caduti in errore, e che invece di Corrado di Fiesole dovea leggersi nel manoscritto G . . . vescovo d’ Iso la , quel desso che sopra accennammo ; e quanto al Boccaccio, ci insegna ei medesimo nel suo scritto De casibus illustrium virorum che apparò dal Di Negro in Napoli.
Si disputa in quale anno siasi recato il Certaldese a Na
poli la prima volta: a noi sembra ingegnosamente provata la data del 1328 nel recentissimo articolo del eh. Casetti (Nuova Antologia, 18 7 5 , pag. 559 e segg.). Altri aveano già opinato pel 13 3 6 , pel 1337 e perfino pel 1 3 4 1 ; ma quest’ ultima data non è da ammettere, se è vero che il Boccaccio allora per contrario era di ritorno a Firenze. Si vede dunque, come i primi anni dell’ arrivo di lui a Napoli ben si conciliino cogli ultimi della vita di A ndalò, il quale, secondo il Desimoni, sarebbe morto verso il 1340. Tuttavia, volendo anche sup
porre la peggiore ipotesi, l’ arrivo cioè del Boccaccio nel 1 3 4 1 , basterebbe allungare la vita di Andalò fino al 1342 al p iù ; e forse avea sott’ occhio la data della morte di lui il diligen
tissimo annalista Giustiniani, allorché ragiona del Di Negro, appunto sotto quest’ anno 134 2. Ad ogni modo essendo questi vissuto oltre i 16 lustri, secondo il di lui biografo Mojon, sta sempre quello che ne scrisse il Desimoni che Andalò
mincianio ad averne notizia nei documenti genovesi, e nel 1328, 0 1 3 4 1 , il Boccaccio lo conosce come vecchio venerabile.
Oltre le lodi che il Fiorentino non rifinisce di dargli per dottrina, per costumi e per ogni rispetto, v’ ha un gran numero di gravi scrittori che nominatamente attribuiscono ad An
dalò il merito d’ aver viaggiato sotto ogni clima e regione, a’ aver veduto cogli occhi quello che gli altri apprendono per 1’ udito, d’ avere per tal guisa potuto correggere le latitudini de’ vari paesi, d’ avere insomma applicato la matematica alla geografia ed all’ astronomia a gran servigio di queste dev’ esser jnato non più tardi, del giacché nel 1274
co-scienze. Sventuratamente non ci rimangono tracce di simili osservazioni e calcoli geografici, ma siamo più al chiaro a riguardo della parte puramente astronomica. Nella quale i suoi scritti che tuttora si conservano ci pare contemplino tutta la scienza quale si concepiva alla età di lui, dalla sfera materiale e suoi circoli alla celeste; la teorica de’ pianeti, le proporzioni e relazioni reciproche di grandezza, movimento e distanza tra le sfere, il sole, la terra ed i pianeti; gli stru
menti che son necessarii alle osservazioni, e la loro compo
sizione ed uso ; l’ astrolabio, il quadrante e 1’ altimetria; infine anche 1’ astrologia detta giudiziaria, cioè 1’ applicazione che se ne faceva alla patologia ed all’ influsso degli astri su ogni evento umano. Di quest’ ultima superstizione il Di Negro non può essere sdebitato ; ma soltanto si scusa, in quanto era allora l’ opinione generale e del volgo e dei dotti; per guisa che i più savii si contentavano di cercare il tempera
mento per salvare il libero arbitrio.
In tutti gli scritti di Andalò il più conosciuto ed il più po
polare fu uno dei due suoi trattati sull’ astrolabio ; il quale perciò ebbe gli onori dell’ impressione a Ferrara fin dal 1475 insieme a poche altre opere astronomiche. Il Principe Bon
compagni che possiede tale rarissima edizione ne ha pure un esemplare a penna; e còlla vasta sua cognizione biblio
grafica, e la sua non meno vasta corrispondenza coi dotti e colle biblioteche principali d’ Europa si pose a indagare ove si conservino altri manoscritti od altri esemplari dell’ edizione medesima, o dove altre volte si conservassero, ed in quali autori sieno citati o in 'quali cataloghi di biblioteche. Simili ricerche egli intraprese per riguardo a tutti gli altri scritti del nostro astronomo ; delle quali vedasi il frutto nel Catalogo che segue la Memoria dell’ avv. Desimoni, e la cui esattezza e pienezza non sapremmo se altri mai avrebbe potuto raggiungere.
Il eh. Boncompagni descrive in tal guisa quindici lavori d’
An-dalò che sono dispersi per le varie biblioteche pubbliche o private di Rom a, Firenze, Parigi e Vienna; e prova che nella edizione ferrarese del 1475 (da molti dotti errata nella data) sono stampati tre di essi lavori, e non quello solo
sul-1
astrolabio, come finora fu comunemente creduto. Nè ciò bastandogli, il lodato Principe procede ad annoverare i titoli di altri scritti i quali da diversi autori furono attribuiti al Di Negro. Parte di questi scritti assai probabilmente sono identici ai già conosciuti di lui ; sebbene indicati dagli autori con titolo non pienamente conforme. Ma altri sono scritti certamente diversi, perduti o nascosti finora, e di cui sarebbe toi se preziosa la conoscenza. Per esempio la sua Aritmetica ci fornirebbe come i preliminari della scienza, e probabilmente anche usi commerciali, valori e misure sul fare del Pegolotti e di Luca Pacioli.
E qui viene in taglio un altro scritto attribuito ad Andalò, la traduzione cioè dal greco di un libro sulla storia della guerra santa di un Aniceto patriarca di Costantinopoli. Il (lotto P. Spotorno, seguendo il Tiraboschi, opinò che questo libro fosse fattura del famigerato Ciccarelli ; ma nè egli nè altri finora spiegarono la cagione che abbia mosso quell’ im
postore a comporlo egli stesso, inventandone di pianta il supposto autore, ed attribuendone la traduzione al Di Negro per conferire all’ opera sua la desiderata autorità. Ora il eh. Boncompagni, colla opportuna citazione de’ testi, scopre che il preteso scritto d’ Aniceto contiene un brano, dove tra i celebrati guerrieri di Terrasanta è Opizzo nobile di Lucca, che il Ciccarelli, secondo il costume delle sue genealogie, voleva esaltare come stipite della casa degli Opizzi signori della villa del Cataj nel Modenese.
Infine altri e gravi autori accertano che Andalò fu anche poeta eccellente, perfino in lingua provenzale; della quale ultima particolarità tanto meno v’ è da sospettare, quantochè
a quell’ età parecchi e tra i più nobili erano i genovesi che si resero famosi nell’ arte del trovatore, come bene chiari il P. Spotorno. T ali i Cicala, i D’ Oria, i Calvi, i Grimaldi ed il celebre Folchetto figlio di un genovese stabilito a Marsiglia, non Alfonso di nom e, come fù creduto, ma della casa degli A nfossi come ci par chiaro ; essendo questo il cognome di ricchi banchieri, che erano imparentati coi D’ Oria e i Della V olta, e possessori di una gran casa in Susilia.
Il dotto Autore della Storia Letteraria della Liguria testé citato , pigliando occasione da un noto passo del Ramusio, arguì che Marco Polo essendo nel 1298 nelle prigioni di Genova sia stato incoraggiato a dettare il celebre suo viaggio da Andalò Di Negro. I recenti commentatori del Veneziano non ammettono ciò, per la ragione che il viaggio fu scritto in francese 11011 in latino, e fu scritto non da un genovese -ma da Rusticiano di Pisa, che era aneli’ esso nelle prigioni.
Il D esimoni ripiglia ad esame tale quistione, e si può vedere nella sua Memoria come abbia per sé grande probabilità e sia pienamente conforme alla natura delle cose 1’ opinione dello Spotorno, essendoché Andalò in quel periodo di tempo tra il 12 9 2 ed il 1304 non èra ancora definitivamente assente da G en o va; e sia per autorità di famiglia e di uffizi pubblici, sia per la sua età e per la sua passione ai viaggi, poteva e doveva approfittare d’ una occasione cosi inaspettata e così propizia ( 1 ) .
( 1 ) Q u i ve rreb b e in taglio la domanda che fu più volte fatta, del luo^o d o v e M a rc o P o lo sia stato rinchiuso in prigione a Genova nel 1298.
N o n cre d ia m o v e ne sia traccia nei nostri documenti. S i sa però che con lu i e ra in carcere R u stic ia n o , lo scrittore de’ viaggi del P o lo : dunque i V e n e z ia n i m isti coi P isan i. C iò posto, sui carcerati di quest’ ultima na
zio n e p o rg e qualch e lum e l ’ illu stre Bonaini nella sua edizione degli Sta
tuti di P isa (I. 19 3), e nei docum enti X V II e X V IIII recati in appendice a lla ste ssa . N e i quali B on ifacio conte di Donoratico si dice custodito
L ’ avv. Desimoni chiude la sua Memoria accennando ad altri Genovesi dei tempi vicini ad Andalò, i quali, come lui, collega
vano alla vita operosa 1’ amore agli studi arabi, matematici o di cosmografìa. Toccato di Simone da Cordo, archifett^ di Ni- /-/
colò IV , passa ad Anseimo d’ Incisa e al di lui figlio maestro Giovanni, archiatro pontificio anch’ esso, ed autore di scritti astronomici, i quali o furono veduti dal Desimoni stesso a P arigi, o per attestato del Principe Boncompagni si conser
vano al Museo Britannico e alla Bodlejana di Oxford.
Diverso da questo maestro Giovanni, ma contemporaneo, fu prete Giovanni da Carignano, nei principii del X IV secolo rettore di San Marco del porto di Genova ( i) . Questi amante
nel solaio della casa del genovese A n saldo A lb erigo (lo stesso no
bile uom o che conosciam o anche pel R ic h e ri); A lberto Padovano di L iv o rn o in vece era carcerato n ella D arsena (T e rsa m ) del Comune posita subtus Fontanellam (a cui ritornerem o nella nota seguente). È na-;
turale difatti che , considerato il gran num ero dei prigionieri fatti n elle va rie e g lo rio se battaglie di m a r e , dovessero essere questi di
stribuiti in più luoghi pubblici ed anche privati. Sappiam o, sem pre dal R ic h e r i, che presso la testé detta fontanella o Bordigotto, non lungi dalla ch iesa di san M arco, era colla D arsena la M alapaga ed il Palazzo della R epu bb lica detto del M olo ove risiedevano i C onservatori del porto e m o lo , ed altra M alapaga era nel già citato Palazzo del M are poi di S an G io r g io , ove pure risiedevano i C onservatori del Comune e g li U f- fiziali di G azeria. In queste ultim e carceri fu trattenuto Rom ino D i N egro , stretto consanguineo di A n dalò.
( i ) L a chiesa che qui vien detta di san M arco del porto è più comunemente conosciuta anche nel m edio evo sotto il nome di San Marco del m o lo ; perchè presso a quel luogo com incia a inoltrarsi in mare il m olo ve c
chio. L ’ uno e 1’ altro di questi nom i era appropriato ai tempi di prete G io v a n n i; perchè il nostro porto fu quello spazio di mare che ora dicesi il M andraccio. I continuatori di Caffaro notano all’ anno 1 2 1 5 : inceptus fu it viurus Darsine ; al quale tosto una nota posteriore, ma officiale, posta in m argin e del Codice originale aggiunge portus interior (Ved. 1’ edizione del P e r t z , pag. 13 5 ). P o i al 12 7 6 gli stessi Annali notano: apud modulum in loco qui dicitur fontanella Darsena incepta 'edificari (ecco la
come era di conoscere i costumi delle regioni, delineò un un planisfero conservato all’ Archivio centrale di Firenze; e si dice abbia composto una relazione di viaggi lontani dopoché ebbe potuto interrogare gli ambasciatori dell’ Imperatore dei T a r t a r i, i quali da costui inviati a Clemente V in Avignone passarono al ritorno ad imbarcarsi in Genova. Queste notizie fino a pochi anni fa erano in parte ignote, in parte soltanto vagam ente conosciute; raggruppate ora come sono, sembrano assumere un sufficiente grado di certezza. Di che appare che i G enovesi anche gli studi accompagnarono alla potenza po
litica e commerciale, che era allora al massimo suo fiore, e vedendo gli inconvenienti che la teoria e la pratica isolate producevano, tentarono secondo loro potere di ricongiungerle;
come il Desimoni ne reca esempio nel cosmografo della Pa
latina di Firenze del 14 4 7 , ed in Cristoforo Colombo.
Cosmos di G u i d o C o r a . — Notizie dei viaggiatori italiani in Egitto dal 1 3 1 0 al 1840, raccolte da G i a c o m o L u m b r o s o .— T o rin o , T ip. Bona, 1874.
Il eh. Guido Cora prosegue con sempre crescente animo la pubblicazione del suo Giornale Geografico, che da due anni
Ter sana d e lla precedente nota). A nche G iorgio Stella a ll’ anno 1276 (Rer.
Italicar. S c r ip t., X V II. 975) s c r iv e : apud ecclesiam Sancti Marci versus m aris amplitudinem et meridiem, loco cujus fontanella quondam erat nomen et bordigotum nostris temporibus nomen est, fu it parvus portus inceptus et navigium receptaculum quod Darsena nuncupatur ; et circa ista tempora supra sancti Marci templum fiebant magni m uri qui molus dicitur, opus egregium. Soltanto nel 1 2 8 3 fu c o m in c ia ta 1’ altra D arsen a occidentale dalle porte dei Vacca. D i
fatti e ra g iu sto che il p rim o porto e D arsena fossero raccchiusi nella parte più in te rn a e guardata dal m olo. Battista Beccario genovese nel suo Por
to la n o d el 14 2 6 , che si con serva nel R . M useo di Monaco, ha la veduta di G e n o v a co n 1’ unico m olo a le v a n te , e quattro soli ponti 0 scali nel più in te rn o d el sem icircolo difeso da esso m olo. E sim ile veduta conser
v a n o a n ch e a ltri P o rto la n i p osteriori di un secolo e mezzo.
ha intrapreso. Ben augurato dalle commendatizie degli illustri Petermann e Negri il Cosmos è riuscito pari all* aspettativa con belle carte, con estratti e riassunti de’ più rinomati o-i0r- nali stranieri, con memorie originali e critiche di molto rilievo
Il suo disegno principale è di tenere i lettori al corrente delle più recenti scoperte e tentativi nelle lontane regioni • tuttavia egli non dimentica la storia geografica, come si ebbe altre volte a notare nelle tornate della Società Ligure di Storia Patria. E un nuovo esempio ne abbiamo nelle Notizie dei viag
giatori italiani in Egitto dal i j io al 1340 del eh. Lumbroso, inserite nel IV fascicolo del 1874 del lodato periodico. L ’ au
tore volle offrire una prova della sua stima pel Giorno'e L i
gustico, stampandovi nello scorso anno a pag. 201 un suo articolo nel quale si ricerca « se Genova abbia avuto un doppio nome nell’ antichità » ; e già si era occupato della Stoiia genovese avanti al M C con un opuscolo breve ma su
goso, di cui fu dato conto nell 'Archivio Storico Italiano del 1872, tomo x v , pag. 523.
Il titolo di cN J 9tiz'ie indica da sè che l’ autore volle essere conciso ; onde non si potrebbe riassumere il suo scritto senza copiarlo. Non faremo perciò che invitare i lettori a ricorrere alla fonte; aggiungendo che a nostro avviso il eh. Lumbroso fu anche qui, come sempre, diligente e ben inform ato, raccogliendo in poche pagine copia di nomi e di fatti, che egli trasse non solo da cataloghi e da libri a stampa, ma eziandio da manoscritti poco noti e da private corrispondenze.
Fra i circa settanta viaggiatori, la più parte delle provincie di Venezia o di Toscana, troppo pochi veramente sono i ge
novesi: Pellegrino Brocardo che l’ autore ben rivendicò alia nostra patria, G. B. Scorza che veramente non viaggiò, maOD ' scrisse sul fiume Nilo; Prospero Alpino che, sebbene non ge
novese, almeno pose sua stanza in Gencfva al ritorno dall’Egitto,
e vi esercitò la medicina nella seconda metà del X V I secolo;
G. B. Caviglia dal Lumbroso ben descritto come ardito e infaticabile indagatore, e degno di maggior fama. Finalmente Do
menico Pedemonte, che l’ autore cita dimenticando però di dirlo genovese; ma noi stessi lo vedemmo e gli parlammo, e vivono in Genova alcuni dei suoi discendenti. Egli, come parente del del Drovetti, ebbe non piccola parte alle trattative che dota
rono Torino del celebre Museo Egiziano.
Se
1
’ autore avesse protratte le notizie oltre il 1840, avrebbe più a lungo parlato di Antonio Figari-Bey, che però cita; lodato per dotte pubblicazioni sulla storia naturale dell’ Egitto e per la parte che prese attiva all’ incremento di ogni utile istituzione al Cairo.
Dicendo che i genovesi nominati dal eh. Lumbroso sono troppo pochi, non intendiamo farne colpa all’ autore , sì ai nostri antichi i quali consuetamente dell’ operato loro o dei concittadini ■ poco o nulla ci lasciarono memorie, onde fa d’ uopo cavarle a spilluzzico piuttosto da scritti stranieri. Del resto considerando il vivo commercio medio-evale tra Genova e
1
’ Egitto, ed anche gli uffizi diplomatici che richiede sempre una tale frequenza di commerci tra lontani paesi , è da sperare che gli studiosi della nostra storia patria trovino buona messe di notizie simili negli Archivi liguri ora felicemente reintegrati ed aperti alla ricerca. Con che imiteranno il bello esempio, porto dai chiari Fulin e Visiani, per le notizie dei consoli e ambasciatori veneti come ci apprende 1’ autore.
Però si avrebbe a tener conto anche di que’ genovesi chie
rici o laici consumati negli affari, i quali trovandosi fuori' paese furono adoperati da altri Re 0 Signori nelle cose po
litiche, come sappiamo dei Ghisolfi e di uno Spinola presso gli Imperatori dei Tartari, e di Simone Carmandino presso Clemente V pel riacquisto di Terrasanta; ed uno che po
trebbe per quest’ ultimo riguardo essere almeno accennato
nello elenco del Lum broso, è il francescano Filippo Brus- serio, o meglio Busserio come lo chiama il Verzellino nelle Memorie- di Savona. Nella quale città nato e recatosi allo studio di Parigi, ebbe ivi a compagno ed amico Nicolò De L ira; quindi da Clemente V e Giovanni X X I I adoperato in difficili ambasciate, ebbe a trattare col Soldano d’ Egitto;
e descrisse di ritorno il suo viaggio notato dal Waddingo, dal Soprani e dal Verzellino medesimo.
Sacraio di una Bibliografìa storica della Lunigiana, di o O O J G i o v a n n i S f o r z a , Tom o i.° — Modena, Vincenzi 1874.
Chi pose in onore questo importantissimo sussidio della storia, vogliam dire la bibliografia, affermiamolo senza tema d’ errare, fu il Seicento tanto e troppo vituperato. Gli stu
diosi di quel tempo colle pazienti ricerche aprirono una dif
ficile via, nella quale seppero portare il lume della critica nel secolo successivo il Fontanini, il Z en o , il M affei, il Tirabo- schi ed altri non pochi. Siffatti studi non furono in processo abbandonati più mai; di guisa che possiamo oggi noverare buona copia di lavori bibliografici compilati con diligenza e sagacia. Utilissimi fra essi son quelli per fermo, onde dee rifarsi chi si prepara a dettare la storia; chè si vede schie
rati innanzi i fonti più importanti atti a dar corpo al suo disegno. I Coleri ed il patrizio Tommaso Farsetti, aiutato da quel tanto modesto quanto erudito abate Morelli, resero un bel servigio agli studiosi, mandando in luce i cataloghi delle loro biblioteche di storie particolari d’ Italia ; sui quali, e sulla parte storica della bibliografia del benemerito Haym esemplandosi il Branca diè fuori or son pochi anni la sua utile cBibliografia storica d’ ogni nazione, la quale se non adegua in tutto, il fine propostosi dall’ autore, a cagione delle sover
chie lacune, non manca di pregi. Quanto a lavori che riguar
dano regioni 0 speciali città italiane, vanno ricordati con onore
e quel dell anonimo sullo Stato pontificio, e del Giustiniani pel legno di Napoli, e del Moreni per la Toscana, e del Pre- dari pei Milano, e del Cicogna per Venezia e del Narbone per la Sicilia, passandoci d’ altri.
Il eh. Giovanni Sforza pone fuori la 'Bibliografia storica della Lunigiana. Questa vasta zona che toglie il nome dalla distrutta città di Luni « non è riunita in una sola provincia come dovrebbe essere ,e con ragione » dice l’ autore « perchè popolata da dugentomila abitanti, ricca di bellissimi marmi e di industrie, fertile di suolo, gloriosa ' per vecchie e nuove memorie, e per uomini chiari nell’ armi, nelle arti,, nelle let
tere e nelle scienze ». In quella vece forma in parte il cir
condario di Levante nella provincia di Genova, ed in parte la provincia di Massa e Carrara. Ma perchè importava all’ e- gregio autore delimitare i confini di quella regione lunense, entro i quali divisa svolgere il lavoro, acconciamente e’ di
chiara intendere per « Lunigiana quella striscia di terra che dallo stretto passo di Porta, già ultimo confine degli Stati Estensi, si estende tra il mare e la cresta del Pizzo d’ Uc
cello , dell’ Alpe di Mommio, di Sassalbo, del monte Orsaio e della Cisa sino al Gottaro, e che è divisa dalla L i
guria da un tratto di montagna, la quale diramandosi appunto dal Gottaro, mena direttamente alla marina tra Levanto e Sestri ».
L ’ opera si divide in tre distinte parti ; la prima comprende gli Statuti, la seconda i Manoscritti, la terza
1
’ Opere a stampa ed in fine un regesto del famoso Codice Pallavicino. Questa spartizione palesa nello Sforza un molto chiaro e giusto conL ’ opera si divide in tre distinte parti ; la prima comprende gli Statuti, la seconda i Manoscritti, la terza