Già sul finire del XIX secolo, in Italia il fenomeno irredentista aveva assunto una connotazione decisamente aggressiva, declinando il tema del completamento dell'unità nazionale secondo pronunciate aspirazioni in senso imperialista22. Nel primo decennio del Novecento sorsero a Venezia le sezioni dell'Associazione Trento e Trieste, della Società Dante Alighieri e del Circolo Garibaldi pro Venezia Giulia: con naturali differenze e parziali sovrapposizioni, tali compagini rappresentarono l'anima del tessuto irredentista cittadino. Trovando in questo una perfetta convergenza con le mire industrialiste del gruppo di Volpi e Foscari da un lato e la retorica navalista di D'Annunzio dall'altro, esse si fecero interpreti di un discorso che univa alle rivendicazioni territoriali un uso strumentale dei simboli connessi al mito di Venezia Serenissima23. Le connessioni stabilite nell'anteguerra tra imperialismo adriatico, movimento irredentista e nuova destra nazionalista – preminenti le figure di Alfredo Rocco e Gino Damerini – si sarebbero rivelate decisive per le sorti della città:
l'accelerazione impressa prima dalla campagna per l'intervento, poi dagli anni del conflitto mondiale (la città divenne dall'agosto del 1914 capitale non solo simbolica di un rilevante fenomeno di immigrazione adriatica), avrebbe contribuito a rafforzare a
22 Cfr. M. Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, cit., pp. 43-46; Giovanni Sabbatucci, Il problema dell'irredentismo e le origini del movimento nazionalista in Italia, in “Storia contemporanea”, 1, 1970/4, pp. 467-502.
23 Cfr. Giovanni Sbordone, Al primo colpo di cannone. La crisi delle certezze socialiste di fronte alla Grande guerra, Ediesse, Roma 2016, pp. 98-99; Emilio Franzina, Una regione in armi (1914-1918), in Id., La transizione dolce. Storie del Veneto tra '800 e '900, Cierre, Verona 1990, pp. 374-378;
Luciano Pomoni, Il Dovere Nazionale. I nazionalisti veneziani alla conquista della piazza (1908-1915), Il Poligrafo, Padova 1998, pp. 206-209; Giulia Albanese, Pietro Marsich, Cierre, Sommacampagna 2003, pp. 19-38; M. Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, cit., 93-102. A Venezia, la Dante Alighieri – inizialmente legata ai radicali – si collocò sul fronte filonazionale e antisocialista in concomitanza con la guerra di Libia; la Trento e Trieste (fondata a Vicenza nel 1903 e in breve capace di assorbire anche componenti del mondo cattolico e del clero) era nata anche per mettere in campo un'azione più concreta rispetto a quella della Dante Alighieri, da molti considerata ormai focalizzata nel solo ambito culturale. Si veda anche: Giovanni Giuriati, La vigilia. Gennaio 1913 – maggio 1915, Mondadori, Milano 1930 (in particolare alle pp. 32-48).
Venezia un già diffuso sentimento patriottico letto in chiave antiaustriaca24.
Dopo la guerra, le locali sezioni della Trento e Trieste e della Dante Alighieri – già appartenenti a quella radicata galassia interventista e attive in favore di patronati e comitati cittadini tra 1915 e 191825 – divennero luoghi di elaborazione e trasmissione di linguaggi e pratiche fortemente connessi all'immagine di un'Italia eroica ma defraudata della vittoria. La retorica patriottica del «risveglio» della città valicava allora i labili confini che la dividevano dalla sfera delle aspirazioni ravvivate dalla fiamma dell'irredentismo e del nazionalismo adriatico: anche in ragione della sconfitta di quel nemico che aveva attentato alla sua libertà, alla sua storia e al suo patrimonio di bellezza, Venezia – e con essa l'Italia intera – doveva ambire alla pienezza del
«trionfo», a quelle terre che ancora mancavano all'appello. Simili parole d'ordine avrebbero quindi permeato le iniziative memoriali di quelle associazioni patriottiche che non tardarono ad attestarsi su posizioni da «vittoria mutilata».
Particolarmente attivo nel contesto socio-culturale veneziano del primo dopoguerra fu il gruppo femminile della locale sezione della Trento e Trieste: sotto la guida della contessa Costanza Mocenigo, da subito esso diede vita a numerose iniziative nel campo della beneficenza, diventando allo stesso tempo portavoce delle pretese della
«regina dell'Adriatico», unendo all'azione memoriale quella politica.
Nel novembre del 1918, sulla base delle decisioni prese dal Consiglio della sezione svoltosi nelle sale di palazzo Gritti Faccanon, le socie veneziane si attivarono per raccogliere indumenti ed offerte in denaro per i «fratelli redenti». Proprio “Il Gazzettino” divenne allora la cassa di risonanza ideale per la diffusione di appelli e indicazioni affinché il progetto raggiungesse il pieno successo: dalle pagine del quotidiano si apprendeva ad esempio che gli abiti sarebbero stati raccolti presso le dimore di alcune aderenti, in Campo Bandiera e Moro e presso San Marcuola, mentre
24 Cfr. Renato Camurri, Istituzioni, associazioni e classi dirigenti dall'Unità alla Grande Guerra, in M.
Isnenghi e S. J. Woolf (a cura di), Storia di Venezia, cit., Vol. I, pp. 285-291; Bruna Bianchi, Venezia nella Grande guerra, in M. Isnenghi e S. J. Woolf (a cura di), Storia di Venezia, cit., Vol. I, pp. 360-362; L. Pomoni, Il Dovere Nazionale, cit., in particolar modo alle pp. 214 e sgg. Il Gruppo nazionalista di Venezia, sorto nel gennaio del 1911, poté ben presto contare sull'esperienza di importanti membri del movimento irredentista veneziano, come ad esempio Piero Foscari e Giovanni Guriati (prima l'uno, poi l'altro a capo della Trento e Trieste), Giovanni Chiggiato (che fu presidente della locale sezione della Dante Alighieri) e Alberto Musatti.
25 Per un esempio riguardante l'attività della sezione veneziana della Dante Alighieri durante il conflitto (il patronato veneziano dei rimpatriati) si veda: AMV, 1915-1920, VI,2,34.
alcuni incaricati appartenenti ai diversi gruppi dell'associazione avrebbero raccolto il denaro sia nella sala del palazzo Gritti Faccanon, sia presso famiglie e negozi26. Una
«intensa opera diretta alla completa fusione col Regno delle provincie ormai nostre per sempre della Venezia Giulia e della Dalmazia» – si leggeva ne “Il Gazzettino” del 24 novembre – che con l'estensione dell'appello alle principali città d'Italia, di fatto faceva della sezione il centro nazionale per la raccolta del materiale a beneficio delle «terre liberate»27. In quest'ambito si inserirono anche le cosiddette «passeggiate», pratiche attraverso le quali squadre di socie e di giovani studenti appartenenti alla Trento e Trieste raccoglievano offerte presso gli esercenti della città, incitando a rispondere «col consueto slancio di patriottismo alle voci d'amore e di dolore che giungono a noi da Trieste e da Pola, da Fiume, da Zara e da Spalato»28. La stessa delegazione del gruppo femminile veneziano non avrebbe mancato l'occasione di raggiungere Fiume per dispensare direttamente le offerte raccolte29.
La pesca di beneficenza organizzata nell'aprile del 1919 in favore dei bambini delle
«terre redente» avrebbe quindi messo in luce le influenti conoscenze di cui il gruppo poteva avvalersi anche al di fuori dei confini della città lagunare: anche grazie all'intercessione di una dama di corte, l'associazione ottenne dalla regina un dono (una statua di bronzo su colonna) che avrebbe concorso al buon esito dell'iniziativa. In quella stessa circostanza, anche il prefetto di Venezia dava il suo parere favorevole alla domanda, affermando che la compagine comprendeva «le più elette dame dell'aristocrazia e le più distinte signore della borghesia Veneziana» e assicurando che l'iniziativa era delle più serie30.
26 Cfr. “Il Gazzettino”, 10 novembre 1918.
27 La Trento Trieste nelle province redente, in “Il Gazzettino”, 24 novembre 1918.
28 La passeggiata d'oggi a beneficio dei fratelli redenti, in “Il Gazzettino”, 28 novembre 1918. Per il 1918 si vedano anche: La passeggiata della Trento-Trieste, in “Il Gazzettino”, 29 novembre; La passeggiata della Trento-Trieste, in “Il Gazzettino”, 30 novembre; La Trento-Trieste e la passeggiata d'oggi, in “Il Gazzettino”, 1° dicembre.
29 La “Trento e Trieste” ai bambini di Fiume, in “Il Gazzettino”, 30 dicembre 1918.
30 ACS, Min. Real Casa – Divisione I – Segreteria Reale (1916-1920), b. 759, f. 411. Il 12 aprile 1919 la presidentessa Costanza Mocenigo scriveva ad una contessa (verosimilmente una dama di corte):
«La nostra associazione ha indetto una pesca di beneficienza [sic] per i bambini delle terre redente: a tutti abbiamo chiesto il loro concorso, e tutti hanno generosamente risposto all'invito. Per rendere tangibile il nostro sforzo, nulla vi sarebbe di più lusinghiero che se S. M. la Regina volesse inviarci un dono che essendo da tutti ambito ci permetterà una larga e disputata vendita di biglietti. Non dubitando che se Ella vuol appoggiare tale domanda essa venga subito esaudita, Le preghiamo voler assicurare Sua Maestà della perfetta devozione della società alla Sua Augusta Persona, e gradire, gentile Contessa, i miei più cordiali saluti». Il 18 aprile, quindi, dal Ministero della Casa Reale
Ancora nell'estate del 1919, mentre il Consiglio centrale dell'associazione faceva pressione sulla giunta Grimani affinché questa aderisse alla protesta per i «sacrosanti diritti nazionali italiani» su Fiume e sulla Dalmazia, le iniziative promosse dal gruppo femminile interessavano i rapporti con le popolazioni delle «terre redente»: il 17 agosto di quell'anno si apriva presso uno stabilimento balneare del Lido una mostra benefica di bozzetti di pittura e scultura, il cui ricavato sarebbe stato presto devoluto all'infanzia bisognosa31.
Mostre benefiche, pubbliche sottoscrizioni e «passeggiate patriottiche» non rappresentavano pratiche inedite, ma si ponevano in continuità con quanto era accaduto nel corso del primo conflitto mondiale: sorto nel marzo del 1915, quel particolare gruppo irredentista aveva innanzitutto gestito – assieme al Comitato studentesco dell'associazione – una «mostra dei bozzetti»; aveva poi dato il proprio
partiva la richiesta al prefetto di Venezia; la risposta sarebbe pervenuta in data 27 aprile 1919. Il Ministero della Casa reale avrebbe di conseguenza autorizzato l'emissione di un mandato di pagamento per la somma 550 lire a favore della ditta Morelli e Rinaldi di Roma per una statura di bronzo su colonna di marmo destinato come real dono (8 maggio). Costanza Mocenigo avrebbe infine ringraziato la dama di corte per l'intercessione presso la regina, con una lettera datata 12 giugno 1919.
31 AMV 1915-1920, VII,10,18. Invito del Comitato esecutivo dell'Associazione Trento e Trieste al sindaco di Venezia per l'apertura della mostra di bozzetti indetta per il 17 agosto 1919. La documentazione presente all'interno del fascicolo permette di ricostruire anche le vicende che portarono all'adesione del Comune ad un'iniziativa promossa dal Consiglio centrale della Trento e Trieste per l'annessione di Fiume e della Dalmazia all'Italia. Con una lettera del 23 ottobre 1919, la presidenza del Consiglio centrale dell'associazione si rivolgeva con queste parole al sindaco di Venezia: «Ella certamente ricorda che il 15 luglio questa Associazione, assumendo l'iniziativa di una grande protesta in difesa dell'italianità di Fiume e della Dalmazia inviò, a Lei ed a tutti i sindaci d'Italia una circolare che pregava di sottoscrivere e rinviare a questa Associazione il seguente Ordine del Giorno: “Visto che dalle dichiarazioni del Ministro degli Esteri chiaramente traspare l'imminente pericolo che dalla Conferenza di Parigi non vengano riconosciuti i nostri diritti né su Fiume né sulla Dalmazia: FIERAMENTE PROTESTA, DINANZI AL MONDO CIVILE PER LA VIOLENZA CHE SI PREPARA CONTRO I PIU' SACROSANTI DIRITTI NAZIONALI ITALIANI”. Il 5 ed il 14 agosto sollecitammo la risposta della S.V. Ed ora non avendola ancora ricevuta e dovendo ciò attribuire a disguido postale o ad altra causa indipendente dalla volontà Sua o del Suo Ufficio, riteniamo necessario insistere nella nostra richiesta. A ciò siamo indotti particolarmente dal fatto che la nostra iniziativa avendo conseguito un risultato plebiscitario si è deciso di raccogliere in apposita pubblicazione i nomi dei Comuni che hanno sottoscritto la protesta. Non vorremmo che l'esclusione del nome di Codesto Comune in questa impostante [sic] pubblicazione dovesse meritarci il rimprovero della S.V. E la protesta della popolazione della quale Ella è il primo esponente.
L'omissione provocherebbe anche il nostro rincrescimento perché la fede che ci anima e il valore storico che ha assunto la grandiosa protesta ci fa desiderare che nessuno manchi nel novero della ideale Legione che rivendica alla Patria il sacro diritto di chiudere nel suo confine tutti i suoi figli. La preghiamo perciò di farci avere la risposta al più tardi entro dieci giorni dovendo per quel termine iniziare la stampa del suddetto volume […]». Nel corso della seduta del 28 ottobre 1919 – avente per oggetto: «voto per l'annessione di Fiume» – si ricordava che nell'agosto di quell'anno la giunta non aveva dato riscontro alla richiesta («nella forma in cui era stata concepita», si leggeva in una nota poi cancellata). La giunta avrebbe infine deliberato di aderire.
contributo all'azione dei comitati cittadini prestando l'opera delle socie in favore dei soldati, dei figli dei richiamati e dei profughi delle terre irredente, aveva promosso (in accordo con le autorità) sottoscrizioni per il confezionamento di maschere antigas, aveva dato vita a «passeggiate», proiezioni cinematografiche, concerti presso la sala del Liceo Musicale Benedetto Marcello. Iniziative che non sempre erano andate a buon fine32.
Riproposte e potenziate nel dopoguerra, pratiche di questo genere rivestirono un ruolo importante nell'ambito delle manifestazioni pro Fiume e Dalmazia. E in molti casi fu proprio la sala del liceo Benedetto Marcello ad ospitare conferenze e dimostrazioni fortemente connotate dal punto di vista politico. Sul finire del novembre 1918, ad esempio, il liceo gremito di pubblico e decorato per l'occasione con tricolori e bandiere delle terre redente accolse un membro del Consiglio nazionale di Fiume, Alfredo Matteicich. Presentando l'oratore ufficiale, il segretario della sezione cittadina della Trento e Trieste – l'avvocato Pietro Marsich – sottolineò come gli «interventisti»
nel paese non avessero ancora esaurito la loro funzione. A quella dimostrazione non aveva mancato di presenziare, in rappresentanza del gruppo femminile, anche la contessa Costanza Mocenigo33.
Attorno alla sede di Palazzo Gritti Faccanon, oltre alla Trento e Trieste, in quel particolare frangente postbellico ruotavano le vicende di numerose altre associazioni cittadine. Tra queste figurava anche un'altra compagine femminile: il Fascio lavoratrici della guerra. Così ne scriveva “Il Gazzettino”:
32 AMV, 1915-1920, VI,2,31 (sf. “1916”). Relazione del Gruppo femminile della Trento e Trieste inviata al sindaco; Venezia, 31 dicembre 1915.
33 Cfr. “Il Gazzettino”, 30 novembre 1918. Si veda anche il trafiletto: Per Fiume italiana. La conferenza Matteicich al Marcello, in “Gazzetta di Venezia”, 29 novembre. E l'articolo: L'italianità di Fiume. La conferenza di un fiumano al “Benedetto Marcello”, in “Gazzetta di Venezia”, 30 novembre 1918. In questo caso, la “Gazzetta” evidenzia come nella scena fosse presente anche Costanza Mocenigo, in rappresentanza del gruppo femminile dell'associazione, mentre sullo sfondo erano state poste le bandiere della Trento e Trieste, della Società Dante Alighieri, del comitato Pro Dalmazia. «Venezia che ascolta ogni giorno il grido di dolore di Fiume e di Spalato attende dalla definitiva occupazione militare di tutto l'Adriatico italiano la sanzione del nostro diritto imprescrittibile la necessaria difesa di quei fratelli eroici nella loro fede immutata contro ogni minaccia e ogni prepotenza»: con queste parole, un mese dopo la conferenza al Benedetto Marcello e in occasione di una manifestazione romana per i diritti italiani sulla Dalmazia, attraverso un telegramma la sezione veneziana della Trento e Trieste si rivolgeva al presidente del Consiglio dei ministri; cfr. La “Trento e Trieste” per Fiume e Spalato, in “Il Gazzettino”, 30 dicembre 1918. Per un altro caso di conferenza al Benedetto Marcello, questa volta sul tema «Dalmazia nostra», cfr. “Il Gazzettino”, 12 giugno 1919.
Più volte è ricorso nella cronaca di Venezia il nome di questa associazione, ma forse i lettori ne ignorano ancora l'origine e gli scopi. […]. L'idea è germogliata nella mente di alcune giovanette che infiammate dalla luce di patriottismo che irradiava dai campi di battaglia, si erano indefessamente adoperate col lavoro del braccio e colla energia della mente per ottenere che lo scopo per cui milioni di soldati spontaneamente lottavano e si sacrificavano non andasse travolto. […] Come scopi generali il Fascio si propone: “La fusione di tutte le forze femminili italiane che durante la guerra giovarono col lavoro al raggiungimento della vittoria al fine che possano, strette insieme dall'ideale di Patria e di umanità, essere ancora e sempre più utili collaboratrici dei combattenti nel campo economico”. […] Fra gli scopi particolari troviamo: “Agitare proficuamente i problemi economico-sociali aventi attenenza con la vita femminile” “Cooperare all'educazione ed istruzione civile e famigliare [sic] della donna” “Promuovere o favorire qualsivoglia iniziativa od azione che miri all'elevamento morale, intellettuale, tecnico ed economico-sociale delle varie categorie di lavoratrici del braccio e del pensiero”. Ma altri problemi più immediati fanno sentire nel momento presente la loro necessità: il Fascio Lavoratrici della guerra li ha così formulati: “1) Propaganda ed azione antibolscevica”. Infatti, tutti coloro che hanno sostenuto la guerra, devono ora sostenere la pace con altrettanta fede e costanza, e su questo punto il Fascio femminile ha dato l'adesione al Fascio di combattimento, sorto principalmente per questo scopo. 2) Tutela delle famiglie dei caduti”. E quale associazione potrebbe dimenticare questo nel suo programma? Quanto mai le famiglie dei caduti saranno abbastanza protette! D'altra parte chi più delle lavoratrici stesse è in grado di sentire i bisogni delle donne dei caduti: lavoratrici e madri? 3) Reintegrazione almeno momentanea delle donne nelle industrie femminili per cancellare il fenomeno della disoccupazione degli ex combattenti [...]” […]. Questi propositi fondamentali meritano che le seguaci siano non un nucleo, ma un esercito. […] possa il fascio progredire sempre più sotto la guida del suo luminoso motto: “La memoria dei morti arda e rischiari la grande opera nostra.34
Oltre a presenziare ad innumerevoli manifestazioni cittadine, sul più lungo periodo il Fascio lavoratrici della guerra si impegnò soprattutto nel promuovere iniziative che, mediante la leva della beneficenza, dessero una chiave di lettura in senso patriottico – meno pronunciato era in questo caso l'accento irredentista – alla memoria della Grande Guerra allora in costruzione. In particolar modo attraverso i cosiddetti «alberi di Natale» (eventi che si svolgevano in gennaio e durante i quali venivano assegnati agli orfani di guerra doni frutto di offerte pervenute ad appositi comitati) il gruppo contribuì a diffondere sulla scena veneziana i temi del sacrificio e dell'esempio dato alle giovani generazioni dagli eroici caduti nel conflitto. Anche in ragione della capacità gestionale di questa compagine, alle reti di relazioni intessute nel corso degli anni e all'attivismo di personalità quali Maria Tacchini, una pratica di questo genere
34 Il fascio Lavoratrici della guerra, in “Il Gazzettino”, 19 giugno 1919 (articolo a firma: I.T.S.). Nella nota intitolata Fascio “Lavoratrici della Guerra” (in “Il Gazzettino”, 22 giugno 1919), così si correggeva significativamente una delle frasi dell'articolo precedente: «[essere ancora e sempre più utili collaboratrici dei combattenti] nei campi morale, civile ed economico della Patria».
poté perdurare quantomeno sino al 192435.
Nel più ampio quadro di una conflittualità sorta attorno ai temi della smobilitazione militare e del lavoro delle donne, per organi di stampa a lungo impegnati su questo fronte (“Il Gazzettino”, ad esempio)36 l'attivismo di gruppi femminili come quello della Trento e Trieste o il Fascio lavoratrici della guerra risultava accettabile. Se per un verso, infatti, il consenso ottenuto si ricollegava alle classi sociali a cui di norma appartenevano le figure più influenti di tali compagini – alta borghesia, quando non aristocrazia cittadina –, per l'altro esso rappresentava l'esempio lampante della complessità del discorso patriottico: entro ambiti ben definiti come la beneficenza o il lutto, anche le donne potevano avere un (vigilato) spazio di manovra.
Non solo. Che le socie potessero rivestire un ruolo anche nella sfera delle rivendicazioni adriatiche non era tanto un segno di indipendenza, quanto piuttosto indice di un più complesso progetto condotto dalle stesse associazioni di riferimento:
gruppi femminili e comitati studenteschi e giovanili rappresentavano avanguardie di un'azione intrapresa a tutto campo nel più ampio contesto sociale, politico e culturale cittadino37. Per contestare le decisioni prese a Versailles prima e supportare l'esperienza fiumana poi, anche attraverso questi gruppi le sezioni locali della Trento e Trieste e della Dante Alighieri sottolinearono la loro presenza in ogni significativa occasione, dimostrando altresì capacità nel mobilitare la piazza ed utilizzare i luoghi della
35 ACS, Min. Real Casa – Divisione I – Segreteria Reale (1916-1920), b. 903, f. 96. Nel sottofascicolo denominato “Venezia. Comitato per l'Albero di Natale agli Orfani di guerra” si ritrova la documentazione relativa alle edizioni del 1922, 1923 e 1924 (con relativi comitati e richieste di real dono). Nel caso del Fascio lavoratrici della guerra, l'evento di norma si teneva presso una delle sale de “Il Gazzettino”. La compagine femminile non era tuttavia l'unica a promuovere iniziative di questo genere in città (alcuni circoli parrocchiali, ad esempio, gestivano eventi affini); della pratica degli «alberi di Natale» torneremo a parlare al capitolo IV.
36 Per quanto concerne l'attenzione posta da “Il Gazzettino” su temi inerenti alla smobilitazione dopo il primo conflitto mondiale, alle tensioni legate al ruolo e ai diritti politici delle donne – come anche
36 Per quanto concerne l'attenzione posta da “Il Gazzettino” su temi inerenti alla smobilitazione dopo il primo conflitto mondiale, alle tensioni legate al ruolo e ai diritti politici delle donne – come anche