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Gli ambiti materiali e i modelli organizzat

legge statale di trasferimento, in applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’art. 118, comma 12.

Il secondo rischio è quello di sovraesporre altrettanto indebitamente l’art. 116, comma 3, a compiti non propri, trascinandosi dietro un po- tenziale ideologico che certamente non giova all’attuazione della norma stessa3. Come direbbe Sciascia, in sostanza, A ciascuno il suo.

Il chiarimento si rende necessario poiché, invece, attraverso i do- cumenti che si sono succeduti nel tempo (Accordi, Accordi preliminari, Bozze di Intesa etc…) con i quali si è tentato di dare attuazione, senza esito, all’art. 116, comma 3, Cost., trapela spesso un’interpretazione di- versa e cioè la tesi secondo cui le ulteriori forme si riferiscano a funzioni amministrative, ovvero a funzioni legislative e amministrative insieme, con ciò rendendo vischioso e confuso il terreno del dibattito scientifico e la prospettiva dell’attuazione politico-istituzionale.

2. Il modello istituzionale cui risponde l’art. 116, comma 3:

la razionalizzazione del regionalismo ordinario

A tale scopo devo preliminarmente, e me ne scuso in anticipo, richia- mare posizioni che ho già sostenuto in altra sede.

2. Sulla necessità di inquadrare l’istituto nel complesso del Titolo V apprezzandone le potenzialità di elemento di completamento del regionalismo ordinario v. L. Antonini, Il

regionalismo differenziato, Milano, Giuffrè, 2000; A.Ruggeri, Nota minima sulle oscillanti prospettive del regionalismo italiano, tra logica della separazione e logica della integrazione delle competenze, alla luce della “controriforma” del Titolo V, in www. federalismi.it, 2003,

n. 1; G. Falcon, Il nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, 2001, 11 ss.; A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116, comma 3

della Costituzione, in Federalismo fiscale, n. 1/2007, 143 ss.; A. Poggi, Esiste nel Titolo V un “principio di differenziazione” oltre la “clausola di differenziazione” del 116 comma 3?,

in A. Mastromarino - J.M. Castellà Andreu, Esperienze di regionalismo differenziato.

Il caso italiano e quello spagnolo a confronto, Milano, Giuffrè, 2009, 27 ss.; M. Cecchetti, Attuazione della riforma costituzionale del Titolo V e differenziazione delle Regioni di diritto comune, in www. federalismi.it, dicembre 2002 e G. D’Ignazio, Integrazione europea e tendenze asimmetriche del “neoregionalismo” in Italia, in www. federalismi.it, n. 4/2007;

F. Cortese, La nuova stagione del regionalismo differenziato: questioni e prospettive, tra

regola ed eccezione, in Le Regioni, 2017, spec. 691 ss.

3. Distingue correttamente i problemi politici da quelli giuridici e che cerca un’interpre- tazione costituzionalmente conforme dell’art. 116, comma 3, soprattutto con riguardo al rispetto dei principi fondamentali (solidarietà, unità nazionale, uguaglianza), D. Girotto,

L’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. Tentativi di attuazione dell’art. 116, comma 3, cit. 36-37.

In primo luogo l’importanza di non confondere, nell’attuazione pra- tica, il regionalismo differenziato da quello speciale4.

Lo sconfinamento, infatti, non è una prospettiva immaginifica. La ri- chiesta di molte, anzi di tutte le materie consentite (v. ultime Bozze Veneto e Lombardia), produrrebbe all’interno delle leggi atipiche previste dall’art. 116, un elenco di competenze attribuite alla singola Regione simile agli elenchi di materie contenute negli Statuti speciali per le singole Regioni. Le leggi previste dall’art. 116 comma 3, dunque, diverrebbero una sorta di Statuto speciale della singola Regione che ha attivato e concluso con il Governo la procedura. Con evidenti scostamenti formali e sostanziali dall’impianto costituzionale e, partitamente e in primo luogo, dallo stesso articolo 116, terzo comma.

I limiti materiali (insieme a quelli procedurali) sostanziano il model- lo e questo non può essere né il modello dei poteri e competenze delle Regioni ordinarie (pena la superfluità costituzionale di tutta la proce- dura), né il modello di competenze e poteri delle Regioni speciali (pena l’incostituzionalità della legge di cui al 116, comma terzo eventualmente approvata secondo tale logica).

In secondo luogo, occorre avere la massima cura nel non interpretare il regionalismo differenziato in maniera tale da modificare surrettizia- mente la forma di Stato, cioè consentendo a tutte le Regioni ordinarie di diventare differenziate5.

In questa prospettiva la formula contenuta nel c.d. contratto di Go- verno stipulato nella scorsa Legislatura dalla Lega e dal Movimento 5stelle (secondo cui tutte le Regioni avrebbero diritto ad una Intesa per valo- rizzare le proprie specificità) non è coerente con la Costituzione: se così fosse si muterebbe neanche tanto velatamente la forma di Stato, poiché avremmo solo più Regioni speciali e Regioni differenziate, con il risultato concreto di una “disattivazione” del Titolo V della Costituzione, che non sarebbe più applicabile a nessuna Regione. Il che è, appunto, a dir poco incostituzionale, a Costituzione invariata.

4. A. Poggi, Qualche riflessione sparsa sul regionalismo differenziato (a margine del

Convegno di Torino), in Diritti regionali, n. 2/2019. L’idea che, invece, l’introduzione dell’i-

stituto avrebbe potuto condurre, nel tempo, ad una riduzione delle differenze tra regioni ordinarie e speciali è sostenuta da T.E. Frosini, La differenziazione regionale nel regiona-

lismo differenziato, in Riv. giur. mezz., 2002, 599 ss. Per un’acuta ricostruzione dei tratti

caratterizzanti ad oggi la specialità v. S. Bartole, Esiste oggi una dottrina delle autonomie

regionali e provinciali speciali?, in Le Regioni, 2010 spec. 863 ss.

5. A. Poggi, Qualche riflessione sparsa sul regionalismo differenziato (a margine del

Se, dunque, è evidente che non è possibile far transitare tutte le Re- gioni ordinarie verso il modello della differenziazione, la prospettiva di una pur quantitativamente ridotta geometria variabile pone in ogni caso molti problemi. In altri termini, il problema di “quante” Regioni ordina- rie vogliano diventare differenziate, e per quanto tempo, non può essere affrontato a pezzi o a spizzichi e bocconi, ma deve essere affrontato in maniera organica.

Se, come pare, parecchie Regioni vogliono rivendicare una qualche forma di Intesa, non si può permanere all’interno dello scenario 116, comma terzo poiché occorre entrare in quello della trasformazione della forma di Stato, attraverso la ri-discussione dei modelli di Regione (com- preso il modello della specialità che se diffuso, anche solo surrettiziamente, non avrebbe più molto senso rispetto all’attuale impianto costituzionale) e di rapporti “complessivi” Stato-Regioni. Nel senso che bisognerebbe rivedere l’intero Titolo V, pena avere un’intera parte della Costituzione quasi completamente disattivata.

3. Le applicazioni del principio di differenziazione nel Titolo V (escluso

il 116, comma 3)

Poste tali premesse, il punto rilevante è dunque comprendere fino in fondo il modello del regionalismo differenziato e ciò non è possibile, come ho tentato di argomentare tempo fa6, se non inserendo l’istituto stesso nel

contesto del Titolo V. Da tale operazione interpretativa mi pare si possa trarre la convinzione che il 116 comma 3 è un istituto di razionalizzazione

del regionalismo ordinario che chiude il cerchio delle altre differenziazioni desumibili dal Titolo V.

Tutto il Titolo V, infatti, è pervaso dall’idea della differenziazione, cuore autentico del regionalismo.

a) Una prima differenziazione può derivare dalla previsione di cui all’art. 117, comma 4 della competenza legislativa residuale in capo alle Regioni, sotto almeno due diverse prospettive.

La prima, che opera come vera e propria integrazione del Titolo V, è quella inerente lo stesso esercizio di tale competenza. Nell’esercizio di

6. In Esiste nel Titolo V un “principio di differenziazione” oltre la “clausola di differenzia- zione” del 116 comma 3?, cit., 27 ss.

questa, soprattutto quando non è la Costituzione a fissare gli elenchi di materie in cui può esercitarsi, opera potremmo dire una vera e propria «scrittura» da parte delle Regioni di un pezzo (non scritto) del Titolo V.

La seconda che non opera sullo stesso piano, può produrre, tut- tavia differenziazioni di peso in relazione a norme che, seppure non di livello costituzionale sono comunque norme cui l’ordinamento riconosce un valore diverso. La potestà legislativa residuale, infatti, è destinata a investire principalmente l’assetto organizzativo complessi- vo della Regione (disciplina del personale, ordinamento degli uffici) e dunque a poter incidere, modificandoli, su snodi introdotti da leggi considerate “norme generali dell’ordinamento” quali, ad esempio, la 29/1993 che, come noto, delinea un rapporto di separazione tra politica e dirigenza.

b) Una seconda differenziazione può derivare dalla legge statale di disciplina della partecipazione delle Regioni alla decisioni dirette alla for-

mazione degli atti normativi comunitari di cui all’art. 117, comma 5.

Questa, infatti, potrebbe introdurre per alcune Regioni o per alcune situazioni dei modelli di partecipazione o di attuazione differenziate sino al punto di poter interpretare “estensivamente” la formula “partecipano” in “co-decidono”.

c) Una terza differenziazione possibile deriva dagli accordi e le intese di cui all’art. 117, comma 8, secondo cui “La legge regionale ratifica le intese

della Regione con altre Regioni per il miglior esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni”.

L’inserzione in Costituzione della specifica ipotesi concernente le Re- gioni e la specificazione della necessità di una ratifica ad opera della legge regionale assume, dunque, un significato ulteriore rispetto al noto modello dell’accordo di programma: e cioè che quella intesa può giungere ad una deroga del normale esercizio della funzione. Ecco perché dunque, non sarebbe più sufficiente il solo provvedimento amministrativo (accordo di programma) ma occorrerebbe la copertura della legge per la “deroga” introdotta.

d) Il terreno più esplicito di differenziazione attiene , in quarto luogo, alla capacità delle Regioni di darsi la propria forma di governo, espressione tra le più alte di autonomia politica.

La maggioranza della dottrina, in realtà, è orientata a ritenere che la formula “forma di governo” introduca innovazioni poco lineari, dunque,

scarsamente leggibili7, poiché da un lato si prevede che i nuovi statuti pos-

sono scegliere la propria forma di governo, derogando rispetto al modello previsto dalla Costituzione (art. 122 ultimo comma) mentre, dall’altro lato si tende a riformare la stessa forma di governo regionale “dal centro”, pro- ponendo un sistema basato sull’elezione diretta del presidente della Giunta che, pur potendo essere disatteso dalle Regioni, il legislatore costituzionale tende surrettiziamente, con diversi accorgimenti, ad imporre8.

e) La quinta forma di differenziazione è riconducibile all’art. 118 com- ma 1, che, introducendo in maniera esplicita il principio di sussidiarietà, oltre a superare quello del parallelismo, è teoricamente in grado di pro- durre innovazioni assai rilevanti in termini di differenziazione di funzioni amministrative9.

7. Così, tra gli altri, G. Lombardi, Forme di governo regionale. Profili storici e comparatistici, in Aa.Vv., La potestà statutaria regionale nella riforma della costituzione. Temi rilevanti e

profili comparati, Milano, 2001, 36; A. D’Atena, La nuova autonomia statutaria delle Regioni,

in Rass. parlamentare, 2000, 614 ss., R. Tosi, Le “leggi statutarie” delle Regioni ordinarie e

speciali: problemi di competenza e di procedimento, in A. Ruggeri - G. Silvestri (a cura di), Le fonti di diritto regionale alla ricerca di una nuova identità, Milano, Giuffrè, 2001, 43 ss.

8. M. Olivetti, Sulla forma di governo delle Regioni dopo la legge costituzionale n. 1 del

1999, in Diritto pubblico, 2000, 943 ss.

9. Implicazioni già presenti nella legge n. 59 del 1997 e nella valorizzazione di quegli aspetti che avrebbero dovuto produrre, attraverso l’applicazione dei principi di sussidia- rietà, differenziazione ed adeguatezza un reale mutamento del sistema Paese. Sul punto v. Aa.Vv., I disegni di legge del Governo in materia di decentramento e di semplificazione

amministrativa, Tavola rotonda presieduta da L.Paladin, Bologna, 12 settembre 1996, Le Regioni, 1996, 787 ss.; C. Desideri - G. Meloni (a cura di), Le autonomie regionali e locali alla prova delle riforme, Interpretazione e attuazione della legge n. 59 del 1997, Milano,

1998; S. Cassese, Il disegno del terzo decentramento, in Giornale di dir. amm., 1997, n. 5, 417 ss.; A. Zito, Riforma dell’amministrazione, ordinamento Comunitario e principio di

responsabilità: prime riflessioni in margine alla legge 15 marzo 1997, n. 59, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1997, 673 ss.; A. Natalini, Una riforma amministrativa senza partiti?, in Riv. trim. di scienza dell’amministrazione, 1997, 5 ss.; L. Torchia, La modernizzazione del sistema amministrativo: semplificazione e decentramento, in Le Regioni, 1997, 329 ss.;

Id., Il “torso regionale” e lo Stato a figura intera, in Le Regioni, 1998, 229 ss.; F. Rugge, Le

leggi Bassanini: continuità e innovazioni del riformismo amministrativo, il Mulino, 1997,

717 ss.; F. Pizzetti, Federalismo, regionalismo e riforma dello Stato, Torino, 1998, 156 ss.; G.C. De Martin, Per prendere sul serio la riforma del “federalismo amministrativo”, in

Regioni e governo locale, 1997, n. 3; M. Clarich, Per l’amministrazione scatta l’ora della riforma. La vera sfida è la burocrazia, in Il Sole 24 ore, Marzo 1997, Dossier 3, 80 ss.; A.

Pizzorusso, Un utile contributo per riscrivere le regole ma restano i rischi di un approccio

demagogico, in Il Sole 24 ore, Marzo 1997, Dossier 3, 82 ss.; A. Bianco - L. Milano, La ri- forma della pubblica amministrazione locale, Commento alle leggi Bassanini, Gorle, A.N.C.I.,

Questa norma, infatti, affida alla legge regionale una potestas variandi generale e senza limiti temporali. La regola dell’attribuzione ai Comuni del potere amministrativo generale, infatti, non è una regola “tendenziale” o “debole” perché assistita dai parametri costituzionali della sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Dunque la sua deroga va motivata, nel senso che il legislatore (statale o regionale) che opera la deroga ha l’ob- bligo di considerare l’attribuzione di funzioni amministrative al Comune in maniera prioritaria rispetto agli altri enti, o comunque di motivare “le ragioni che impongano l’allocazione di (…) funzioni amministrative in capo ad un organo statale” (Corte cost. n. 196/2004).

La possibilità di differenziazione, è stato sostenuto, può giungere alla previsione di forme di collaborazione necessarie (=obbligatorie) per l’as- solvimento di determinate funzioni rispetto alle quali il limite territoriale del Comune appare inadeguato10. In tal caso, è del tutto evidente che si

avrebbe una deroga “forte” (ma consentita dalla norma costituzionale) al comma 1 dell’art. 118.

Oltre alla naturale differenziazione che scaturisce dall’applicazione dei principi contenuti al primo comma dell’articolo 118 occorre ricordare che le forme di coordinamento previste al comma 3 della norma (“La legge

statale disciplina forme di coordinamento tra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’art. 117, e disciplina inoltre

1997; F. Caringella - A. Crisafulli - G. De Marzo - F. Romano, Il nuovo volto della

pubblica amministrazione. Tra federalismo e semplificazione, Napoli, 1997; Aa.Vv., Nuove funzioni e riforma delle autonomie locali nella prospettiva federalista, in Le Regioni, 1997,

733 ss.; G. Pastori, La redistribuzione delle funzioni: profili istituzionali, in Le Regioni, 1997, 749 ss.; A. Fossati, Gli enti locali territoriali nelle leggi per la riforma della pubblica

amministrazione e per la semplificazione dell’attività amministrativa, in Il nuovo governo locale, 1998, 49 ss.; E. Balboni, I principi di innovazione del decreto Bassanini, in Impresa e Stato, nn. 44-45, 1998, 51 ss.; B. Benedini, Una nuova P.A. per le imprese, in Impresa e Stato, nn. 44-45, 1998, 43 ss.; M. Cammelli, Il decentramento difficile, in Aedon, n. 1, 1998;

C. Sangalli, Il decentramento del sistema amministrativo, in Impresa e Stato, n. 44-45, 1998, 32 ss.; Aa.Vv., I riflessi della legge 15 marzo 1997, n. 59 sui poteri statali e locali, in

Nuova Rassegna, 1998, n. 15, 1557 ss.; G. D’Alessio, Decentramento e riorganizzazione della P.A. nella legge n. 59 del 1997, in Il Lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 1998, pp.

9 ss.; G. D’Auria, Autorità e contratto nell’amministrazione italiana oggi, in Politica del

dir., 1998, 201 ss.; V. Cerulli-Irelli, I principi ispiratori della riforma amministrativa. Per un’amministrazione al servizio dei cittadini, in Aggiornamenti sociali, n. 11, 1998, 743 ss.;

A. Poggi, Le autonomie funzionali “tra” sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale, Milano, 2001, 83 ss.

10. F. Pizzetti, Piccoli comuni e grandi compiti: la specificità italiana di fronte ai bisogni

forme di intesa e coordinamento nella materia dei beni culturali”) vertono su

materie di competenza esclusiva statale (immigrazione e ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale) e dunque pos- sono condurre a esercizio congiunto di competenze diverse Stato-Regioni, oppure possono produrre la deroga del primo comma della norma stessa, nel caso di attribuzione di funzioni amministrative nell’ambito di materie che richiedono bacini più ampi di esercizio.

f) In sesto luogo l’art. 119 Cost dispone che le Regioni hanno “risorse

autonome” e che “stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri”.

Tale norma può produrre una notevole differenziazione, sia ad opera delle Regioni e degli altri enti territoriali, sia ad opera dello Stato.

Le possibilità differenziali che conseguono all’azione delle Regioni e degli altri enti territoriali si riconnettono ad almeno due diverse prospet- tive. La prima attiene al contenuto specifico del termine “entrate” proprie, comprendente molteplici dimensioni di autonomia, quali: utilizzazione di beni patrimoniali; svolgimento di attività economiche; proventi di attività produttive di beni o servizi esplicate direttamente o per interposte società o Agenzie; prestazioni coattive imposte a privati, singoli o associati11. La

seconda si riallaccia, invece, alla capacità degli stessi enti di stabilire il tri- buto, poiché tale competenza sarebbe comprensiva sia dell’individuazione della base imponibile, sia della fissazione dell’aliquota12.

Per quanto poi riguarda la facoltà da parte dello Stato di diversificare, basti rilevare come il comma 5 dell’art. 119 dispone che “per promuovere

lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”.

11. T. Ventre, L’autonomia tributaria e la fiscalità federale nel nuovo articolo 119 della

Costituzione, in B. Caravita (a cura di), I processi di attuazione del federalismo in Italia,

Milano, Giuffrè, 2004, 431.

12. P. Giarda, Le regole del federalismo fiscale nell’art. 119: un economista di fronte alla

nuova Costituzione, in Le Regioni, 2001, n. 6; F. Gallo, Prime osservazioni al nuovo art. 119 della Costituzione, in Rassegna Tributaria, 2002, n. 2, 589 ss. In tal senso parrebbe

4. Il principio di differenziazione di cui all’art. 116, comma 3

Insomma, vi è un principio di differenziazione che pervade tutto il Titolo V: se non ci fosse il 116 le Regioni si potrebbero differenziare in molti modi diversi.

Il 116 è uno degli istituti della differenziazione, tuttavia più vago (in mancanza di leggi di attuazione) che riguarda l’allocazione dei poteri poi- ché implica la possibilità, formalizzata (dalla Costituzione) di integrare e/o derogare l’assetto delle competenze legislative, così come delineato nella Costituzione per tutte le Regioni di diritto comune13.

Sulle competenze legislative, peraltro, oltre l’art. 116, il novellato Titolo V consente altresì altre possibili differenziazioni. A ben pensarci, infatti, mentre l’esercizio della competenza concorrente è espressione del princi-

pio di eguaglianza regionale, l’esercizio della potestà legislativa residuale

costituisce una della manifestazioni del principio di differenziazione. Quello che deve essere chiaro, però, è che il 116 fa riferimento in prima istanza a poteri legislativi, altrimenti si confonde e sovrappone con altri piani e possibilità di differenziazione sopra evidenziate.

L’istituto della differenziazione di cui all’ultimo comma dell’art. 116 non postula necessariamente il transito da una tipologia all’altra di compe- tenze legislative (da concorrente ad esclusiva, ovvero il transito dell’esclu- siva dalla potestà statale a quella regionale) potendo anche concretizzarsi in “ritagli” o “scorpori” di pezzi di materia.

L’ampliamento dell’autonomia che deriva dal 116 ult. comma, pertanto, “concerne” le materie di competenza legislativa concorrente (oltreché alcune di competenza legislativa statale esclusiva) potendosi concretizzare nella richiesta di un ampliamento di poteri differenti (legislativi, amministrativi, finanziari…) e in gradazioni diverse sino al confine “ultimo” costituito dal passaggio da una tipologia ad altra di competenza legislativa o, addirittura, nella richiesta di attribuzione di una competenza legislativa esclusiva statale14.

Quest’ultimo confine certamente pone la questione della ammissibilità di deroga alla normativa costituzionale con una fonte diversa da una fonte costituzionale. In proposito si è giustamente osservato che la questione

13. Per una lettura conforme a Costituzione dell’art. 116 comma 3 v. D. Mone, Autonomia

differenziata come mezzo di unità statale: la lettura dell’art. 116, comma 3 cost., conforme

a Costituzione in Rivista AIC, 1/2019, 262 ss.

14. In questo senso F. Salmoni, Forme e condizioni particolari di autonomia per le Regioni

ordinarie e nuova specialità, in A. Ferrara, G.M. Salerno (a cura di), Le nuove specialità nella riforma dell’ordinamento regionale, Milano, Giuffrè, 2003, 327.

della differenziazione come deroga alla normativa costituzionale “non rappresenta certo una novità, né si può dire che la previsione dell’art. 116, comma 3, costituisca la prima ed unica ipotesi di questo tipo nel nostro ordinamento”15. Basti rammentare le leggi cost. 1/1999 e 2/2001 che preve-

dono diverse ipotesi in cui ad una fonte diversa dalla legge costituzionale è consentita l’introduzione di modifiche o deroghe alle norme contenute nelle stesse leggi costituzionali, oltre all’ipotesi direttamente prevista dalla stessa Costituzione all’art. 122, comma 5 dove è introdotta una esplicita possibilità di deroga alla Costituzione da parte degli statuti ordinari.

La “decostituzionalizzazione formale” che in tali casi si realizza è stata pienamente giustificata dalla dottrina16 in base a due considerazioni: la

piena realizzazione dell’autonomia regionale che in tal modo si realizza e il fatto che le fonti autorizzate a derogare (o modificare) le norme di tipo costituzionale non acquisiscono, per ciò stesso, natura di fonte costitu-