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gestazione delle musiche composte per Eureka!

Nel documento Eureka! L'ultima Stagione del Living Theatre (pagine 160-167)

[…] Mi sono trasferito a New York nel 1985, e automaticamente ho cominciato a frequentare la gente del Lower East Side. Loro qui conoscevano tutti il Living Theatre, e Julian Beck era appena morto. Io avevo fatto parecchio teatro a Detroit (la città in cui sono nato e

cresciuto), ma New York era ed è un posto grandioso per i musicisti per

comporre i più svariati generi musicali. Un sacco di persone mi chiedono che tipo di musica scrivo, ed io rispondo: “Tutto quello che voglio,

davvero!” Tu puoi fare Jazz, Rock, Classica, e io amo il tipo di libertà che

lavorare in teatro mi dà. Ho fatto un certo numero di piccole cose per il teatro qui attorno, e quando uno dei componenti del Living Theatre, il compositore che loro avevano, Carlo Altomare, dovette tornare sulla West Coast, loro ebbero bisogno di un nuovo compositore. Così il primo aprile del 1990 io fui introdotto nel gruppo, e me ne ricordo bene perché ero in un certo senso spaventato ad entrare dentro. Non sapevo cosa fare. Avevo appena parlato un po’ con Judith, non ero sicuro; dissi: “Ci penserò!”. E proprio mentre stavo dirigendomi verso la porta d’uscita, Judith si voltò

verso tutti e disse: “Abbiamo un nuovo compositore!” E così ho pensato:

“Oh ragazzi! Credo proprio lei abbia deciso per me!”. Così ho scritto un

pezzo per German Requiem, che ha rappresentato un’esperienza molto diversa per il Living Theatre perché era uno spettacolo medioevale, e lo abbiamo chiamato Middle Ages. Ma poiché Carlo Altomare non poteva tornare per andare in tour in Europa per questi due spettacoli, I and I e The

Tablets, lui mi diede questi spartiti e io li ho portati in Italia, e quella è

stata la mia prima volta fuori dall’America. Io ho pensato che fosse grandioso! Sai, avevo appena ventisei anni. Ero nei miei vent’anni, e quella è stata una esperienza formativa eccezionale; così quando sono ritornato qui io ero il loro direttore musicale. Quindi ho composto questo lavoro per German Requiem come risultato dell’incontro con loro, e visto che Carlo Altomare non poteva continuare col gruppo in quel momento, lui mi diede questi spartiti di I and I e Tablets e io sono subentrato per la prima volta in questo nuovo Living Theatre, dopo la morte di Julian Beck. C’è stato prima questo tour europeo con questi due spettacoli; io ho imparato parecchio; avevo appena ventisette anni; sono ritornato qui, e per i successivi tre o quattro anni ho creato partiture, sono diventato il direttore di musica e ho messo su parecchi concerti in quello spazio: credo che questo di cui ti sto parlando sia il periodo che abbiamo chiamato “The

Third Street Years”. […] Ho lasciato il gruppo nel 1994 solo perché

volevo imparare altre cose; è cosi facile rimanere in un gruppo: ti limiti a star lì. Dovevo ricaricare il mio centro compositivo e il mio centro musicale; così ho viaggiato in Indonesia per imparare un po’ di easter music; ho messo su dei concerti in un gruppo formato da compositori di Downtown come Philip West e Steve Rash e ho lavorato in studi di registrazione. Il Living Theatre era in Italia in quel momento, a Rocchetta, quindi noi eravamo fuori contatto; quando loro hanno deciso di ritornare negli Stati Uniti, intorno al 2001, e cercavano un nuovo spazio in città, noi abbiamo iniziato a parlare e a lavorare di nuovo insieme. Così adesso, quando hanno aperto questo nuovo spazio, non c’era un ruolo per me per fare della musica in The Brig, perché The Brig è già musica di per sé stesso, con il suono prodotto dai Marines, e credo anche in parecchi altri modi […] Dopo il successo della riproposizione di The Brig, Hanon

Reznikov ha creato la partitura, non la partitura in realtà ma i versi musicali per Maudie and Jane, lo spettacolo di Doris Lessing; quando ho scritto la musica ho pensato che fosse per una sorta di spettacolo televisivo italiano: aveva un tema, un paio di momenti musicali al centro, ma era generalmente molto incentrato sulle battute. Sai, è stato molto triste quando Hanon è morto la scorsa primavera; io ero davvero incerto riguardo a come questo teatro sarebbe andato avanti. Così, dopo la morte di Hanon, noi non sapevamo bene cosa fare. Allora ho proposto loro di diventare il direttore musicale, fino a quando le cose non fossero andate meglio finanziariamente e noi non fossimo stati in grado di concertare un piano chiaro; e noi siamo stati d’accordo e così sono il direttore musicale adesso. Ma mi è stato anche chiesto di essere il compositore musicale per

Eureka!, e sono davvero lieto che abbia funzionato perché per me questo è

uno spettacolo nella tradizione di I and I, e nella tradizione di The Rules of

Civility; ha quella portata di sentimento, un sacco di energia, e mi ha dato

l’opportunità di scrivere così differenti tipi di musica. Così, eccoci qui, sei mesi dopo la morte di Hanon, e io penso che lui sarebbe molto orgoglioso di dove abbiamo condotto questo spettacolo.

[…] Hanon mi disse che voleva realizzare questo spettacolo. E’ stato proprio due anni fa: io stavo lavorando ad un altro progetto con altre persone, e ho ricevuto la commissione di scrivere un pezzo chiamato “The

Big Bang”, in occasione di una collaborazione con la City University of New York; hanno collaborato con me due astrofisici, che ne sapevano

davvero a proposito del Big Bang. Ho realizzato un pezzo di quarantacinque minuti sul tema della creazione dell’Universo, ed è stata davvero dura, avendo davanti fatti scientifici. Quindi si trattava di un pezzo fondamentalmente per nuove strumentazioni, video proiezioni ed ensemble, un live musical ensemble. Hanon e Judith lo comprarono. A loro piacque molto, e volevano convincermi a fare le musiche per Eureka!, ma questo non successe fino a quando Hanon è morto. Io però sapevo che loro ci stavano lavorando sopra seriamente, e allora in un certo senso questo è il loro pezzo sul Big Bang, ma per me è il secondo pezzo sul Big Bang. Loro hanno fatto un’altra versione del pezzo che io avevo realizzato

due pezzi sono come le due facce di una stessa medaglia per me. Il primo pezzo era spiccatamente incentrato sulla componente scientifica, quest’ultimo invece ha una valenza fortemente poetica. Quindi è come se si trattasse di due diverse interpretazioni della stessa storia; io vorrei mettere queste due creazioni insieme su un CD qualche giorno: credo che sarebbe grandioso avere il pezzo scientifico e contemporaneamente anche la musica connotata da un spirito poetico.

[…] Quando Hanon era ancora in vita io stavo lavorando a un paio di cose diverse; non potevo lavorare per Eureka!, e forse io non amavo molto il modo in cui loro stavano lavorando ad Eureka! in quel momento, perché stavano impiegando molti dei componenti più anziani del Living Theatre, che sono grandiosi, ma per me era come lavorare alla stessa vecchia cosa. Ma abbiamo messo un po’ di colore quando ho cercato un certo numero di giovani compositori, e ho cercato di aiutarli a trovare un compositore che ha lavorato con loro per un paio di mesi, e poi Hanon è morto, e questo progetto è stato ritardato. Ma poi sono stati fatti dei passi in avanti, hanno messo assieme questo giovane cast e poi sono arrivato anche io. Di solito le cose funzionano che Judith a Hanon hanno un’idea quando scrivono i loro copioni; ad esempio loro vogliono della musica qui, della musica là, scrivono delle parole, qualche volta hanno composto delle poesie bellissime ma testi musicali davvero brutti […] Loro ripongono sempre tantissima fiducia in me. […] Sono davvero lieto del fatto che dispongano di queste nuove attrezzature, perché, anche se adesso loro non possono avere tutta quella musica dal vivo, gli strumenti tecnologici di cui dispongo mi consentono di registrare nel mio studio cose che riguardano il lavoro di una orchestra molto grande, e noi possiamo cogliere ogni singolo verso o battuta, accelerare a richiesta, spingere le cose in avanti; anni fa, circa quindici, diciotto anni fa, dovevamo usare le cassette, e questo era mortale: qualche volta dovevi aspettare due o tre secondi perché il nastro fosse al punto giusto, e due o tre secondi a teatro è un suicidio. Tu devi ottenere tutto in un lampo, e adesso abbiamo la tecnologia con cui faremo passi avanti, e siamo ad un buon punto grazie ad essa, e molto presto vedremo i risultati. Uno dei miei più grandi piaceri è mettere a punto un’idea che ho avuto nel mio studio, risuonarla qui per insegnarla alla

gente e per capire se funziona; ma poi la riporto indietro nel mio studio, la perfeziono con un arrangiamento da grande orchestra, e poi la rifaccio partire nello spettacolo e vedo come il pubblico reagisce; e vedo i loro corpi che iniziano a muoversi, e le loro teste che vanno su e giù, e questo mi rende sempre molto felice perché so che abbiamo una connessione. […] C’è da dire che un sacco degli attori che lavorano nel Living Theatre non hanno nessun tipo di training musicale. Questa è una cosa con la quale un compositore deve sempre lavorare; devi sempre scoprire che diverso livello ha ciascuno e cercare di creare un traguardo che possa includere il loro intero continuo di abilità. […] Ma adesso noi abbiamo questi nuovi strumenti tecnologici […] che compongo questi loop musicali che funzionano dietro le battute; tu puoi avvolgere e saldare ogni singola battuta, e con un click si va alla prossima sezione. […] Per quanto riguarda la musica probabilmente la storia più importante da raccontare concerne la fine di Eureka!, che si chiude con la big song, che è intitolata It Ain’t Over

Yet! (We Are the Big Bang)37. Judith ha menzionato questa canzone

durante il processo delle prove. E io le ho detto che una delle cose per le quali il Living Theatre ha sempre sofferto è che loro hanno sempre lavorato linearmente, hanno sempre preso il via dall’inizio dello spettacolo, e quando lo spettacolo era scritto giungevano al finale, ma mentre si accingevano a lavorare al finale si era troppo vicini alla serata di apertura e tiravamo fuori un’idea all’ultimo minuto, e allora ho detto: “Adesso facciamo le cose in modo diverso! Voglio fare a modo mio questa

volta!”. Quindi ho detto loro: “Datemi le parole per la canzone finale prima che potete!”. Volevo saltare direttamente alla fine dello spettacolo,

il che è ciò che faccio spesso quando compongo. Qualche volta compongo la fine del pezzo per prima, e poi ogni cosa che va prima è solo il modo in cui tu vuoi raggiungere quel finale. Per me è come dare un’occhiata ad una mappa e dire: “Voglio andare a Roma!”. Ma adesso potrei dire: “Ma

37 Il testo della canzone è integralmente riportato a pag. 126 di questo elaborato. Ed è sotto le note

danzanti di It Ain’t Over Yet! (We are the Big Bang) che prende forma il Free Flow finale (in precedenza descritto), modello di una nuova società, di un mondo migliore, di una visione utopica. Il clima profondamente liberatorio ed entusiasta di quest’ultimo Free Flow è fondamentalmente generato proprio da questo pezzo musicale, che contribuisce a declinare, in chiave però gioiosamente utopistica, l’ideale artaudiano di un teatro come luogo in cui dare spazio ad

come voglio arrivare a Roma? Voglio andarci direttamente? Voglio fare con calma? Voglio andare un po’ in giro?”. Ma quando sai quale è la tua

destinazione, puoi decidere come vuoi programmare il tuo viaggio. E quindi Judith mi ha dato qualcosa che non era nemmeno un testo musicale. Io le ho detto: “Butta giù semplicemente qualche verso, qualche idea o

qualsiasi messaggio tu voglia”. E questo è quello che abbiamo fatto per un

pezzo di Rules of Civility, per il quale loro mi hanno dato solo delle parole chiedendomi di combinarle secondo qualsiasi ordine queste richiedessero. Così io sono riuscito a prendere quelle parole e a metterle in ordine in una canzone che avesse senso per me, e ho creato questo pezzo che, come ho detto prima, rispecchia quanto mi piaccia cimentarmi in così tanti diversi generi musicali. E questo pezzo ha non il suono ma il sentimento che ritrovi alla fine di Hey Jude38 dei Beatles, che tra l’altro è un pezzo del 1968, un anno davvero importante per questa Compagnia. Questo è quello che abbiamo fatto e sembra davvero che funzioni; e ho constatato che, una volta che la canzone è stata scritta nella prima fase della stesura dello spettacolo, poi sono stato in grado di prendere diversi temi da quella canzone e di usarli come variazioni, girarli al rovescio, e fare tutte quelle cose che un compositore fa con un tema per ottenerne tutto il possibile, e metterli in diverse parti dello spettacolo, scavandovi dentro. Quindi in quel modo diventa un lavoro totalmente integrato, e questa è una delle ragioni per le quali appare così. E io sono felice del fatto che qualche volta, quando escono le recensioni, loro dicono che si tratta di uno spettacolo molto ben riuscito, ma non fanno menzione alcuna alla musica. Ma nel mio mondo questo significa che ho fatto il mio lavoro perché questo non è un musical. Io voglio che questo sia un pezzo di teatro molto integrato, e che quindi sembri che la musica e il suono siano lì in maniera molto naturale, all’opposto di quando vedi un film e ad un certo punto è come se ti dicesse: “E adesso è il momento per una canzone!”, e il tutto sembra molto artificiale. Significa che ho fatto il mio lavoro, perché ci sono un sacco di film che hanno una musica eccellente, ma gli spettatori

38 Hey Jude, don’t make it bad, / take a sad song and make it better, / remember to let her under

your skin, / then you’ll begin / to make it better. (Ehi Jude, non essere pessimista, / prendi una canzone triste e rendila migliore, / ricordati di lasciarla penetrare nella tua pelle, / allora potrai cominciare / a renderla migliore).

probabilmente non sanno nemmeno se c’è della musica dentro il film; gli chiedi: “Ti è piaciuta la musica?” e loro ti rispondono: “C’è della

musica?” Sì! Ovvio che c’è della musica, ma loro non lo sanno perché il

compositore ha fatto il suo lavoro. Sono felice di ciò, perché mi sento di aver fatto il mio lavoro (Patrick Grant, video-intervista ottobre 2008, New York).

Judith Malina e Patrick Grant all’interno del teatro al 21 di Clinton Street, New York, 2007.

Nel documento Eureka! L'ultima Stagione del Living Theatre (pagine 160-167)