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DECIMO CAPITOLO

L’INTEGRAZIONE DEI CINESI IN ITALIA 

 

L’Italia  ha  bisogno  di  immigrati  dall’estero246.  Su  questa  realtà  si  sono  sviluppate,  da  anni,  infuocate  polemiche  e  anche  tensioni  a  livello  locale.  Quello  che  conduce  a  tale  affermazioni  sono  le  dinamiche 

        

demografica  ed  economica.  Per  un  Paese  che  è  in  piena  fase  di  invecchiamento,  con  una  popolazione  di  anziani (oltre 65 anni) che supera il 20% della popolazione e continuerà a salire, un basso tasso di fecondità  (1,4  figli  per  donna,  tra  i  più  modesti  in  Europa),  un’economia  da  anni  stagnante  e  le  finanze  pubbliche  dissestate, non vi è dubbio che l’immigrazione, soprattutto se è di buona qualità formativa, è un contributo  importante  allo  sviluppo  della  nostra  economia  e  della  società.  Sono  proprio  gli  immigrati  che  da  anni  imprimono  la  spinta  maggiore  all’espansione  della  popolazione:  infatti  quella  di  origine  italiana  tende  a  diminuire (‐107 mila nel 2010), mentre quella straniera continua ad aumentare (+363 mila), nonostante il  peggiorare delle condizioni economiche negli ultimi anni. Tale spinta, inoltre, non si esaurirà rapidamente  in quanto la loro prole aumenta a un tasso doppio rispetto a quella della popolazione autoctona, oltre al  fatto  che  la  loro  posizione  nelle  attività  produttive  è  già  consolidata.  Una  fetta  importante  di  questi  immigrati è rappresentata dalla popolazione cinese, infatti questa rappresenta la quarta comunità straniera  in  Italia.  Secondo  alcuni  dati  dell’Istat,  del  2007,  i  cittadini  cinesi  iscritti  all’anagrafe,  in  quell’anno,  sono  aumentati, rispetto al 2003, dell’80%. Al fronte di un aumento dei cittadini cinesi, anche le rimesse cinesi  sono  aumentate,  dal  2004  al  2007,  del  293%.  All’inizio,  tale  fenomeno  era  giustificato  con  l’incremento  delle  importazioni  dalla  Cina,  ma  un’analisi  più  attenta  mostra  come  una  parte  consistente  deve  essere  attribuita  al  controesodo  di  cinesi  che  stanno  tornando  in  patria.  Dalle  analisi  effettuate  si  evince  che,  generalmente,  giunge  in  Italia  il  capofamiglia  che  successivamente  sarà  raggiunto  da  moglie  e  figli.  L’età  media dei cittadini cinesi che giungono in Italia è tra i 25‐26 anni (dati Istat del 2007), età più adatta per  integrarsi  nelle  attività  lavorative,  mentre  gli  anziani  risultano  essere  davvero  una  minima  parte.  La  distribuzione sul territorio italiano vede un gran numero di cinesi risiedere al nord Italia (soprattutto Milano,  Prato,  Firenze  e  Torino,  ma  anche  Roma,  Incrocio  dei  Criteri  OIM).  Un  elemento  che,  dal  punto  di  vista  finanziario,  caratterizza  i  cinesi  in  Italia  è  la  forte  disponibilità  di  soldi  contanti,  alquanto  inusuale  nel  contesto italiano. Infatti nel nostro immaginario collettivo le famose valigette piene di soldi rappresentano  qualcosa  di  losco,  che  serve  per  pagare  azioni  illecite,  per  cui  è  facile,  per  un  italiano,  presumere  che  il  grande  uso  di  contante  da  parte  dei  cinesi  sia  indice  di  pratiche  criminose.  Al  contrario,  invece,  secondo  quanto ci giunge dalla letteratura cinese, i contanti rappresentano la cultura della  关系(Guānxì). Il termine 

152  ha  diversi  significati  tra  cui247:  relazione,  vincolo,  rapporto.  Significa  anche  amicizia,  ma  entrare  nella  Guānxì di un cinese è come entrare a far parte di una famiglia allargata, dentro la quale l’abnegazione alla “causa comune” è totale, così come la condivisione dei beni materiali e immateriali. Entrare in una Guānxì è impegnativo ma rimanerci è ancora più impegnativo, un solo errore e si rischia di uscirne per sempre e di non poterci mai più rientrare. Questo perché l’errore commesso rappresenta l’inadeguatezza di poter ricevere questo onore. Questa concezione non si limita solo alla sfera affettiva, ma include tutta una serie di modalità attraverso cui i cinesi costruiscono il proprio futuro. Ha delle regole ben precise che sono la lealtà, la fiducia, la sincerità, la reciprocità. La capacità di fare rete garantisce il successo e il futuro del cinese e un cinese, specialmente all’estero, vale essenzialmente per la Guānxì che riesce ad alimentare. In generale, in Italia la permanenza dei cinesi è strettamente legata ad una vita lavorativa piuttosto intensa, caratterizzata, spesso, da una certa precarietà e da continui spostamenti. Questo, ovviamente, non favorisce una vera e propria integrazione. Uno dei problemi maggiori nel creare dei rapporti con la gente del posto, è il fattore lingua, i cittadini cinesi che vengono da adulti in Italia per lavoro, trovano molto complicata la nostra lingua e i tempi per impararla sono molto lunghi e non coincidono con i serrati ritmi lavorativi a cui si sottopongono. Molti, perciò, non vedono ragione di imparare una lingua così difficile e per di più la lingua di un Paese dal quale dopo un po’ di anni andranno via. La scarsa conoscenza dell’italiano diventa, quindi, un ostacolo insormontabile per una buona integrazione. C’è un altro elemento, però, che crea problemi alla realizzazione di rapporti reciproci ed è quella sensazione di insofferenza che si è sviluppata negli ultimi anni nei confronti dei cittadini cinesi. Questo perché si parla di delocalizzazione del lavoro in Cina (quindi perdita di posti di lavoro per gli italiani) e di concorrenza sleale da parte di aziende cinesi in Italia       

 

che evadono le tasse e sfruttano la manodopera. In un altro verso cresce pari passo anche una certa invidia per il progresso del grande dragone orientale. A contribuire ulteriormente a minare i già fragili rapporti tra le due popolazioni in questione248, ci sono gli atteggiamenti diffamatori

alimentati dai media. Possiamo affermare che non basta una maggiore volontà dei cinesi di imparare la nostra lingua, è necessario che anche noi iniziamo ad avere un tipo di atteggiamento più aperto verso di loro, un atteggiamento che includa la voglia e la curiosità di conoscerli meglio e di comprendere le loro usanze e i loro stili di vita per poterli rispettare. Le migrazioni dei cinesi in base alla provincia da cui partono hanno connotazioni e caratteristiche diverse.

 Il gruppo che proviene dallo Zhejiang. E’ quello che rappresenta l’insediamento più antico in Italia. La sostanziale uguaglianza nei rapporti tra femmine e maschi, evidenzia, di fatto, che questo gruppo ha ricostituito in Italia l’intero nucleo familiare attraverso un meccanismo di migrazione a catena che ha riprodotto la struttura di relazioni che consente di affrontare le varie sfide che si presentano nel corso della propria vita in Italia. Dai dati emersi (dall’analisi fatta dalla Fonte indagine OIM), i cinesi dello Zhejiang mandano rimesse molto limitate ai loro familiari in Cina, questo forse a conferma del fatto che l’intera famiglia si sia trasferita in Italia.

Il gruppo di cinesi provenienti dal Fujian. Essi sono ancora caratterizzati da una migrazione per lo più maschile, le mogli e i figli rimangono nella loro patria da cui ricevono le rimesse inviate dal capofamiglia. Dopo un po’ di anni, anche il resto della famiglia giungerà in Italia.  Una nuova migrazione. Negli ultimi anni si sta verificando un nuovo tipo di migrazione

proveniente dal Nord della Cina. Questa migrazione si divide in due principali gruppi:       

 

154  1. Uno fortemente scolarizzato e avvantaggiato, caratterizzato da laureati in Cina.

Motivi che accompagnano questa nuova migrazione sono: approfondire gli studi in Italia, o avviare attività che vedono il migrante muoversi frequentemente tra l’Italia e la Cina (in alcuni casi anche con la frequenza di 6 volte l’anno).

2. L’altro che giunge principalmente dal nord spinto da situazioni di disperazione economica. Arrivano come turisti, avvalendosi dell’accordo ADS249 e rimangono

come irregolari, senza documenti.

 

 

 

             249  E’ un accordo stipulato tra l’UE e la RPC e regola i rapporti tra l’Amministrazione Nazionale del Turismo  della RPC e  l’UE, e concerne i visti e le regole che riguardano i gruppi turistici della RPC. Dati rilevati dal sito  www.enit.it/it/trade/ads‐ue‐cina.htm l   

UNDICESIMO CAPITOLO 

 

Hong Kong   

Dal  1°  luglio  del  1997,  Hong  Kong  è  di  nuovo  parte  del  territorio  dello  Stato  cinese,  dopo  150’anni  di  dominio  britannico.  Da  qui  si  capisce  chiaramente  quanto  anche  il  sistema  legislativo,  ne  abbia  subito  le  influenze.  Come  fonti  del  diritto  della  colonia  britannica  di  Hong  Kong250,  troviamo:  la  legge  importata  dall’Inghilterra,  le  leggi  del  diritto  emanato  dagli  organi  legislativi  di  Hong  Kong,  la  Common  Law  sviluppatasi ad Hong Kong e (solo su piccola scala), la legge cinese attualmente in vigore e le abitudini cinesi.  Per quanto riguarda il discorso inerente ai regolamenti che disciplinano la questione sulla cittadinanza, è da  considerare:  1. Il “British Nationality Act, 1981”, ristampato in Gran Bretagna sotto II B 1.  2. Il “Hong Kong Act, 1985”,entrato in vigore il 27 maggio del 1985. Un estratto afferma “sua maestà  può, attraverso un ordine in consiglio, emanare dei provvedimenti attraverso cui:   La cittadinanza dei territori dipendenti dal dominio britannico non può essere mantenuta o  acquisita durante o dopo la data di riferimento in virtù di una qualche relazione con Hong  Kong;    Le persone che sono cittadini dei territori dipendenti dal domino britannico in virtù di una  qualche  relazione,  devono  prima  di  quella  data  (o  prima  della  fine  del  1997,  se  nati  nell’anno  prima  della  data  di  riferimento),  acquisire  una  nuova  forma  di  cittadinanza  britannica, i titolari dei quali saranno riconosciuti come cittadino britannico (d’oltremare).