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Produttore esecutivo e Direttore della scenografia “Living Theatre”

Nel documento Eureka! L'ultima Stagione del Living Theatre (pagine 198-200)

Prima Parte

Trascrizione della video-intervista realizzata nell’agosto del 2007 a New York, nel teatro al 21 di Clinton Street, nel Lower East Side di Manhattan.

(L’intervista è stata rilasciata da Gary Brackett in italiano)

IO: Ad aprile 2007 il Living Theatre ha inaugurato questa sua nuova sede a

Clinton Street. L’ultimo teatro newyorkese, quello sulla Terza Strada, era stato chiuso nel 1993. Cos’è successo in quell’occasione? Perché avete chiuso il Teatro, e perché avete lasciato New York? Cos’è successo durante questi quattordici anni?

GARY BRACKETT: Abbiamo chiuso il Teatro sulla Terza Strada perché i vigili

del fuoco sono arrivati un giorno a controllare che tutte le cose fossero in regola con la legge, le luci di emergenza, le norme antincendio e il resto, e noi non eravamo in regola, e ci hanno detto tutte le cose che dovevamo fare per mettere tutto in regola, ma alla fine questo ci sarebbe costato parecchi soldi; naturalmente non avevamo tutti i soldi necessari per fare ciò, e quindi abbiamo deciso di chiudere. Ma la decisione è stata comunque abbastanza facile perché non c’erano comunque i soldi per pagare l’affitto; quindi, come al solito per noi al Living, era un problema di soldi, di amministrazione, di avere soldi abbastanza per continuare. Quel periodo era molto fertile sulla Terza Strada; eravamo molto coinvolti nel quartiere, con gli anarchici, con gli “squatters”, con i giovani, i comunisti, con chiunque viveva in quel quartiere…. chiunque era legato a noi come ad uno spazio in cui era possibile organizzare meetings, assemblee, concerti, poesia, qualsiasi cosa… una sorta di centro sociale; in realtà pagavamo un affitto, quindi non era un vero centro sociale, ma un centro in cui le persone venivano, e si trattava di persone interessate alla politica del quartiere. E io credo che questa sia una delle ragioni per cui il Comune ci ha mandato i vigili del fuoco e noi siamo stati costretti a chiudere. A quel punto io stavo già lavorando a Bologna, Napoli e altre piccole città, e facevo avanti e indietro tra l’Europa e New York, e

abbiamo continuato a fare gli spettacoli di strada, come Not in my name, girando qualsiasi teatro, come ad esempio nell’East Village. Facevamo più o meno uno spettacolo nuovo ogni anno, prima per strada poi in teatro; abbiamo continuato sempre a lavorare in Europa, soltanto in Italia, ogni tanto in Germania e in qualche altro Paese, creando nuovi lavori, facendo sempre stages, seminari, workshops, e così abbiamo continuato fino al ’99, quando il Comune di Rocchetta Ligure ci ha chiesto di venire là per lavorare e vivere in un grande Palazzo del Seicento, e hanno creato proprio lo spazio per noi.

Abbiamo detto: “Abbiamo bisogno di stanze, letti, sale prove, ecc.”, e hanno costruito proprio per noi gli ultimi due piani di questo grande palazzo. Quindi, stando lì, cercavamo di entrare in questo ambiente di questo piccolo paese sulle montagne. C’erano persone molto miste: fascisti (al tabaccaio trovi il calendario di Mussolini), oppure c’era questo partigiano famoso, Carlos, e tra questi due estremi c’erano tanti gradi di grigio, di giovani, cattolici, ragazzi, vecchi, soprattutto vecchi, perché, come spesso succede nei piccoli paesi d’Italia, i giovani scappano e restano solo i vecchi…. quindi eravamo lì come una seconda invasione; la prima invasione era stata dei Tedeschi, la seconda era la nostra. Quindi alla fine abbiamo continuato a lavorare in Italia con piccole tournée, i soliti laboratori… alla fine abbiamo perso anche quello spazio, per colpa di chissà, del centro-sinistra? Di quegli stronzi dei cristiano-democratici, tutti quelli che dicono: “Sì, vogliamo il Living Theatre!”, ma non firmano mai l’assegno che paga l’affitto; e quindi tra i perenni litigi tra la destra e la finta sinistra in Italia abbiamo perso il nostro spazio. Dico finta sinistra perché sono capitalisti di merda. Prodi è un neo-liberista, capitalista, non sa niente di arte, solo parla con la bocca, ma le sue azioni non seguono le sue parole. Quindi colpa sua e di tutti gli altri, della provincia di Alessandria e della Regione Piemonte… colpa loro se abbiamo perso il nostro spazio. Di sicuro loro dicono: “Non è colpa nostra, è

colpa di Berlusconi!”… Va beh! E’ lo stesso discorso di questa specie di politica

nel mondo.

Dopo quel periodo io ho continuato a girare in Italia, facendo laboratori, il mio lavoro, testi, piccoli spettacoli… io non avevo nessun interesse a tornare a New York, fino a quando Judith mi ha chiesto di tornare qui per aprire questo nuovo spazio; all’inizio era una cosa solo virtuale, ma quando mi ha detto che aveva firmato un contratto per l’affitto di questo spazio ho deciso di tornare qui.

IO: Quando The Brig è stato messo in scena per la prima volta, nel 1963,

denunciava una realtà all’epoca ancora sconosciuta. Poi sono stati realizzati film come “Full Metal Jacket” e “Platoon”; ma soprattutto, oggi, gli spettatori hanno ben in mente le immagini delle prigioni militari americane, che provengono dall’Iraq e da Guantanamo. Credi che The Brig possa avere oggigiorno un effetto analogo a quello ottenuto quarantacinque anni fa?

GARY BRACKETT: Ma forse è meglio se chiedi agli spettatori, ma se chiedi a

me… non lo so sinceramente… chissà… guardano lo spettacolo come ad una cosa storica, un revival. E’ difficile capire. Abbiamo invitato una scuola di teatro e c’era un giovane tra il pubblico che non era convinto per niente su questo spettacolo, era proprio freddissimo di fronte a quello che aveva visto, e diceva che era vecchio, che il teatro era già andato oltre questa forma di spettacolo: e questo è vero, ma non lo è allo stesso tempo. Questo tipo di discorso non mi interessa perché è come dire che Bach, Beethoven o Charlie Parker è vecchio… è assurdo questo, è una forma di cinismo. Io ho detto a questo giovane: “Tu sei uno stronzo!

Appartieni all’elite! Sei una persona privilegiata che hai questo privilegio di dire questo a noi.” Immagina quante persone non vanno a teatro neanche in Italia,

specialmente in America. Vanno a Broadway, a vedere quelle produzioni che cercano di fare quella specie di teatro che per noi è teatro commerciale, un teatro che non parla di molto.

Quindi secondo me questo The Brig di oggi è nuovo per non tante persone che vengono a vederlo, perché abbiamo sentito da loro che era molto forte, troppo forte, duro, crudele, come hanno sempre detto, e quindi credo che sia un bene che l’abbiamo riproposto, perché ancora propone la stessa domanda di oggi: “Che può

fare il teatro?”, “Perché vai a teatro?”, “E’ sufficiente stare lì zitto nel buio guardando in scena gli attori che fanno la loro roba?”

E quindi, per esempio, perché quel ragazzo che era così critico riguardo questo spettacolo non si è alzato dalla sua sedia e non ha detto: “Basta! Fermate questa

tortura!”… Lui non l’ha detto, perché anche lui è abituato a stare zitto in teatro.

Quindi è quello il problema oggi in teatro, il pubblico non sa che cazzo si fa: stare lì zitto, oppure uscire dal teatro come Artaud ha detto, e andare fuori e guardare con nuovi occhi il mondo; e ci sono pochi che fanno ciò, ci sono pochi spettacoli

Nel documento Eureka! L'ultima Stagione del Living Theatre (pagine 198-200)