2.3 LA MODIFICA NEL TEMPO DELLA CAPACITÀ DISTINTIVA
2.3.2 La volgarizzazione
La capacità distintiva di un segno non costituisce un carattere immutabile nel tempo: come l’acquisto di distintività di un marchio può legittimare la registrazione di un segno che ne era originariamente privo, così, simmetricamente, la perdita di tale carattere può causare la decadenza del marchio.
Non è raro, infatti, che un segno inizialmente dotato di capacità distintiva, successivamente divenga il termine comune per designare un genere di prodotti o servizi: si tratta della c.d.
110 Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 2 febbraio 2015, n. 1861, cit.; Cass. Civ., Sez. I, 3 aprile 2009, n. 8119, cit.; Corte di Giustizia, Société des produits Nestlé SA v. Mars UK Ltd, causa C-353/03, 7 luglio 2005.
volgarizzazione112. Qualora un marchio sia costituito dalla forma del prodotto, l’analogo fenomeno è detto “standardizzazione”113.
Nell’ipotesi in cui la volgarizzazione intervenga prima della registrazione del marchio, essa priva il segno della capacità distintiva e, di conseguenza, tale segno non potrà essere validamente registrato. Tuttavia questo fenomeno può intervenire anche dopo la registrazione del marchio ed in tale ipotesi la legge prevede espressamente un caso di decadenza all’art. 13, comma 4, c.p.i. che stabilisce: “il marchio decade se, per il fatto dell’attività o dell’inattività del suo titolare, sia
divenuto nel commercio denominazione generica del prodotto o servizio o abbia comunque perduto la sua capacità distintiva”.
È opportuno sottolineare che la summenzionata norma condiziona il venir meno del diritto, non solo alla circostanza oggettiva della volgarizzazione del segno, bensì anche al comportamento omissivo o commissivo del titolare.
Prima della novella del 1992, con cui è stata introdotta la succitata norma, il testo di legge non conteneva alcuna precisazione circa il comportamento soggettivo del titolare del marchio così giurisprudenza e dottrina si divisero su due posizioni: la prima seguiva la c.d. teoria soggettiva, secondo la quale la decadenza del segno per volgarizzazione sarebbe potuta avvenire solo con il concorso dell’inerzia del titolare114, la dottrina prevalente115, invece, sosteneva la c.d. teoria oggettiva che faceva dipendere la volgarizzazione unicamente dalla circostanza obiettiva che il marchio fosse entrato nel linguaggio corrente come nome comune di un genere di prodotti. Inoltre,
112 Alcuni esempi di marchi volgarizzati sono: Cellophane per indicare la pellicola trasparente, Biro ovvero la penna a sfera, Jacuzzi per il termine idromassaggio, Sottilette per le sottili fette di formaggio filante, Scotch ovvero il nastro adesivo, Premaman per indumenti per donne in dolce attesa e Thermos per recipienti termoisolanti per alimenti.
113 G. SENA, Il diritto dei marchi: marchio nazionale e marchio comunitario, cit., pag. 98.
114 Alla luce della teoria soggettiva in capo al titolare del marchio pendeva l’onere di provare che avesse continuato a difendere il marchio con iniziative in via giudiziale e stragiudiziale. Tale teoria vedeva la propria giustificazione in ragioni di equità.
115 Cfr. R. FRANCESCHELLI, Leggi del linguaggio e volgarizzazione di marchi. In: Rivista di diritto industriale, vol. 2, 1953; ID., Ancora sulle leggi del linguaggio e sulla volgarizzazione dei nomi usati come marchi, ivi, vol.1, 1956; ID., Il caso Cellophane, ivi, vol. 2, 1975; ID., La Cassazione italiana sposa, sulla volgarizzazione del marchio, la
teoria oggettiva, ivi, vol. 2, 1979; A. VANZETTI, Volgarizzazione del marchio e uso di marchio altrui in funzione descrittiva, ivi, vol. 1, 1962; I. CORRADINI, Rassegna di giurisprudenza e di dottrina in tema di volgarizzazione di marchi, ivi, vol. 2, 1976; V. MANGINI, Il marchio e gli altri segni distintivi, in Trattato, diretto da F. GALGANO.
con il tentativo di conciliare le precedenti, fu formulata una tesi intermedia116, la quale affermava che l’estinzione del diritto di marchio discendeva sì dal dato obiettivo della sua volgarizzazione, la quale però era da verificare nel linguaggio dei produttori e dei commerciati, non dei consumatori.
L’esplicito riferimento all’atteggiamento del titolare del marchio, operato dal vigente comma 4 dell’art. 13 c.p.i., impone l’interpretazione nel senso conforme alla tesi soggettiva: il segno generalizzato ma salvato dalla decadenza per assenza di nesso causale con il comportamento, attivo od omissivo, del titolare diviene un “marchio debole in senso tecnico, ancorché eventualmente dotato di rinomanza”117; inoltre l’ultima parte della norma estende la decadenza per volgarizzazione anche ai marchi non denominativi118 che abbiano perso la capacità distintiva a causa dell’attività o dell’inattività dei loro titolari.
L’accoglimento della dottrina soggettiva comporta la conservazione di marchi costituiti dalla denominazione ormai divenuta generica del prodotto o del servizio cui si riferiscono, con l’implicazione che l’ordinamento attribuisce un valore preminente all’interesse del titolare alla conservazione del marchio, anche se da ciò ne deriva un ulteriore rafforzamento della posizione sul mercato. Questa disciplina è stata criticata da parte della dottrina che la ritiene accettabile sul piano dell’equità, ma non su quello della coerenza del sistema nella misura in cui si consente al titolare del marchio di monopolizzare il segno quando abbia perso capacità distintiva, essendo diventato dal punto di vista lessicale denominazione generica di un prodotto o servizio119. Tuttavia un bilanciamento si trova ritenendo che la trasformazione del marchio avvenuta nell’opinione del pubblico possa legittimare l’uso del segno che ne è oggetto, ad opera dei concorrenti, in funzione
116 Cfr. G. AULETTA, Estinzione del diritto di marchio per caduta in dominio pubblico e per rinunzia. In: Giur. It., vol. 1, 1947; ASQUINI, Volgarizzazione e pseudo volgarizzazione del marchio. In: Rivista di diritto commerciale, vol. 2, 1955; V. MANGINI, Il marchio e gli altri segni distintivi, cit.
117 G. GHIDINI, Profili evolutivi del diritto industriale, cit., pag. 398.
118 Per quanto riguarda i marchi non denominativi, prima della novella, si riteneva che non fossero suscettibili di essere fatti oggetto di meccanismi di appropriazione da parte del linguaggio quotidiano (Trib. Torino, ord. 30 ottobre 1996, in Dir. ind., 1997, 465).
119 Cfr. A. VANZETTI, La nuova legge marchi. 2 ed., Milano: Giuffré, 2001, pag. 132; G. SENA, Il nuovo diritto dei
marchi. Milano: Giuffré, 2001, pag. 47; M. RICOLFI, I segni distintivi d’impresa. Marchio, ditta e insegna, cit., pag.
descrittiva: in questo modo viene garantita l’esigenza antimonopolistica di evitare che continui ad essere precluso ogni uso del segno, tramite il trasferimento del monopolio, in capo al titolare del marchio, dal segno al prodotto.
In conclusione, dall’esame delle norme sopracitate si ricava che la capacità distintiva è influenzabile da una serie di fattori esogeni che ne modificano la portata e l’estensione, rendendo valido un segno inizialmente invalido e viceversa. In questo senso “da tale impianto normativo si trae la conferma della stretta correlazione tra la sussistenza della capacità distintiva e la validità del marchio, che può subentrare o venir meno come conseguenza delle modifiche dell’efficacia individualizzante”120.
120 C. DE SAPIA, L’acquisto della capacità distintiva. In: AA. VV. Segni e forme distintive. Milano: Giuffré, 2001, pag. 267.