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3. Gli Atranenses nella Lucania longobarda del X secolo

3.2 Gli Atranenses nella società salernitana Costumi e ruol

Nel 977 il vescovo pestano Pando decise di vendere a un gruppo di atranesi un vasto territorio in Lucaniense finibus in località Arenosa, in modo che, secondo le parole di giustificazione del presule all’alienazione, col denaro ricavato le chiese in rovina della diocesi fossero recuperate e che vi fossero «alias plures

utilitates», necessarie ai bisogni del vescovato; inoltre, a detta sua, il prezzo

concordato era maggiore del valore del terreno153. La cifra che entrò infatti nelle casse dell’episcopio è esorbitante, specialmente nel contesto di un’unica transazione: mille monete d’argento, alle quali i compratori ne aggiunsero altre dieci «pro causa pietatis». Essi, per proprio conto e per quello di altri atranesi

153

CDC, II, c. 296. «Si dederimus per convenientiam de res nostri episcopii in Lucaniense finibus, idest da fontana, que est in locum qui dicitur Arenosa, et usque duo flumina, dare nobis exinde pretium plux quam valiente est» (ibidem).

111 «qui ad navigandum sunt», richiesero anche la striscia costiera di terra dal mare all’interno, larga due miglia154.

Dopo il consueto consulto con Riccardo, notaio e advocator dell’episcopio, col prete Giovanni, vicedominus, e con tutto il clero, il vescovo decise «cum

gaudio» di vendere i beni agli atranesi presenti e non, in quanto essi già

detenevano la totalità dei beni in questione per brebem o per beneficium. Il documento, rogato a Salerno, fa menzione dell’autorizzazione principesca all’alienazione del vescovo, giunta dopo aver sentito tutte le ragioni di quest’ultimo155. La pena fu fissata nella cifra di duemila monete di argento.

L’interesse da parte degli atranesi per il territorio costiero della Lucania è palese: alcune famiglie evidentemente erano dedite al commercio marittimo156. Ciò permise una crescita economica di tutto il principato e di quelle aree periferiche in particolare, come il territorio di Capaccio nei fines lucani, che proprio nel corso del X secolo vide il suo sviluppo insediativo ai danni di Paestum157. «Ai rapporti col commercio marittimo, attestati dagli insediamenti degli atranesi nel Cilento, si univano contatti per via di terra con l’interno e la Puglia»158 e nelle comunicazioni con i territori bizantini, che certamente ci furono come dicono le evidenze archeologiche159, un posto di primo piano può aver avuto certamente anche il centro fortificato di Laurino, il quale, sulla via di collegamento con la Lucania bizantina e la valle del Crati, rappresenta il punto più estremo conosciuto del dominio longobardo salernitano in direzione di quelle aree.

Un Pietro atranese del fu Giovanni è infine attestato nel 980 aprile, quando, insieme ad altri, è concessionario di alcune terre di un conte longobardo, tale

154

Ibidem. «Latitudo querunt de ipse res tollere da litore mari in supra in omni loco miliaria dua» (ibidem).

155

«Ipsi vero a Deo conservati principes talia audiente, absolutionem nobis dedit convenientia ipsa faciendi, et de sua presentia inter nos exendum dixerit Gaido iudex» (ibidem).

156

TAVIANI-CAROZZI, La principauté lombarde de Salerne, p. 626; DELOGU, Il principato di Salerno, p. 267.

157

Ibidem, la cui lezione, in merito a Capaccio, sarà ribadita successivamente anche dalla stessa Taviani-Carozzi.

158

Ibidem. 159

Sui follari di rame bizantini rinvenuti a Capaccio, cfr. TRAVAINI, Le monete di Capaccio Vecchia. Campagne di scavo 1974-78, in Caputaquis medievale, II, pp. 357-374; sulla ceramica di produzione orientale, cfr. M. A. IANNELLI, Ceramiche medievali di Capaccio Vecchia: produzioni locali ed importazioni nella economia della Campania medievale, in “Faenza”, LXIX (1983), pp. 71-78.

112 Pietro del fu Pietro, localizzate presso il monastero di S. Maria «ad Gulie», nella zona del Cilentum longobardo160. Mentre nel 1018 un membro dei Boccapiczula e uno dei Mangnanaro, due famiglie atranesi161, sono beneficiari di una concessione della durata di un anno per lo sfruttamento di un lago, situato in prossimità della foce del Sele e di proprietà del comes palatii Disio e dei suoi fratelli, Iaquinto e Lando, probabilmente tutti conti, come già il padre defunto Disigio162.

Gli Atranenses dunque seppero ritagliarsi un ruolo eminente nell’ambito del mercato fondiario, del commercio marittimo, dell’artigianato, nonché in ambito giuridico, mirando anche a cariche pubbliche di alto livello sociale, come quelle dei giudici o dei gastaldi163. La loro politica fondiaria era, probabilmente, prima di prendere in affitto i fondi a cui erano interessati (forse volevano assicurarsi della bontà della loro scelta economica) e successivamente, se fossero stati soddisfatti degli affari politici-economici, di acquistarli164. Attraverso una politica matrimoniale particolarmente mirata, inoltre, essi riuscirono a legare a sé e alle loro famiglie personaggi di stirpe nobiliare come conti e visconti salernitani o amalfitani, oltre alla stessa famiglia principesca di Salerno165: in questo modo «ils pénètrent au sein du comitatus salernitain»166.

Nonostante non sia ancora chiaro se il loro esodo nel territorio salernitano sia avvenuto con la forza e la coercizione oppure se spontaneamente, attirati dalle ricche donazioni del palazzo167, e nonostante come già detto seguissero il diritto

160

«Memoratorium factu a me Petrus comes filius quondam Petri, eo quod ante supscripti testes guadia mihi dederunt Petrus Atrianense filius Iohanni, et Leo filius Petri ungri, et Faraccum filius Teudelgrimi […] terris meis, quod abeo in Lucania ubi propio ad Gulie bocatur, quod abet finis: da partibus orientis fine ipsa terra que discendi ad monasterio sanctae Marie, ubi bocatur ad Gulie» (CDC, II, c. 324).

161

Sui componenti dei Boccapizzola, cfr. anche ibidem, I, cc. 175 (a. 947), 184 (a. 954). 162

«Memoratorium factum a nobis Iaquintus, et Lando, et Disiu comitibus, germani filii quondam Disigi comiti, eo quod ante suprascripti testes tradidimus Iohanni atrianensi, filio Sergi Boccapiczula, et Iohanni atrianensi filio Sergi Mangnanarum unum lagum nostrum qui dicitur Paulinum, cum omnia pertinentia sua […] amodo et usque unum annum completum per ipso lagum piscare, qualiter voluerit, et omnes pisces quod ibidem compreenserit, toti illis sibi abere»; il censo è fissato in quattro tarì d’oro da versare «ad nostram potestatem» (ibidem, V, c. 710).

163

TAVIANI-CAROZZI, La principauté lombarde de Salerne, pp. 772-773. 164

E’ il caso ad es. della compravendita di Ligorio del 957, egli infatti aveva già avuto in affitto il fondo (CDC, I, c. 197); o di quella di Arenosa (ibidem, II, c. 296).

165

Emblematico per es. il caso di Vivo, gastaldo dell’actus Mitilianensis e poi visconte, legato a diversi livelli con rappresentanti di famiglie atranesi, analizzato in TAVIANI-CAROZZI, La principauté lombarde de Salerne, pp. 784-800.

166

Ibidem, p. 800. 167

113 romano e non quello longobardo, sappiamo che con ogni probabilità essi non subirono discriminazione, dato che se ciò fosse avvenuto certamente gli

Atranenses non sarebbero riusciti a scalare i vertici sociali e ad assumere posizioni

di prestigio, come invece abbiamo visto accadere168.

4. Lotte e congiure per il trono salernitano da Gisulfo I a Giovanni di