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I REGOLAMENTI DI VENDITA

COS’È IL MERCATO DELL’ARTE

I REGOLAMENTI DI VENDITA

La vendita in loco. Le disposizioni corporative a proposito della vendita di opere d’arte si dimostrano ben più numerose ed accorte rispetto a quelle della produzione, accomunate dall’obbiettivo di regolarne ogni aspetto e combattere con forza gli abusi.

Innanzitutto, come si diceva a proposito della produzione, anche la vendita era concessa soltanto a chi facesse parte della Corporazione dal momento «che niun maestro depentor né inaiador né altri maestri de altre Arte non possa tegnir fegure depente o relevade né altre cose che sia sottoposte alla maregola di depentori in mostra né per vender, se in prima i ditti non sono intradi in schola», con la pena di perdere il lavoro (cap. XI, XLV, XXXI, LXV, atto del 1586). Un’eccezione a questa regola del 1479 avveniva nel 1511 (ratificato nel 1512), quando una “parte” permetteva ai botteghieri di vendere lavori non propri, notificando alla Corporazione la persona che glieli aveva affidati in modo da poter esser controllato dal gastaldo (cap. LXII); l’anno successivo, nel 1512 (proclamato nel 1513) si ritornava all’originario rigore (LXV)25.

Oltre all’iscrizione all’Arte, un’altra disposizione ferrea a proposito della vendita era il fatto che questa potesse avvenire soltanto nelle botteghe (cap. XI, XXXI)26, ben riconoscibili dall’esterno grazie a delle insegne dipinte27. Nel 1436 infatti si scriveva che, ad eccezione della Sensa «alcuna persona si da Venesia come forestiera non ardisca, ne prosuma vender in Venexia alcuna ancona depenta salvo i Depentori, i quali sarano, et sono del Arte, et haverà zurado l’Arte, intendando che loro sia habitadori de Venexia: et à

23 G.J. Van der Sman, Incisori e incisioni d’Oltralpe a Venezia nella seconda metà del Cinquecento, in Il

Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord cit., pp. 151-159:155-159.

24 I. Di Lenardo, Mercanti, collezionisti, agenti d’arte. La natione fiamenga a Venezia e la circolazione dei

generi pittorici, in Alle origini dei generi pittorici fra l’Italia e l’Europa, 1600 ca., atti della giornata di

studio (Ferrara, 2011), a cura di C. Borsato e B. Aikema, Zel Edizioni, Treviso, 2013, pp. 55-69:61.

25 E. Favaro, L’Arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze, 1975, pp. 70-71. 26 Ibidem, p. 73.

27 E.M. Dal Pozzolo, Cercar quadri e disegni nella Venezia del Cinquecento, in Tra committenza e

collezionismo. Studi sul mercato dell’arte nell’Italia settentrionale durante l’età moderna, a cura di E.M. Dal

loro sia licito vender in le loro Boteghe28». In un capitolo del 1441 si aggiungevano anche i giorni di mercato ovvero il mercoledì a San Polo ed il sabato a San Marco29, come si proclamava nel 1505 a Rialto (cap. XXXVIII).

La Sensa inoltre non era soltanto uno dei rari momenti in cui i pittori potevano esercitare fuori dalla propria bottega, ma anche l’unica festa religiosa in cui gli era consentita la vendita i loro prodotti: in tutte le altre feste comandate, era assolutamente proibito «vender le feste sopra i so balchoni, ne suxo el ponte de rialto» (cap. LXXVII)30.

Le opere che si mettevano in vendita poi, potevano soltanto esser quelle prodotte a Venezia, nel rispetto delle norme soprascritte: oltre alle caratteristiche tecniche cioè inverniciatura e orofino (cap. XXXI, XXXV), dovevano essere prodotte dagli stessi maestri che le vendevano, e non date da produrre ad altri per poi rivenderle passandole per proprie (cap. XXXI, atto del 1586)31. Questo sistema doveva garantire quindi gli standard

minimi di qualità, aspetto al quale la Serenissima sembra parecchio interessata al fine di tutelare il proprio nome, quello dell’Arte ma anche il consumatore: da quanto nel 1436 si era rilevata la presenza di moltissime «anchone forestiere» realizzate in modo scadente era stata del tutto proibita la vendita (ed il transito per Venezia) di prodotti di pittura provenienti dall’estero (cap. XXXI), ovvero «depenture fatte, o depente, o stampade in tela, o in carta»; l’unica eccezione, come si era detto a proposito delle importazioni, erano le anchone di extra Culphum, quindi provenienti dall’isola di Creta (cap. XXXI)32.

Concludendo, alla luce di questa rigidità rispetto alla vendita di dipinti, si deduce che Venezia da un lato fosse attenta alla garanzia di qualità, mentre dall’altro è altrettanto chiaro che sembrava non volersi adeguare alla tendenza mercantile, rifiutando le importazioni ma soprattutto il rivenditore (con l’eccezione del 1512, cap. LXII) e la figura dell’intermediario che importa (cap. XXXI, LXV, atto del 1586) che nei Paesi Bassi era invece già del tutto riconosciuta e legittimata.

Gli illeciti. Per quanto rigidi volessero essere i regolamenti sulla vendita, ciò che emerge

nella quotidianità è la tendenza ad aggirarli, operano nell’illecito.

Partendo dal presupposto di dover essere un membro dell’Arte per poter vendere, la costanza con la quale si ribadiva la prescrizione, e le testimonianza derivanti da alcuni casi, ci rivelano che a vendere non erano soltanto i maestri iscritti, ma erano molti altri che si

28 A.S.V., Arti, Dipintori, b. 103, cc. 4r-v; B.M.C., ms. 4, n. 163, c. 3r. 29 Favaro, L’Arte dei pittori cit., p. 73.

30 Ivi.

31 Ibidem, pp. 66-67. 32 Ibidem, p. 75.

ingerivano nella professione dei Dipintori, riducendo coloro che avevano la lecita facoltà di farlo ad andare in rovina e fare l’elemosina (LXV). Alcuni di questi imbroglioni erano i pittori non iscritti alla corporazione che venivano messi in luoghi nascosti a lavorare o che davano i propri dipinti da vender nelle botteghe di maestri iscritti i quali fingevano che i quadri fossero stati realizzati da loro stessi (cap. LXII) oppure che vendevano per strada, ma potevano benissimo esser anche bottegai di altre professioni che arrotondavano con la vendita di quadretti.

Gli stessi luoghi dove si potevano acquistare dipinti, che è interessante notare come fossero pressoché gli stessi rispetto ai Paesi Bassi, erano per la maggior parte proibiti: oltre alle botteghe ed alla fiera della Sensa, nonché San Marco e San Polo limitatamente ai giorni di mercato, la messa in vendita dipinti poteva avvenire anche alle aste, alle lotterie, nelle botteghe di artigiani di altre professioni, tramite il mercato di seconda mano e negli spazi aperti. Di questo si parlerà nel prossimo paragrafo.

Il più frequente illecito doveva avvenire tuttavia sulla provenienza delle opere, le quali non erano state prodotte soltanto da Creta, l’unico luogo legittimo, ma in gran numero anche nelle Fiandre e condotte a Venezia tramite mercanti, i quali come si vedrà nello spazio dedicato all’intermediazione, andavano a formare dei veri e propri clan familiari, con matrimoni strategici e membri in tutte le principali città mitteleuropee del commercio, rendendo possibile mediante la infrastrutture tradizionali questo mercato di contrabbando. Il più antico processo per vendita di opere foreste risale al periodo compreso tra il 15 febbraio 1552 e l’8 marzo del 1554 contro un certo Matteo Fiammingo33, il quale vendeva tele ed altre opere dipinte provenienti dall’estero; nonostante l’istanza fattogli di porre fine al suo commercio illegale entro un mese, l’imputato chiedeva la revoca dell’ingiunzione, che naturalmente gli sarebbe stata respinta34. Ancora nel 1581 si proibiva di vendere tele ed altre opere forestiere a Nicolò da Venezia «depentor sta sotto i Porteghi a Rialto», al quale venivano sequestrate le pitture35.

Le esportazioni all’estero. A differenza di tutti gli altri aspetti, sin dagli antichi statuti la Serenissima si dimostrava molto favorevole all’esportazione (atto del 1537, confermato nell’anno successivo) dal momento che non poteva che giovare alla sua economia interna.

33 A.S.V., Arti, Dipintori, b. 103, c. 29r-v; B.M.C., ms. 4, n. 163, cc. 43r-v. 34 Favaro, L’Arte dei pittori cit., p. 76.

35 I. Cecchini, Quadri e commercio a Venezia durante il Seicento. Uno studio sul mercato dell’arte, Venezia,

L’esportazione veniva incoraggiata con un dazio abbastanza basso per l’uscita, come si può leggere nella Tariffa di Moresini, dove ricordo che unicamente in queste voci si parla di prodotti di pittura. In uscita da Venezia verso extra Culphum, oppure nel Golfo, ma anche verso Treviso e «per la via del Friuli», si menzionavano tutti i tipi di manufatti artistici contemplati dall’Arte dei Depentori: carte da gioco, cortine, casse e cassoni, specchi di ogni sorte, sculture in marmo, legno e terracotta, ma soprattutto «pale d’altar» e «tele depente», nonché «carte depente e cartoni» oppure «quadri di legno»36; nulla si menziona invece per uscita dal Fondaco.

Un altro modo per incoraggiare le esportazioni, introdotto sin da tempi remoti, era anche la licenza speciale di poter lavorare in momenti in cui solitamente non era lecito. Sin dall’antico statuto, si stabiliva che chi doveva produrre per vendere all’estero aveva la facoltà, previa autorizzazione del gastaldo, di continuare a dipingere anche durante il riposo festivo, ovvero dopo il suono della “marangona” all’Ave Maria del sabato (cap. XLV dell’antico statuto)37. Ancora nel 1436 si specificava che nel caso vi fosse l’urgenza di portare a termine un lavoro che «se debia portar fuora de questa terra», l’artista avrebbe dovuto darne notizia al gastaldo, il quale una volta accertata la verità, gli avrebbe concesso la licenza speciale (cap. VIII).

Anche la figura di una sorta di intermediario, in questo caso, era contemplata in quanto nel 1537 la Corporazione stabiliva che «ognuno sì terrier come forastier [possi] comprar da le boteghe nostre ogni sorte de robbe e quelle portar in mercanzia fora di questa città», rendendo quindi lecito lo smercio di manufatti artistici da parte di persone non appartenenti alla Corporazione38.

Questo atteggiamento apertamente favorevole tuttavia, avrebbe visto un’inversione di tendenza nel secolo successivo, probabilmente vista la mole di opere meravigliose dei grandi maestri cinquecenteschi che tramite agenti ed ambasciatori prendevano la via della Spagna, dell’Inghilterra e dell’Europa centrale, come fa intendere molto bene Marco

36 A. Moresini, Tariffa del pagamento di tutti i dacii di Venetia, con molte altre cose che sono al proposito a

tutti i mercadanti, con l’auttorita dell’Illustrissimo Consiglio de Pregadi composta per Alessandro Moresini scrivan all’Officio della tavola della uscita di Venetia, Venezia, ed. dopo il 1545: in uscita: fuori dal Golfo c.

37v e c. 39v; nel Golfo c. 44v, c. 50r e c. 52r; verso Treviso e il Friuli 60v e 62r-v.

37 Favaro, L’Arte dei pittori cit., p. 25.

38 I. Cecchini, Al servizio dei collezionisti. La professionalizzazione nel commercio di dipinti a Venezia in età

moderna e il ruolo delle botteghe, in Il collezionismo a Venezia e nel Veneto ai tempi della Serenissima, atti

del convegno (Venezia, 21-25 settembre 2003), a cura di B. Aikema, R. Lauber e M. Seidel, Venezia, Marsilio, 2005, pp. 151-172:167.

Boschini quando afferma che «si no entrava qua la regia man, Piture adio, Venezia saria senza»39.