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GLI INTERMEDIAR

COS’È IL MERCATO DELL’ARTE

GLI INTERMEDIAR

Nella Venezia del XVI secolo, città nel cuore degli scambi del Mediterraneo, il mercante era per forza di cose una professione importantissima, prerogativa principalmente dei patrizi, ma anche della borghesia più intraprendente, per i quali come ricorda Benedetto Cotrugli la reale bravura si misurava in base alla versatilità ed alla varietà di merci con cui si faceva negozio, sempre con intelligenza211; una professione affine in quanto sempre intermediaria era quella dell’agente, il quale a differenza del mercante che acquistava per poi rivendere, offriva semplicemente un servizio di intermediazione nell’acquisto, andando ad acquistare un determinato tipo di prodotto per conto di qualcun altro.

La Corporazione ne ammetteva l’esistenza soltanto parzialmente: era assolutamente vietata la rivendita a Venezia di dipinti da parte di chiunque non appartenesse all’arte; era ancora vietato da parte di chiunque importare dipinti dall’estero per esser rivenduti; era unicamente legittimata a partire dal 1538 (come si ratifica nel 1558)l’esportazione e la rivendita all’estero di prodotti veneziani anche da parte di chi non apparteneva all’Arte. Le sole figure professionali che avevano veci similari a quelle degli agenti erano i sensali: nati in età medievale per aiutare i mercanti del Fondaco dei Tedeschi nelle compravendite, oltre che nella registrazione delle transazioni concluse in cambio di una provvigione di tre decimi rispetto al valore del bene, nel corso degli anni avrebbero ampliato le loro competenze a tutti gli scambi di merci tra veneziani e stranieri, diversificandosi ulteriormente tra quelli di Rialto e quelli originari del Fondaco; da quando era stato concesso anche a chi non era veneziano di fare il sensale questa attività era diventata quasi

209 N.M. Panagiotakes, El Greco – The Cretan Years, Farnham, 2009, p. 96.

210 A riprova di questo abbiamo anche un’altra testimonianza ovvero la grazie concessa il 26 dicembre del

1566 al “maestro Domenego Theotocopulo, depentor” di “poner a lotto” un quadro con lo sfondo dorato, quindi probabilmente un’icona. Ibidem, p. 29.

prerogativa dei mercanti d’Oltralpe212. I quadri nel Cinquecento non erano menzionati tra le merci soggette alla sensaria, in coerenza con i regolamenti dell’Arte, tuttavia è anche vero che in un provvedimento del 1587 si disponeva un aumento di pena per chi non era

sanser ordinario ovvero l’unico autorizzato a «far, pratticar, concluder alcun mercato» per

qualsiasi mercanzia; nel Seicento questo provvedimento veniva riconfermato, lasciando intendere che erano in molti che facevano i sanseri senza autorizzazione, quindi trattando anche ipoteticamente anche i quadri. Non a caso, nella corrispondenza di Paolo del Sera si legge che «la senseria importa a 5 per cento per parte conforme l’ordinario» per arazzi, statue e «cose simili», ed anche le vicende a proposito dell’acquisto di una pala del Veronese per il convento dei Servi che coinvolgono addirittura un ebreo che la vendeva sottobanco al monsignore scoperto da un vero “sensale di quadri” lasciano pochi dubbi sul fatto che questa professione fosse già in via di specializzazione213.

Mercanti che importavano a Venezia. Le dinamiche dei mercanti che importavano dipinti foresti in territorio veneziano sono le più difficili, se non impossibili, da cogliere dal momento che si trattava di contrabbando vero e proprio, pertanto avveniva segretamente non lasciando tracce nei documenti; le conferme della loro attività arrivano dai pochissimi processi, e dal riscontro della presenza di quadri stranieri nelle case veneziane mediante gli inventari ed alcune fonti come la Notizia di Michiel.

Vi era soltanto un luogo dal quale era lecito importare, ovvero l’isola di Creta: come si diceva nel paragrafo relativo alle importazioni, il numero di artisti della Scuola Cretese attivi nel Cinquecento era elevatissimo, dei quali purtroppo non abbiamo più tantissimi nomi in quanto la maggior parte non firmavano le proprie icone, ovvero il vero e proprio oggetto di scambio in questi anni214; questi pittori erano sia greci nativi sia italiani stabiliti nell’isola (tra di loro c’era anche un giovane anche un giovane Domenico Theotokopoulos215), e dipingevano alla greca seguendo quindi la produzione tradizionale, oppure anche alla latina adottando la maniera dei maestri veneziani216, con la quale probabilmente erano entrati in contatto osservando i numerosi dipinti che ornavano le

212 I. Di Lenardo, Mercanti, collezionisti, agenti d’arte. La natione fiamenga a Venezia e la circolazione dei

generi pittorici, in Alle origini dei generi pittorici cit., pp. 55-69:56-57.

213 Cecchini, Quadri e commercio cit., pp. 221-223.

214 C. Baltoyianni, The place of Domenicos Theotocopoulos in 16th-century Cretan Painting, and the Icon of

Christ from Patmos, in El Greco of Crete (Iraklion, Creta, 1-5 settembre 1990), atti del simposio

internazionale, a cura di N. Hadjinicolaou, Iraklion, Demos Erakleion, 1995, pp. 75-96:76.

215 Dal Pozzolo, Cercar quadri cit., pp. 57-58. 216 Panagiotakes, El Greco cit., pp. 23-25.

chiese locali217 e tramite le incisioni italiane che circolavano nell’Oriente cristiano218; l’esito erano per la gran parte a soggetto devozionale quindi icone tanto che venivano chiamati madonneri 219, ma vi erano anche generi di arte profana come ritratti, temi mitologici, scene storiche e simboliche. L’offerta era di gran lunga superiore rispetto alla domanda locale di monasteri, chiese e privati i quali in ogni casa avevano un piccolo reliquiario; gli studi d’archivio sembrano infatti dimostrare che i dipinti uscissero da Creta per andare a soddisfare la domanda estera, non solo di chiese e ordini religiosi, ma anche di molti privati220. L’intermediazione era così condotta dai mercanti veneziani che ordinavano ai pittori cretesi impressionanti quantitativi di icone con caratteristiche anche molto precise, ad esempio fornendo indicazioni relative al soggetto ed al colore221, per poi

ritirarle entro un termine prestabilito e trasportarle a Venezia dove le avrebbero rivendute222. Un caso molto emblematico è quello relativo ad un ordine di due mercanti

veneziani che nel 1499 richiedevano a tre pittori di Candia, Migiel Fuca, Nicolò Gripioti e Giorgio Miçocostantin, la realizzazione di 900 icone di Maria con caratteristiche ben precise, da esser terminate nell’arco di due mesi; vale la pena di riportare uno degli accordi a titolo di esempio: nell’anno 1499, al 18 maggio il pittore cretese Migiel Fuga assumeva un tajapiera per due mesi affinché gli dipingesse circa 7 volti di Madonna al giorno; un mese dopo, presso il falegname Sclavo, il pittore convalidava anche la fornitura di ben 1000 tavolette di cipresso, scelte in tre misure differenti; l’intensa attività trovava infine soddisfazione in un ordine del 4 luglio con due mercanti ovvero Giorgio Basejo e Petro Varsama223: Fuga si impegnava infatti con i suoi collaboratori a realizzare 700 «ymago de la nostra Dona»: di cento, metà dovevano essere con «vestimenti de turchin brocà d’oro e l’altra metà color de pavonaço brocà d’oro segondo la forma del la nostra [che] dito misser Migiel à dato a li diti»; inoltre Migiel entro un termine di un mese e mezzo prometteva altre trecento «de prima, segonda e terça sorta […] in forma latina»224; analogamente, risulta molto interessante un atto notarile redatto nel 1498 in cui il mercante veneziano

217 Panagiotakes, El Greco cit., p. 96.

218 M. Constantoudaki Kitromilides, La pittura di icone a Creta veneziana (secoli XV e XVI): questioni di

mecenatismo, iconografia e preferenze estetiche, in Venezia e Creta, atti del convegno internazionale di studi

(Iraklion-Chanià, 30 settembre – 5 ottobre 1997), a cura di G. Ortalli, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1998, pp. 459-507:461.

219 Dal Pozzolo, Cercar quadri cit., pp. 57-58. 220 Panagiotakes, El Greco cit., p. 24.

221 Baltoyianni, The place of Domenicos Theotocopoulos cit., pp. 75-96:76. 222 Chatzidakis, La peinture des “Madonneri” cit., p. 686.

223 M. Cattapan, Nuovi elenchi e documenti dei pittori in Creta dal 1300 al 1500, Venezia, 1972, pp. 214-

215.

Zuan Justinian si scagliava contro un certo Jana Salivara pintor «disendo che avendomi promesso farme serta cerdita de le incone et quele consegnarmi per tuto el mese de favrer pasato et avendo io con queste plusier fiade me debia ti far et integralmente consegnar»225. Nello spazio riguardante la domanda, si vedrà che negli inventari il numero maggiore di opere straniere era di provenienza greca, il che non sorprende molto dal momento che sappiamo che anche i prezzi erano molto competitivi, e mediamente più bassi rispetto a quelli veneziani: un normale quadretto devozionale infatti costava da 1 a 8 ducati, una pala di ben 2,5 x 1,8 metri di un rinomato artista locale era stata pagata soltanto 13 ducati, oppure ancora un’icona del pittore Angelos, celebre a Creta, nel 1500 era stata valutati appena 10 ducati226.

I Paesi Bassi rappresentavano l’altra parte di mondo con la quale i legami mercantili dovevano esser molto fitti, come ricorda Bartolomeo Pasi quando dice che «Di Fiandra si cavano gran copie di tapezarie, panni fini, carisee, (fu)stagni, figure di tela, et pesci salati»227. L’organizzazione di questi traffici rispetto a ciò che emerge vedeva come protagonisti mercanti italiani che si erano stabiliti al Nord, ma soprattutto mercanti nordici che vivevano a Venezia e nelle principali città dei traffici internazionali228; queste persone, considerate contrabbandieri dalla Serenissima, non dovevano godere di cattiva reputazione in ambito commerciale dal momento che eludendo il pagamento del dazio doganale, riuscivano ad alienare le merci ad un prezzo minore229. Come secondo le leggi di mercato, è presumibile che la richiesta influisse in qualche modo nella produzione locale nordica, orientandola verso uno stile fiammingo adattato ai generi o ai temi dei potenziali acquirenti: potrebbe esser stato anche il caso di Joachim Patinir, il primo pittore di paesaggio attivo nei Paesi Bassi meridionali, il quale dagli anni Venti del Cinquecento iniziava a produrre dipinti di paesi per il mercato d’arte di Anversa230. Il trasporto poi come si è ipotizzato, poteva avvenire via terra sino a Verona, e poi via mare, ma doveva essere comunque molto rischioso per i mercanti dal momento che per reprimere le continue frodi fatte da chi trafficava generi alimentari di grande consumo meno di un secolo prima si erano istituite dogane da terra e da mar con attenti controlli fiscali, facendo decadere la consuetudine secolare adottata dai mercanti di scaricare direttamente le merci nelle volte o

225 M. Cattapan, Nuovi documenti riguardanti pittori cretesi dal 1300 al 1500, Atene, 1968, p. 44. 226 Panagiotakes, El Greco cit., pp. 32-33.

227 A. Manno, I mestieri di Venezia. Storia, arte e devozione delle corporazioni dal XIII al XVIII secolo,

Cittadella, 1997, p. 96.

228 Cecchini, Going south cit., p. 191.

229 P. Molmenti, Curiosità di storia veneziana, Bologna, 1919, pp. 68-72. 230 Cecchini, Going south cit., p. 191.

nelle case, per disimballarli lì231. Il contrabbando di dipinti non doveva esser così difficile: alle dogane ai mercanti veniva richiesta semplicemente una regolare bolletta di accompagnamento della merce, che non veniva controllata in quanto in tal caso l’imballaggio sarebbe stato corrotto; sarebbe quindi bastato non segnare i dipinti nella bolletta di spedizione, nascondendoli agevolmente per le piccole dimensioni in qualche cassa. Come si nota infatti nelle carte del fondo della Giustizia Vecchia la merce di contrabbando viene scoperta non tanto durante il trasporto, ma nel momento cui veniva rivenduta.

A differenza di ciò che si potrebbe immaginare, la presenza di mercanti veneziani presenti al Nord, a Bruges per il Quattrocento ed in seguito a Anversa, era notevomente bassa tanto che nella prima località sembra non evvervi quasi traccia232, mentre nella seconda se ne

contava un 5% contro un 47% di genovesi233: a questo punto si può ipotizzare che da un

lato fossero effettivamente in numero ristretto i veneziani e i traffici fossero più nelle mani dei nordici, oppure che gli scambi avvenissero al di fuori dei luoghi convenzionali con accordi segreti direttamente con altri mercanti locali oppure addirittura pittori234. Di fronte a questi dati sorprenderà che il primato dei traffici verso l’Italia nel 1553 era nelle mani di un certo Lancillotto de Robiano, oltre a Benedetto Capriano, i quali si occupavano di strumenti musicali, dipinti, stampe, arazzi, tessuti pregiati ed altri articoli di lusso. Lancillotto de Robiano era nato in una famiglia di mercanti milanesi, trasferiti a Bruxelles; sposato con Françoise de Rénialme, appartenente ad un nobile casato fiammingo, de Robiano aveva stretto forti legami di parentela anche con i Cordes e gli Snellinck Andries ed il pittore-collezionista Jan; la famiglia si rafforzava ulteriormente quando grazie al figlio Baldassarre, la nipote isabella sposava Jean Charles I de Rénialme, figlio del celebre mercante d’arte Jean Charles. Il figlio Cornelio, mercante a Venezia che si occupava anche di arazzi, sposava Susanna Helman, figlia di niente meno di Caterina Zanfort, cognome che riornerà fra poche righe. Anche la famiglia dei Rénialme era molto ben inserita a Venezia, avendo intessuto anche altri legami commerciali con la famiglia de Cordes, residenti nella città lagunare, ma probabilmente anche culturali dal momento che al

231 R. Cessi, A. Alberti, Rialto. L’isola – il ponte – il mercato, Bologna, 1934, pp. 264-266.

232 P. Stabel, Italian merchants and the fairs in the Low Countries (12th-16th centuries), in La pratica dello

scambio cit., pp. 131-159:143-146.

233 Ibidem, p. 155.

Museum of Art di Philadelphia si conserva un Ritratto di un giovane Rénialme di Jacopo Tintoretto235.

Questo tipo di organizzazione familiare emersa nel caso di Capriano non costituiva un caso isolato, bensì il caso più comune diffuso in larga parte tra le famiglie di mercanti nordici i quali creavano dei veri e propri clan famigliari internazionali, stringendo matrimoni strategici e funzionali in termini di professioni, mercanti o pittori, e di luoghi, trovandosi nelle principali città del commercio internazionale236, ma non solo. Questi mercanti perlopiù fiamminghi presenti a Venezia si integravano a pieno nell’ambiente sociale ed artistico, inserendosi nei circoli più in vista del momento: una circostanza abbastanza frequente infatti era la commissione da parte di questi mercanti ricchissimi di opere d’arte quali ritratti privati e pale d’altare destinate alle varie chiese di Venezia, come sappiamo essere nel caso del mercante di Colonia Enrico o Rigo Helman, che nel 1556 acquistava una cappella intitolata a San Girolamo presso la Chiesa di Santa Maria Nova e commissionava a niente meno di Tiziano la pala del San Girolamo che oggi si trova alla Pinacoteca di Brera237; in questo modo questi furbi mercanti si sarebbero fatti conoscere, e avrebbero affermato la loro presenza in modo stabile nella città lagunare. Uno dei primi casi registrati nel Cinquecento è quello di Daniel van Bomberghen, uno dei figli di Cornelis, capostipite della famiglia che aveva creato un giro d’affari tale da dominare il mercato tedesco ed instaurare stabili rapporti coi mercanti veneziani. Daniel si era stabilito a Venezia da circa il 1515 fino all’anno della sua morte avvenuta nel 1556, occupandosi del commercio di arazzi, ma soprattutto di editoria, ottenendo il privilegio per dieci anni di stampare libri ebrei, che lo avevano portato ad avere rapporti con varie cerchie di intellettuali veneziani tra cui il grammatico Abrahàm de Balmes, medico personale del cardinale Domenico Grimani (personaggio dagli ampi interessi eterodossi, come è emerso da studi recenti, possedeva una grande collezione di opere d’arte, tra le quali si annoverano dipinti fiamminghi ed arazzi dall’origine sconosciuta, i quali secondo un’intuizione di Lorne Campbell, potrebbero essergli arrivati proprio tramite van Bomberghen). Daniel era infatti anch’esso un amante della pittura, tanto che aveva anche stretto dei legami con altri pittori di Anversa, come testimonia Jan van Scorel. Di conseguenza, è facilmente immaginabile che nel suo traffico internazionale, dal momento che non era un mercante

235 Di Lenardo, Mercanti, collezionisti, agenti d’arte cit., p. 58.

236 B. Aikema, Tesori ponentini per la Serenissima. Il commercio d’arte fiamminga a Venezia e nel Veneto

fra Quattro e Cinquecento, in Tra committenza e collezionismo cit., pp. 35-48:41.

237 V. Sapienza, Il committente del San Gerolamo di Tiziano per Santa Maria Nova: storie di mercanti,

specializzato, potevano transitare tra i vari prodotti anche i quadri ed altri oggetti d’arte. La famiglia dei van Bombergen era a sua volta legata con quella di Martino d’Anna, originario di Bruxelles e approdato a Venezia nel 1500 ed alla morte nel 1556 considerato uno dei più ricchi mercanti, riconosciuto anche in società dal momento che aveva ottenuto la cittadinanza originaria, il più alto grado al quale poteva ambire un forestiero. Lui ed i suoi figli erano molto attivi nel commercio di arazzi, e quanto ai pittori, particolarmente vicini a Tiziano, il quale fece per Giovanni d’Anna «gentiluomo e mercante fiammingo, suo compare» un ritratto, una Madonna, un Ecce Homo, ed una Crocifissione. Tuttavia, il legame con altri importanti clan famigliari fiamminghi avveniva tramite i figli di Martino: Catharina, sposata con Daniel van der Molen, altra famiglia di importanti mercanti attivi in tutto il territorio italiano, e Jan, il quale aveva contratto matrimonio con Jerolima de Cordes, mercanti legati tramite legami parentali con i van Bomberghen ed attivi nel commercio fino in Sicilia238.

Oltre ai van Bomberghen, un’altra organizzazione senza dubbio molto attiva doveva essere quella della famiglia di Willem van Santvoort (Guglielmo Zanfort), personaggio già incontrato a proposito del tentativo di importare illecitamente, per il quale aveva subito un processo. Willem era un mercante fiammingo dal giro d’affari internazionale, il quale con il fratello Jan si occupava di importare a Venezia panni, arazzi ed altra merce proveniente dalle Fiandre e dalla Germania meridionale. Tra i vari articoli sappiamo per certo che ci fossero i dipinti, dal momento che come si è detto, era stato anche pizzicato dall’Inquisizione nel 1561, in quanto avrebbe cercato di vendere un gruppo di quindici dipinti di soggetti probabilmente non ortodossi. Van Santvoort li aveva acquistati, insieme ad altri paesaggi, da «Matheo Bandovolle flandrese», il quale li aveva infine ricevuti dal pittore di Anversa Hieronymus Cock. In tutta questa rete, il cugino anversese di Guglielmo, Adriano van Santvoort, rappresenta lo snodo tra gli artisti ed il mercato239. La parentela di Guglielmo inoltre, compare legata ad altri clan.

Ho menzionato questi due Paesi perché se ne trova ampia conferma negli inventari, a differenza di altri luoghi come la Spagna, la Germania oppure l’Est Europa dove era prevalente il flusso in uscita. Gli inventari infatti si rivelano molto preziosi perché anche se non forniscono l’evidenza come i processi, possono esser la spia di personaggi coinvolti in

238 Aikema, Tesori ponentini cit., pp. 38-41.

questo mercato: nell’analisi di Jestaz 240, uno dei personaggi che si distingue particolarmente per la sua collezione è Andrea Maiolo, un semplice mercante morto nel 1571 il quale però teneva nella sua abitazione ben 41 dipinti, tra i quali molte vedute dei Paesi Bassi ed alcuni ritratti degli antichi duchi di Borgogna e dei re di Spagna241. Un altro inventario desta parecchi sospetti ed è quello di Nicolò Perez, rampollo di una famiglia di ebrei spagnoli convertiti al cristianesimo che figuravano tra i commercianti più ricchi di Anversa, ed attivo a Venezia tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento; nell’inventario dei suoi beni stilato il 31 ottobre del 1622 nella città lagunare, erano presenti parecchi quadri, anche se purtroppo non è chiaro se si trattasse di opere fiamminghe o italiane242.

Mercanti che esportano da Venezia. L’altra faccia di questo mercato era naturalmente l’esportazione delle opere veneziane verso l’estero, operazione che come si è visto era fortemente incoraggiata dai regolamenti corporativi tanto che si ammetteva addirittura la figura dell’intermediario: è proprio in questo caso che si menziona un cosiddetto “mercante da quadri” veneziano ovvero Marcantonio Orlandi o Urlandi, il quale grazie ad un atto rogato nel 1585 sappiamo che frequentava la fiera di Recanati243.

Nelle vite dei pittori veneziani narrate da Ridolfi, molto spesso ricorrono casi in cui una parte della produzione veniva venduta ai mercanti com’è il caso di Girolamo Gambarato il quale «non fece molte opere in pubblico, attendendo a lavorar per mercatanti244». Leggendo la vita di Leonardo Corona, si narra che il padre, anch’esso pittore Michele :

Vedendolo in breve tempo avanzato in virtù, lo volle appresso di sé245, occupandolo a dipingere piccioli rami, cavandone egli le invenzioni delle carte a stampa, quali poscia vendeva ai mercatanti, che altrove li