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parte seconda

9. Giovanni Giol e la « rinascita » del Castello.

Giovanni Giol nacque l'8 Luglio 1866 a Vigonovo di Fontanafredda da un'umile famiglia di contadini friulani.

Uomo temerario e dotato di uno spirito d'avventura, Giol, verso la fine dell' 800, così com'era accaduto per altri connazionali, decise di emigrare in Argentina, per sfuggire alla crisi economica ed a tentar fortuna.

Prima di giungere nel Sud America si era recato in Grecia dove lavorò come manovale alla grandiosa opera di scavo del canale di Corinto. Colpito dalla malaria, era poi rientrato in Italia per curarsi, ma nel 1887 già riprendeva la via del mare sbarcando in Argentina e raggiungendo la regione del Mendoza, regione, tra l'altro, dove si erano insediati molti emigranti veneti.

Inizialmente Giovanni Giol trovò lavoro come operaio nella costruzione di una ferrovia ed in seguito, con i primi modesti salari che riceveva, acquistò del vino per poi rivenderlo agli operai. Non solo quell'esperimento fu incoraggiante, ma decise, intuendo che poteva ricavare alti margini di guadagno, di affittare ed in seguito acquistare un vigneto in una località chiamata Maipù, cominciando a produrre per sè stesso vino. I suoli di quella regione, particolarmente fertili, infatti, favorivano la coltura della vite e per questo motivo Giol, fu in grado di importare i vitigni dall'Italia e ad ingrandire il vigneto anno dopo anno. Acquistò ed utilizzò inoltre, per aumentare la produzione ed incrementare il commercio del vino, attrezzature e strumenti moderni ed efficienti. L'attività impreditoriale vinicola di Giovanni Giol, appena avviata, dava i primi esiti positivi che incoraggiarono il friulano ad investire nel settore.

Nel 1896 sposò Margherita Bondino, nata il 13 Luglio 1873 e nativa di Lanzacco (in provincia di Udine), imparentata con la famiglia Gargantini ed emigrata in Argentina già nel 1883. Nel 1896, insieme al cognato, Battista Geronimo Gargantini, già proprietario di vitigni, fondò la società "Giol y Gargantini".

1911, 420.000 ettolitri di vino. Le varie tenute si estendevano su 8.850 ettari di terre, dei quali 1200 dedicati a vigneti specializzati, 150 ad altre colture e 7.500 di terra fertile ancora da sfruttare. La produzione di vino veniva raccolta in grandi cantine collegate tra loro con "vinodotti" aerei; la maggiorparte della produzione prendeva la via del Nord America. L'azienda aveva inoltre una fabbrica di botti che ne produceva cinquecento al giorno.

Le vaste cantine che occupavano un'area di oltre cinquemila metri quadri e custodivano al loro interno la botte più grande del mondo, così come la strana dimora in stile "egiziano", dove i Giol risiedevano, fanno ben capire la misura del successo e del benessere raggiunto dall'intraprendente friulano, che infine, riuscì anche a scegliere il momento giusto per spostare i propri capitali dall'Argentina all'Italia.

Nel 1911 Giol e Gargantini sciolsero la società e Giol fondò da solo la "Bodegas y Vinedos Giol S.A". Dopo 24 anni di duro lavoro, Giol e la sua famiglia decisero di ritornare in Italia nel 1915. Il maggiore dei suoi otto figli, Umberto, rimase in Argentina a gestire "l'impero" creato dal padre; tuttavia molti anni dopo le proprietà verranno nazionalizzate. La morte precoce della giovane figlia, Aida116, avvenuta in Argentina, rallentò la data della partenza.

Alla fine della guerra, il conte Nicolò, trovandosi in gravi difficoltà finanziarie e non potendo sostenere le spese relative alla ristrutturazione del complesso, decise di vendere la tenuta e la villa di San Polo.

Il 26 Marzo 1919, venne stabilita, da parte del conte Nicolò Papadopoli, la volontà di vendere a Giovanni Giol gli immobili posti nei comuni limitrofi di San Polo di Piave: Ormelle, Mareno di Piave e Cimadolmo, per un totale di circa un migliaio di terreni agricoli che comprendevano oltre alle case coloniche, naturalmente anche il castello ed il suo parco, ridotti entrambi piuttosto male. In seguito, l'8 Giugno 1920, venne stipulata ufficialmente, con atto notarile, il 116 Aida Giol muore alla giovane età di vent'anni stroncata dalla malaria in Argentina. I Giol decisero di trasferire la salma in Italia e seppellirla nella tomba di famiglia nel cimitero di San Polo di Piave, un vero e proprio mausoleo realizzato dall'architetto Candiani, che fu il primo architetto iscritto all'albo della provincia di Treviso.

contratto di compravendita del castello con la conseguenza che il conte Nicolò rinunciò all'indennità relativa ai danni di guerra, a favore del nuovo acquirente, Giovanni Giol. Il castello quindi, diventò la dimora della famiglia Giol.

Tra il 1920 e il 1930 venne nominato Commendatore, acquistando altre terre e proprietà contigue e fece costruire un setificio che aveva impiegato circa 350 operaie. In breve tempo, il patrimonio dell'imprenditore friulano raggiunse quasi i 3.000 ettari di terreno sui quali facevano parte 180 case coloniche, ricostruite dopo la guerra, e da cui dipendevano circa 5000 persone.

Giovanni Giol aveva realizzato una delle più grandi ed importanti aziende Agricole esistenti nella marca trevigiana, e come era già accaduto per i Papadopoli, il centro principale era costituito proprio dal castello.

Oltre alla gestione dell'azienda, il Commendatore si impegnò nella realizzazione di opere di tipo sociale e politico di particolare importanza. Intorno agli anni 1922- 1923 ricostruì l'asilo infantile, donò al Comune circa 7000 metri quadrati per la nuova piazza foro-boario; e nel 1930 altri 3000 metri quadrati furono destinati alla costruzione dello stadio comunale.

Giovanni Giol aderì al fascismo e nel 1926 era stato nominato Commissario Prefettizio e successivamente Podestà, carica che mantenne fino al 1936.

Per inaugurare la sua carriera politica, organizzò il 14 Settembre 1927, un raduno presso il castello, a cui parteciparono personalità di rilievo facenti parti del partito fascista.

Morì, dopo alcuni mesi di ricovero dovuti a malattia, all'età di settant'anni 117.

117 Sulla biografia di Giovanni Giol si legga: L. Moretto, V. Cesana " Illustri Sampolesi del XX secolo" in Quaderni di storia e cultura sampolese, a cura della ProLoco di San Polo di Piave, 2000;

9.1. La ricostruzione

Con la fine della Grande Guerra si erano aperti diversi scenari di miseria e devastazione nel territorio sampolese e, la ferita più dolorosa, era costituita dal suo castello, un tempo cuore pulsante dell'antica tenuta e splendida dimora dei Papadopoli che venne completamente distrutto.

Come testimoniano le foto d'epoca, del castello erano rimaste solo le mura perimetrali. Era stato completamente sventrato dall'incendio e ridotto ad un rudere. Questa volta nemmeno il simbolo della famiglia dei Papadopoli, che rappresentava la Fenice, l'uccello che rinasce dalle sue ceneri, ebbe la facoltà di far riemergere il castello in tutto il suo splendore. L'entrata di scena di Giovanni Giol, fu, in realtà, la vera salvezza per il castello, il parco e la popolazione contadina sampolese.

Come stabilito dall'atto di compravendita firmata davanti al notaio Carlo Candiani di Venezia tra Giovanni Giol ed il conte Nicolò Papadopoli, tutte le proprietà facenti parte della tenuta di San Polo che, che, come già detto, comprendeva terreni nei comuni limitrofi ed occupava una superficie di oltre mille ettari tra case coloniche, stalle ed immobili, oltre al castello ed il suo parco, furono cedute, insieme al diritto di alienabilità, al Commendator Giovanni Giol per una somma che si aggira attorno a lire 4.218.543.

Fiutato l'affare, Giol non se lo fece certo scappare e decise di affidare l'intera opera di ricostruzione alla ditta "Rossellini, Sleiter, Castrignano & C.", che era specializzata in "Ricostruzioni Paesi devastati dalla Guerra". Giol in realtà, già l'anno precedente, nel Dicembre 1919, aveva stipulato un contratto di appalto per la riparazione di tutti gli edifici facenti parte della tenuta, compreso, naturalmente il castello. La scelta di affidare la ricostruzione ad un'unica ditta, facilitava Giol a livello economico in quanto evitava di dover contattare singolarmente le varie maestranze con una conseguente perdita di tempo e di denaro anche per quanto riguarda la coordinazione dei lavori; inoltre la ditta era

in grado di consegnare in una volta sola gli immobili completamente ristrutturati . Era stato dunque indispensabile che un uomo potente come Giovanni Giol acquistasse l'intero complesso, per far rinascere dalle ceneri il castello di San Polo e, sebbene il viticoltore friulano non possedeva l'eleganza e la cultura del conte Papadopoli, era riuscito a recuperare un luogo di rara bellezza ed infine a dar nuova linfa vitale all'antica tenuta.

122.Ritratto della famiglia Giol a Mendoza, 1910 c.a.

124. Ritratto della famiglia Giol al Castello di San Polo di Piave, 1924 c.a.