La normativa comunitaria si riferisce al danno nei confronti del marchio che gode di rinomanza, specificando che esso può avvenire nei confronti della reputazione del marchio – c.d.
tarnishment dalla legislazione statunitense – o della sua capacità distintiva – c.d. blurring dalla
legislazione statunitense.
4.3.1 L’offuscamento (blurring)
Il blurring viene inteso come l’utilizzo del marchio che ne comporti un danno alla capacità distintiva. Esso viene, a sua volta, concepito come la diminuita attitudine ad essere associato ai prodotti o ai servizi per i quali è stato registrato, pregiudicando la funzione essenziale del marchio stesso239.
La perdita del legame tra marchio e prodotto o servizio deve avvenire nella mente del pubblico di riferimento che, pur non confondendosi circa l’origine, vede comunque affievolita la propria capacità di associare il marchio ai beni per i quali è stato registrato dal titolare, determinandone così un’attenuazione del selling power.
La normativa comunitaria non indica esplicitamente quali siano i fattori che devono essere considerati al fine della statuizione circa l’integrazione della fattispecie di blurring, permettendo così alle corti dei diversi Stati membri di darne un’interpretazione ampia. Ciononostante, la giurisprudenza comunitaria ha elaborato una lista di parametri da considerare al fine di verificare se, nella mente del pubblico di riferimento, si possa instaurare il nesso che permetta il configurarsi di un pregiudizio al carattere distintivo del marchio ovvero un indebito vantaggio del terzo.
I fattori elaborati dalla Corte di Giustizia sono: “il grado di somiglianza tra i marchi in conflitto; la natura dei prodotti o dei servizi per i quali i marchi in conflitto sono rispettivamente registrati, compreso il grado di prossimità o di dissomiglianza di taluni prodotti o servizi nonché il pubblico interessato; il livello di notorietà del marchio anteriore; la distintività, intrinseca o
239 V. Corte di Giustizia, Intel Corporation Inc. v. CPM United Kingdom Ltd, cit., punto 29: “Quanto, più in particolare,
al pregiudizio arrecato al carattere distintivo del marchio anteriore, detto anche ‘diluizione’, ‘corrosione’ o ‘offuscamento’, esso si manifesta quando risulta indebolita l’idoneità di tale marchio ad identificare come provenienti dal suo titolare i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato e viene utilizzato, per il fatto che l’uso del marchio posteriore fa disperdere l’identità del marchio anteriore e della corrispondente impresa nella mente del pubblico. Ciò si verifica, in particolare, quando il marchio anteriore non è più in grado di suscitare un’associazione immediata con i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato”; v. anche Corte di Giustizia, Adidas-Salomon AG, Adidas Benelux
BV v. Fitnessworld Trading Ltd, cit., punto 37: “L’essenza della diluizione, in questo senso classico, consiste nello
smussamento della qualità distintiva del marchio, di modo che esso non risulta più in grado di suscitare un’immediata associazione mentale con i beni per i quali è stato registrato ed utilizzato”.
acquisita grazie all’uso, del marchio anteriore; l’esistenza di un rischio di confusione nella mente del pubblico”240.
Per la prova del pregiudizio, o del rischio di un pregiudizio, alla distintività del marchio anteriore è necessario dimostrare “una modifica del comportamento economico del consumatore medio dei prodotti o dei servizi per cui è stato registrato il marchio anteriore dovuta all’uso del marchio posteriore”241 ovvero il serio rischio che una siffatta modifica si produca in futuro.
Il blurring può costituire una conseguenza dell’uso parodistico, satirico o critico del marchio poiché nella mente del consumatore un determinato segno evocherà sia i beni per cui è stato registrato che le risultanze dell’uso altrui. Tuttavia, la conseguenza che meglio si confà ad un simile utilizzo pare essere il c.d. tarnishment che, in alcuni casi, è accompagnato dal danneggiamento al carattere distintivo del marchio.
4.3.2 L’annacquamento (tarnishment)
La normativa europea, pur non menzionando esplicitamente questa fattispecie, parla di danno alla reputazione del marchio242. Il tarnishment si configura come un’associazione, creata nella mente del consumatore, che svilisce la reputazione del marchio: può essere considerato anche come un sottoinsieme del blurring poiché, oltre a indebolire l’originario legame tra marchio e prodotto, danneggia l’immagine del marchio creata nel corso del tempo grazie alle campagne pubblicitarie e, inoltre, al pari del blurring può comportare una riduzione del selling power del marchio.
Il danno reputazionale può avvenire con diverse modalità: la prima si delinea come l’associazione del marchio a prodotti di bassa qualità o totalmente diversi da quelli commercializzati dal titolare del marchio e che, date le loro caratteristiche intrinseche, possono
240 Corte di Giustizia, Intel Corporation Inc. v. CPM United Kingdom Ltd, cit., punto 42.
241 Corte di Giustizia, Intel Corporation Inc. v. CPM United Kingdom Ltd, cit., punto 77.
242 V. artt. 9, par. 1, lett. c), del Reg. 207/2009/CE, così come modificato dal Reg. 2424/2015/UE, e 10, par. 2, lett. c), della Dir. 2015/2436/UE.
creare un detrimento all’immagine del marchio. Ne sono esempio i casi Mars e Nivea che hanno riguardato l’accostamento dei due celebri marchi, registrati, rispettivamente, per dolci e per creme cosmetiche, a profilattici243.
L’altra tipologia di tarnishment, invece, deriva dall’utilizzo, parodistico, satirico o critico del marchio, ontologicamente idoneo a danneggiarne l’immagine. Ne sono un esempio l’accostamento del marchio a condotte malsane, disdicevoli e in grado di sconvolgere l’opinione pubblica. I casi che sono stati affrontati dalle corti riguardavano l’accostamento del marchio altrui all’utilizzo di droghe (e.g. Agip-Acid e Adhash244), a temi blasfemi (e.g. Porco Diesel) o scabrosi come la pedofilia (e.g. Nutella245) e al sesso.
In conclusione, quando l’uso satirico o parodistico del marchio avviene in relazione a temi che per loro natura sono idonei a scioccare la morale comune e, di conseguenza, a danneggiare la reputazione del marchio, i giudici saranno più restii a considerare tale utilizzo come protetto dalla libertà d’espressione. Al contrario, quando la parodia coinvolge tematiche diverse, i giudici saranno maggiormente predisposti a considerare questo utilizzo come una forma di libertà d’espressione e, dunque, non concretizzante tarnishment.
L’uso del marchio a fini di critica dell’operato del suo titolare, anche se non diretta contro i prodotti contrassegnati, è di per sé idoneo a danneggiare la reputazione del marchio ma, se giustificato da un interesse sociale, i giudici, nel bilanciamento degli interessi in gioco, preferiranno quelli rilevanti per la collettività piuttosto che quelli del titolare del marchio: solo quando la critica si trasforma in denigrazione non è invocabile la libertà d’espressione.
243 V. Bundesgerichtshof, Markenverunglimpfung v. Mars, 10 febbraio 1994, cit.; Bundesgerichtshof, Markenverunglimpfung II v. Nivea, 19 ottobre 1994, cit.
244 V. OLG Hamburg, 5 settembre 1991, in GRUR, 1992. Il caso riguarda l’associazione del celebre marchio Adidas alla stilizzazione di una foglia di marijuana e alla scritta “Adihash, gives you speed”.
245 V. Cour d’Appel de Paris, 7 maggio 2004. Il marchio Nutella era stato utilizzato, da uno speaker radiofonico francese, che lo associava alla pedofilia.