• Non ci sono risultati.

Sguardi oltre i confini della città

Nel documento Venezia e la memoria della Grande Guerra ( ) (pagine 108-118)

Sin dalla fine del conflitto, tra le iniziative memoriali messe in campo dalla classe dirigente veneziana vi fu l'invio di doni simbolici a città divenute emblema di un'«italianità» rivendicata quando non già riconquistata (da Gorizia e Gradisca a Rovereto, da Pola a Zara). Bandiere, leoni di San Marco e contributi per l'erezione di monumenti vennero utilizzati come atto politico, come metafora di una riappropriazione nazionale doppiamente legittima: innanzitutto, in virtù dei possedimenti e dei tanto osannati antichi splendori di una Venezia dipinta – a seconda delle necessità – come madre, sorella e nume tutelare di quelle terre; in secondo luogo, in nome del trionfo riportato nella guerra italo-austriaca e del sacrificio offerto dai soldati alla causa della patria. Pratiche di questo genere avevano a che fare, inoltre, con una ritualità che anche fuori dai confini della città lagunare trovava ampio spazio in cerimonie ufficiali alle quali rappresentanze dell'ex Dominante erano puntualmente invitate a partecipare.

Nell'agosto del 1919, sotto una giunta Grimani particolarmente attiva nell'ambito delle manifestazioni patriottiche83 – una rappresentanza del Comune composta dall'assessore Andrea Marcello e dal segretario Martini partecipò a Gorizia ai festeggiamenti per il terzo anniversario della «liberazione dal giogo austriaco»84. Dopo la rivista militare in piazza d'armi, l'evento raggiunse il suo apice nelle sale dell'antico castello. Lì, alla presenza delle autorità militari, di quelle civili (tra le quali emergeva il gruppo dei sindaci dei «comuni redenti») e dei presidenti delle società goriziane, si

83 Per quanto riguarda la partecipazione della giunta Grimani alle manifestazioni patriottiche del dopoguerra a Venezia il rimando va al capitolo II di questa tesi. Esempi di offerte inviate ad altre città nel 1919 (nello specifico: una bandiera veneta donata a Zara; un contributo economico alla città di Cormons per l'erezione – in occasione del 24 maggio – di un'antenna con leone di San Marco; una bandiera veneziana donata a Parenzo per l'annessione all'Italia; l'invio di bandiere tricolori a Trieste per le feste nazionali) sono reperibili in: AMV, 1915-1920, III,7,6. Sull'adesione della giunta ad anniversari significativi come la battaglia di Legnano, i martiri di Belfiore, la «sortita di Mestre», si veda: AMV, 1915-1920, XI,2,3, ssff. “1918” e “1919”.

84 Gorizia festeggia la sua liberazione, in “Il Gazzettino”, 11 agosto 1919.

svolse la cerimonia con cui la città lagunare offriva a Gorizia il tricolore. Le parole pronunciate da Marcello in quella cornice sottolineavano la gioia provata dai veneziani per la sorte di Gorizia e l'alto significato assunto da quell'offerta:

Quando, di fronte al travolgente eroismo dei nostri soldati [l'Austria] si vide impotente a mantenervi nella secolare servitù, la rabbia nemica si propose di vendicare la perdita di Gorizia imbestialendo sopra Venezia, contro la quale con furore selvaggio raddoppiò l'accanimento di micidiali ingiurie. In una sola notte arsero più di trenta incendi. [...]

Venezia resse impavida alla rovina delle sue case, [...] alla morte dei suoi cittadini. Nè l'offesa ai monumenti venerandi nè i lutti famigliari scemarono la gioia per la vostra liberazione.85

Il vessillo italiano, in una chiave di lettura che non poteva non risentire degli influssi della retorica patriottica e antiaustriaca, portava con sé un destino di libertà, giustizia e riscatto. La rivalsa era, prima di tutto, quella di Venezia nei confronti dello storico nemico; così, non a caso, proseguiva l'assessore nel suo discorso:

Quando, iniquamente tradita e venduta, la repubblica di Venezia cadeva vittima di un'altra tirannide [...], i Dalmati e gli Istriani riponevano piangendo la loro bandiera di San Marco sotto gli altari delle loro chiese. La storia ha le sue rivendicazioni meravigliose. Ed ora, o Goriziani, voi avete ricollocato sul vostro castello il leone di San Marco con sentimento ugualmente intimo di patria carità. Ieri quei figli fedeli di Venezia riponevano l'insegna a perpetua memoria della madre scomparsa; oggi l'insegna altrettanto significativa si mostra alla luce del sole segno di trionfo, segno di risurrezione [...].86

La cerimonia inaugurava quindi il leone di San Marco apposto sulla porta del castello. Come ebbe allora modo di sottolineare l'oratore ufficiale Pellegrini, ad essere premiata era stata la fedeltà di Gorizia alla sua storia: «Nella fede per l'avvenire si fondono insieme i due simboli: il valore e la potenza, il coraggio e la tenacia, lo slancio e la sapienza, l'idea che garrisce al vento e la gloria che si perpetua, il vessillo insomma ed il marmo»87.

Quella non fu l'unica volta in cui, nel dopoguerra, un leone di San Marco trovò posto al di fuori dei confini della città. Il 21 aprile 1924, festa del Natale di Roma, sotto la guida del commissario regio Davide Giordano (che già in qualità di sindaco

85 Ibidem.

86 Ibidem.

87 Ibidem.

aveva partecipato a questo tipo di iniziative)88, Venezia donava solennemente a Gradisca un leone di bronzo. La “Rivista mensile della città di Venezia” ne parlava in questi termini:

A ricordare ed eternare la sua gloriosa origine italica e veneta e la sua restituzione alla Patria, per onorare i morti caduti nella guerra di redenzione, Gradisca ha scelto come simbolo della sua fede il leone alato che, quasi scolta vigilante, era posto dalla Serenissima in ogni città su cui si estendeva il suo paterno dominio. La colonna, eretta nella maggior piazza della città, è in stile del rinascimento; essa posa su di una gradinata ed uno zoccolo sul quale, fra i motivi decorativi, risaltano quattro medaglioni in bronzo allegoricamente lavorati: dal capitello rugge [sic] il leone alato.89

In quell'occasione, Giordano offrì a Gradisca anche una bandiera della Repubblica.

Un altro gonfalone era stato concesso nel 1922 alla città di Rovereto, affinché venisse issato sulla torre del castello per le celebrazioni del giorno di San Marco: dopo un percorso lungo mesi e che aveva comportato l'interessamento di una personalità come Pietro Orsi, le insistenze del direttore del Museo della guerra avevano avuto ragione sulle iniziali difficoltà90.

88 Più in generale, riscontri sul dopo-Grimani sono rintracciabili in AMV, 21-25, IX,4,10: tra le iniziative prese dal Comune si annoverano contributi per un monumento a Nazario Sauro promosso dal Comitato dei comuni delle isole del Carnaro (maggio 1922), per l'ossario di Castel Dante a Rovereto (dicembre 1922), per l'erezione di un monumento a Fabio Filzi (ottobre 1925, su deliberazione del commissario regio). Da sindaco di Venezia, Davide Giordano partecipò con la banda municipale e una rappresentanza del Comune alle celebrazioni per l'annessione di Trieste (cfr.

La giornata storica di Trieste, in “Il Gazzettino”, 22 marzo 1921). Nel 1922 il Comune diede la sua adesione anche alle feste di Rovereto (città alla quale fu donato un gonfalone di San Marco – cfr.

“Aurora”, 7 maggio 1922). Giordano, il patriarca La Fontaine e il duca d'Aosta parteciparono all'inaugurazione del ricostruito ponte fra San Donà e Musile nel novembre del 1922 (la notizia è data in “Il Gazzettino”, 14 novembre 1922). Rilevante fu anche l'offerta che la città lagunare fece a Zara nel 1924: si faccia riferimento a Il gonfalone di S. Marco solennemente consegnato a Zara, in

“Il Gazzettino”, 9 ottobre 1924; Il messaggio dei Dalmati ai confratelli di Venezia, in “Il Gazzettino”, 17 ottobre 1924; Venezia dona a Zara redenta il gonfalone di S. Marco, in “Il Gazzettino Illustrato”, 19 ottobre 1924; Il saluto di Zara a Venezia, in “Il Gazzettino”, 26 ottobre 1924.

89 Il Leone di S. Marco a Gradisca d'Isonzo, in “Rivista mensile della città di Venezia”, maggio 1924.

Già nel settembre dell'anno precedente, presso la fonderia dell'Arsenale di Venezia e alla presenza del prefetto D'Adamo e del commissario del Comune Giordano, era stato composto «con bronzo nemico» il leone alato (scriveva “Il Gazzettino”: «Il leone alato si presenta in tutta la sua felina snellezza e possanza e la sua modellazione è veramente felice, degna cioè di Venezia madre e della figlia fedele e redenta»). Cfr. Il Leone di S. Marco alla città di Gradisca, in “Il Gazzettino”, 9 settembre 1923.

90 Sulla vicissitudini relative al gonfalone donato al Museo di Rovereto il rimando va alla documentazione reperibile in: AMV, 1921-1925, XI,10,3. Con una lettera del 19 novembre 1921, il direttore del Museo storico italiano della guerra (castello di Rovereto) Girolamo Cappello chiedeva al sindaco di Venezia l'invio di un gonfalone della città, facendo appello alla memoria di figure quali Damiano Chiesa e Fabio Filzi. Dal resoconto dell'adunanza della giunta municipale veneziana del 25

Ancora a Rovereto, su un torrione del castello, nell'ottobre del 1925 venne posta una campana monumentale dedicata ai caduti nella Grande Guerra. Il progetto, ideato dal sacerdote filofascista (e già irredentista) Antonio Rossaro, prevedeva che all'opera condotta per la fusione della campana si sommasse la simultanea azione di un Comitato d'onore e, soprattutto, della cosiddetta Legione delle madrine: quest'ultima era composta da madri e vedove di guerra – di norma una per ogni provincia del regno – e da figure illustri come le vedove di Battisti, Chiesa, Filzi e Sauro; su di esse vegliava la regina madre91. A tale iniziativa prese parte anche Venezia con le contesse Elvira degli Sforza ed Elti di Rodeano, rendendosi partecipe di un'esperienza memoriale su scala nazionale che molto aveva a che fare con un discorso sulla guerra oscillante tra cattolicesimo e culto della patria. Per “Il Gazzettino”, le madrine rappresentavano:

tutta la somma del Sacrificio della madre italiana e del Civismo delle donne d'Italia durante la guerra per la patria e per l'umanità. Nell'elenco ufficiale esse figurano sempre accanto al proprio figlio o marito, caduto in guerra, o all'eroe adottato, medaglia d'oro della provincia, che esse rappresentano [...]92.

La raccolta di offerte condotta dalle madrine non solo contribuì ad impreziosire l'opera della campana, ma permise anche alle donne veneziane di fare dono alla città di

novembre 1921 si evince tuttavia che in quel frangente la richiesta non venne soddisfatta. Nel 1920, del resto, la giunta non aveva accolto nemmeno la domanda – promossa dalla contessa Costanza Mocenigo – con cui il Comune di Rovereto chiedeva in dono una bandiera dalla città lagunare (cfr.

seduta della giunta del 21 dicembre 1920). Con risposta del 2 dicembre 1921, il direttore del Museo ringraziava la giunta, dando notizia del fatto che un vessillo provvisorio e di dimensioni ridotte sarebbe stato comunque confezionato e issato sulla torre del castello di Rovereto durante le festività.

La richiesta sarebbe stata riformulata in una lettera del 9 marzo 1922 indirizzata al conte Pietro Orsi:

il direttore del Museo informava della prossima inaugurazione di una pala d'altare nella Chiesa principale di Rovereto; la cerimonia era prevista per il giorno di San Marco, il 25 aprile. Lo stesso direttore, scrivendo al sindaco Giordano (lettera del 21 marzo 1922) sosteneva che l'assessore Orsi l'aveva informato dell'avvenuta deliberazione della giunta comunale di Venezia in favore del dono –

«la grande bandiera veneziana» – al castello di Rovereto.

91 B. Tobia, Dal Milite ignoto al nazionalismo monumentale fascista, cit., pp. 623-624; Q. Antonelli, Cento anni di grande guerra, cit., pp. 94-99. La campana reca incisa la scritta (in latino): «Dormite nell'ombra della notte; esultate nella luce di Cristo; mentre io colla voce del bronzo dei popoli affratello le genti e celebro le vostre gesta», nonché, in oro, le note della Canzone del Piave. L'opera fu portata a termine dallo scultore Stefano Zuech. Anche “Il Gazzettino” seguì la vicenda della fusione della campana avvenuta a Trento, tratteggiando inoltre i ritratti di Rossaro, Zuech e del fonditore Colbacchini; cfr. La campana che ricorda i Caduti della grande guerra fusa a Trento nel bronzo sonoro, in “Il Gazzettino”, 31 ottobre 1924.

92 Rovereto. Le Madrine Venete della Campana, in “Il Gazzettino”, 12 settembre 1924.

Rovereto di una pergamena nella quale veniva illustrato il monumento93. In aggiunta a ciò, la contessa Elti di Rodeano, presidentessa della locale Associazione delle madri e vedove di guerra, il 30 ottobre del 1924 offriva significativamente alla sezione di Rovereto il vessillo sociale94.

Oltre alle istituzioni che facevano da corollario all'iniziativa, il progetto di Rossaro prevedeva che si consolidassero reti di relazioni mediante pratiche dall'alto valore simbolico, come la raccolta di pergamene raffiguranti le torri campanarie delle diverse città aderenti; nell'ottobre del 1925, tra le pagine della “Rivista mensile della città di Venezia”, sarebbe stata quindi pubblicata una copia dell'illustrazione inviata dalla città lagunare al Comitato95. Non solo: nel settembre di quello stesso anno il Comitato d'onore diramava un appello affinché i diversi centri del regno suonassero le proprie campane nel giorno dell'inaugurazione solenne dell'opera a Rovereto; Venezia rispose all'appello e, la mattina del 4 ottobre, i bronzi di San Marco furono fatti suonare per cinque minuti. Quello stesso giorno, a Rovereto, tra i gonfaloni fatti sfilare solennemente per le vie della città compariva anche, in posto d'onore, la bandiera decorata del Comune di Venezia scortata dal commissario regio Bruno Fornaciari96.

Il contributo dato da Venezia a iniziative legate alla costruzione di una memoria nazionale e patriottica della Grande Guerra interessò anche un'altra direttrice essenziale per la storia della città: quella adriatica. Nel 1929 due avvenimenti risultarono rivelatori di questa specifica tendenza. Il primo fu l'inaugurazione, presso i Giardini di Castello, della colonna rostrata già eretta dalla Marina austro-ungarica nell'arsenale di Pola in ricordo della battaglia di Lissa. Il monumento, trasportato in laguna con il dichiarato intento di esaltare il ricordo dei marinari italiani caduti nel primo conflitto mondiale, veniva allora ufficialmente affidato dalla marina italiana al Comune. Negli anni del regime fascista, tale episodio si inseriva nel più ampio contesto di una politica votata ancora al tema dell'italianità e delle legittime aspirazioni nazionali: nello specifico quadrante adriatico, l'evento non poteva che ricondursi

93 Rovereto. La campana dei Caduti e una gentile memoria, in “Il Gazzettino”, 17 ottobre 1924.

94 Si veda: Il vessillo alle madri e vedove dei caduti, in “Il Gazzettino”, 17 ottobre 1924.

95 La pagina di Venezia per l'Albo d'oro della Campana di Rovereto, in “Rivista mensile della città di Venezia”, ottobre 1925.

96 Rovereto. Le città d'Italia per la campana dei Caduti, in “Il Gazzettino”, 24 settembre 1925;

Rovereto inaugura la grande campana dei Caduti e l'Ossario di Castel Dante alla presenza del Re Soldato che poi reca la sua pietà nei Cimiteri di guerra, in “Il Gazzettino”, 6 ottobre 1925.

all'uso strumentale dell'immagine del «golfo di Venezia» e, di rimando, delle glorie di Roma imperiale.

Il secondo evento – anch'esso, di fatto, un atto di risignificazione – interessò invece direttamente la città di Pola. Al termine di un primo ciclo di lavori condotti dall'architetto Giuseppe Berti, nel 1929 veniva infatti inaugurato il famedio del marinaio italiano, una cappella votiva ricavata negli spazi dell'antico battistero della chiesa consacrata alla Madonna del mare (già possedimento della marina austriaco-ungarica)97. Anche in questo caso, ricorrevano i temi-cardine della rivalsa dopo Lissa e dopo il trattato di Rapallo, della sconfitta dell'eterno nemico, del mirabile sacrificio dei patrioti italiani: la chiesa sorgeva del resto a breve distanza dalla tomba di Nazario Sauro e dal luogo dov'era avvenuto l'affondamento della corazzata austriaca Viribus Unitis. «Oggi la Chiesa è di proprietà della R. Marina che la custodisce con gelosa cura costituendo essa un ambito trofeo della nostra Vittoria e noi ci permettiamo di formulare il voto più fervido che in un non lontano avvenire essa possa essere ultimata nelle parti della decorazione che non sono state ancora eseguite»: così scriveva Mario Nani Mocenigo in un volume pubblicato in occasione del battesimo dell'opera98.

Le attività per l'edificazione del famedio avevano avuto inizio al principio degli anni Venti. Ad occuparsi per primo delle vicende relative alla proprietà della chiesa della Madonna del mare era stato proprio Nani Mocenigo: l'interesse era scaturito da una visita che il presidente della sezione veneziana della Lega navale italiana aveva compiuto a Pola nel marzo del 1921 per scegliere i cimeli da inviare al Museo storico navale che egli stesso stava allestendo a Venezia. Dato lo scarso supporto prestato dalla presidenza generale della Lega navale, a mettersi in moto fu quindi una complessa macchina che condusse in breve alla costituzione di un Comitato nazionale per l'edificazione di un famedio dedicato ai marinai italiani, comitato alla guida del quale

97 B. Tobia, Dal Milite ignoto al nazionalismo monumentale fascista, cit., p. 629. Sulla cappella votiva il rimando va a: XXIV maggio MCMXXXIX – VII – L'inaugurazione del Famedio del Marinaio a Pola, Venezia s.d.; Mario Nani Mocenigo, Il famedio del marinaio italiano in Pola, Libreria Emiliana, Venezia 1929; Girolamo Marcello e Mario Nani Mocenigo, Il famedio del marinaio italiano a Pola, Libreria Emiliana, Venezia 1930. Il volume del 1929, proprietà letteraria del Comitato nazionale famedio marinaio italiano in Pola, presentava la dedica «Ai marinai d'Italia caduti per la indipendenza e la grandezza della patria»; le sezioni del testo riguardavano la storia della chiesa della Madonna del mare (con un corredo di foto e piantine della struttura), la costituzione e l'opera del Comitato nazionale, l'opera dei comitati regionali in Italia e all'estero e degli enti pubblici e privati aderenti all'iniziativa, la cappella e i suoi arredi, il rendiconto finanziario.

98 M. Nani Mocenigo, Il famedio del marinaio italiano, cit., pp. 16-17.

venne posto il marchese Lorenzo Cusani Visconti. Coadiuvato da un Comitato promotore composto dal Consiglio direttivo della sezione veneziana della Lega navale e da personalità quali il marchese ed ex deputato Cesare Imperiale di Sant'Angelo, Maria Pezzé Pascolato, il conte Carlo Emo Capodistria e il conte Aurelio Bianchini D'Alberigo99, Cusani Visconti operò in special modo nei campi della propaganda e della raccolta di fondi.

Il Comitato promotore venne sciolto solo quando l'opera di fondazione di sedi nelle diverse regioni e colonie del regno risultò conclusa. In special modo, il comitato veneziano iniziò a riunirsi presso la Lega navale (in Campo Santa Maria del Giglio) e, oltre ad aprire una pubblica sottoscrizione allo scopo di raccogliere donazioni per i lavori della cappella votiva, si adoperò per organizzare una vendita di fiori per le vie della città il 25 aprile del 1922100. Anche il Fascio veneziano aderì ai progetti del gruppo; nel gennaio del 1922, ad esempio, “Italia Nuova” aveva diramato questo appello:

Nella nostra Pola, a pochi passi dalla tomba di Nazario Sauro, a specchio del mare in cui, eroismo italiano, fu inabissata la “Viribus Unitis” sorge un bel tempio dedicato alla Madonna del Mare […]. Dove assistevano rigidi alle funzioni religiose i lividi ufficiali della scomparsa Marina austriaca, la nostra Marina fa ora celebrare ogni domenica la Messa solenne e solennemente ricorda le nostre ricorrenze patriottiche, col pensiero rivolto alle migliaia di marinai italiani morti per la Patria. Il nostro glorioso tricolore sostituisce ora, anche in questo prezioso trofeo di Vittoria, il non mai abbastanza odiato giallo e nero.

Ma l'edificio non è tutto compiuto […]. Fra tutte le città e Colonie Italiane si andrà a gara per cooperare nella bella, patriottica iniziativa che ha presa a tal uopo la nostra “Lega navale” […]; e siamo fiduciosi che Venezia vorrà mostrarsi anche in ciò all'altezza delle sue tradizioni.101

Il 1° gennaio di quell'anno, del resto, il Comitato nazionale si era costituito proprio a Venezia, con sede in zona San Trovaso. Gli scopi venivano definiti nel primo articolo dello statuto: 1) trasformare il battistero della chiesa di Pola in cappella votiva «in

99 ivi, pp. 19-31. Su Cusani-Visconti, senatore e gran priore dell'Ordine di Malta in rapporti anche con il patriarcato di Venezia (con lettera del 10 ottobre 1922 egli accettava la nomina a presidente dell'Opera di Soccorso per le chiese rovinate dalla guerra) si veda: ASP, Patriarcato e governo.

Guerra 1915-1918, b. 2, f. Opera di Soccorso per le Chiese rovinate dalla guerra.

100Facevano parte del comitato: Margherita Casanuova Jerserinch, il marchese Cesare Imperiale, il conte Aurelio Bianchini, la contessa Dada Albrizzi, Alba Berardinelli, la contessa Clotilde Elti di Rodeano, Maria Pezzé Pascolato, Giulio de Blaas, il professor Pier Liberale Rambaldi, Adolfo Spitz, il commendatore Piero Parisi. Cfr. M. Nani Mocenigo, Il famedio del marinaio italiano, cit., pp.

100Facevano parte del comitato: Margherita Casanuova Jerserinch, il marchese Cesare Imperiale, il conte Aurelio Bianchini, la contessa Dada Albrizzi, Alba Berardinelli, la contessa Clotilde Elti di Rodeano, Maria Pezzé Pascolato, Giulio de Blaas, il professor Pier Liberale Rambaldi, Adolfo Spitz, il commendatore Piero Parisi. Cfr. M. Nani Mocenigo, Il famedio del marinaio italiano, cit., pp.

Nel documento Venezia e la memoria della Grande Guerra ( ) (pagine 108-118)