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GIOVANNI DE MIN [?]

8. Il giudizio di Paride

Penna, inchiostro nero, acquerellature grigie, carta traslucida. Quadrettatura a matita. 275 x 385 mm.

Sul recto, a margine della quadrettatura, sono presenti annotazioni numeriche.

Stato di conservazione. La carta è molto fragile, soprattutto in corrispondenza di alcune piccole

pieghe lungo i margini. Il foglio presenta un generale imbrunimento, in parte dovuto alla sostanza utilizzata per rendere la carta traslucida.

Inv. 7336

Nel 1817 Giovanni De Min e Francesco Hayez, entrambi in pensionato a Roma, furono richiamati a Venezia per l’Omaggio delle Provincie Venete - offerta voluta da Leopoldo Cicognara in occasione del matrimonio di Carolina Augusta con l’imperatore Francesco I d’Austria -, al quale l’artista bellunese contribuı̀ con un dipinto ad olio intitolato La regina di Saba davanti a Salomone. In seguito, sempre per interessamento di Cicognara, ai due artisti venne affidata la commissione di alcune opere a fresco per il Palazzo Reale veneziano. De Min dipinse cosı̀ i tre riquadri a soggetto mitologico del «Gabinetto N: 11» del suddetto edificio. Lo stesso artista ricorda in una lettera indirizzata alla Reale Intendenza, oggi custodita presso l’Archivio di Stato di Venezia, che due dei suoi affreschi «rappresentano: Il trionfo di Venere in atto di scherzare con Amore, accompagnata dall’armonia e da Tritoni: l’altro rappresenta il Giudizio di Paride sul monte Ida» (Pavanello, 1977). Per il terzo affresco scelse invece di raffigurare il congedo di Venere da Adone. A ricondurre credibilmente il nostro disegno alle opere deminiane contribuisce la ricerca svolta dalla Rollandini per la monografia sul pittore Placido Fabris. La studiosa ha evidenziato come tre disegni, provenienti dalla collezione di Paolo Fabris, fratello di Placido, collimino perfettamente con i soggetti descritti dall’artista bellunese per i suoi affreschi. La tesi della Rollandini e per via indiretta la paternità deminiana del nostro foglio sono rafforzate inoltre dal recente saggio di Enrico Noè (Bollettino dei Musei Civici Veneziani, n. 5, a. 2010, pp. 72-81) sul ritrovato stacco della Venere con Cupido eseguito da De Min proprio per il palazzo veneziano. L’affresco presentato corrisponde in maniera

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fedele al Trionfo di Venere schizzato da Fabris. Alla luce di questo ritrovamento, la correlazione tra i tre schizzi e le opere deminiane pare quindi indiscutibile.

Ma il disegno del Fabris che in questa sede ci interessa maggiormente è quello rappresentante l’epilogo della disputa mitologica per l’assegnazione del pomo alla dea più bella. Il foglio in questione presenta una doppia iscrizione utile al nostro riconoscimento: ribadisce appunto il soggetto come «Giudizio di Paride» e apporta una data di esecuzione successiva alla messa in opera degli affreschi. Dal confronto tra i due disegni - quello del Fabris e il nostro -, non vi sono dubbi che il riferimento pittorico sia lo stesso. Personaggi e impianto compositivo corrispondono quasi alla perfezione. In entrambe le rappresentazioni, Paride consegna il pomo a Venere, mentre Minerva e Giunone si rivolgono verso la coppia prima di uscire di scena. Anche Mercurio e il piccolo Amore sono testimoni della vicenda. I loro sguardi si contrappongono a quelli delle due dee sconfitte, quasi con un tono beffardo, percepibile soprattutto nella versione deminiana. Lievi variazioni si notano solo nelle figure di Giunone, Cupido e Venere. La differenza più evidente sta nella posizione del braccio di Giunone. In Fabris l’arto non è libero e disteso in direzione del giovane Paride, come nel disegno di De Min, bensı̀ flesso per reggere un lungo scettro. Nonostante il corrispondente affresco risulti tuttora disperso, il ritrovamento della Venere con Cupido lascia ben sperare che anch’esso si trovi abbandonato in qualche deposito, in attesa solo di essere riscoperto. Nel frattempo è possibile fare delle supposizioni sull’effettiva composizione. La natura tecnica del foglio conservato a Treviso - penna e inchiostro nero su carta traslucida - e l’essenzialità della linea, soprattutto nelle aree periferiche, fanno propendere per la derivazione a ricalco da un precedente schizzo. La composizione deve aver subito poi delle leggere modifiche durante la trasposizione pittorica. Sicuramente, come testimonia anche il lavoro di Fabris, l’impianto rimase lo stesso, ma furono attuate quelle variazioni secondarie ai personaggi che appunto differenziano le due rappresentazioni su carta. Confrontando l’affresco della Venere con Cupido con il corrispettivo grafico, si evince la puntualità con la quale l’artista di Pieve d’Alpago annotò le scene deminiane. A giusta ragione, quindi, il suo schizzo per la contesa mitologica è da ritenere più fedele nei dettagli all’affresco definitivo.

In assenza del diretto riferimento pittorico è comunque possibile fare un raffronto con un altro lavoro di De Min dal medesimo soggetto portato a compimento più o meno negli stessi anni. Si tratta de Il giudizio di Paride facente parte del ciclo di affreschi eseguito nella Villa Lucheschi a Serravalle di Vittorio Veneto. Il momento e i protagonisti rappresentati

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sono gli stessi, ma lo sviluppo della scena appare spazialmente più dilatato nell’opera dipinta. Alcuni personaggi inoltre trovano diversa collocazione. A Serravalle Venere, passando al centro della scena, guadagna maggior risalto, mentre al contrario Mercurio occupa una posizione periferica. Minerva e Giunone non mostrano quel solidale sentimento di disapprovazione per la scelta fatta da Paride, avvertibile invece nei disegni per l’affresco veneziano, ma, irate, sembrano quasi voler prendere due diverse direzioni, come suggerito dai carri divergenti. L’impaginazione della scena e le caratterizzazioni dei personaggi, seppur diverse, hanno corrispondenze stilistiche molto evidenti con il nostro foglio. Anche sulla base di tale confronto dunque non sembrano esserci dubbi sull’attribuzione del Giudizio di Paride di Treviso al bellunese Giovanni De Min.

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