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Regionalismo differenziato, sistema finanziario e specialità regionale

dalle c.d. pre-intese tra lo Stato e alcune Regioni ordinarie, di cui si discute ormai da un paio di anni.

Le differenze tra le due esperienze non sono, però, di poco conto: al di là del diverso fondamento costituzionale rinvenibile, nel primo caso, nel quadro statutario e, nel secondo, nell’art. 116, ultimo comma, Cost., la prima esperienza si contraddistingue per una portata decisamente più limitata, seppure non meno rilevante dal punto di vista delle complessi- ve ricadute economico-finanziarie, mentre, la seconda, per una, almeno potenzialmente, ampia portata, tale da stravolgere l’assetto delle compe- tenze legislative e, forse anche, amministrative delle Regioni interessa- te. Si aggiunga che, mentre la prima esperienza o, più correttamente, le esperienze riconducibili al primo gruppo, cioè quelle relative ai rapporti tra Stato e Regioni speciali3, sono ormai rodate e non suscitano reazioni

particolari4 (con l’unica eccezione, forse, del tanto atteso accordo tra lo

Stato e la Regione Sardegna di cui si dirà più avanti), la seconda tipologia di esperienze vive ancora la stagione di prima attuazione, con tutto ciò che ne consegue in termini di incertezze sulle diverse fasi procedimentali e di perplessità sulla tenuta complessiva5 dell’iter tracciato dall’art. 116,

ultimo comma, Cost.

In particolare, ciò che balza subito agli occhi di quest’ultimo procedi- mento è la possibilità di una facile “strumentalizzazione” dello stesso, nel senso che, confidando nella maggioranza parlamentare di turno e nella sua capacità di approvare una legge ordinaria a maggioranza assoluta6, si 3. Pare preferibile parlare di “esperienze”, utilizzando quindi il plurale, perché non esiste un modello unitario di “accordi” e prima ancora di procedimento che conduce a questi accordi; parimenti, non esiste un’unica modalità di “recepimento” di questi accordi. 4. Sebbene non siano mancate accese discussioni sulle modalità di “recepimento” di questi accordi; con riferimento a una di queste vicende si rinvia agli scritti di A. Piraino,

Un’intesa non può ignorare la Costituzione o uno Statuto speciale (A proposito dell’Accordo Stato-Regione siciliana del 20 giugno 2016 in materia di finanza pubblica), in federalismi.it,

15/2016, 27 luglio 2016, e di G. Verde, La rinnovata definizione dell’assetto della finanza e

dei tributi della Regione Siciliana tra disposizioni di attuazione dello Statuto e decreto-legge,

in Osservatoriosullefonti.it, 2/2016.

5. Se non addirittura di dubbi sulla conformità a Costituzione del procedimento ivi previsto.

6. Può essere utile ricordare che, in uno dei primi progetti che prevedevano una forma di regionalismo differenziato per le Regioni ordinarie (si allude al testo risultante dalla pro- nuncia della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali sugli emendamenti presentati, trasmesso alle Camere in data 4 novembre 1997), si disponeva, al riguardo, che «[c]on leggi costituzionali possono essere disciplinate forme e condizioni particolari di autonomia anche per le altre Regioni» (art. 57, quarto comma, del progetto di legge

può giungere a stravolgere in maniera significativa l’assetto costituzionale delle competenze legislative e amministrative di singole Regioni ordinarie senza che sia in alcun modo previsto l’intervento o il coinvolgimento delle altre. Al riguardo è significativo quanto affermato da Leopoldo Elia, nel corso di un’audizione resa il 23 ottobre 20017, nella quale esprimeva molti

dubbi sulla conformità ai principi fondamentali della Costituzione dell’art. 116, terzo comma, Cost., sottolineando la gravità di un procedimento che può portare a una revisione costituzionale «senza le garanzie dell’articolo 138 della Costituzione, almeno nella misura in cui queste garanzie erano mantenute dalle leggi istitutive delle Bicamerali». Con quest’ultimo richia- mo Elia alludeva, tra l’altro, all’art. 57, quarto comma, del testo del pro- getto di legge costituzionale risultante dalla pronuncia della Commissione D’Alema sugli emendamenti, in precedenza citato. Elia concludeva sul punto affermando: «questo regionalismo rischia di essere sì asimmetrico, ma a danno della Costituzione. Tutto ciò impone cautela; certo, questo regionalismo differenziato non è obbligatorio ma è disponibile con ecces- siva facilità. Peggio ancora se il procedimento di revisione costituzionale venisse “scansato” con una disinvolta abilitazione offerta alle regioni per appropriarsi di materie ora di competenza esclusiva dello Stato».

Edotti su questo possibile rischio, appare ancora più chiaro come la vera “trattativa”, su cui ruota la realizzazione del regionalismo differenziato, riguardi, evidentemente, il “costo” di questo trasferimento di competenze, che può diventare particolarmente elevato se, come sembra, alcune Regioni sono intenzionate a chiedere la competenza legislativa piena su tutte le materie di potestà concorrente.

In sintesi, dunque, agli accordi con i quali le singole Regioni speciali stabiliscono la misura, la modalità e le forme del loro concorso alla finanza pubblica per uno o più anni si contrappone un modello procedimenta- le che consente a una Regione ordinaria, sulla base di un’intesa con lo Stato, stipulata magari approfittando dell’esistenza di una maggioranza parlamentare dello stesso colore politico, di determinare un radicale cam- biamento dell’assetto delle competenze regionali con i conseguenti effetti finanziari, sicuramente in grado di resistere al tentativo di abrogazione o

costituzionale). Dunque, solo con legge costituzionale sarebbe stato possibile introdurre forme ulteriori di autonomia.

7. Consultabile in Senato della Repubblica, 1a Commissione permanente (a cura di),

Costituzione, Regioni e Autonomie Locali, Indagine conoscitiva Sugli effetti nell’ordinamento delle revisioni del Titolo V della Parte II della Costituzione, vol. I, Roma 2002, 7 ss. ma spec.

di modificazione operato da una legge ordinaria adottata senza una previa nuova intesa. Pertanto, l’unico modo per revocare questo assetto sembra essere quello di pervenire a una nuova intesa o, in ultima istanza, di ap- provare una legge costituzionale che finisca con il derogare al meccanismo dell’art. 116, ultimo comma, Cost.

2. Una questione di eguaglianza… in un contesto di forti incertezze

e di assoluta precarietà

A quanto fin qui detto si aggiunga che, data la portata potenzialmente molto ampia della “specializzazione” ex art. 116, ultimo comma, Cost., que- sta differenziazione può trasmodare in trattamenti fortemente diseguali tra i cittadini delle Regioni differenziate e quelli delle altre Regioni ordinarie. Al riguardo, però, occorre fare qualche precisazione: è infatti inevitabile che l’esercizio di qualsivoglia forma di autonomia determini la possibilità di discipline e di trattamenti diversificati; peraltro, la Corte costituzionale ha costantemente affermato che «il riconoscimento stesso della competenza legislativa della Regione comporta l’eventualità, legittima alla stregua del sistema costituzionale, di una disciplina divergente da regione a regione, nei limiti dell’art. 117 della Costituzione» (così sentenza n. 277 del 1995 e prima ancora sentenza n. 447 del 1988; tra le più recenti, sentenze n. 241 del 2018, n. 119 e n. 84 del 2019).

Peraltro, non vi è dubbio che le questioni connesse al principio di eguaglianza stiano alla base di qualsiasi forma di devoluzione o di decen- tramento territoriale8; non a caso, nell’incipit di uno dei più noti atti di

indipendenza di colonie dalla madrepatria (la Dichiarazione di Indipen- denza di Philadelphia del 1776) si legge: «Noi teniamo per certo che queste verità siano di per se stesse evidenti: che tutti gli uomini sono creati eguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi Diritti inalienabili, che tra questi vi siano la Vita, la Libertà ed il Perseguimento della Felicità. Che per assicurare questi diritti sono istituiti tra gli Uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati» (corsivi aggiunti). Da ciò si deduce che non è affatto casuale che ogni rivendicazione di autonomia sia accompagnata da una domanda di eguaglianza o nella forma di un eguale trattamento rispetto ad altre parti del territorio na-

8. Sulla necessità di distinguere tra differenziazione delle unità e asimmetrie si rinvia a R. Bifulco, Differenziazione e asimmetria nella teoria federale contemporanea, in Dir.

zionale, ritenute meritevoli dello stesso trattamento, o nella forma di un trattamento diverso rispetto a contesti differenti.

Non è dunque in discussione l’inevitabile diversificazione prodotta dal normale esercizio delle attribuzioni, riconducibili alle varie forme di autonomia; il rischio è, piuttosto, quello di una differenziazione costruita prescindendo da una cornice unitaria, contrattata con il Governo nazionale in un contesto politico in cui quest’ultimo, di fatto, non si fa garante di tutte le autonomie, comprese quelle che non siedono al tavolo della trattativa. Una situazione di questo tipo potrebbe, quindi, portare a una pericolosa accentuazione delle già profonde differenze esistenti tra le diverse parti del Paese.

Nella vicenda della differenziazione regionale, poi, le “rivendicazioni di eguaglianza” o di “diseguaglianza” si presentano sotto vari profili: ad esempio, in termini di richiesta di discipline differenti per situazioni dif- ferenti nei rapporti tra le Regioni che chiedono le «ulteriori forme e con- dizioni particolari di autonomia» e le altre Regioni ordinarie; ed ancora, nel senso di reclamare trattamenti eguali (o analoghi) per situazioni eguali (o analoghe) nei rapporti tra le Regioni “differenziande” e quelle speciali. Ma non mancano anche le rivendicazioni di eguaglianza o di diseguaglian- za da parte delle altre Regioni ordinarie (che chiedono di poter accedere, anch’esse, alla trattativa per la differenziazione) e delle Regioni speciali (che, invece, sottolineano le peculiari ragioni del loro status). Senza dimenticare, poi, che dietro le – o forse prima ancora delle – richieste di trattamenti eguali o diseguali, avanzate dagli enti regionali, ci sono analoghe istanze provenienti dai cittadini.

In questo quadro di rivendicazioni di tutti contro tutti, la questione cruciale, con specifico riferimento al tema della presente relazione, è quella che il Prof. Grosso, nella relazione introduttiva di questo convegno, ha definito in termini di rapporto tra «uso efficiente delle risorse pubbliche e principio di eguaglianza».

L’estrema delicatezza di questi problemi è, se possibile, aggravata dalle forti incertezze e dalla perdurante sensazione di precarietà che connotano il percorso di attuazione del regionalismo differenziato. Si tratta, a ben vedere, di un inevitabile riflesso di quella caratteristica già rilevata da Elia, secondo cui «questo regionalismo differenziato […] è disponibile con ec- cessiva facilità», al punto che se è eccessivamente facile “farlo” è altrettanto eccessivamente facile “disfarlo”. In altre parole, se l’avvio di un percorso di questo tipo è fortemente condizionato dall’esistenza di una peculiare congiuntura politica è lecito attendersi che, al venir meno di quest’ultima, tutto il castello di sabbia si dissolva rapidamente.

Passando alle specifiche ragioni di incertezza, già durante i lavori pre- paratori dell’art. 116, ultimo comma, Cost. ci si chiese, ad esempio, come andasse concepito il ruolo del Parlamento rispetto al testo dell’intesa; in particolare, ci si interrogò sulla rilevata contraddittorietà tra la previsione dell’«iniziativa della Regione interessata» e la necessità di un’intesa tra questa e lo Stato, che potrebbe fortemente incidere sul testo originario di iniziativa regionale. A questo interrogativo, che ha continuato a impegnare gli interpreti financo in tempi recenti sotto il versante dell’emendabilità dell’intesa, si è offerta una risposta nel senso di ritenere che proprio la previsione dell’intesa tra Stato e Regione intendeva «garantire che la Re- gione proponente sia messa in condizione di poter assentire anche sul testo finale, che potrebbe essere cambiato (rispetto alla proposta iniziale) nel corso dell’iter parlamentare»9.

Ancor più interessante ai fini di questo scritto è l’altra questione og- getto di attenzione già durante i lavori preparatori; ci si chiese, infatti, come dovesse essere interpretata e, prima ancora, quale utilità avesse la clausola del «rispetto dei principi di cui all’articolo 119». Dall’iniziale sensazione di un’inutile “ridondanza” rispetto all’ovvietà di tale rispetto (da parte della legge ordinaria prevista dall’art. 116, ultimo comma, Cost.) si passò, ben presto, a rinvenire la ratio del riferimento ai principi del c.d. federalismo fiscale «nell’esigenza che [il] conferimento della competen- za sia contestuale alla considerazione delle conseguenze sul piano delle risorse finanziarie necessarie». Dunque, il rispetto dei principi di coordi- namento e di responsabilità fiscale deve «informare tutto l’iter della legge, a partire dalla fase dell’iniziativa (operando, in ipotesi, come condizioni di procedibilità)»10.

Da questo legame ontologico tra le due disposizioni costituzionali è stato fatto discendere un carattere che dovrebbe essere proprio del pro- cesso di differenziazione: quello della sua «reversibilità»11. Non avrebbe

senso, infatti, fare riferimento ai principi dell’art. 119 Cost. se dal normale

9. Così nel Dossier del Servizio Studi della Camera dei deputati, Ufficio ricerche sulle

questioni regionali e sulle autonomie locali, in Senato della Repubblica (a cura di), Lavori preparatori, Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione (Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), vol. I, Roma 2001, 31 s.

10. Dossier del Servizio Studi della Camera dei deputati, Ufficio ricerche sulle questioni

regionali e sulle autonomie locali, cit., 32.

11. In questo senso già E. Cheli, Audizione del 27 novembre 2001, in Senato della Repubblica, 1a Commissione permanente (a cura di), Costituzione, Regioni e Autonomie

Locali, Indagine conoscitiva Sugli effetti nell’ordinamento delle revisioni del Titolo V della Parte II della Costituzione, vol. I, cit., 177 s.

decorso del tempo e dal conseguente mutamento delle condizioni finan- ziarie non derivasse la possibilità di mutare le condizioni finanziarie della differenziazione.

A fronte di queste incertezze interpretative vi è poi l’assoluta preca- rietà dei progetti di differenziazione finora messi in cantiere, tutti caduti nel dimenticatoio con il variare dell’Esecutivo nazionale12. Quest’ultima

considerazione rende problematico il compito di chi voglia studiare questi progetti, spesso costretto a cambiare le proprie conclusioni nel breve volge- re di qualche mese. Particolarmente indicativo è il dato relativo al presente convegno, svoltosi quando sembravano pronte per la stipula definitiva e per l’approvazione parlamentare le bozze di intesa predisposte tra la fine del 2018 e i primi mesi del 2019, e che giungerà in stampa quando forse sarà naufragato anche il tentativo del Ministro Boccia di approvare una legge quadro sulla differenziazione regionale.

Ciò nondimeno, è con questi testi che occorre confrontarsi; in parti- colare, nel presente scritto ci si soffermerà sulle bozze di intesa elaborate e corrette tra il febbraio e il maggio 2019 (Governo Conte I) e sul disegno di legge quadro in materia, predisposto dal Ministro per gli affari regionali Francesco Boccia (Governo Conte II).

Da ultimo, non può sottacersi che a rendere ancora più complicata l’opera ricostruttiva contribuisce il carattere “clandestino” o “semi-clande- stino” di queste iniziative, le cui poche informazioni non sono quasi mai ricavabili da documenti ufficiali pubblicati sul sito del Ministero ma da altre fonti di informazione13.

3. La “situazione di partenza” tra pregiudizi, luoghi comuni e paradossi

della differenziazione

Come si è visto, non vi è dubbio che la differenziazione, genericamente intesa, costituisce un carattere strutturale naturale dell’articolazione re- gionale e, prima ancora, del concetto stesso di autonomia; in particolare, se il riconoscimento dell’autonomia non comportasse una – anche solo potenziale – differenziazione non avrebbe senso discuterne.

12. Significativa è, al riguardo, la sorte delle bozze di intesa elaborate quando era in carica il Governo Gentiloni e poi il Governo Conte I.

13. Il riferimento è a riviste scientifiche, come federalismi.it, o a periodici telematici, come regioni.it, curato dal CINSEDO (Centro Interregionale Studi e Documentazione), o ancora alla rivista dell’Associazione Roars (Return On Academic Research).

L’ordinamento regionale italiano si caratterizza per un assetto che, nel corso degli anni, ha fatto emergere numerose spinte alla differen- ziazione, ben oltre quella riconducibile all’art. 116, ultimo comma, Cost.14. In questa direzione si collocano sicuramente le “istanze” di

differenziazione riconducibili a specifiche previsioni introdotte nel Titolo V della Parte II della Costituzione sia con la legge cost. n. 1 del 1999 (artt. 122 e 123) sia con la legge cost. n. 3 del 2001 (artt. 117, 118 e 119)15, ma si inquadrano anche talune forme di “ulteriori”

differenziazioni che hanno riguardato le autonomie speciali (si pensi, per tutte, alla possibile varietà di contenuti della c.d. legge statutaria in materia di forma di governo e di sistema elettorale, prevista dalla legge cost. n. 2 del 2001).

In quest’ultima categoria di “ulteriori” differenziazioni delle autonomie speciali si collocano, probabilmente anche gli accordi che talune Regioni speciali hanno stipulato con lo Stato, contrattando, alla pari, nuove condi- zioni delle proprie relazioni finanziarie (su tutte, la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano) o essendo “costrette” (in primis, la Sicilia) a farlo da una situazione di grave indebitamento, che, di fatto, le ha obbligate ad accettare qualsiasi condizione pur di ottenere dallo Stato le risorse necessarie a chiudere i propri bilanci (peraltro, non riuscendo a evitare gli strali della Corte dei Conti in sede di approvazione dei rendiconti16). Una menzione a parte merita poi la vicenda della Regione

Sardegna, la quale, all’esito di un lungo contenzioso costituzionale che l’ha vista contrapposta allo Stato, nei cui confronti è spesso risultata vittoriosa, è riuscita solo dopo molti mesi dalla “storica” sentenza n. 6 del 2019 a “ot- tenere”, non senza qualche critica17, la stipula di un nuovo accordo, siglato

il 7 novembre 2019.

14. Al riguardo si rinvia ad A.M. Poggi, Esiste nel Titolo V un “principio di differenzia- zione” oltre la “clausola di differenziazione” del 116 comma 3?, in Esperienze di regionalismo differenziato. Il caso italiano e quello spagnolo a confronto (a cura di A. Mastromarino e

J.M. Castellà Andreu), Milano 2009, 27 ss.

15. Su queste differenziazioni si veda A.M. Poggi, Esiste nel Titolo V un “principio di differenziazione” oltre la “clausola di differenziazione” del 116 comma 3?, cit., spec. 33 ss.

16. Da ultimo, si veda la decisione della Corte dei Conti, sezioni riunite per la Regione Siciliana, 13 dicembre 2019, n. 6.

17. Cfr. P. Maninchedda, Ecco la bozza dell’Accordo sulle Entrate tra la Regione e lo

Stato: confondere il commercio con le istituzioni, in https://www.sardegnaeliberta.it/ecco-

la-bozza-dellaccordo-sulle-entrate-tra-la-regione-e-lo-stato-confondere-il-commercio- con-le-istituzioni-prima-puntata/.

Più in generale, le caratteristiche salienti del modello regionale italiano sono state, di recente, così riassunte da Roberto Toniatti18, anche sulla scor-

ta di taluni contributi dottrinali: innanzitutto, il disegno del regionalismo italiano è stato «concepito sulla base di un pensiero puramente ottativo, del tutto incurante delle concrete possibilità di funzionamento del siste- ma istituzionale così generato»19; i Padri Costituenti hanno adottato un

modello di «regionalismo integrale», che coinvolge cioè tutte le Regioni e non solo i territori delle prime autonomie regionali speciali20; infine,

il disegno costituzionale si caratterizza per «un’ispirazione autoritaria rispetto alle autonomie territoriali, piuttosto che [per] una propensione ascensionale»21.

In questo assetto si innesta la previsione dell’art. 116, ultimo com- ma, Cost., che inserisce in un quadro di attribuzioni, improntato alla rigidità e alla staticità, alcuni elementi di dinamismo, unitamente alle altre disposizioni costituzionali, sopra richiamate, portatrici di analoghe istanze di differenziazione (ad esempio, l’art. 118, terzo comma, Cost., là dove prevede forme di coordinamento in materia di immigrazione, ordine pubblico e sicurezza e tutela dei beni culturali).

Pur non negando i limiti derivanti dalla formulazione dell’art. 116, ultimo comma, Cost.22, in parte già esaminati nei paragrafi precedenti,

occorre confrontarsi con questa disposizione rifuggendo da pregiudizi, luoghi comuni e paradossi.

Innanzitutto, il pregiudizio da evitare è quello che potrebbe definirsi “della riforma” o “della novità”, che porta a confondere lo strumento nor- mativo con il suo utilizzo. Nel caso di specie, non mancano certo i difetti strutturali, ma probabilmente essi sono amplificati dall’utilizzo che di questo istituto è stato fatto nei progetti degli ultimi anni. Al riguardo, vale la pena di ribadire che «[q]uello che si può fare con il meccanismo dell’art.

18. R. Toniatti, L’autonomia regionale ponderata: aspettative ed incognite di un incre-

mento delle asimmetrie quale possibile premessa per una nuova stagione costituzionale del regionalismo italiano, in le Regioni, 4/2017, 635 ss.

19. G. Falcon, Federalismo-regionalismo: alla ricerca di un sistema in equilibrio, in L. Mariucci - R. Bin - M. Cammelli - A. Di Pietro - G. Falcon, Il Federalismo preso sul

serio. Una proposta di riforma per l’Italia, Bologna 1996, 115 ss. ma spec. 120.

20. A. D’Atena, Diritto regionale, IV ed., Torino 2019, 10 s.

21. L. Ferraro, La cooperazione “anomala” nello Stato composto spagnolo. Analisi com-

parata dei rapporti tra autonomie territoriali e Unione Europea, Napoli 2010, 62.

22. Si allude non solo ai limiti procedimentali, in precedenza esaminati, ma anche a quelli sostanziali; si pensi per tutti alla formula «organizzazione della giustizia di pace».

116.3 non è quello che vorrebbero – o dichiarano di voler – fare»23 i sosteni-

tori delle bozze di intese elaborate in questi anni. In altre parole, il giudizio negativo su queste ultime non necessariamente si estende allo strumento in sé considerato, che è dunque passibile di una diversa attuazione.