DECIMO CAPITOLO
GLI HUAQIAO TRA PRESENTE E PASSATO
La legge cinese sulla nazionalità del 1909, basata sulla dottrina dello jus sanguinis, indica che il problema della doppia nazionalità esisteva già allora, quantunque provocasse relativamente poche preoccupazioni alle autorità coloniali, salvo che nelle Indie Orientali. Nel periodo coloniale la possibilità che gli Huaqiao prendessero la nazionalità del paese di residenza, probabilità che divenne un problema scottante negli anni cinquanta e sessanta, non si poneva, tranne che in Thailandia e nelle Filippine dopo il 1935. L’acquisizione dell’indipendenza del Sud‐Est asiatico, dopo la seconda guerra mondiale, coincise con lo sbarramento delle frontiere nazionali, la fine dell’emigrazione cinese e l’ascesa del nazionalismo nelle regioni. Tutti i cinesi residenti nell’Asia sudorientali furono sollecitati a prendere la nazionalità e assumere un’identità consona al paese in cui vivevano, sicché si trovarono a dover scegliere tra diventare residenti e cittadini di quei paesi o accettare gli svantaggi dello status di stranieri. Veniva chiesto loro di dimostrare, esplicitamente o implicitamente, la loro fedeltà al Paese ospitante, questo non solo per questioni legali dei diritti di cittadinanza, ma rappresentava una forma di pressione per adottare nomi locali (come avvenne in Indonesia e in Thailandia), per rinunciare a esibire pubblicamente i caratteri cinesi, per chiudere scuole e associazioni di lingua cinese. Là dove rischiavano di suscitare invidie o rancori, venivano, in qualche caso, vietate anche le tradizionali manifestazioni pubbliche caratteristiche della Cina, come i cortei funebri o le fastose cerimonie nuziali.217 Ma ci sono state anche pressioni opposte, è il caso della convinzione che fosse necessario preservare la solidarietà nelle comunità cinesi come ultima risorsa contro le discriminazioni o le persecuzioni razziali, particolarmente diffusa in Malesia e Indonesia, dove le prospettive di un’integrazione reale o dell’assimilazione erano molto più remote che in Thailandia o nelle Filippine. Venne a mancare l’opzione del soggiorno. Opzione, questa che sta diventando, in epoca moderna, una caratteristica globale 217 Sulle restrizioni all’esibizione pubblica delle cinesità si vedano J.A.C. MACKIE, Anti‐Chinese Outbreaks in Indonesia, 1959‐1968, in J.A.C. MACKIE (a cura di), The Chinese in Indonesia. Five Essays, Melbourne, Thomas Nelson per AIIA, 1976 e C.A.COPPEL, Indonesia’s Chinese in Crisis, cit.
130 dei movimenti demografici a livello d’elite218. Fin ora, era considerato un fenomeno di appartenenza esclusiva alla Cina, oggi non è più così. I cinesi d’oltremare rappresentano uno dei più importanti “gruppi di ospiti temporanei” in America Settentrionale, Australia ed Europa, mentre nel Sud‐Est asiatico sono costretti a diventare residenti e per loro è molto difficile recarsi all’estero temporaneamente. Gli Huaqiao oggi, non sono più solo i cinesi trapiantati, con una cultura, interessi commerciali e prospettive comuni, ma sono cittadini degli Stati in cui risiedono, sempre più imbevuti della cultura e dei modus vivendi di quei Paesi. Le loro esperienze nel Sud‐Est asiatico ha influenzato profondamente il loro stile di vita, in base alle diverse esperienze vissute. L’elemento con cui vengono accomunati non è tanto una lingua o un retaggio, ma semplicemente il fatto di identificarsi e esser identificati dagli altri come “cinesi”. Il termine Huaqiao, dunque non definisce bene chi ne fa parte, sarebbe meglio, sostituirlo con “sino‐thailandesi” oppure “sino‐ indonesiani”, anche se quest’ultimo non è ancora accettato ufficialmente. Si parla dell’esistenza di tre società cinesi “creolizzate”, sviluppatesi nei secoli nelle Filippine, a Giava e in Malesia. Da qui le notevoli differenze nel rapporto di ciascuna di loro con la comunità ospitante, differenze che determinano i diversi modelli di integrazione e assimilazione riscontrabili ancora oggi. Possiamo, dunque, notare casi d’integrazione totale come i mestizio delle Filippine, di coesistenza di lungo periodo ma nella separazione come in Indonesia e Malesia e di svariate opzioni intermedie. L’evoluzione di questi tre gruppi, pur considerando le analogie iniziali, hanno sbocchi molto diversi: la cultura e la lingua dei mestizio cinesi delle Filippine, sono estinte, quelle dei baba in Malesia sono moribonde, mentre la cultura peranakan dei cinesi di Giava “sopravvive intatta”, in un particolare ma difficile rapporto con la “diversità etnica che caratterizza l’Indonesia moderna”. 218 Dati rilevati dall’analisi del sito www.click.vi.it/sistemieculture/Minnella2.html
L’IMMIGRAZIONE CINESE IN ITALIA219. La collettività cinese, iniziò comparire in Italia intorno agli anni ’30, fenomeno, questo, che ha interessato in primis i paesi europei, mentre nel nostro Paese è stato inizialmente un fenomeno del tutto marginale, sia rispetto al consistente esodo partito dalle coste cinesi, sia rispetto alla loro concreta incidenza numerica sul totale della popolazione italiana. Fino alla fine della seconda guerra mondiale il numero dei cinesi in Italia fu quindi abbastanza esiguo e interessò, per lo più, l’Italia settentrionale. Da alcune indagini si evince che i primi immigrati arrivati negli anni ’20220, dalla Francia, scelsero di insediarsi, prima a Milano (con la vendita ambulante di cravatte) e poi a Torino, e di seguito a Bologna, Firenze e dopo il 1945 anche a Roma. Questo primo flusso migratorio era composto esclusivamente da uomini, per lo più di giovane età. Il numero rimase esiguo fino agli anni ’50 (prima si registravano trenta cinesi residenti a Milano e poco più a Torino), dopodiché con la stabilizzazione da parte dei presenti e l’avvio di un secondo flusso migratorio, costituito dai parenti degli immigrati, la situazione mutò. Laboratori di pelletteria nati verso la fine della seconda guerra mondiale e affermatisi grazie ai prezzi molto concorrenziali, cominciarono a svilupparsi ulteriormente, offrendo maggiori possibilità di lavoro. Compare, accanto al settore della pelletteria, anche quello dei ristoranti, possibile grazie alla presenza di comunità di un più antico insediamento, sparse in alcuni Paesi europei: i primi ristoranti cinesi in Italia si rifornivano, infatti, dalle comunità di Parigi e Londra. Negli anni ’60, ci fu un terzo e più consistente flusso migratorio proveniente sia dalla Cina, sia da alcuni paesi europei come Francia e Olanda, questo portò a un aumento rilevante della popolazione cinese sul suolo italiano e la conseguente nascita di nuovi settori lavorativi. A Torino, per esempio, i primi laboratori tessili sono nati nel 1983 con l’arrivo di alcuni gruppi di cinesi, i quali trapiantarono lì l’attività che era stata prima avviata in Francia221. L’aumento dell’immigrazione cinese in Italia, osservato dai primi anni ‘80, è
219 Si veda http://www.associna.com/modules.php?name=News&file=article&sid=416, 意大利华裔协会 (Yìdàlì huáyì
xiéhuì, l’associazione italiana dell’etnia cinese).
220
Dati rilevati dall’analisi del sito web http://www.tuttocina.it/Mondo_cinese/105/105_Rast.htm