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Giochi di sponde

1.

Attorno al vessillo di San Marco

L'Associazione San Marco si era costituita ufficiosamente a Venezia nel marzo del 1919 con l'intento «di far valere e salvaguardare gli interessi di Venezia e delle Terre Venete»1; per quel primo anno di attività il programma – reso pubblico alla fine del mese attraverso “Il Gazzettino” – prevedeva che il sodalizio venisse solennemente istituito nel giorno di San Marco (25 aprile), si dotasse di un organo di stampa settimanale e provvedesse ad organizzare e gestire la fiera dell'Ascensione (dal 29 maggio al 15 giugno), la festa del Redentore (20 luglio) ed una gita popolare in Istria e Dalmazia (21 settembre)2. Sebbene si presentasse come «apolitica», l'associazione manifestò fin dal principio una indubbia inclinazione verso le istanze e le parole d'ordine tipiche dell'irredentismo e del nazionalismo: non era del resto irrilevante che a far parte della sua presidenza fossero state chiamate figure del calibro di Piero Foscari, Filippo e Mario Nani Mocenigo, del sindaco di Venezia Filippo Grimani o delle contesse Mocenigo, Albrizzi e Valmarana – veri e propri alfieri delle rivendicazioni adriatiche3.

1 Un primo accenno al programma si trova in una lettera indirizzata dall'associazione al sindaco di Venezia in data 26 marzo 1919, lettera conservata in: AMV, 1915-1920, XI,11,54. Dal documento si apprende inoltre che, a quella data, l'Associazione San Marco era stata ormai costituita «in massima»

e si poneva l'obiettivo di costituire sezioni in tutte le province del Veneto, del Trentino, dell'Istria e della Dalmazia, fissando la sede della Presidenza generale a Venezia. Al destinatario della lettera veniva poi comunicata l'acclamazione a membro della Presidenza generale (che sarebbe rimasta in carica sino alla fine del 1919). Grimani veniva infine convocato all'adunanza fissata per domenica 30 marzo presso Palazzo Maruzzi ai Greci, sede provvisoria del sodalizio; con una lettera di risposta, datata 29 marzo, il sindaco avrebbe quindi declinato l'invito per il giorno seguente, adducendo a motivo la sua assenza dalla città.

2 Si vedano gli articoli La grande Società S. Marco e Il programma per il 1919, in “Il Gazzettino”, 30 marzo 1919. Per questa specifica annata, dallo spoglio dei principali quotidiani veneziani non sono emersi riscontri circa l'effettiva attuazione del programma per quanto concerne l'organizzazione della festa del Redentore e della gita in Istria e Dalmazia: verosimilmente, la difficile situazione finanziaria in cui versava l'associazione dopo la gestione della fiera dell'Ascensione impedì che altre iniziative potessero aver luogo.

3 La grande Società S. Marco, in “Il Gazzettino”, 30 marzo 1919. La testata giornalistica elencava i nominativi di alcuni membri della Presidenza generale: tra le donne, contessa Costanza Mocenigo, cont. Albrizzi, cont. Valmarana, signora Calzolari, cont. Brandolin Gabriella, cont. Papadopoli; tra gli uomini, G. Alverà, avv. Casellati, conte Labia, co. Nani Mocenigo, sen. Bandolin, sen. Grimani,

Con il sostegno della locale amministrazione, la prima manifestazione ideata e coordinata da questo gruppo dirigente si tenne dunque a Venezia il 25 aprile 1919.

Lungi dal rappresentare il mero atto costitutivo ufficiale del sodalizio, l'evento assunse la forma di una grande dimostrazione in favore delle pretese italiane su Fiume e sulla Dalmazia, una «affermazione di solidarietà veneta» in aperto disaccordo con quanto veniva allora prospettato dalle trattative di pace in corso a Versailles4.

Le molte rappresentanze che quella mattina vennero fatte confluire nel cortile di Palazzo Ducale avevano sfilato per le vie di una città imbandierata di tricolori e addobbata di scritte in favore di Sonnino e di «Fiume italiana», mentre tra la folla in Piazza San Marco gruppi di donne distribuivano cartoline e fiori pro mutilati di guerra.

La banda cittadina aveva aperto il corteo giunto dalle Mercerie: la seguivano la bandiera del Comune (tenuta dal presidente dei reduci delle patrie battaglie e scortata dal sindaco Grimani, dalla giunta municipale e dalle bandiere decorate di Vicenza e Osoppo), i vessilli delle associazioni cittadine e quelli delle «terre venete»5. Accolte nel cortile, le diverse compagini furono quindi disposte ordinatamente davanti a quei Cavalli di bronzo che presto sarebbero stati riposizionati sulla Basilica. Il vessillo dell'Associazione San Marco, scortato da membri del Consiglio direttivo e da soci, prese posto presso la Scala dei Giganti; da lì il procuratore generale del sodalizio, l'avvocato Antonio Pellegrini, tenne il discorso ufficiale sottolineando che il popolo era

G. U. Volpi, co. Donà dalle Rose, comm. Degan, co. F. Pellegrini, co. Mario Nani Mocenigo, Piero Foscari. Nella già citata lettera del 26 marzo 1919 veniva inoltre evidenziata la composizione della giunta esecutiva dell'associazione: Gian Luigi Andrich, Aristide Anzil, Aurelio Bianchini, Silvio Camin, Guglielmo Demin, Pietro Genovesi, Pier Luigi Mozzetti Monterumici, Antonio Pellegrini, Francesco Zennaro.

4 Per la ricostruzione dell'evento si vedano gli articoli: Imponente affermazione di solidarietà veneta nella solennità del 25 Aprile, in “San Marco”, 3 maggio 1919; Venezia afferma solennemente il diritto italico sulle terre di S. Marco. La grandiosità della manifestazione, in “Il Gazzettino”, 26 aprile 1919. Si veda anche: Ordinamento del corteo per la cerimonia del 25 Aprile, in “Il Gazzettino”, 24 aprile 1919. Per una contestualizzazione delle trattative di pace alla fine del conflitto, cfr. Marina Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, 1866-2006, il Mulino, Bologna 2007, pp. 117-128.

5 Dallo studio dei documenti a disposizione non emerge un quadro del tutto chiaro rispetto alla complessiva gestione delle sfilate e dell'ingresso in Palazzo Ducale attraverso la Porta del Frumento.

Stando all'articolo Imponente affermazione di solidarietà veneta nella solennità del 25 Aprile presente nel primo numero del settimanale “San Marco” – organo di stampa ufficiale dell'omonima associazione – nel corteo giunto dalle Mercerie erano presenti le seguenti bandiere: Associazione S.

Marco, veterani del 1848-1849, superstiti garibaldini, ex carabinieri, ex finanzieri, Nave Scilla; le città di Capodistria, Trento, Parenzo, Trieste, Gorizia, Pola, Rovigo, Udine, Chioggia; bandiera dei profughi dei Sette Comuni, Rovereto, Portogruaro. Grazie ad alcuni fiumani giunti da Milano con la loro bandiera si sopperì all'assenza del vessillo ufficiale della città.

stato chiamato lì

in nome del Leone di San Marco, di quell'alato leone che non è morto nei nostri cuori, che glorioso per secoli, si rinnova pieno di giovanile fierezza, splendente di nuova forza, che conscio dei propri diritti, dei diritti d'Italia, è pronto a lanciare alto il suo ruggito contro coloro che a Parigi tentano, ma invano, [di] mercanteggiare due tra le più belle gemme della

“Serenissima”: Fiume e la Dalmazia – terre venete incontestabilmente nostre.6

Lasciando il cortile attraverso la Porta della Carta in un unico lungo corteo, le autorità, le associazioni e le rappresentanze sfilarono davanti alla Basilica per ricevere la rituale benedizione dal patriarca La Fontaine. Poi fu Gabriele D'Annunzio, acclamato dalla folla, a pronunciare un'orazione dai toni accesi, baciando infine la bandiera di Fiume ed intrattenendosi pubblicamente con un gruppo di ex garibaldini in camicia rossa, congratulandosi con loro per aver tenuto alta «la fiaccola dell'Italianità»7.

In quella stessa cornice ebbe luogo anche la prima azione pubblica del locale Fascio di combattimento: il lancio, da Palazzo Reale e dal campanile di San Marco, di migliaia di manifestini inneggianti ai diritti dei combattenti e allo scontro con i bolscevichi. Adoperandosi in quel frangente in iniziative di carattere propagandistico, il Fascio – costituito in quello stesso mese, ospite de “Il Gazzettino” – divideva il campo d'azione con altri sodalizi patriottici, in particolar modo con quelli che facevano riferimento agli ex combattenti, agli ufficiali e agli arditi8. Anche ad ambienti di questo

6 Imponente affermazione di solidarietà veneta nella solennità del 25 Aprile, in “San Marco”, 3 maggio 1919.

7 Venezia afferma solennemente il diritto italico sulle terre di S. Marco. La grandiosità della manifestazione, in “Il Gazzettino”, 26 aprile 1919. Secondo la versione del quotidiano, inizialmente D'Annunzio si tenne lontano dalla folla e solo in un secondo tempo – acclamato – si convinse a parlare. Sulla presenza di D'Annunzio alla manifestazione si veda anche: Gino Damerini, D'Annunzio e Venezia, Mondadori, Milano 1943, pp. 105-106. Si legge infatti: «Il poeta e Filippo Grimani si separarono amici, essi si ritrovarono insieme, non per l'ultima volta, dopo la più stretta e solidale conoscenza della intrepida vita di guerra, nell'imminenza di un altro 25 aprile, quello del '19, in Piazza, davanti alla Basilica per parlare l'uno e l'altro contro i barattieri di Versaglia». In un altro passo del volume, Damerini sostiene non senza retorica che D'Annunzio, riconosciuto, fu portato sulla Loggetta del Sansovino e «costretto» a parlare; prima di essere portato in trionfo, il poeta si proclamava quindi «veneziano» e affermava che non era più tempo di parole (pp. 247-248). Per un inquadramento complessivo dell'opera di Damerini a questo riguardo cfr. Michela Rusi, Damerini biografo di D'Annunzio, in Filippo Maria Paladini (a cura di), La Venezia di Gino Damerini (1881-1967). Continuità e modernità nella cultura veneziana del Novecento. Atti del convegno di Venezia, 1-2 dicembre 2000, numero monografico della rivista “Ateneo Veneto”, n. 38, 2000, pp. 237-252.

8 Giulia Albanese, Alle origini del fascismo. La violenza politica a Venezia, 1919-1922, Il Poligrafo, Padova 2001, p. 29; Renato Camurri, La classe politica nazionalfascista, in Mario Isnenghi e Stuart J. Woolf (a cura di), Storia di Venezia. L'Ottocento e il Novecento, Vol. II, Istituto della Enciclopedia

genere l'Associazione San Marco attingeva per dar vita ad una mobilitazione che poco aveva a che fare con una generica estraneità «a qualsiasi partito politico» in più occasioni rivendicata9. L'accento che si era inteso dare alla manifestazione del 25 aprile sarebbe stato chiaramente evidenziato tra le pagine del primo numero del settimanale “San Marco”:

Intorno al purpureo vessillo dal leone alato si raccolse esultante tutto il popolo veneziano e con esso le rappresentanze e gli stendardi di quelle città che a traverso [sic] i secoli conservarono intatto l'amore a Venezia Dominante, Madre, Sorella. La nostra Associazione nell'indire la grandiosa cerimonia intese darle soprattutto un carattere affatto particolare:

volle cioè che da essa uscisse schietta, sincera, compatta, un'affermazione popolare di sentito affetto e di rinnovata fede a Venezia, volle che i figli non degeneri degli avi nostri, dopo le prove sublimi da essi superate nella troppo lunga dolorosa vigilia di guerra, riaffermassero tutta la loro speranza negli alti destini delle Terre Venete unite per sempre alla gran Madre antica. […] [il 25 aprile] è il primo passo sicuro verso l'estrinsecazione e lo svolgimento di quel complesso di alte finalità che forma il nostro programma di completa redenzione morale ed economica di tutte le Terre Venete.10

La conduzione della ricorrenza del santo patrono metteva in luce non solo la capacità organizzativa dell'associazione, ma anche l'assoluta rilevanza assunta in quel contesto dalla costellazione di simboli che al mito marciano e a quello della Serenissima facevano capo. Si evidenziava allora l'estrema cura con la quale gli organi dirigenti del sodalizio avevano gestito l'utilizzo degli spazi, delle coreografie e dei riti al fine di mobilitare la cittadinanza e l'opinione pubblica verso rivendicazioni di stampo adriatico. Se la tutt'altro che casuale presenza di D'Annunzio sulla scena aveva ad un certo punto catalizzato l'attenzione della folla11, risultò altresì centrale la scelta di Palazzo Ducale quale proscenio per la celebrazione ufficiale: i Cavalli di bronzo, temporaneamente depositati nel cortile e alla cui presenza venne consacrato il nome dell'associazione, rappresentavano uno degli emblemi della rinascita della città dopo il dramma del primo conflitto mondiale. L'azione infaticabile del conte Filippo Nani Mocenigo permise di ottenere quella specifica sede per il giorno stabilito. «Nel giorno

italiana, Roma 2002, p. 1372.

9 Si veda ad esempio l'articolo: Una spiegazione, in “San Marco”, 3 maggio 1919.

10 Imponente affermazione di solidarietà veneta nella solennità del 25 Aprile, in “San Marco”, 3 maggio 1919.

11 AMV, 1915-1920, XI,11,54. Da una lettera del 15 aprile 1919 indirizzata dal presidente dell'Associazione San Marco (Filippo Nani Mocenigo) al sindaco di Venezia si evince che già in quella data era chiara la volontà del sodalizio di avere D'Annunzio quale oratore ufficiale della giornata.

di S. Marco quest'anno Venezia vedrà ritornare i trofei gloriosi che adornavano la Basilica, e la solennità per questo fatto e per le iniziative che il nostro sodalizio sta svolgendo con intenso amore di Patria assorgerà a maggiore e più alto significato»: con queste parole il presidente dell'associazione si rivolgeva al sindaco Grimani. Con quella stessa lettera, datata 12 aprile, Nani Mocenigo chiedeva che sulla torre campanaria della piazza venissero issati il tricolore e le due bandiere veneziane, come era accaduto per l'inaugurazione del nuovo campanile di San Marco nel 191212. Copiosi si facevano quindi i riferimenti ad un passato che si intendeva strumentalmente utilizzare per quell'occasione.

Il fare appello alle remote glorie della Repubblica, invocando contestualmente un ritorno a quelle che venivano allora definite le «nostre tradizioni», rappresentò un punto nodale nell'iniziativa politica (e memoriale) dell'associazione. L'uso programmatico e ideologico dei riferimenti alla venezianità rientrava, del resto, nell'orbita di una classe dirigente cittadina impegnata da tempo in progetti da «Grande Venezia», da città moderna e rivolta al più ampio scenario adriatico: una parabola iniziata ben prima del deflagrare della Grande Guerra13. Non per caso, dunque, l'amministrazione Grimani aveva significativamente ricevuto in Municipio, la mattina del 25, una rappresentanza della compagine appena costituitasi. E ancora nel maggio di quell'anno il settimanale “San Marco” ribadiva che gli obiettivi prestabiliti si sarebbero concretizzati

12 AMV, 1915-1920, XI,11,54. Lettera dell'Associazione San Marco al sindaco di Venezia, 12 aprile 1919. L'analisi del materiale conservato in questa busta ha permesso inoltre di riscontrare come il sodalizio avesse tessuto la tela dei rapporti istituzionali tanto con il Municipio quanto con altre importanti istituzioni – come ad esempio la Direzione delle Belle Arti e la Fabbriceria di San Marco – proprio per ottenere che la quadriglia di bronzo fosse depositata nel cortile di Palazzo Ducale in tempo per la festa del santo patrono (per altri riferimenti ai Cavalli di San Marco cfr. lettere dell'associazione al sindaco di Venezia, 15 aprile e 20 aprile 1919). Sempre Filippo Nani Mocenigo con una lettera datata 14 aprile e indirizzata a Grimani esplicitava i «patriottici scopi»

dell'associazione e chiedeva la concessione della banda cittadina; con un telegramma (s.d.) si domandava inoltre che ad intervenire alla cerimonia fossero anche il sindaco e bandiera decorata del Comune. Nella seduta del 18 aprile 1919, infine, la giunta municipale deliberava di concedere il sevizio della banda cittadina.

13 M. Isnenghi, D'Annunzio e l'ideologia della venezianità, in Emilio Mariano (a cura di), D'Annunzio e Venezia – Atti del Convegno (Venezia, 28-30 ottobre 1988), Lucarini, Roma 1991, pp. 229-244 (ripreso poi nel saggio: Il poeta-vate e la rianimazione dei passati, in Id., L'Italia del Fascio, Giunti, Firenze 1996); Maurizio Reberschak, Filippo Grimani e la “nuova Venezia”, in M. Isnenghi e S. J.

Woolf (a cura di), Storia di Venezia, cit., Vol. I, pp. 323-347; id., Gli uomini capitali: il “gruppo veneziano” (Volpi, Cini e gli altri), in M. Isnenghi e S. J. Woolf (a cura di), Storia di Venezia, cit., Vol. II, pp. 1255-1311.

col ridestare il culto delle antiche memorie nelle terre tradizionalmente venete, e dovunque esistono tracce di venezianità, col rinnovare l'entusiasmo patrio e la devozione che già animavano i figli di S. Marco per la grandezza della loro terra, col perpetuare le tradizioni di lavoro, d'arte e di ricorrenze locali di sviluppare permanentemente un'azione che, secondo i mezzi disponibili e l'opportunità, miri a spingere Venezia e tutte le terre del Veneto sulla via del progresso, curandone e tutelandone gli interessi regionali e locali”.14

Questo richiamo enfatico ad orizzonti del passato aveva l'effetto di porre al centro del discorso pubblico l'ex Dominante (e, con essa, l'Italia intera) e di mettere nel mirino l'altra sponda del «golfo di Venezia». Mentre anche nella città lagunare le rivendicazioni sull'«italianità» di Fiume e della Dalmazia15 trovavano ampio spazio, diveniva fondamentale per i gruppi patriottici, nazionalisti ed irredentisti riuscire a stringere quante più forze possibili attorno al vessillo marciano. In questa prospettiva, l'immagine della «vittoria mutilata» – parola d'ordine tutta dannunziana – non poteva che figurare anche nell'armamentario retorico dell'Associazione San Marco: «La tutela degli interessi regionali è così necessaria, è talmente sentita da tutti che la popolazione veneta trentina, istriana e dalmata sarà tra brevi giorni unita in un unico potente fascio tanto più invincibile in quanto il legame diviene ora più fraterno e più intimo dalla minacciata mutilazione delle aspirazioni nazionali»16.

Lo statuto del sodalizio, anch'esso reso pubblico tra le pagine del periodico “San Marco”, chiariva le linee d'azione che il gruppo aveva delineato per il più lungo periodo: operare al fine di risvegliare «nelle popolazioni venete» la coscienza dei loro diritti, soprattutto in riferimento al tema della ricostruzione postbellica; muoversi nel campo «dei problemi economici e morali d'interesse regionale»; tessere una rete di relazioni tra le città e le provincie venete; condurre iniziative al fine di «assicurare agli operai ed ai contadini un equo trattamento sociale»; lavorare per il decentramento e le autonomie degli enti locali; rinnovare le «antiche tradizioni locali di lavoro, di industria e di arte»; ridestare «il culto delle antiche gloriose memorie venete»17.

14 Una spiegazione, in “San Marco”, 3 maggio 1919.

15 Per una contestualizzazione delle occupazioni militari italiane nell'immediato primo dopoguerra cfr.

Raoul Pupo, Attorno all'Adriatico: Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia, in Id. (a cura di), La vittoria senza pace. Le occupazioni militari italiane alla fine della grande guerra, Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 73-86; M. Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, cit., pp. 128-134.

16 Una spiegazione, in “San Marco”, 3 maggio 1919.

17 Statuto dell'Associazione “San Marco”, in “San Marco”, 3 maggio 1919. L'articolo evidenziava anche il tentativo da parte del gruppo di coinvolgere efficacemente in questa azione gli studenti;

L'attenzione verso il «Veneto devastato» e le terre liberate si legava, più in generale, al rapporto centro-periferia, a quella «intollerabile dipendenza dal potere centrale» che si era resa evidente per via delle gravi conseguenze prodotte dal conflitto. Secondo queste premesse, gestire la fiera dell'Ascensione – la venezianissima «fiera della Sensa» – doveva contribuire a produrre proprio quell'unione tra concreti interessi economico-commerciali e simbolica fascinazione per il passato.

L'organizzazione della fiera, tuttavia, gravò pesantemente sul bilancio del sodalizio.

Rivolgendosi al ministro della Casa Reale, nel luglio del 1919 Filippo Nani Mocenigo riferiva che l'associazione aveva gestito la fiera dal 29 maggio al 20 giugno, un evento che si era concluso con un passivo di 25.000 lire soprattutto a causa delle varie concessioni fatte alle cooperative di lavoro «anche allo scopo di pacificazione sociale e di elevare le classi operaie». Si doveva quindi provvedere a colmare il deficit per l'anno in corso – scriveva il presidente – se si voleva che l'iniziativa avesse seguito negli anni a venire: in questo senso, la generosità del sovrano avrebbe rappresentato il riconoscimento non solo dell'opera svolta per la patria dalla compagine veneziana, ma anche per un evento di caratura nazionale tendente «allo sviluppo industriale d'Italia ed alla esportazione dei prodotti italiani verso l'Oriente, attraverso i Porti dell'Adriatico»18.

Sulla base di reti di relazioni ormai consolidate, in favore di questa richiesta intercedeva presso il ministro – con una lettera datata 28 luglio – il deputato di Venezia Girolamo Marcello. Le informazioni raccolte il mese successivo dal Ministero presso il prefetto di Venezia rivelavano non solo le concrete condizioni in cui versava il sodalizio, ma anche parte delle sue dinamiche interne:

L'associazione S. Marco, a favore della quale si chiede un sussidio, è composta di 564 soci tra ordinari, perpetui e benemeriti, appartenente al ceto più elevato della città. La sua situazione finanziaria e il suo andamento lasciano però molto a desiderare perché conta già nel bilancio un passivo di L. 25 mila. Non risulta che sia aiutata da enti o da privati, e vive con la quota versata dei soci che è di L.5 annue per i soci ordinari, di L.100 per i soci perpetui e di L.500, una volta tanto per i soci benemeriti. L'opera di detta associazione mira a tutelare gli interessi di Venezia e della Regione, promuovendo lo sviluppo delle relazioni tra Città e provincie venete, esaminando e trattando problemi economici e morali di interesse regionale. In realtà non ha destato molto l'associazione denunciava inoltre in quella sede di aver incontrato una (non meglio precisata) opposizione ai propri intenti.

18 ACS, Min. Real Casa – Divisione I – Segreteria Reale (1916-1920), b. 832, f. 4457. Lettera dell'Associazione San Marco al ministro della Casa Reale, 15 luglio 1919.

interessamento nel pubblico e l'opera sua anzi non sempre ha raccolta la generale approvazione

interessamento nel pubblico e l'opera sua anzi non sempre ha raccolta la generale approvazione