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d’opera tra Judith Malina e gli altri componenti della Compagnia, in primis l’ideatore della scenografia, Gary Brackett, il quale m

Nel documento Eureka! L'ultima Stagione del Living Theatre (pagine 154-157)

racconta:

Ci sono vari punti di vista, e soprattutto per quanto riguarda l’impiego della tecnologia, Judith Malina, in veste di regista, porta avanti una critica importante. Lei, come allieva di Piscator, ha imparato che dobbiamo utilizzare in teatro tutti i mezzi tecnologici del mondo in cui viviamo; la sua epoca era ovviamente quella delle diapositive o dei film, della scala

35 È sempre Marco De Marinis a spiegare come efficacia ed autenticità siano due delle

caratteristiche imprescindibili del Nuovo Teatro. Per efficacia teatrale si intende quella tendenza del teatro a trascendersi e a diventare more than theatre, andando oltre l’essere una semplice esperienza estetica, e fuoriuscendo dai luoghi canonici del teatro, per rispondere invece ad istanze di tipo politico, sociologico, pedagogico, etico, spirituale, culturale. Un teatro efficace è un teatro capace di incidere nelle situazioni in cui va ad operare, influenzando tanto chi fa teatro quanto chi lo fruisce. La seconda nozione chiave è quella di autenticità: superando l’idea di finzione, il Nuovo

Teatro si propone come il luogo in cui ripristinare quell’autenticità che la reale vita quotidiana,

costringendoci a recitare ruoli diversi a seconda dell’interlocutore, ci nega. Il teatro quindi diventa lo spazio del recupero dell’autenticità tanto per l’attore quanto per lo spettatore. Ecco allora che il

Nuovo Teatro si propone di ripristinare quell’efficacia e quell’autenticità che l’avevano

contraddistinto in passato, ai tempi del teatro greco o del teatro medioevale ad esempio, quando il teatro coinvolgeva la comunità e gli individui vi si scoprivano all’interno, e quando la dimensione del rito e quella del teatro erano strettamente connesse (M. De Marinis, Corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo, Il Nuovo Teatro del secondo Novecento: il Living Theatre di Julian Beck e

mobile, della piattaforma girevole: insomma il teatro totale di cui parlava Piscator. E Judith e Julian hanno sempre seguito questa strada. Ma oggi ovviamente, anche rispetto agli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, tutto è cambiato, dal computer ai video, alle proiezioni e alla musica digitale. Sono tante le possibilità di andare ancora più lontano, ma ovviamente ci sono tanti artisti che sfruttano tecnologie, video soprattutto, installazioni, eventi multimediali, multimedia. E qui al Living non abbiamo utilizzato molto queste nuove tecnologie; io sì, nel mio lavoro, ma il Living molto meno; soprattutto forse non c’era il denaro per tutti gli attrezzi. Invece quest’anno, o meglio l’anno scorso, abbiamo preso dal Comune di New York una cifra di circa 60000 euro, per comprare gli attrezzi tecnologici (fonica, audio, proiezioni, soprattutto).

E quando ad Hanon e Judith è venuta l’idea di fare Eureka!, mi hanno chiesto di fare un design per la scenografia di tutto lo spettacolo. Non mi ricordo se abbiamo parlato molto, ma ovviamente abbiamo sempre cercato, almeno io personalmente, di includere questa tecnologia. Quindi ho creato una scenografia e un disegno che erano una proposta di teatro

totale che sfrutta i video soprattutto, gli schermi, le proiezioni. C’era già

l’idea di coinvolgere il pubblico totalmente nello spettacolo, di farlo partecipare. Quindi… non so… a un certo punto è uscito un disegno di questa cupola, una specie di… planetario, dove tu puoi vedere le proiezioni delle stelle. Io ho avuto questa immagine di un planetario, insieme ad una struttura in cui ci si possa arrampicare su questa cupola […] con un teatro interamente trasformato per questo spettacolo. Quindi, visto che abbiamo avuto tutti questi nuovi computer, attrezzi, i video, eccetera, abbiamo sempre parlato di raccogliere le clips, le videoriprese e di mescolarle a delle riprese dal vivo, usando un video mixer, in maniera tale da giocare su questo ambiente in cui abbiamo portato l’universo, l’immagine della scienza, lo spazio stesso ripreso in diretta che con alcuni effetti viene proiettato anche su due grandi schermi. Con altri 50000 dollari avremmo potuto fare anche di più: altri schermi, altre proiezioni, proiettori girevoli, ma va bè! Ci sono i limiti imposti dal denaro. Quindi abbiamo cominciato a raccogliere queste immagini per metterle nello spettacolo. E alla fine, quando tutto era pronto, abbiamo cominciato a proiettare in diretta anche delle immagini dei giorni delle prove, delle prove generali intendo, e queste sono arrivate ovviamente solo all’ultimo momento, e poi un giorno con Judith è venuto fuori un discorso in cui lei sosteneva che lo spettacolo era diventato un film, e lei era molto dispiaciuta: ha detto che non era mai stata intenzione né sua né di Hanon di avere uno spettacolo che sembrasse un film. E io e anche altri attori e attrici non eravamo d’accordo con Judith. Tutti eravamo molto presi dal lavoro che avevamo creato, dalla scenografia, dalla luce pure. Solo lei ha detto questo, e con una certa ragione direi, perché Hanon anche, racconta Judith, voleva che la gente tornasse a teatro, smettendo di guardare uno schermo; e questo è un po’ ironico perché Hanon amava molto i video- giochi, la TV e il cinema. E quindi questa è un po’ l’interpretazione di Judith secondo me, perché Hanon era molto preso dagli schermi. Quindi Judith ha detto agli attori: “Dovete rubare l’attenzione del pubblico da

questi due schermi, perché adesso siamo fra due schermi, fra due film, e l’attenzione del pubblico viene più presa dagli schermi e meno dagli

vanno gli occhi del pubblico: sì, a volte vanno sugli schermi, ma più spesso gli schermi sono solo il fondale, creano l’ambiente, immagini astratte delle stelle, dei buchi neri, del pubblico stesso, questo video feed- back che un po’ distrugge in un certo senso la profondità dello spazio. Ho visto che il pubblico non era distratto; piuttosto, tutti hanno detto che le immagini erano molto giuste, che davano una certa profondità extra sulle tematiche dello spettacolo. Quindi credo che abbiamo raggiunto l’idea del disegno di questa esperienza multimediale, e credo bene che a livello di partecipazione del pubblico e a livello di lavoro degli attori abbiamo fatto uno spettacolo con una specie di soft technology che non ha rubato l’attenzione, ma che invece ci aiuta a raggiungere i livelli che questo spettacolo si era prefisso, e credo che così sia andato molto bene. […] Sto sempre molto attento alle critiche di Judith, relative al pericolo che lo spettacolo diventi un video-show. Nemmeno io lo voglio! Quindi era necessario limitare le possibilità. Il VJ può fare molto: può lavorare molto con le immagini, e molto in velocità. Quindi si deve giocare su un equilibrio tra le possibilità offerte dalla tecnologia e le esigenze del teatro dal vivo. Bisogna cercare sempre questo equilibrio, e a volte anche spingere oltre il limite, cercando di spingere l’attore, cercando questa lotta fra la tecnologia e i corpi viventi rappresentati dal pubblico (Gary Brackett, video-intervista ottobre 2008, New York).

Quest’equilibrio precario cui fa riferimento Gary Brackett può in

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