi co, a partire dai centri più importanti del “Vecchio Mondo”, per così dire, come Londra, Napoli e Firenze, Venezia e Malta, per arrivare al Nuovo Mondo americano e all’Oriente, fi no a sprofondare nell’Inferno, frequente metafora di distopie sociali.

Il presupposto sia di queste rappresentazioni sia di una loro lettura oggi è l’idea, teoricamente elaborata in modo sistematico a partire dagli studi di Bachelard e Lefebvre, che lo spazio non possa essere considerato soltanto in senso geometrico, immobile e a una sola dimensione, ma vada inteso attraverso la temporalità, come produzione storica, economica e sociale, quindi vincolato alla storia e ai rapporti di potere che la attraversano12. Uno spazio così concepito diventa elemento fondamentale nella costruzione dell’individuo e delle identità di gruppo13.

Di questa concezione dello spazio e del mondo è il teatro stesso a farsi contenitore e correlativo. La forma del teatro inglese, del Globe in parti-colare – il wooden O così defi nito nell’Henry V di Shakespeare – ha una valenza metaforica di corrispondenza con il mondo e si basa su un’intensa dialettica tra immaginazione e realtà; anche il corral spagnolo riproduce nel rettangolo circoscritto di una corte cittadina la molteplici valenze stori-co-geografi che della rappresentazione14, e quelle religiose (soprattutto per il genere dell’auto sacramental): il pellegrinaggio, l’allegoria, la

cerimo-12 Si vedano: G. Bachelard, La poetica dello spazio, Bari, Dedalo, 2006 [ed. orig. La

Poétique de l’espace, Paris, 1957]; H. Lefebvre, La produzione dello spazio,

Mi-lano, Feltrinelli, 1976 [ed. orig. La Production de l’espace, Paris, 1974]. Inoltre, tra gli altri, cfr. E. W. Soja, Postmodern Geographies: The Reassertion of Space in

Critical Social Theory, London, Verso, 1989; M. Augé, Non-lieux. Introduction a une anthropologie de la surmodernité, Paris, Seuil, 1992; Per il Rinascimento, si

veda anche A. Vos (ed.), Place and Displacement in the Renaissance, New York, Binghamton, 1995.

13 G. Spivak, In Other Worlds, London, Methuen, 1987; G. Benko – U. Strohmeyer, Space and Social Theory. Interpreting Modernity and Postmodernity, Oxford,

Blackwell, 1997, p. 115.

14 E. de Chasca, Algunas observaciones sobre la imitación poética de la historia, prólogo a Bibliografía de las commedias históricas, tradicionales y legendarias

de Lope de Vega por Robert B. Brown, México, Ed. Academia, 1958, pp. 3-36; C.

Guillén, Literature as Historical Contradiction, in Literature as a System, Prin-ceton, Princeton University Press, 1971; J. A. Maravall, Teatro y literatura en la

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nia eucaristica15. Attraverso il carnevalesco e il travestimento che fanno da cornice e da sostanza dei drammi, ancora prima il teatro italiano rovescia le consuete funzioni sociale di certi luoghi (la piazza, la chiesa, il mercato), ripercorrendoli e letteralmente ridisegnando le architetture cittadine in ma-niera ironica, talvolta distorta, sempre critica e problematica.

La rappresentazione teatrale degli spazi, come del movimento e dello slancio sottesi al viaggio o alle conquiste, diventa una modalità privilegia-ta di indagine e di produzione di una “geografi a culturale” che attraversa ad ampio raggio questioni legate all’immagine moderna del mondo e ai rapporti di reciprocità e di contrasto tra individuo e società. È un punto di vista che ha interessato soprattutto la critica più recente sul teatro inglese. Nel saggio City/Stage/Globe: Performance and Space in Shakespeare’s

London, ad esempio, J. D. Hopkins assume la Londra descritta dai

dram-maturghi di età elisabettiana e giacomiana come simbolo di questo nuovo concetto di visibilità del mondo legato ai mezzi di rappresentazione; svi-scera, inoltre, le relazioni tra spazio urbano, teatrale e cartografi co facendo-ne uno “spazio ibrido” in cui lo “sguardo” sostituisce la rappresentaziofacendo-ne oggettiva16. La capitale inglese risulta descritta in relazione allo sviluppo della prospettiva artifi ciale nell’arte e all’interruzione della narrazione li-neare nel dramma; in essa le performances, le rappresentazioni, e gli spazi sono prodotti in mezzo a una miscela di paradigmi culturali non facilmente separati da un’arbitraria divisione storica17.

Questo vale per Londra come per le città italiane e del Mediterraneo – Malta nel Jew di Marlowe e Venezia nei drammi di Shakespeare e di Jonson, oppure Firenze e Napoli nella ambientazioni di Machiavelli e di Bruno – reinterpretate sulla scena secondo sovrapposizioni di signifi cati in certi casi riconducibili all’idea foucaultiana di eterotopia. Analogamente, gli spazi dell’altrove come l’America e l’Oriente, soprattutto in rapporto con il problema delle conquiste (in El nuevo mundo di Lope de Vega, ad esempio, e in The Tempest in Shakespeare), si defi niscono attraverso una sorta di reversibilità di signifi cati dove le usuali connotazioni usate per

di-15 J. M. Díez Borque, Los espectaculos del teatro y de la fi esta en el Siglo de Oro, Madrid, Laberinto, 2002; I. Arellano – J. Enrique Duarte, El auto sacramental, Madrid, Laberinto, 2003; J. Hahn, The Origins of the Baroque Concept of

Pere-grinatio, Chapell Hill, University of Carolina Press, 1973.

16 D. J. Hopkins, Introduction. Cities and Spaces, in City/Stage/Globe: Performance

and Space in Shakespeare’s London, London, Routledge, 2008, pp. 1-11, p. 1. Cfr.

D. K. Smith, The cartographic imagination in early modern England: re-writing

the world in Marlowe, Spenser, Raleigh and Marvell, Aldershot, Ashgate, 2008.

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stinguere il centro (l’Europa) da quello che rispetto ad esso è l’alterità sono confuse al punto da mettere in discussione quegli stessi parametri delineati dal linguaggio e dall’immaginario del potere e del dominio. Il rapporto con il colonialismo è infatti fondamentale nel delineare la fi sionomia di questi

mondi nuovi: se, da una parte, spagnoli e portoghesi, inglesi e olandesi

con-quistavano e colonizzavano le terre straniere del Nuovo Mondo, dall’altra i turchi dell’impero ottomano stavano rapidamente minacciando (e spesso invadendo) il territorio europeo e mediterraneo. In questo senso, tra il Cin-quecento e il Seicento gli europei si trovarono ad un tempo colonizzatori e colonizzati18.

La rappresentazione teatrale diventa perciò uno strumento di interpreta-zione del mondo, in cui spazio e tempo sono uniti da un fenomeno culturale prodotto a sua volta attraverso il palinsesto di più culture19. Come premessa e conseguenza di ciò, da una parte il teatro mette in discussione il concetto classico e tradizionale di autore come unico referente del farsi del testo e, dall’altra, esercita un potere determinante nel controllo dello spazio e nell’auto-percepirsi e collocarsi in esso dello spettatore. In drammi come il

Candelaio (con il Prologo affi dato a un bidello) o, per motivi diversi, Tam-burlaine the Great I-II e, nel caso specifi co, Volpone, si nota l’emergenza

di una nuova soggettività autoriale, di una nuova idea di autore; la quale perde consistenza nella generale incertezza epistemologica, parallelamente alla costruzione dell’individuo come soggetto (si pensi all’Hamlet), e si confonde in questa diversa prospettiva di sovrapposizioni culturali e spa-ziali policentriche e polisemiche20. Al tempo stesso, però, il teatro esercita un ruolo fondamentale nel controllo dello spazio urbano, nel dare forma e nel “dirigere la pratica spaziale dell’Altro e l’esperienza di ciò che sta intorno al personaggio come individuo o dello spettatore”21.

In defi nitiva, come il teatro diventa un’occasione per cogliere, interpre-tare e trasmettere l’immagine moderna del mondo, così lo spazio si rivela funzionale alla esplorazione di funzioni narrative e drammatiche,

nell’ela-18 D. Viktus, Turning Turk in Othello: the Conversion and Damnation of the Moor, in «Shakespeare Quarterly», 48 (1997), pp. 145-176. Cfr. T. E. Case, Lope and

Islam. Islamic Personages in his Comedias, Newark, Delaware, 1993.

19 Ivi, pp. 6 e 9. Cfr. Paul Yachnin – Patricia Badir (eds.), Shakespeare and the

Cul-tures of Performance, Aldershot, Ashgate, 2008.

20 Cfr. J. Mardock, Introduction, in Our Scene is London: Ben Jonson’s City and the

Space of the Author, New York-London, Routledge, 2008, pp. 1-5, p. 1. Si veda

anche, in particolare, il capitolo Space ad Authorial Strategy (Ivi, pp. 6-22). 21 J. Mardock, “Practisers of their madnesse”. Bartholomew Fair and the Space of

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borazione di geografi e immaginarie, nella rielaborazione di città del passa-to (come Roma e Troia nel teatro shakespeariano), nella creazione di upassa-topie e di altre sovrapposizioni che convergono sull’identità simbolica del teatro stesso22, ad esempio nei suoi rapporti con la città e il mercato (Volpone), con il mondo e i suoi valori (El gran teatro del mondo di Calderón de la Barca) e ancora tra quest’ultimo e il mercato come fenomeno globale (El

gran mercato del mundo) 23.

Economia e società. Come Calderón suggerisce nell’analogia tra

mon-do e mercato, un altro aspetto fondamentale del periomon-do preso in esame è che lo spazio viene percepito e rappresentato in misura sempre maggiore in relazione ai rapporti economici che lo attraversano e lo connotano24. In primo luogo, il teatro diventa un fenomeno di mercato. Il pubblico paga per divertirsi e per sentire ciò che gli piace (si pensi al titolo As you Like

it di Shakespeare). Scritti per i cortigiani, i nobili e i re (la regina

Elisa-betta I e Filippo III sono grandi estimatori del teatro) come per “el vulgar aplauso”25, i drammi costituiscono un prodotto letterario e culturale frui-bile a tutti i livelli socio-culturali26. Inoltre, nelle tournées e, in generale, negli spostamenti delle compagnie e degli attori (soprattutto in Spagna e in Italia, dove il teatro è un fenomeno itinerante), il teatro segue quelle dinamiche della circolazione simbolica e materiale di beni che caratterizza il commercio su larga scala. Tuttavia, mentre in Inghilterra e nel teatro italiano i motivi economici si traducono spesso in forme e in metafore che elaborano all’interno del testo stesso fenomeni sociali sempre più diffusi27, lo spirito controriformista del teatro spagnolo impone la necessità di creare delle strutture simboliche di protezione contro il pericolo di una rottura

22 Cfr. A. Hiscock, The Uses of this World. Thinking Space in Shakespeare, Mar-lowe, Cary and Jonson, Cardiff, University of Wales Press, 2004. J. Limon, From Liturgy to the Globe: The Changing Concept of Space, in «Shakespeare Survey»,

52 (1999), pp. 46-53.

23 Cfr. H. Erlicher, Peregrinación, mercado del mundo y la economia del auto

sa-cramental, in Cfr. M. Tietz – G. Arnscheidt (eds.), Calderón y el pensamiento ideológico y cultural de su época: XIV Coloquio Anglogermano Sobre Calderón,

Heidelberg, 24-28 luglio 2005, Stuttgart, Steiner, 2008, pp. 191-208.

24 Cfr. B.C. Carruthers, City of Capital: Politics and Market in the English Financial Revolution, Princeton, Princeton University Press, 1996.

25 Lope de Vega, El Arte Nuevo de hacer comedias en este tiempo, ll. 46.

26 J. María Díez Borque, Sociedad y teatro en la España de Lope de Vega, Barcelo-na, Bosch, 1978.

27 D. Bruster, Drama and the Market in the Age of Shakespeare, Cambridge,

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dell’equilibrio tra il valore spirituale dei contenuti e “la ricchezza mate-riale della ostentazione esteriore”28. Se l’allegoria del Gran mercado del

mundo può intendersi come una mise en scène dell’economia che sostiene

uno spettacolo teatrale sempre più costoso, nella rappresentazione avviene spesso la trasformazione del denaro in moneta immaginaria (in talento, ad esempio, nel signifi cato della parabola evangelica), che allegorizza e insieme sostiene l’inversione del denaro mondano di cui lo spettacolo si nutre. Con la celebrazione fi nale e simbolica dell’eucaristia, il denaro si converte in nutrimento spirituale e salvifi co, “in accordo con la logica della conversione e del sacramento propria dell’auto”29. Infatti, a differenza di quanto avviene con i puritani in Inghilterra, ostili alle rappresentazioni tea-trali come ad ogni immagine destinata a riprodurre la fi gura divina, il teatro spagnolo punta sulla visibilità della parola liturgica. Gli stessi Ejercicios

espirituales di San Ignacio de Loyola si fondano sull’immaginazione come

mezzo per arrivare alla contemplazione di Cristo, e le loro prescrizioni ricordano una vera e propria messa in scena teatrale.

In secondo luogo, in rapporto all’elaborazione di una geografi a cultura-le, sia nei territori europei sia in quelli colonizzati si collega alla moderna formazione e percezione dello spazio la crescita di “pratiche economiche proto-capitalistiche”30. Nel pensiero di Marx e nei recenti saggi sulla nasci-ta e sullo sviluppo del capinasci-talismo si fanno risalire le origini del fenomeno già al XIV e XV secolo, con la nascita del sistema bancario dei crediti, ma soprattutto al XVI e XVII secolo, con l’imporsi del principio dell’accumu-lazione basato sul reinvestimento dei profi tti, con il colonialismo e il com-mercio su larga scala31. Alla crescente e, spesso, sotterranea relazione tra

28 J. M. Díez Borque, Los espectaculos del teatro y de la fi esta en el Siglo de Oro, Madrid, Ediciones del Laberinto, 2002 pp. 196- e 201.

29 Ivi, p. 203.

30 A. Hiscock, Introduction a The Uses of this World. Thinking Space in

Shake-speare, Marlowe, Cary and Jonson, p. 11.

31 Lo spiega Giorgio Ruffolo, nel distinguere l’economia in Grecia e a Roma da quel-la moderna: G. Ruffolo, Il capitalismo ha i secoli contati, Torino, Einaudi, 2008, pp. 36-37. Per le origini del capitalismo nel Cinque e Seicento: J. Goody, Il

Cinque-cento, in Capitalismo e modernità. Il grande dibattito, Milano, Cortina, 2005, pp.

61-75 [ed. orig. Capitalism and Modernity. The Great Debate, Cambridge 2004]; V. Castronovo, Le rivoluzioni del capitalismo, Roma-Bari, Laterza, 1995-1998 (in particolare Gli esordi del capitalismo, pp. 3-20); F. Boldizzoni, L’idea di capitale

in Occidente, Venezia, Marsilio, 2008. Cfr. R. Fremantel, Dio e denaro. Firenze e i medici nel Rinascimento, Firenze, Olschki, 2008 [ed. orig. God and Money,

Firenze 1997]; C. Muldrew, The Economy of Obligation: the Culture of Credit and

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strategie di potere (politico e religioso32) e interessi collegati al commercio e al denaro, in particolare nelle guerre di religione e nelle imprese coloniali, si collega il superamento di un’economia mercantile e “sostanziale” da par-te di una prima forma di economia capitalistica, “che esagera comunque e ovunque il calcolo mercantile”, estendendosi dagli oggetti alla circolazione delle immagini e a tutto il sistema di valori33. Come dimostrano gli studi di Karl Polanyi, nel capitalismo il calcolo mercantile è reso unico e assoluto, e quindi non distingue, ma si sovrappone a cose che non sono merci34; alle teorie di Gilles Deleuze e Félix Guattari, inoltre, dobbiamo il collegamento tra il capitalismo e l’inconsciocome macchina desiderante35.

Anche in termini retorici, se l’allegoria è la fi gura poetica della

moder-nità, lo è in modo particolare rispetto alla modernità capitalistica: “al pari

delle merce, l’allegoria umanizza le cose (facendole muovere e parlare), e reifi ca per contro gli esseri umani”36. Infi ne, se la modernità è l’epoca del

divenire-soggetto dell’uomo, quest’ultimo, come osserva Alexandre Pope

in An Essay on Man (1733-1734), diventa anche homo oeconomicus – il contemporaneo homo consumens per Zygmunt Bauman37. Un uomo sempre più mosso dall’urgente desiderio di accumulare dettato dall’amore assoluto di sé, e regolato da una ragione essenzialmente strumentale, svincolata da un’etica a-priori e indirizzato al calcolo, alla scelta, all’utile e al profi tto.

32 Cfr. R. H. Tawney, La religione e la genesi del capitalismo, Torino, UTET, 1975 [ed. orig. Religion and the Rise of Capitalism, New York 1926].

33 “La prima è orientata a predisporre quanto è necessario alla sussistenza umana, la seconda è retta da un calcolo mercantile indifferente alle merci e preoccupato solo di sé” (G. Alvi, La retorica e la scienza, in Le seduzioni economiche di Faust, Milano, Adelphi, 1989, pp. 13-46, p. 39). Cfr. J. J. Goux, General Economics and

Postmodern Capitalism, in A. Stoekl (ed.), On Bataille, in «Yale French Studies»,

78 (1990), pp. 206-224; E. Screpanti (ed. by), The Fundamental Institution of

Capitalism, London, Routledge, 2001.

34 K. Polanyi, La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1974 [ed. orig. The Great Transformation: the Political and Economic Origins of our Time, 1944,

ora nell’edizione Boston, Beacon Press, 2001]; Trade and Market in the Early

Empires: Economies in History and Theory, Glencoe, Illinois, 1957].

35 G. Deleuze-F. Guattari, Capitalisme et schizophrénie. L’Anti-Œdipe, Paris, Mi-nuit, 1972. Cfr. G. Deleuze-F. Guattari, Macchine desideranti. Su capitalismo e

schizofrenia, intr. e cura di U. Faldini,Verona, ombrecorte, 2004; J. J. Goux, Ge-neral Economics and Postmodern Capitalism, in A. Stoekl (ed.), On Bataille, in

«Yale French Studies», 78 (1990), pp. 206-224.

36 F. Moretti, Faust e l’Ottocento, in Opere mondo. Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent’anni di solitudine, Torino, Einaudi, 1994 e 2003, pp. 73-94, p. 74.

37 Z. Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Gardolo, Erickson, 2007.

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È inevitabile che questi (e altri) motivi economici di cambiamento ven-gano rispecchiati e interpretati all’interno dello spazio scenico, nel ridise-gnare i profi li del Vecchio Mondo come in relazione a temi di viaggio, di commercio e di conquiste coloniali38. Il discorso economico acquisisce un rilievo maggiore che in passato nei suoi rapporti con la letteratura e con la società e, in senso più specifi co, in questa relazione tra spazio e incontro con l’altro all’interno di una moderna geografi a letteraria che prende vita nell’allegoresi teatrale. Non si tratta soltanto di un nuovo vocabolario, di un nuovo modo di intendere la poesia e di riferirla al mondo dei valori morali ed estetici così come al valore del mercato e del commercio39. Un totale rovesciamento di valori, in primis la tendenza a trasformare la bel-lezza in dissipazione e in consumo, torna sensibilmente nell’immaginario letterario del tempo proprio in rapporto a quelle rappresentazioni dell’altro sviluppate per simboli anche nell’arte fi gurativa – sia esso da identifi carsi negli ebrei o nei mori, oppure nei ‘selvaggi’ o, in generale, negli oggetti di desiderio e di consumo come le ricchezze americane e orientali, anch’esse in bilico tra il comunicare luminosità e bellezza e il rassegnarsi a limitare le proprie funzioni al mero valore commerciale. L’alterità tende così a subire un medesimo processo di trasformazione, per cui la sua traduzione in un si-gnifi cato economico implica una forma di conquista, di repressione e ridu-zione a sé da parte di quella centralità europea con cui entra in contatto40.

Per tornare alla rappresentazione dello spazio, città familiari come Lon-dra e Venezia si percepiscono divise tra tradizione e nascente modernità, tracciate secondo una spazialità costruita su “accrescimenti di memoria e mitologie localizzate”, ma altresì secondo un’idea di “spazio astratto e omogeneo che diventerà caratteristico della moderna città capitalistica”41; al tempo stesso, i luoghi colonizzati si prestano a contenere tropi versatili e reversibili, come ad esempio quelli riferiti al cannibalismo. Che cosa suc-cede, infatti, quando il cannibalismo si riferisce non tanto ai nativi, quan-to per metafora ai civilizzati (come implicitamente avviene in Hamlet), e

38 Per quanto riguarda Shakespeare e il teatro inglese a lui contemporaneo, cfr. H. Grady, Shakespeare’s Universal Wolf. Studies in Early Modern Reifi cation, Ox-ford, Clarendon Press, 1996. Per il trattamento lopiano delle questioni economi-che resta fondamentale il saggio: E. H. Templin, Money in the Plays of Lope de

Vega, Berkeley, California University Press, 1952.

39 M. C. Howell, The Language of Property in Early Modern Europe, p. 18. 40 Il concetto è ampiamente esaminato da S. Žižek in Il Grande Altro. Nazionalismo,

godimento, cultura di massa, a cura di M. Senaldi, Milano, Feltrinelli, 1999.

41 Andrew McRae, “On the famous voyage”: Ben Jonson and Civic Space, in «Early

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all’economia che regge il loro modus vivendi? Da una parte il cannibale rappresenta il parassita del sistema capitalistico, quindi da eliminare o da convertire (gli indios, ad esempio); dall’altra – attraverso un evidente rove-sciamento di ruoli – esso adombra il progresso come sistema sanguinoso e barbarico, basato sulla più spietata legge della giungla. Il cannibalismo può rappresentare così una metafora di protesta morale, ovvero “un eccellente esempio di visione metaforico-morale dell’accumulazione”42.

Un’analoga reversibilità di punti di vista segna la costruzione retorica dei personaggi degli ebrei, del Barabas di Marlowe come dello Shylock shakespeariano43, fi gure trasversali, veri abitanti di non-luoghi e, al tempo stesso, cardini di un sistema economico dal quale si vedono pubblicamente segregati. Come leggere questo paradosso? Quale umanità e quale identità concedere a questi personaggi, ammesso che venga loro concessa?

Il teatro e il suo immaginario. L’interesse principale di rileggere in una

tale prospettiva alcuni drammi europei di Cinquecento e Seicento consiste nel considerare come, nell’elaborazione di un immaginario condiviso, il linguaggio della performance, verbale e non verbale, risponda con consa-pevolezza critica a taluni stimoli offerti dall’età moderna44.

Se nel teatro moderno la storia affi anca o sostituisce il mito sulla scena, è peraltro vero che anche la rielaborazione storica passa sempre in un testo, in un linguaggio: “La Storia non è essa stessa un testo,” ma è “inaccessibile a

42 J. Phillips, Cannibalism qua capitalism: the metaphorics of accumulation in Marx, Conrad, Shakespeare and Marlowe, in F. Barker-P. Hulme-M. Iversen (ed.), Can-nibalism and the Colonial World, Cambridge, Cambridge University Press, 1998,

pp. 183-203, p. 183. Si veda anche C. Bartolovich, Consumerism, or the cultural

logic of late cannibalism, Ivi, pp. 204-237.

43 F. Marenco, Barabas e Shylock: ebrei o cristiani?, in F. Marenco (a cura di), Il personaggio nelle arti della narrazione, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma,

2007, pp. 169-189.

44 È alla nozione di “discorso” elaborata da Foucault e al Neostoricismo che guarda la presente indagine come punti di riferimento teorici fondamentali. Cfr. M. Fou-cault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Milano, BUR, 1966-1998 [ed. orig. Les Mots et les Choses. Une archéologie des sciences

hu-maines, Paris, 1966]. Per quanto concerne il teatro elisabettiano, in particolare,

si vedano: J. Dollimore, Radical Tragedy. Religion, Ideology and Power in the

Drama of Shakespeare and his Contemporaries, Chicago-London, The University

of Chicago Press, 1983; J. Dollimore-A. Sinfi eld, Political Shakespeare. New

Es-says in Cultural Materialism, Manchester, Manchester University Press, 1985;

S. Greenblatt, Shakespearean Negotiations. The Circulation of Social Energy in

Renaissance England, Berkeley-London, University of California Press, 1988; L.

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noi se non in forme narrative o testuali” – spiega Jameson; “il nostro approc-cio avviene unicamente tramite una precedente testualizzazione o

(ri)costru-zione narrativa”45. Non solo, ma – ha osservato Ihab Hassan – è attraverso l’“inesauribile gamma di emozioni umane, impressioni sensuali, e forme artistiche”, attraverso “il dolore del corpo” – il corpo mortale come spazio

reale e fi nale – che il mondo e la storia riescono a comunicarsi davvero alla

mente e al cuore umani; per questo ci riescono soprattutto poeti e artisti46. La letteratura, in generale, serve a dare forma e visibilità alla storia, proprio nella sua dialettica tra realtà e fantasia. Conclude in termini molto suggestivi Calvino, nelle Lezioni americane, l’esposizione di quel “valore da salvare” che è la Visibilità:

Comunque, tutte le «realtà» e «fantasie» possono prendere forma solo attra-verso la scrittura, nella quale esteriorità e interiorità, mondo e io, esperienza e fantasia appaiono composte della stessa materia verbale; le visioni polimorfe degli occhi e dell’anima si trovano contenute in righe uniformi di caratteri mi-nuscoli o maiuscoli, di punti, di virgole, di parentesi; pagine di segni allinea-ti fi tallinea-ti fi tallinea-ti come granelli di sabbia rappresentano lo spettacolo variopinto del mondo in una superfi cie sempre uguale e sempre diversa , come le dune spinte dal vento del deserto47.

Fondamentale è per Calvino il problema di come si formi “l’immagi-nario di un’epoca in cui la letteratura non si richiama più a una tradizio-ne come sua origitradizio-ne o come suo fi tradizio-ne, ma punta sulla novità, l’originalità, l’invenzione”48. È il nostro caso, tanto più che, con l’ampliamento delle conoscenze geografi che e scientifi che e con le trasformazioni economiche e sociali che investono l’Europa, l’immaginario letterario si confronta con una molteplicità di altri testi, di altri materiali (spesso destinati a trasmet-tere le notizie dai “nuovi mondi”), ma si distingue sempre di più da essi (e dalla realtà) proprio in quanto “repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere”49.

Il teatro, nello specifi co, è il genere letterario che più effi cacemente vin-cola espressione verbale e immagine visiva, capace di rendere lo

spettaco-45 F. Jameson, The Ideologies of Theory. Essays 1971-1986, 2voll., Minneapolis,

Minnesota University Press, 1988, p. 150.

46 I. Hassan, Literary Theory in an Age of Globalization, in «Philosophy and Litera-ture», 32 (2008), 1, pp.1-10, p. 8.

47 I. Calvino, Visibilità, in Lezioni americane, Milano, Mondadori, 1993-2002, pp.

89-110, p. 110. 48 Ivi, p. 99. 49 Ivi, p. 97.

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lo variopinto del mondo. A questo va aggiunta l’“irriducibile fi sicità della

rappresentazione teatrale”50, con la sua straordinaria capacità di collegare l’immaginario letterario alla sinergia di corporeità e parola, un’unione che agisce non solo come effi cace mezzo di trasmissione di un testo e di un mes-saggio, ma soprattutto come veicolo di espressione di emozioni e pulsioni direttamente condivisibili dal pubblico (come l’ansia, una delle categorie psicologiche più usate dalla critica per sottolineare il rapporto tra la

per-formance e lo stato d’animo dei personaggi di fronte a questi cambiamenti

storici e sociali)51. “Certamente i cambiamenti di tono, il gioco psicologico, l’oscillazione tra passione e distacco possono essere tracciati in forma let-teraria” – ha scritto Anthony Dawson. “Ma ciò che i corpi degli attori com-piono sugli altri corpi, reciprocamente, e sul pubblico, questo no, non può essere fatto”52. Al tempo stesso, “i rossori, le lacrime, la tensione dei tendini, i rapidi batticuori sono segni, non sintomi, momenti della rappresentazione il cui punto centrale è quello di stabilire una serie di signifi cati o, più spesso, un impeto di emozioni che si situa fuori dal corpo degli attori, nelle menti (o nei “cuori”, per usare un termine caro agli elisabettiani) degli spettatori”53.

L’atto di interpretare e rappresentare la storia attraverso la performance – si parla di performing history54 – implica, poi, la rappresentazione delle passioni e la composizione di un palinsesto culturale che, interrogando il presente, interroga al tempo stesso il passato: la tradizione biblica e clas-sica e, soprattutto, le apocalissi e le metamorfosi come espressioni di un immaginario che svela simultaneamente “la storia come catastrofe”55 e la

50 P. Yachnin – P. Badir (eds.), Introduction, in Shakespeare and the Cultures of

Performance, Aldershot, Ashgate, 2008, pp. 1-12, p.1.

51 Ad es. G. E. Minton, “Discharging less than a tenth part of one”. Performance Anxiety in Troilus and Cressida, in P. Yachin - P. Badir (eds.), Shakespeare and

the Cultures of Performance, pp. 101-118.

52 A. Dawson, The Impasse over the Stage, in «English Literary Reinassance», 21

(1991), pp. 309-327 (pp. 325-326). Cfr A. Dawson and P. Yanchin, The Culture

of Playgoing in Shakespeare’s England: A Collaborative Debate, Cambridge UP,

2001. Cfr. J. C. Bulman (ed.), Shakespeare, Theory, and Performance, London, Routledge, 1996.

53 W.B. Worthen, Introduction: dramatic performativity and the force of perform-ance, in Shakespeare and the Force of Modern Performperform-ance, Cambridge

Univer-sity Press, 2003, pp. 1-28. p. 21.

54 W.B. Worthen, Performing History, in Shakespeare and the Force of Modern Performance, pp. 28-79. Lo studioso sottolinea il dialogo di Shakespeare con i

precedenti quattrocento anni di letteratura e di storia, e parla di una “insistente interpretazione del mondo classico e moderno” (Ivi, p. 73).

55 “History is catastrophic” (John Parker, Preface, in The Aesthetics of Antichrist.

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Uni-testualità come disvelamento e salvezza, spazio critico di conoscenza e, insieme, di vitale unione tra mondo naturale e umano.

Il teatro, però, non si limita a rappresentare. Quell’unione tra fi sicità e parola che trova in Ovidio il suo referente più suggestivo si pone anche come forma di implicita protesta contro il processo di reifi cazione che la società moderna attua proprio nelle sue dinamiche storiche ed economiche di acquisizione e mantenimento del potere. In rapporto con la trasforma-zione del signifi cato e del valore degli oggetti nel sistema simbolico del capitalismo, ad esempio, cambia in modo spiccato la rappresentazione dei corpi, che – nel momento della loro marginalizzazione e chiusura, ovvero di riduzione allo statuto di merce – rivendicano sulla scena, più che in passato, una spiccata centralità fi sica e simbolica56. Faust (con il Troilo sha-kespeariano, suo pendant amoroso57) è una delle prime vittime e, insieme, l’espressione che più dolorosamente rivela la pervasività della mentalità economica, questo tragico meccanismo di scambio tra persona e cosa, il “pensare calcolato, indifferente al proprio argomento, che vuole solo ovun-que rifl ettersi”58. L’infi nita energia del personaggio, rivolta a una conoscen-za fi losofi ca fi nora preclusa all’uomo e a un desiderio di oltrepassare i suoi limiti, è illusa dall’intervento diabolico, reifi cata dal patto che converte il suo slancio conoscitivo in mera accumulazione di piaceri e di voluttà mate-riali, in entropica (detto in termini moderni), disperata dissipazione. E che, al tempo stesso, schiude allo stesso Faust e ai suoi spettatori, come in uno specchio, la visione di una società corrotta che assume le caratteristiche di un vero e proprio Inferno.

Il teatro, in questo senso, riesce davvero a de-reifi care59. Esso parla e

agisce per restituire al corpo la sua pienezza e per difenderlo dalla minaccia

di vedere inariditi slanci e desideri, proprio nel momento in cui l’uomo si

versity Press, 2007, pp. vii-xi, p. x).

56 Cfr. D. Hillman, Homo Clausus at the Thaetre, in B. Reynolds – W. N. West,

Rematerializing Shakespeare. Authority and Representation in the Early Modern English Stage, London 2005, pp. 161-185; G. Kern Paster, Humoring the Body: Emotions and the Shakespearean Stage, Chicago and London, University of

Chi-cago Press, 2004.

57 Cfr. F. Kermode, Adamo senza Paradiso, introduzione a J. Milton, Paradise Lost, trad. it. Paradiso Perduto, Milano, Mondadori, 1984-1990, pp. VII-XXXV, p. XXV [ed. orig. Adam Unparadised, 1960]. Di questo mi sono occupata in C. Lombardi, Troilo eroe ‘moderno’, in Troilo e Criseida nella letteratura

occiden-tale, Roma, Storia e Letteratura, 2005, pp. 147-186.

58 G. Alvi, La retorica e la scienza, in Le seduzioni economiche di Faust, p. 39.

59 Si veda l’osservazione di Carlo Ossola: “Se mi è permesso un neologismo, direi che il teatro – come il testo – debbono ‘de-reifi care’ la nostra mente già troppo

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in-ritrova pericolosamente in bilico tra colpa e consumo, tra diktat e confl itti religiosi e modelli economici di scelta. A una rigida e letteralista visione del mondo (e dell’uomo), l’espressione teatrale risponde con l’enigma e la fi guralità, che trasformano in parola l’emozione stessa del movimento geografi co e dell’incontro tra stranieri, ed oppone al pregiudizio l’esplo-sione polisemica, il dubbio, la commovente meraviglia, accostando alla più tagliente rivelazione la conservazione amorosa delle forme, appunto l’apocalisse e la metamorfosi.

Elena di Troia – che ritroviamo evocata nei drammi faustiani: nell’opera di Marlowe e in El mágico prodigioso (la cui tradizionale sostituzione con un fantasma è simboleggiata dall’immagine duplicata e scorporata della vergine Giustina), e nel Troilus and Cressida di Shakespeare – rappresenta il simbolo più espressivo di questa tensione tra bellezza e fi sicità piena da una parte, e mito che si lacera in un’immagine scorporata dall’altra, icona diffusa ma irraggiungibile, segno di una fascinazione sublime di cui si cer-ca invano di determinare un valore razionale e un prezzo. Al tempo stesso, Elena è anche principio speranza, motore di un infi nito racconto che la ri-propone come corpo reale a cui si chiede incessantemente calore e sangue. Può essere l’America con le sue meraviglie naturali che si trasformano in denaro e in mostruosità esotiche, la terra allegorizzata che si offre come una vergine ai conquistatori ma si sottrae come rappresentazione pittorica; può essere la polena delle mitologie di Claudio Magris, che attraversa la storia e i suoi (falsi?) eroi cieca e silenziosa; può essere la Daisy Miller di Henry James.

Al suo bacio Faust implora immortalità, e al suo bacio egli torna, dopo avere indossato i suoi colori sull’elmo piumato per combattere contro Pa-ride e Menelao, prima di morire, perché il cielo – pur in tutta l’ambiguità che il dramma ha restituito, tra mondo e inferno – rimane impresso sulle sue labbra.

E il mito viene continuamente trasformato e riscritto.

Il volume. In questo studio risultano in primo piano gli spazi: il

Mediter-raneo, con l’Italia e Malta, e Londra come punto di riferimento indiretto, l’America e, in generale, l’Oriente e l’Occidente nelle loro relazioni di confl itto e di reciprocità. Assumono, inoltre, particolare rilievo gli sconfi -namenti e le trasformazioni, in taluni casi davvero sconvolgenti nel ridise-gnare una nuova mappa mentale del mondo.

gombra di oggetti, di paludamenti, di cascami visivi” (C. Ossola, Sul palcoscenico

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Interlocutori privilegiati di questi paesaggi sono però i personaggi, da intendersi come “effetto di testo”, ma anche, in quanto proiezione fi ttizia di un’identità collettiva60, come correlativi dell’individuo e delle sue domande al presente, di quell’ansia che si rappresenta sulla scena. Essi si muovono nella direzione degli spazi vecchi e nuovi e dei percorsi che stanno al centro del rapporto tra espansione europea e capitalismo, in seguito alla scoperta dell’America e ai nuovi equilibri mondiali soprattutto nei rapporti tra Orien-te e OccidenOrien-te61, e il loro sconfi namento esprime l’infrazione di tabu che collegano presente e passato, letteratura e società. L’incontro con l’altro, in particolare, mette in luce aspetti fi losofi ci e antropologici che si offrono alla discussione letteraria: l’identità, il diverso ruolo del denaro quale forza mo-trice della società moderna, assieme a nuove utopie, a desideri e a diverse dinamiche che nascono da questo infrangimento di antichi e proibiti confi ni e trovano risonanza nella messa in scena teatrale e nella sua simbolizza-zione attraverso “i modi della latenza testuale”, la funsimbolizza-zione della fi guralità e gli “sfasamenti” che l’idea di immaginario comporta rispetto al discorso conscio e uffi ciale62. In questo senso, i personaggi diventano espressione di quell’ambiguità che riscrive l’eroismo antico e crea un primo, essenziale, scollamento tra individuo (intellettuale, si dirà, a fi ne Ottocento) e società.

Lo spazio è rappresentato da un linguaggio che opera al suo interno con forza defl agrante e trasgressiva, provocatoria e problematica, instabile e onirica, e che ridiscute così davanti al pubblico i confi ni geografi ci e storici del mondo, le nuove leggi economiche, l’inferno e il cielo e, con essi, le antiche teorie fi losofi co-scientifi che, gli exempla, i prodigi romanzeschi.

60 Cfr. P. Hamon, Per uno statuto semiologico del personaggio, in Semiologia,

les-sico, leggibilità del testo narrativo, Parma, Pratiche, 1977, p. 202 [ed. orig. Pour un statut sémiologique du personnage, Paris 1972]. Come la persona-maschera,

anche il personaggio letterario è un “segmento dell’inconscio collettivo” (C. G. Jung, L’io e l’inconscio, in Opere, vol. VII, Torino, Bollati Boringhieri, 1983, p. 155). Cfr. G. Bottiroli, Identità rigide e fl essibili. Per una concezione modale del

personaggio in C. Lombardi (a cura di), Il personaggio. Figure della dissolvenza e della permanenza, Alessandria, Dell’Orso, 2008, pp. 41-58, p. 57; cfr. Id., Il principio di non-coincidenza in Michail Bachtin, in Che cos’è la teoria della letteratura, Torino, Einaudi, pp. 294-335; M. Bachtin, Dostoevskij, Torino,

Ei-naudi, 1968.

61 Tra i diversi saggi dedicati a questo problema, si vedano F. Braudel, Espansione

europea e capitalismo. 1450-1650, Bologna, il Mulino, 1999 [ed. orig. Expansion européenne et capitalism (1450-1650), in Les Ambitions de l’Histoire, a cura di R.

Ayala e P. Braudel, Paris, Fallois, 1997]; cfr. J. Goody, Il Cinquecento, in

Capita-lismo e modernità. Il grande dibattito, cit.

62 Cfr. A. Serpieri, Retorica e immaginario, Parma, Pratiche, 1986, in particolare il

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“La duplicità di signifi cato e realtà si rispecchia nell’allestimento della scena”, scrive Benjamin in Il dramma barocco tedesco63. Proprio nel lin-guaggio teatrale è evidente la manifestazione di una nuova funzione retorica che fa capo a tali posizioni e che esprime la realtà entro più estese signifi ca-zioni allegoriche. Sarà infatti fondamentale, nell’analisi dei drammi e del loro rapporto con altre forme del discorso, mettere in evidenza quel movimento dialettico che intacca la superfi cie letterale e amplia la funzione retorica al di là delle sue fi nalità di persuasione, entro nuovi orizzonti ermeneutici. Di qui la funzione del linguaggio, tale per cui “la retorica sospende radicalmente la logica e apre possibilità vertiginose di aberrazione referenziale”64.

È inoltre la trascrizione delle passioni nel linguaggio della fi guralità a sta-bilire un’importante cesura tra la comunicazione teatrale e quella uffi ciale e del potere. Al discorso economico e teologico (spesso collegati dagli stes-si interesstes-si di affermazione del potere), che richiedono la compostes-sizione di un’identità forte, univoca, si contrappone l’ampiezza polisemica e fi gurale del discorso letterario, inteso come grande “formazione di compromesso”, campo di tensioni dove ha luogo l’incontro dialettico tra pulsioni e resistenze, tra desideri e repressioni sociali. Il represso ritorna nella fi guralità del testo, nell’opacizzazione del rapporto tra signifi cante e signifi cato, per cui attraverso le “associazioni impossibili” della metafora e l’ambiguità delle connotazioni si arriva alla negazione dell’ordine razionale del mondo; ma soprattutto nella “mobilitazione di contenuti che sono oggetto di divieto sociale”65.

Barthes scrive che il linguaggio capitalista è quello della doxa, “impla-cabile invischiamento”, “ideologia nella sua essenza”66; quello letterario, invece – e più consapevolmente alla fi ne del Rinascimento – si fa opa-co, metaforiopa-co, atopico e paradossale, talvolta iperboliopa-co, spesso basato sull’infrangimento del principio di identità e di non contraddizione che invece resta ancora alla base del concetto di scelta economica e, almeno nei suoi aspetti formali, confessionale.

È nel discorso letterario che “il sistema si trova superato, disfatto”67.

63 W. Benjamin, Allegoria e dramma barocco (II), pp. 164-190, p. 169.

64 P. de Man, Semiologia e retorica, in Allegorie della lettura, pp. 9-27, p. 17. Il corsivo è mio.

65 Cfr. F. Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura, Torino, Einaudi, 1973; G. Paduano, Premessa a La lunga storia di Edipo Re, Torino, Einaudi, 1994, pp. 3-14, pp. 9-10.

66 R. Barthes, Il piacere del testo, Torino, Einaudi, 1999, p. 96 [ed. orig. Le plaisir du texte, Paris, 1973].

67 Ibidem. Fondamentale anche il punto di vista di Ignacio Matte Blanco, in

L’incon-scio come insiemi infi niti. Saggio sulla bi-logica, Torino, Einaudi, 1981 [ed. orig. The Unconscious as Infi nite Sets. An Essay in Bi-Logic, London, 1975].

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Nel primo capitolo (Geografi e teatrali) vengono ripresi e approfonditi motivi già anticipati in questa introduzione, che sostengono l’impostazione critica del volume. Il teatro europeo del Cinquecento e Seicento si confron-ta con la maturazione della cultura rinascimenconfron-tale e con confron-taluni problemi che in essa sorgono e si manifestano, come la rappresentazione del mondo e la scrittura dell’alterità, e i rapporti tra letteratura ed economia, specie nella fase di passaggio tra mercantilismo e primo capitalismo. Sono quindi passati in rassegna gli autori che, a titolo di esempio ma anche per la loro importanza, saranno al centro dell’analisi critica negli sviluppi successivi: Machiavelli e Bruno in Italia; Marlowe, Shakespeare e Jonson in Inghil-terra; Calderón de la Barca e Lope de Vega in Spagna. Si vuole dimostrare in questo modo come la funzione del teatro, in particolare dei linguaggi e delle fi gure con cui esso si esprime, si ponga nei confronti delle polarità e dei ruoli defi niti dalla società. Saranno inoltre al centro di questo discorso i modelli letterari e culturali, sia tradizionali che innovativi, sui quali si for-ma l’imfor-maginario teatrale che compone questa for-mappa dei mondi nuovi.

Il secondo capitolo (La scena italiana) è incentrato sull’Italia come spa-zio di distopie ed eterotopie che attraversano le rappresentaspa-zioni di Firenze e Napoli – a partire dalla lettura della Mandragola e della Clizia di Machia-velli, e del Candelaio di Giordano Bruno – e poi di Venezia nel dramma

The Merchant of Venice di Shakespeare (e, indirettamente, di Malta nel The Jew of Malta di Christopher Marlowe), e in Volpone di Ben Jonson. Ne

emergono fi gure di mercanti, sensali di matrimoni, faccendieri e imbonitori che contribuiscono alla vivacità e alla godibilità di questi testi; tali fi gure rappresentano una chiave di lettura della società e delle dinamiche che, attraverso lo spazio e certi motivi topici (come il matrimonio), prendono sostanza sul palcoscenico. Al centro vi sono le beffe, i travestimenti, le truffe, che assumono una funzione comica e, al tempo stesso, disvelante, essendo concepiti come un’arma che il teatro rivendica a sé e alle sue pos-sibilità rappresentative e critiche. Ma sono soprattutto i personaggi degli ebrei, Barabas e Shylock, a offrire gli spunti più forti, a tratti violenti e raccapriccianti, di una rappresentazione della società e della storia volta a sviscerare, tra mitologie, fi nzioni e realtà, rapporti di forza e confl itti spes-so latenti e rimossi.

Prima di uscire dalla scena del Vecchio Mondo, il terzo capitolo (Sconfi

-namenti) sarà dedicato alla infrazione reale e simbolica di confi ni,

compiu-ta dal trionfale delirio (se di vero e proprio delirio di onnipotenza si tratcompiu-ta) del Tamburlaine The Great I-II di Marlowe. Il dramma presenta una palese infrazione del realismo, che prelude a una rappresentazione provocatoria basata sulla distruzione o sulla messa in discussione di molti capisaldi (fi

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-sico-geografi ci, epistemologici, religiosi e antropologici e, in senso ancora più stretto, familiari) su cui si regge la società nel delicato passaggio tra passato e presente. Marlowe esprime la consapevolezza della modernità come divenire-immagine del mondo, e a quest’immagine – fi ltrata dalla visione teatrale – attribuisce estrema ambiguità; tutto diventa rappresen-tabile: la morte, mostrata alle vergini prima di ammazzarle, il potere delle conquiste, l’amore; tutto è spettacolo, godimento, performance, nonostante a questo stesso spazio teatrale sia affi data la forza critica di denuncia.

Nel quarto capitolo (Nel Nuovo Mondo) sanno presi in esame gli spazi americani così come sono stati rappresentati a un centinaio di anni o poco più dalla conquista di quel territorio, in due drammi di per sé molto diversi:

El nuevo mundo descubierto por Cristóbal Colón di Lope de Vega e The Tempest di Shakespeare. Essi condividono però il problema della

trasmis-sione e della re-invezione di questi spazi e della scrittura/rappresentazione dei loro abitanti dal punto di vista dei conquistatori. Da una parte un per-sonaggio storico (Colombo nell’opera di Lope de Vega) e, dall’altra, gli interpreti fi ttizi di piccoli giochi di potere e di vaghi desideri economici e di rivalsa sociale (i personaggi del dramma shakespeariano), trovano nel territorio americano, nel suo paesaggio e negli abitanti che lo popolano, la messa in atto dei loro progetti. Entrambi i drammi pongono al vaglio dello spettatore – che a teatro incontra un mondo mai visto, nel quale gli antichi eldoradi della poesia sono sostituiti dalle nuove mitologie di conquista – un messaggio duplice, che interpreta ad un tempo i rapporti tra la propaganda di conquista (l’evangelizzazione e il miraggio di ricchezze) e le sue ragioni umane più nascoste. In El nuevo mundo sono celebrati il trionfo di Colom-bo e il potere della sua immaginazione come motivo di forza della riuscita dell’impresa, ma il dramma lascia trapelare notevoli ambiguità legate al successivo consolidamento del potere (anche religioso) in terra americana, nel rapporto con i nativi tanto vividamente disegnati nelle loro passioni, paure, bellezze. The Tempest traccia un’immagine originale e insolita dei nativi, resi con spiriti, streghe e mostri che trasformano lo spazio teatra-le nell’utopia più suggestiva e convincente: non tanto quella di Gonzalo che elabora il pensiero platonico attraverso Montaigne, quanto la teatralità stessa come parola, magia, luogo di incanto e di una possibile, seppure effi mera, amorosa riconciliazione.

Il quinto capitolo (In Oriente) è sviluppato sull’immaginario orientale, che dal punto di vista europeo e occidentale si presenta tra corporeità e repressione. L’analisi prende le mosse ancora da uno scorcio di El nuevo

mundo di Lope – un brevissimo ritratto dei sovrani arabi nel momento della Reconquista e della cacciata da Granada, che fi nisce per interloquire in

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