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Il tentativo di dare qualche risposta alle domande

.. Un progetto, in nuce, di protocollo operativo per il giudice delle questioni biogiuridiche

Sono, dunque, le considerazioni espresse nei precedenti paragrafi idonee a rispondere al caos ipotizzato più sopra fra giudici e legislatore in campo biogiuridico?

Esse possono costituire la base di partenza, ma non l’approdo finale. Anzi, non si ha timore di affermare che quanto detto “non basta” per mandare assolto il giudice, le quante volte egli offra di sé un’im-magine di professionista “non adeguato” al tempo, né alla complessità del sistema pluricentrico di tutele, né alla delicatezza degli interessi coinvolti né, infine, alle ricadute che le sue decisioni sono in grado di determinare.

Peso che in materia, lo si è detto, ha la capacità di trasformare il giudice in una sorta di semaforo, rosso o verde, che apre e chiude la porta alla vita o alla sua fine modulando e componendo vicende familiari incidenti sulla dignità delle persone.

Infatti, è vero che, rispetto alle vicende che ruotano attorno al biodiritto, probabilmente si richieda qualcosa di e in più al giudice, proprio quando alla base di un determinato ordine costituito si riscon-tra l’esistenza di orientamenti diversi, conriscon-trapposti in modo tanto fiero quanto intransigente.

È la ricerca di questo quid pluris che, dunque, deve impegnare gli operatori, tutti gli operatori del diritto.

Occorre qui soffermare l’analisi sull’esistente e sull’operato del giudice per come questi, oggi, è chiamato ad esaminare questioni

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di ordine biogiuridico, proprio per ricercare un “metodo” che aiuti nell’affrontare le questioni di cui qui si discute.

Anzitutto, sembra necessario insistere sulla dimensione fattuale della vicenda che viene all’esame del giudice, per poi passare alla dimensione più strettamente “giuridica” dell’agire del giudice e all’in-dividuazione delle regole di sostanza applicabili al caso di specie, al fine di scandagliarne la ritualità e conformità a legge ed eventualmente contestare i tratti arbitrari che pure sono stati prospettati.

Per cominciare a tracciare un simile percorso, sembra si debba affermare che il ruolo del giudice nelle scelte che toccano il biodiritto va esaminato considerando due diversi fattori, peraltro spesso destinati ad intrecciarsi fra loro: a) quello funzionale, dovendosi distinguere il ruolo del giudice di merito da quello del giudice di legittimità e, ancora, del giudice costituzionale come anche dei giudici sovrana-zionali chiamati ad interpretare il diritto di matrice eurounitaria e i diritti fondamentali su base convenzionale; b) quello contenutistico, apparendo ben diverso il ruolo giudiziario a seconda che la doman-da riguardi: b) la rimozione di un limite che il richiedente stesso individua rispetto alla realizzazione di un atto che ritiene rientrare all’interno del proprio patrimonio personale (autorizzazione a cessare la propria esistenza, compimento di un atto in nome della propria

dignitàche non gli è consentito dalle proprie condizioni fisiche o che gli è impedito da un’autorità o da parenti) e che rimane circoscritto o comunque destinato ad operare all’interno della sfera giuridica del soggetto agente, quando gli effetti del provvedimento sono richiesti nell’interesse di quello stesso soggetto da parte di chi è legittimato a rappresentarlo; b) la rimozione — almeno de jure condito profilabile — di tale limite richiesta nell’interesse del medesimo soggetto che si trova, però, nell’impossibilità di esternare coscientemente la propria volontà; b) la realizzazione di un diritto personalissimo che collide, totalmen-te o solo in partotalmen-te, con altri diritti parimenti vitali, non tutti sempre espressamente dotati di soggettività manifesta, ovvero di entità che possono adeguatamente tutelarli, comprimendoli o espandendoli — si pensi a tutte le scelte che riguardano gli atti di inizio e fine vita nei quali sono coinvolti interessi riconducibili a embrioni, feto, concepito, ma anche quelle che vedono contrapposti diritti fondamentali (diritto all’anonimato del genitore biologico e diritto alla conoscenza delle

. Giudice di merito e biodiritto 

proprie origini da parte dell’adottato

, diritto di una coppia dello stesso sesso ad accedere all’istituto del matrimonio o all’affidamento di un minore).

Si tratta di ipotesi decisamente diverse che, tuttavia, trovano la loro matrice comune nella necessità che i relativi procedimenti offrano a tutti gli interessi in gioco, spesso non adeguatamente rappresentati all’interno del giudizio, adeguata tutela.

.. La rilevanza del fatto nelle controversie in tema di biodiritto Una particolare attenzione va pertanto assicurata agli aspetti per così dire “procedurali” dell’esercizio della giurisdizione, ove tale termine, apparentemente legato alle “forme”, in effetti non intende affatto nascondere che il rispetto delle suddette forme costituisce ineludibil-mente, soprattutto in queste materie, elemento indispensabile per una corretta definizione della vicenda sostanziale posta all’attenzione del giudice, ma, anche, il limite intrinseco dell’operato del giudice.

Il giudice di merito, mi si consenta l’apparente ovvietà dell’affer-mazione, è prima di tutto giudice del fatto.

È infatti quel giudice a dovere esaminare gli accadimenti posti al suo cospetto, utilizzando tutti i meccanismi processuali — recte, interpretando la normativa interna — in modo tale da garantire l’ac-quisizione del maggior numero di elementi idonei a consentirgli una scelta “giusta” secondo il paradigma degli artt.  Cost.,  e  CEDU

. Si tratta evidentemente di un’esigenza imposta, per un verso, dalle caratteristiche stesse dei diritti che vengono in gioco, bisognosa di una protezione effettiva e concreta e non illusoria ed ipotetica e, per altro verso, dalla posizione assunta dalla Corte europea in tema di tutela apprestata dall’art.  CEDU.

. Sulla necessità di distinguere nettamente la tipologia degli atti incidenti sulla persona a seconda degli interessi coinvolti già R. R, La ‘relatività’ dei valori costituzionali per

gli atti di disposizione del corpo, cit., .

. È questo, in definitiva, l’antidoto rispetto ai rilievi, che pure non sono mancati, all’attuazione dei princìpi espressi dalla Cassazione nella vicenda Englaro da parte del giudice di appello — App. Milano,  luglio , in Giur. merito, ,  — che è stato chiamato ad applicarla e per i quali v., in modo puntiglioso, A. S, Il caso Englaro: le

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Un mondo, quell’art.  CEDU, nel quale il rispetto delle regole del processo non è fine a se stesso, ma finisce con il diventare sempre più garanzia del pieno dispiegamento dei diritti sostanziali e, dunque, anch’esso garanzia di sostanza dei diritti.

Quando la Corte europea, a proposito della tutela garantita dall’art. CEDU, si auto–riconosce il compito di « garantire che il processo decisionale che ha condotto all’adozione da parte del tribunale delle misure impugnate sia stato equo e abbia consentito agli interessati di presentare il loro caso in modo completo »

non perde di vista in alcun modo gli aspetti di natura procedurale

, dimostrando in concreto, ancora una volta, che il valore sostanziale rappresentato dalla tutela apprestata dalla Convenzione non può essere pienamente realizzato al di fuori di un quadro processuale “giusto” ed “equo”.

Ciò che segna, a mio giudizio, in modo ancora più evidente, il carattere composito delle “tutele” apprestate dall’art.  CEDU alla ga-lassia della persona e la necessità che i diversi interessi raggiungano un equilibrio giusto attraverso la loro piena ed integrale considerazione

all’interno del processo.

In definitiva, il corretto svolgimento del piano processuale e il massimo dispiegarsi delle tutele al suo interno rappresentano, per “tutti” gli interessi coinvolti, il piano procedurale della tutela di valori fondamentali

che assume valore non inferiore rispetto a

. V., ad es., Corte EDU,  luglio –Ric. n. / — Sneersone e Kampanella c. Italia. . Sulla limitata rilevanza di una tutela procedurale in ambito biogiuridico, peraltro vista come momento funzionale a rendere possibile, in futuro, l’emersione di meccanismo di tutela sostanziale delle posizioni giuridiche che gravitano in materia quando esse non si rinvengono in un dato momento storico v. C. C, Bioetica e pluralismo nello Stato

costituzionale, cit., par. : « [. . . ] Ed in mancanza di un accordo che possa fondare e sostenere una soluzione giuridica nel merito, anche l’elemento procedurale può assumere una forte valenza garantista. Il principio precauzionale, ad esempio, può intendersi in termini di « pre–principio di carattere procedurale », imponendo in settori a forte incertezza scientifica, dinamiche di onere della prova e di assunzione di responsabilità a tutela della vita umana o dell’ecosistema nei confronti di effetti potenzialmente, ma massicciamente, distruttivi. Altri princìpi di carattere procedurale hanno valenza per così dire istruttoria, consentendo di preparare il terreno culturale per la futura decisione politica. I princìpi di informazione, di partecipazione, di collaborazione, già fatti propri da alcuni ordinamenti interni, dal diritto internazionale e da quello comunitario, sono rivolti alla costituzione delle sedi e delle condizioni di legittimazione in cui si possa, nel momento opportuno, adottare una scelta di merito ragionevole e motivata ».

. L’espressione che si è qui scelto di utilizzare, pur evocando concezioni del diritto di stampo nordamericano, non intende in alcun modo inserirsi in quel solco, qui

sempli-. Giudice di merito e biodiritto 

quello che il giudice offre quando definisce il contenuto sostanziale del diritto.

Si tratta di aspetti non secondari che toccano il diritto di accesso all’autorità giudiziaria e al ricorso impugnatorio dei soggetti coinvolti (tema che, per le considerazioni che si faranno a proposito delle peculiari ipotesi di procedimenti, potrebbe presentare profili non del tutto ancora esplorati), alla rappresentanza in giudizio di tutti i soggetti coinvolti

e anche alla chiarezza delle disposizioni che incidono sul proprio diritto, sui quali la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha ormai una consolidata giurisprudenza anche per quel che riguarda la tutela offerta dall’art.  CEDU che spesso viene in considerazione nelle questioni biogiuridiche

.

La complessità dei temi evoca, così, la figura di un giudice sempre più dinamicamente aperto — come si è già detto — al confronto:

a) con discipline non solo altre rispetto al diritto, ma in perenne ed incessante evoluzione; b) ancora, con interessi personali ed affettivi rappresentativi, anch’essi, di fasci di interessi, aspettative, valori che lo pongono di fronte ad interrogativi quali ma se fosse capitato a me

cosa avrei fatto, come mi sarei comportato, avrei agito diversamente [. . . ] ; c) con l’esigenza di informare le discipline normative esistenti ai

cemente sottolineandosi che solo un svolgimento dei processi in cui si controverte su questioni biogiuridiche improntato a logiche di piena ed integrale acquisizione di tutti i dati fattuali consente al giudice di esercitare al meglio le delicate funzioni che gli sono imposte dalla legge.

. Si pensi alla necessità di nominare un curatore speciale ex art.  c.p. c. al minore nei casi di contrasto insorto fra lo stesso ed i genitori rispetto ad un atto di cura o, anche solo fra i di lui genitori. V., sul punto, infra, il paragrafo dedicato all’affido di minore a coppia dello stesso sesso.

. V., sul punto, in modo molto preciso ed inequivoco Corte EDU,  marzo ,

Tysi ˛ac c. Poland, — ric. n. / —, § ss.: « [. . . ] Finally, the Court reiterates that in the assessment of the present case it should be borne in mind that the Convention is intended to guarantee not rights that are theoretical or illusory but rights that are practical and effective (see Airey c. Ireland,  Ottobre , § , Series A no. ). Whilst Article  contains no explicit procedural requirements, it is important for the effective enjoyment of the rights guaranteed by this provision that the relevant decision–making process is fair and such as to afford due respect to the interests safeguarded by it. What has to be determined is whether, having regard to the particular circumstances of the case and notably the nature of the decisions to be taken, an individual has been involved in the decision–making process, seen as a whole, to a degree sufficient to provide her or him with the requisite protection of their interests (see, mutatis mutandis, Hatton and Others c. Regno Unito [GC], — ric. n. / —, §  ».

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valori fondamentali sanciti dalle Carte dei diritti. Fattori che, esami-nati complessivamente, mettono a rischio il ruolo e l’efficacia della decisione ma, in diversa prospettiva, esaltano la funzione giurisdizio-nale ogni qualvolta quel giudice riuscirà a scandagliare ogni aspetto — fattuale e giuridico — della vicenda, utilizzando correttamente tutte le conoscenze dallo stesso ritualmente acquisite — anche attraverso il coinvolgimento di sanitari e professionalità non giuridiche in qualità di ausiliari

— e tutti gli schemi logico, culturali e giuridici capaci di giustificare razionalmente la decisione adottata.

In quest’attività concreta il giudice, quando non vi sono contrad-dittori perché il richiedente prospetta richieste destinate ad incidere esclusivamente sulla propria sfera personale, potrebbe trovarsi in una condizione che lo chiama a circoscritte operazioni di bilanciamento, alcune delle quali, tuttavia, intrinseche alla tipologia delle questioni — conflitto autodeterminazione — vita, benessere della salute della

donna e del feto, per esempio.

Quando, però, l’interesse in gioco viene “mediato” da un terzo che si fa — recte, assume o prospetta di farsi — portatore della volontà del soggetto destinatario del provvedimento, l’attività giudiziaria non potrà non colorarsi di particolare cautela assumendo, in relazione alle singole vicende che potranno prospettarsi, i tratti di vera e pro-pria “condotta di custodia” della persona, dei suoi valori e delle sue determinazioni più intime.

Per queste ragioni Gilda Ferrando ha sapientemente sottolineato, occupandosi del ruolo dei genitori e del tutore — ma direi anche, a pieno titolo, dell’amministratore di sostegno (sul quale v., infra) — nelle decisioni relative alla cura dei soggetti minori o incapaci o

. Non può infatti porsi in discussione che rispetto ai temi etici la professionalità giudiziaria non è sempre capace, ex se, di ottenere l’acquisizione di un elemento nel modo più corretto e ponderato possibile. In tale prospettiva, il confronto del giudice con le persone minori e con quelle portatrici di disabilità psichica è reso estremamente complesso, tanto che il ricorso alle figure degli “esperti” appare, spesso, ineludibile. È vero, infatti, come ha notato F V, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta operante presso l’ASP di Trapani, in un messaggio recentemente inviato alla mailing list famiglia e persone, che « ascoltare un disabile psichico per cogliere il suo volere e la sua capacità di autodeterminazione è un processo che deve andare oltre la raccolta delle parole, fino a raggiungere la possibilità di comprendere il significato di ciò che “ha detto” anche alla luce della sua modalità di funzionamento psichico. Ciò necessita una persona esperta nell’ascolto, ma anche una perfetta conoscenza della storia di quella persona e della condizione in cui la stessa si trova attualmente a vivere ».

. Giudice di merito e biodiritto 

alle scelte che incidono sulla salute dei medesimi, che tali soggetti non entrano in gioco perché dotati in senso tecnico dei poteri di rappresentanza, quanto come portatori di interessi che li rendono soggetti obbligati a partecipare al processo decisionale, mancando i quali la decisione giudiziale non potrà dirsi, oltre che giusta, realmente realizzata nel “miglior interesse del destinatario”

.

Ed è proprio nelle questioni in cui il giudice è chiamato ad operare, senza che il destinatario della tutela — unitamente agli altri soggetti a vario titolo interessati — abbia esposto in passato o sia in atto in grado di esporre ciò che costituisce manifestazione del principio di autodeterminazione, che l’opera giudiziale si fa più difficile e si tinge di connotati necessariamente destinati ad essere a loro volta esaminati, giudicati, condivisi o fortemente criticati

.

. G. F, La volontà oltre la perdita di coscienza, in A.V., Le questioni bioetiche

davanti alle Corti: le regole sono poste dai giudici, a cura di A. S e G. G, in

Politeia, , n. , . Analogamente, P. Z, Decisioni legali e valutazioni scientifiche, in Politeia, Le questioni bioetiche davanti alle Corti, cit., : « [. . . ] Sono convinto che lo schema stesso della rappresentanza non sia praticabile per decisioni che attengono alla sopravvivenza. Il problema non si può risolvere con criteri derivati dal modello dell’atto giuridico; è in campo una decisione in cui si deve riuscire a creare una costellazione di responsabilità — medici, familiari, appresentanti legali — sullo sfondo della premessa per cui un trattamento medico si giustifica esclusivamente in funzione dell’interesse del paziente ».

. Si comprende, allora, quanto sia forte la tentazione, forse proprio umana, a tirarsi indietro rispetto alla delicatezza della vicenda ed a cercare nell’ordinamento la giustifica-zione di un non liquet che, secondo questa prospettiva, potrebbe giustificare l’idea che non è il giudice a doversi fare giudice della vita e/o della morte. Fu, probabilmente questo il convincimento di base che indusse il tribunale di Roma a disattendere, in sede cautelare, la richiesta di Piergiorgio Welby, ritenendo che il diritto all’autodeterminazione nella scelta della terapia, pur esistente, non poteva essere concretamente tutelato « [. . . ] a causa della mancata definizione, in sede normativa, delle sue modalità attuative, in particolare con riferimento all’esatta individuazione del c.d. divieto di accanimento terapeutico ». Infatti, il diritto del paziente ad “esigere” ed a “pretendere” che sia cessata una determinata attività medica di mantenimento in vita lascerebbe il « [. . . ] posto all’interpretazione soggettiva ed alla discrezionalità nella definizione di concetti sì di altissimo contenuto morale e di civiltà e di intensa forza evocativa (primo fra tutti “la dignità della persona”), ma che sono indeter-minati e appartengono ad un campo non ancora regolato dal diritto e non suscettibile di essere riempito dall’intervento del giudice, nemmeno utilizzando i criteri interpretativi che consentono il ricorso all’analogia o ai princìpi generali dell’ordinamento » — v. Tribunale di Roma, ord.,  dicembre , in Foro it., , I, , con nota di D. M; cfr.anche S. P, Vita, nuda vita ed il diritto al rifiuto delle cure, in Resp. civ. prev., , ,  ss. Se si muove dai postulati brevemente accennati nel testo, non poteva non convenirsi con il giudice romano circa la mancanza di un testo scritto capace di dare risposta alla domanda di giustizia “gridata” dal povero Welby. Se, tutto al contrario, si muove dal postulato che il

 . I giudici nel biodiritto

Inutile negarlo, si tratta di un’attività delicata, alla quale occorre av-vicinarsi coniugando, ancora una volta, ragione e sentimento, cultura e sensibilità

, senza nemmeno temere l’impopolarità

.

In sostanza, il giudice, che non è — né deve essere —, in Italia e nei paesi occidentali, né confessionale, né ateo, né agnostico, né musulmano, né cristiano, né cattolico, né buddista, né anglicano ma è soltanto giudice, non è neutro, ma è e deve essere neutrale. I suoi provvedimenti hanno un contenuto ed un corpo, la motivazione, sulla quale si devono appuntare le critiche di chi non la condivide e le ragioni di chi, invece, trae soddisfacimento dalla decisione.

.. Il ruolo del consenso nella dimensione giudiziale

Se sono vere le considerazioni appena svolte, non può qui mancare una riflessione sul ruolo del consenso nei procedimenti biogiuridici, vivendo esso in concreto attraverso l’attività del giudice chiamato ad occuparsi delle vicende nelle quali l’ordinamento positivo ne impone l’acquisizione.

È ormai assodata la rilevanza centrale del consenso

, massima pro-iezione del diritto fondamentale all’audoterminazione della persona.

diritto si compone oltre che dei testi scritti anche dei princìpi e dei valori fondamentali di un popolo, la prospettiva del giudicante è, come già si è detto, destinata a mutare radicalmente. E ciò senza che l’assenza di una condivisione da parte della maggioranza di un popolo o l’esistenza di diversi orientamenti giurisprudenziali possa dare la stura ad atteggiamenti giudiziari di self restraint.

. V., a proposito del caso Serena Cruz, App. Min. Torino, decreti  marzo e  aprile , entrambi in Giur.it., , I, , ss. con nota di L L., Il caso Serena. I bambini

non si usucapiscono: « [. . . ] [Il giudice] Sa di non avere il monopolio della verità e vive drammaticamente le sue decisioni, specialmente in un caso come questo, che è un caso difficile perché coinvolge una bimba di tre anni, indifesa e incolpevole [. . . ]. I giudici sono profondamente consapevoli di questo, e sentono di avere sulle spalle una grossa responsabilità. Si rendono ben conto dei risvolti umani del caso; ma non ritengono, in coscienza, di poter decidere doverosamente. Non pretendono di avere il monopolio della verità. Hanno ponderato a lungo, perché il caso è delicato, difficile lacerante. . . ».