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IL MERCATO ARTISTICO IN EUROPA

COS’È IL MERCATO DELL’ARTE

IL MERCATO ARTISTICO IN EUROPA

Mapping markets for paintings in Europe è il titolo di un volume edito recentemente che in

pochissime parole riesce a condensare un esteso fenomeno, quello di un’Europa attraversata tra lunghi tracciati dove viaggiavano, e venivano trasportati da una parte all’altra, anche i quadri. Si è detto che il Mediterraneo ed i Paesi che vi si affacciavano, nel Cinquecento erano territori che facevano parte di un antichissimo ma sempre più vivo

sistema di scambi di merci ed idee che transitavano tra porti e città, portando ricchezza culturale ed economica a tutte le regioni coinvolte1. In tutto questo esteso commercio, le figure chiavi erano i mercanti, personaggi dallo spirito intraprendente che avevano saputo cogliere l’opportunità data dalla carenza di determinati prodotti in certe aree dell’Europa2 e l’abbondanza in altre, trasformandola in una reale occasione di guadagno3, supportati anche da un solido sistema finanziario di crediti e pagamenti, valido a livello internazionale4; nel corso degli anni, avevano ampliato lo spettro dei prodotti trasportati, cominciando con pregevoli prodotti di lusso, che rappresentavano un surplus rispetto all’attività ordinaria. Progressivamente, in tempi e modi diversi, anche i dipinti si erano insinuati in questi scambi nazionali ed internazionali, allargando la possibilità ai membri di ogni classe sociale di poter acquistare quadri di ogni genere provenienti da territori distanti5.

Due erano dunque in Europa i principali centri di questo commercio, non a caso entrambi caratterizzati da un alto benessere che determinava meno ansie tra la popolazione e un alto potere d’acquisto: da un lato l’Italia, della quale si discorrerà più avanti, e dall’altro i Paesi Bassi, che vantavano gli stipendi più alti d’Europa, tra i quali intercorreva una fitta rete di comunicazioni via terra e via mare. Come si vedrà invece, in luoghi emarginati come l’Inghilterra dove il potere d’acquisto era piuttosto basso vista l’impennata in negativo nelle retribuzioni, il mercato artistico stentava a diffondersi6.

Paesi Bassi. Sin dal Trecento questa regione era protagonista di un commercio molto

attivo, concentrato in particolare nella città di Bruges, definita come uno dei massimi centri mercantili del “mondo cristiano” che attirava il maggior numero di mercanti e banchieri

1 D. Igual Luis, La difusión de productos en el Mediterráneo y en Europa occidental en el tránsito de la

Edad Media a la Moderna, in Fiere e mercati nella integrazione delle economie europee secc. XIII-XVIII,

atti della trentaduesima settimana di studi (Prato, 8-12 maggio 2000), a cura di S. Cavaciocchi, Firenze, Le Monnier, 2001, pp. 453-494:453.

2 J.M. Montias, Notes on economic development and the market for paintings in Amsterdam, in Economia e

arte secc. XIII-XVIII, atti della trentatreesima settimana di studi (Prato, 30 aprile-4 maggio 2001), a cura di S.

Cavaciocchi, Firenze, Le Monnier, 2002, pp. 115-130:115.

3 G. Borelli, Questioni di storia economica europea tra età moderna e contemporanea, Padova, 2001, p. 141. 4 E. Welch, The fairs of early modern Italy, in Buyers and sellers. Retail circuits and practices in medieval

and early modern Europe, Turnhout, Brepols, 2006, pp. 31-50:35.

5 J.J. Bloom, Why Painting?, in Mapping Markets for Paintings in Europe, 1450-1750, a cura di N. De

Marchi and H.J. Van Miegroet, Turnhout, Brepols, 2006, pp. 17-34:33.

6 J. De Vries, Between purchaising power and the world of goods: understanding the household economy in

early modern Europe, in Consumption and the world of goods, a cura di J. Brewer e R. Porter, Londra,

stranieri7, per la varietà di merci che transitavano, la quale oltre ai prodotti convenzionali, comprendeva manufatti di lusso quali ad esempio preziosi vestiti, gioielli, mobili e armi8. Nel periodo però tra il Quattrocento ed il Cinquecento, a Bruges era iniziata l’avanguardistica produzione di dipinti pronti da immettere sul mercato atti a soddisfare la domanda di tutte le classi sociali9; come avveniva in altri luoghi, la produzione e la vendita dei manufatti di pittori ed altre professioni affini erano regolamentate in base alle disposizioni della Gilda di san Luca10, le cui disposizioni più antiche risalgono a metà Quattrocento, testimoniando l’esistenza di un mercato di dipinti già molto attivo: i quattro articoli infatti stabilivano che ai produttori di quadri era innanzitutto concesso di possedere soltanto un negozio, ed era assolutamente vietata la vendita lungo le strade. I mercanti d’arte potevano vendere soltanto all’interno delle loro botteghe dei prodotti di buona qualità secondo il parere della Corporazione; inoltre, nessuna opera poteva essere importata per esser messa in vendita11. Tuttavia, in particolare in una causa del 1463 emergeva la necessità da parte dei pittori di avere una bancarella dove esporre i propri prodotti economici in olio su tela probabilmente quindi da destinare alla vendita al minuto; il sito contestato era il Ponte di San Giovanni, luogo molto frequentato dagli stranieri in particolare, il che suggerisce la destinazione all’export di questi prodotti artistici12. Verso la fine del secolo però, i cambiamenti delle rotte dei traffici impedirono a Bruges di attirare nuovi mercati, che si spostavano così ad Anversa, nuovo centro internazionale sin dagli inizi del Cinquecento, dove affluivano anche i prodotti di lusso italiani13, che costituiva un sistema di produzione insieme alla vicina Malines, dove c’erano anche italiani impegnati nel traffico di opere d’arte14. Quanto alla produzione di dipinti, se nel secolo precedente non esisteva nessun artista la cui fama fuoriuscisse dai confini, nel XVII secolo la situazione subiva una spiccata inversione di tendenza che partiva dai grandi atelier seguiti

7 P. Stabel, Venezia e i Paesi Bassi: contatti commerciali e stimoli intellettuali, in Il Rinascimento a Venezia

e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano, catalogo della mostra (Venezia 1999-2000), a cura di

B. Aikema e B.L. Brown, Milano, Bompiani, 1999, pp. 31-43:3231.

8 P. Stabel, Selling paintings in late medieval Bruges: marketing customs and guild regulations compared, in

Mapping markets cit., pp. 89-105:90.

9 Bloom, Why Painting cit., p. 33. 10 Stabel, Selling paintings cit., p. 94.

11 M.P.J. Martens, Some Aspects of the Origins of the Art Market in Fifteenth-Century Bruges, in Art Markets

in Europe 1400-1800, a cura di M. North e D. Ormrod, Brookfield, Ashgate, 1998, pp. 19-27:19-20.

12 Ibidem, p. 21.

13 Stabel, Venezia e i Paesi Bassi cit., pp. 36-37.

14 N. De Marchi, L.C. Matthew, I dipinti, in Il Rinascimento Italiano e l’Europa, 6 voll., Treviso, Angelo

Colla editore, 2005-2010, IV. Commercio e cultura mercantile, a cura di F. Franceschi, R.A. Goldthwaite, R.C. Mueller, 2007, pp. 247-282:255.

da una miriade di altre piccole unità che ne imitavano composizioni, modelli e tipologie15 e prezzi, adatti anche ad un pubblico medio-basso16, come emerge anche in base ad uno studio di inventari17. Un ritmo così attivo di creazioni non poteva che determinare lo sviluppo di un fiorente mercato di dipinti, con le relative dinamiche collaterali come l’associazione tra più artisti, al fine di riuscire a far fronte ad un export dai profili internazionali18, diretto in gran parte alla Penisola Iberica seguita dall’Italia, per arrivare addirittura verso le Indie19. I luoghi di vendita, come si vedrà anche per Venezia, oltre ad essere quelli convenzionali ed accettati dalle corporazioni ovvero le botteghe e le fiere, potevano essere anche le lotterie, le aste, tanto che il primo catalogo a stampa di oggetti messi in vendita si registra in Olanda nel 161620. Un caso molto interessante sono anche i

cosiddetti panden ovvero fiere dove gli artisti mettevano in mostra le proprie opere ambientate nei cortili dei monasteri delimitati da passerelle coperte nei loro quattro lati oppure in strutture appositamente costruite21. Il più antico ed importante era il cosiddetto

pand di Nostra Signora ad Anversa adiacente la chiesa omonima, attivo dal 1460 fino alla

demolizione nel 1560, dove i vari venditori prendevano in affitto le bancarelle per esporre e vendere dipinti, sculture, libri e stampe in occasione delle feste della città ovvero la Fiera della Pantecoste e quella di San Bavo; queste occorrenze, dalla durata di sei settimane l’una, non erano altro che opportunità per i mercanti, anche stranieri, di vendere liberamente negli spazi pubblici come strade, piazze, monasteri e appunto panden, che non

15 M.P.J. Martens, La production de masse d’œuvres d’art: un concept erroné. Le cas de la peinture

anversoise durant la première moitié du XVIe siècle, in L’art multiplié. Production de masse, en série, pour

le marché dans les arts entre Moyen Âge et Renaissance, a cura di M. Tomasi, Roma, Viella, 2011, pp. 105-

114:114.

16 S. Raux, Circulation, distribution and consumption of Antwerp paintings in the markets of the Southern

Netherlands and Northern France (1570-1680), in Moving Pictures. Intra-European trade in images, 16th- 18th centuries, a cura di N. De Marchi e S. Raux, Turnhout, Brepols, 2014, pp. 93-122:116-117.

17 Da un recente studio basato sull’analisi di inventari di cittadini di Anversa nell’arco di tempo che va dal

1532 al 1567 è emerso l’aumento di quadri nelle abitazioni della classe media, a dimostrazione che l’acquisto di dipinti non fosse più a quell’epoca soltanto un lusso che si poteva permettere la nobiltà. Il fatto che la borghesia potesse ornare le proprie case di quadri, era il riflesso di una nuova produzione a risparmio, che prevedeva tecniche produttive e materiali economici, oltre chiaramente ad una realizzazione veloce che abbassava di un po’ il livello di qualità, ma che comunque veniva apprezzata. M.P.J. Martens e N. Peeters,

Painings in Antwerp houses (1532-1567), in Mapping Markets cit., pp. 35-53:50.

18 K. Van der Stichelen e F. Vermeyen, The Antwerp Guild of Saint Luke and the marketing of paintings,

1400-1700, in Mapping markets cit., pp. 189-208:190.

19 F. Vermeylen, Painting for the market. Commercialization of art in Antwerp’s Golden Age, Turnhout,

2003, pp. 82-83.

20 K. Pomian, Collezionisti, amatori e curiosi. Parigi-Venezia XVI-XVIII secolo, Milano, 1989, p. 53. 21 J. De Rock, J. Puttevils e P. Stabel, Stranieri ad Anversa: mercanti, commercio e luoghi commerciali, in Il

Rinascimento Italiano e l’Europa, 6 voll., Treviso, Angelo Colla editore, 2005-2010, VI. Luoghi, spazi, architetture, a cura di D. Calabi e E. Svalduz, 2010, pp. 597-616:603.

erano altro che un’estensione di questo fenomeno22. Altri circuiti di vendita potevano essere il mercato di seconda mano oppure addirittura locande ed ostelli, lontani però dagli occhi delle istituzioni23. Chiaramente, più un’attività rendeva, più si specializzavano anche le relative figure professionali, prima fra tutte quella del mercante d’arte: entro fine secolo dai documenti ne risultano ben venticinque, di cui dieci pittori; anche le donne avevano un ruolo importante in quanto supportavano l’attività dei mariti: sappiamo infatti che il primo mercante d’arte nel 1502 ad esser iscritto alla Corporazione era una donna24, ma prima di lei già nel Quattrocento ci sono esempi di queste mogli nel ruolo di agenti, o che addirittura proseguivano gli affari dei mariti quando questi erano morti, com’è il caso delle donne in casa van der Stockt: nel 1436 la moglie negoziava la trattativa per la vendita di una pala d’Altare ad Anversa, mentre la figlia si stabiliva a Bruges per iniziare il mestiere e ottenere commissioni per il padre25.

Germania meridionale. La tratta che rendeva possibile l’intensa connessione tra l’Italia e i

Paesi Bassi passava anche per il sud della Germania, coinvolgendo inevitabilmente i principali centri artistici di Norimberga, Augusta e Monaco, tra l’altro molto attivi anche sul piano commerciale26. Queste città della Germania meridionale erano in particolare legate con Venezia, sia sul piano economico che su quello culturale sin da tempi antichi come testimonia l’esistenza del Fondaco, e tutta l’attività legata all’invenzione tedesca della stampa con lo straordinario sviluppo dell’industria libraria che erano state accolte con grande entusiasmo dai veneziani27. Quanto all’arte però, in Germania a causa dei movimenti riformistici non c’era stato quel fermento artistico rinascimentale che aveva portato alla fioritura di nuove forme, di conseguenza la domanda di cultura aveva trovato un vero e proprio punto di riferimento a Venezia. Sfruttando quindi le strutture mercantili preesistenti, in particolare del Fondaco, aveva così preso vita un vero mercato di opere d’arte, all’interno del quale un ruolo primario era senza dubbio quello della potentissima famiglia imprenditoriale dei Fugger di Augusta, che sin dal XV secolo risiedeva presso il Fondaco e che per tutto Cinquecento, tramite agenti come Strada, Stoppio oppure la ditta

22 D. Ewing, Marketing art in Antwerp, 1460-1560: Our Lady’s Pand, «The Art Bulletin», 4, 1990, pp. 558-

584:558-559.

23 Stabel, Selling paintings cit., p. 91.

24 Vermeylen, Painting for the market cit., pp. 62-66.

25 L. Campbell, The art market in the Southern Netherlands in the fifteenth century, «The Burlington

Magazine», 877, 1976, pp. 188-198:195.

26 R. Pieper, The Upper German Trade in Art and Curiosities before the Thirty Years War, in Art Markets in

Europe cit., pp. 93-102:93.

27 B. Roeck, Venezia e la Germania: contatti commerciali e stimoli intellettuali, in Il Rinascimento a Venezia

degli Ott sempre di Augusta, aveva acquistato oggetti di lusso, antichità, sculture e dipinti, favorendo la permeazione del gusto per l’arte veneziana nelle città tedesche28. D’altra parte lo scambio non avveniva a senso unico, anzi; prodotti artigianali della Germania meridionale quali dipinti, disegni, sculture, argenti, strumenti meccanici ed astrologici e preziosi Kunstschränke per collezionisti oltre a soddisfare la domanda locale, andavano ad esser venduti in tutta Europa grazie all’intermediazione di mercanti d’arte ed d’argento29.

Francia. Spostandoci un po’ più ad ovest verso la Francia, sappiamo che la situazione, se

pur attenuata, era parimenti quella degli altri Paesi nominati fino ad ora, essendo parte di quell’area fortemente urbanizzata che conduceva ad Anversa30. Sebbene sul fronte della produzione la capitale parigina fosse molto carente, come registrano i numeri della Corporazione che poteva contare soltanto poco più di trenta membri, includendo gli scultori, moltissimi dipinti venivano importati dai mercanti dai Paesi Bassi, in particolare Anversa, che in quegli anni monopolizzava il mercato. Tuttavia si era comunque organizzata una rivendita che nella capitale parigina vedeva il proprio centro presso l’Île de la Cité e più nello specifico, le gallerie del Palazzo di Giustizia, dove i mercanti di quadri e stampe si mescolavano con i rivenditori di libri, i merciai e i gioiellieri; specie negli anni successivi, un altro punto di riferimento sarebbe stato il Pont Notre-Dame, dove si poteva trovare in parallelo sia quel mercato di lusso di dipinti come veniva immortalato nell’Enseigne de Gersaint, ma anche un vigoroso commercio di quadri economici31. L’interessamento e l’apprezzamento dell’arte in classi sociali non aristocratiche a partire dai primi anni del Seicento aveva infatti solleticato l’apertura di negozi da parte di personalità francesi e non, com’è il caso del fiammingo Van der Weyden conosciuto sotto il nome francese François de Laprairie, che mettevano in vendita opere e stampe religiose, e scene di genere32 . Oltre alla capitale ed a Bordeaux, un’altra città commercialmente molto attiva nel XVI secolo era Rouen, soprattutto, grazie ad un porto internazionale che la poneva al centro dei traffici commerciali tra l’Olanda, le città nel cuore della Francia e la Penisola Iberica. Com’è facilmente intuibile, ancora una volta le infrastrutture commerciali avevano favorito il mercato di dipinti, in particolare dagli anni ’70 quando diversi pittori

28 Roeck, Venezia e la Germania cit., pp. 50-53. 29 Pieper, The Upper German Trade cit., p. 100.

30 Raux, Circulation, distribution and consumption cit., p. 94.

31 M. Szanto, The Pont Notre-Dame, heart of the picture trade in France (sixteenth-eighteenth centuries), in

Moving Pictures cit., pp. 77-91:77-87.

32 M. Favreau, Le collectionnisme à Bordeaux au Grand Siècle (1598-1715), in Geografia del Collezionismo.

Italia e Francia tra il XVI e il XVIII secolo, atti delle giornate di studio dedicate a Giuliano Briganti (Roma,

18996), a cura di O. Bonfait, M. Hochmann, L. Spezzaferro e B. Toscano, Roma, École française de Rome, 2001, pp. 303-323:319-320.

olandesi che si erano stabiliti nella cittadina francese avevano organizzato delle spedizioni di dipinti, cornici, stampe ed altri manufatti artistici dalle loro città natali alla Francia oppure più in la ancora. Tra di loro, Jehan Liesart e Hans van den Queeckboorne, entrambi rampolli di importanti dinastie di pittori di Anversa, hanno ricoperto il ruolo di intermediari tra i mercanti di Rouen e i pittori di Anversa ed erano diventati parte di un’importante circuito professionale33. I collegamenti tra Rouen ed Anversa non avvenivano soltanto via mare, ma sfruttavano anche le infrastrutture di terra: è molto interessante notare così che in alcune cittadine di passaggio come Amiens, un’abbondante documentazione prova la presenza di pitture fiamminghe nelle case34.

Spagna. Passando alla Spagna, la situazione che appare all’alba del Cinquecento sia sotto

il punto di vista economico che culturale si può dire pienamente fiorente, in particolare grazie alla presenza alla guida del Paese di Isabella di Castiglia. La promozione di importanti eventi economici come le fiere dove si mettevano in vendita svariati prodotti esentasse e la sistemazione o la costruzione di strade, ponti, canali e porti, come quello di Bilbao che rafforzavano il sistema generale delle infrastrutture, erano testimonianze vere della politica di apertura promossa dalla regina. Altre disposizioni emanate dalla regina avevano inoltre favorito la fioritura artistica e la produzione di opere d’arte, richiesta in particolar modo da parte dell’aristocrazia35, ma non solo: dalla metà del Cinquecento infatti, stava avendo luogo in Spagna un’incredibile aumento della domanda di quadri, che non riguardava più soltanto l’élite bensì tutti i livelli sociali, che si rifletteva in un alto numero di quadri all’interno degli inventari casalinghi. Un mercato di quadri esisteva infatti sin dal Quattrocento, ma il sistema era ancora molto semplice: la domanda proveniva soltanto dall’élite e veniva soddisfatta semplicemente da artisti locali oppure quadri di importazione fiamminga, che venivano venduti in città portuali come Barcellona, Valenza e Siviglia oppure in occasione di grandi fiere come quella di Medina del Campo. A far fronte a questa nuova domanda allargata erano, oltre agli artisti locali36, anche pittori ed incisori provenienti dai Paesi Basse e dalla Germania, i quali attirati da un regime commerciale e regole corporative molto più morbidi, che aprivano bottega lungo i percorsi

33 Raux, Circulation, distribution and consumption cit.., pp. 102-103. 34 Ibidem, p. 104.

35 M.T. Alvarez, Artistic Enterprise and Spanish Patronage: The Art Market during the Reign of Isabel of

Castile (1474-1504), in Art Markets in Europe cit., pp. 45-59:45-51.

36 M. Falomir, Artists’ responses to the emergence of markets for paintings in Spain, c. 1600, in Mapping

dei pellegrini verso Santiago de Compostela37. Da questo mercato molto attivo erano quindi scaturite nuove pratiche come la produzione in serie o di copie, la formazione di compagnie di artisti, la vendita lungo le strade e, soprattutto, la comparsa di una nuova figura professionale qual è il tratante, ovvero il mercante38.

Inghilterra. Come è emerso fino ad ora dunque, i siti commercialmente attivi ed inseriti

nel circuito mediterraneo internazionale, erano i protagonisti di scambi che si allargavano anche al mercato di opere d’arte. Ciò non si poteva dire per l’Inghilterra, dove lo sviluppo del mercato artistico sarebbe iniziato tardivamente a partire dalla seconda metà del XVII secolo, ritardo causato principalmente dalla presenza di una corte impoverita che irradiava pochi stimoli culturali ed una chiesa protestante che non approvava l’esibizione di prodotti artistici, oltre alla proibizione di importare opere39. Un momento chiave del cambiamento

era quello compreso tra gli anni Quaranta e Sessanta, con un’iniziale reazione rispetto all’iconoclastia elisabettiana con il conseguente sviluppo artistico, l’interessamento crescente da parte di critici e collezionisti al mondo dell’arte e infine l’importazione di dipinti in Inghilterra senza ispezioni, e pagamento delle tasse doganali40; la prima asta di quadri si registrava nel 167441. Chiaramente poi le cose sarebbero cambiate nel secolo successivo, sotto il punto di vista della tassazione, sempre più pesante, e delle limitazioni a proposito delle tipologie da importare, oltre al monopolio della Painter-Stainer Company fino al 1708. Oltre ai quadri, a partire dagli ultimi anni di Carlo I erano giunti a Londra anche i pittori stranieri42, che però non stavano molto a genio agli artisti locali come testimonia la Painter-Stainers Company, che denunciava gli artisti stranieri in particolare olandesi e italiani per sfruttare la loro arte e non pagare le tasse, ma che da parte sua non produceva che opere d’arte ornamentale come dipinti da cavalletto oppure pitture da applicare ai mobili, che non potevano competere con i rivali dall’Italia o dai Paesi Bassi43.