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LE PREROGATIVE DEL TITOLARE DEL MARCHIO

Il contenuto del diritto di marchio consiste nella facoltà di farne un uso esclusivo. Tale esclusiva si compone di due aspetti: il primo, positivo, è il diritto di scegliere liberamente e discrezionalmente le modalità di utilizzo del marchio ed il secondo, negativo, è rappresentato dalla facoltà di vietare ai terzi non autorizzati di usare il segno oggetto di esclusiva. In quest’ottica la tutela della capacità distintiva è da intendersi come “una tutela contro la confondibilità (…) essenzialmente volta ad escludere un uso del marchio idoneo a trarre il pubblico in errore”121.

Le principali prerogative del titolare del marchio, dunque, sono rappresentate dall’esclusività dell’utilizzo di questo e dal diritto di prevenire ogni utilizzazione non autorizzata da parte dei terzi nello svolgimento dell’attività economica.

Ciò si può facilmente desumere dalle fonti normative internazionali, comunitarie ed interne. Per quanto riguarda le prime, l’art. 16, paragrafo 1, dell’Accordo TRIPs stabilisce che “il titolare

di un marchio registrato ha il diritto esclusivo di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio segni (…)”. Nell’ordinamento comunitario, invece, questi principi sono esposti,

121 A. VANZETTI, La funzione del marchio in un regime di libera cessione. In: Rivista di diritto industriale, vol. 47, n. 3, 1998, pag. 89.

in modo identico, dall’art. 10 della Dir. 2015/2436/UE e dall’art. 9 del Reg. 207/2009/CE, così come modificato dal Reg. 2424/2015/UE, i quali statuiscono al paragrafo 1 che “la registrazione

del marchio UE conferisce al titolare un diritto esclusivo” e al paragrafo 2 che “fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno (…)”.

Comparando tali norme, si riscontra che, alla formulazione dei diritti del titolare del marchio, quelle comunitarie fanno seguire un elenco delle fattispecie contraffattive, il quale non risulta essere presente nella norma internazionale, infatti l’art 16 dell’Accordo TRIPs menziona solo due fattispecie122 e rimanda all’art. 6-bis della CUP per la terza, ovvero la protezione accordata ai marchi che godono di notorietà.

Per quanto riguarda la normativa nazionale, essa, all’art. 20 c.p.i., recepisce le disposizioni dell’art. 5 della Dir. 2008/95/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa: in particolare, come il paragrafo 3 dell’art. 5 della Dir. 2008/95/CEE123, offre un’elencazione, pacificamente non esaustiva, di alcuni tipi di utilizzo del marchio altrui ritenuti idonei ad infrangere le prerogative del titolare del marchio e, per questo, vietati. Tuttavia, pare opportuno segnalare che essa è stata modificata dal Reg. 2424/2015/UE e dalla Dir. 2015/2436/UE che ora prevedono le seguenti ipotesi: “l’apposizione del segno sui

prodotti e sul loro imballaggio, l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio di prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno, l’importazione o l’esportazione dei prodotti sotto la copertura del segno, l’uso del segno come nome commerciale o nella pubblicità [e] l’uso del segno nella pubblicità comparativa in maniera contraria alla Dir. 2006/114/CE”.

122 Ossia l’uso, nel commercio, di segni identici o simili per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio è stato registrato, qualora tale uso possa comportare un rischio di confusione.

123 L’art. 5, par. 3, della Dir. 2008/95/CEE prevede che: “si può in particolare vietare, ove sussistano le condizioni

menzionate ai paragrafi 1 e 2: a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento; b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, ovvero di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno; c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno; d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità”.

Tale elenco esemplificativo può essere implementato da ciò che la giurisprudenza, nel caso concreto, considera come “uso nel commercio”: gli elementi di tale fattispecie risultano integrati qualora l’utilizzo “si colloc[hi] nel contesto di un’attività commerciale finalizzata a un vantaggio economico e non nell’ambito privato”124, ciò presuppone che “in linea di principio, i diritti esclusivi conferiti dai marchi possono essere fatti valere solo nei confronti degli operatori economici”125, tuttavia, nel caso di vendita da parte di una persona fisica di un prodotto marchiato in un mercato online “se le vendite effettuate in tale mercato superino, per il loro volume, la loro frequenza o altre caratteristiche, la sfera di un’attività privata, il venditore si colloca nell’ambito del ‘commercio’”126. Inoltre, pare opportuno segnalare che restano esclusi dalla contraffazione gli usi puramente civili del marchio altrui, ossia quelli non destinati al mercato, di cui sono un esempio i fini personali ed i riferimenti al marchio in opere letterarie.

Le attività fatte oggetto di divieto sono riservate al titolare del marchio ed integrano la fattispecie contraffattiva qualora siano svolte da terzi non autorizzati. La ratio del divieto si riscontra nel voler evitare di mettere a repentaglio la funzione distintiva esplicata dal marchio sul mercato, tutelando, attraverso il titolare del marchio, anche i consumatori. Infatti, se così non fosse, essi perderebbero la certezza che un segno individui i beni in quanto provenienti dalla fonte produttiva in cui essi hanno fiducia e, dunque, non potrebbero più fare affidamento sui marchi nel compiere le loro scelte d’acquisto. Inoltre, negli ultimi decenni, grazie all’ampliamento della protezione accordata ai marchi, si considerano contraffattori anche tutti quei comportamenti in cui non ricorra un vero e proprio rischio di confusione circa l’origine dei beni contrassegnati, ma “siano pregiudicati altri valori – ed in primis quello pubblicitario – che si assumono incorporati nel marchio”127.

124 Corte di Giustizia, Google France SARL, Google Inc. v. Louis Vuitton Malletier SA e altri, cause riunite C-236/08, C-237/08 e C-238/08, 23 marzo 2010, cit., punto 50.

125 Corte di Giustizia, L’Oréal SA e altri v. eBay International AG e altri, causa C-324/09, 12 luglio 2011, punto 54.

126 Corte di Giustizia, L’Oréal SA e altri v. eBay International AG e altri, cit., punto 55. Ad esempio la pubblicità che compare su Internet a partire da keywords corrispondenti a marchi è stata ritenuta oggetto di un uso nel commercio poiché è uno strumento di cui l’inserzionista si serve per rendere possibile la visualizzazione del proprio annuncio (v. punto 87).