• Non ci sono risultati.

Gli obblighi di tutela costituzionali e comunitari.

2.2. La sentenza di illegittimità costituzionale della legge meramente abrogatrice.

2.2.1. Gli obblighi di tutela costituzionali e comunitari.

Nell’ambito della questione relativa alla dichiarazione di incostituzionalità di una norma espressamente abrogatrice di una norma incriminatrice occorre esaminare la peculiare ipotesi in cui la norma di favore abroghi una norma che risulti essere la trasposizione di un obbligo comunitario.

Si è detto che la Corte tradizionalmente ha negato la possibilità di dichiarare illegittima per motivi sostanziali una norma meramente abrogatrice e che la dottrina, a nostro avviso correttamente, ha da sempre negato l’esistenza di espressi obblighi costituzionali di penalizzazione (ad eccezione del precetto di cui all’art. 13, comma 4°).

Si tratta, ora, di verificare se, invece, la Corte possa sindacare la legittimità di norme meramente abrogatrici sul presupposto che si debba dare attuazione ad obblighi comunitari di incriminazione. È noto che l’ordinamento comunitario, valorizzando il principio di affidamento, ha trovato una sua evoluzione nel senso di introdurre non solo un obbligo di « tutela adeguata » (lasciando gli Stati membri liberi nell’individuazione del tipo di sanzione che risultasse in concreto effettiva, proporzionata e dissuasiva), ma anche, seppur indirettamente, veri e propri obblighi di incriminazione71.

Già con la riforma del diritto penale societario erano state poste alla Corte di Giustizia delle questioni relative alla eventuale inadeguatezza della nuova disciplina in relazione ad esigenze di tutela imposte dal diritto comunitario. In quell’occasione, la Corte ha avuto modo di ribadire che gli Stati Membri, pur conservando la scelta delle sanzioni, « devono segnatamente vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano punite, sotto il profilo sostanziale e

71

La questione è esaminata, tra gli altri, da CUPELLI, Commento all’art. 1 c.p., in LATTANZI –LUPO ( a cura di) Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina., vol. 1, Milano, 2010, 71 e ss.

35

procedurale, in forme analoghe a quelle previste per la violazione del diritto interno, simili per natura ed importanza ». Tuttavia, nel caso in esame, si era ritenuto che la direttiva comunitaria in materia societaria (di cui si asseriva la violazione) non fosse invocabile nei confronti di imputati in procedimenti penali, « poiché una direttiva non può avere come effetto, di per sé ed indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità degli imputati » 72.

Successivamente, in materia di ambiente, la Corte di Giustizia si è spinta oltre.

Con la decisione quadro 2005/667, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato, su iniziativa della Commissione, lo strumento con cui l’Unione europea intendeva procedere al avvicinamento delle normative degli Stati membri in materia penale, prevedendo all’art. 2 una serie di comportamenti particolarmente gravi a danno dell’ambiente, che gli Stati Membri devono sanzionare penalmente.

La Corte di Giustizia (Grande Sezione, 13 settembre 2005, causa C 176/03), con riferimento a tale decisione, ha affermato che « in via di principio, la legislazione penale, così come le norme di procedura penale, non rientrano nella competenza della Comunità».

Quest’ultima constatazione «non può tuttavia impedire al Legislatore comunitario, allorché l’applicazione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle competenti autorità nazionali costituisce una misura indispensabile di lotta contro violazioni ambientali gravi, di adottare provvedimenti in relazione al diritto penale degli Stati membri e che esso

72

36

ritiene necessari a garantire la piena efficacia delle norme che emana in materia di tutela dell’ambiente».

La Corte, inoltre, sottolineando che gli articoli 174 CE-176 CE costituiscono, in via di principio, la cornice normativa entro la quale deve attuarsi la politica comunitaria in materia ambientale, censura la scelta della fonte normativa (decisione quadro), ritenendo la competenza normativa riconducibile al primo pilastro.

Con la direttiva 2008/99 gli Stati membri sono stati obbligati a prevedere nella loro legislazione nazionale sanzioni penali in relazione a gravi violazioni delle disposizioni del diritto comunitario in materia di tutela dell’ambiente, individuando nello specifico all’art. 3 i fatti che costituiscono reato.

Significative novità al sistema comunitario sembrano essere state introdotte con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009.

Risultano poi di primaria importanza le norme del capo I, dedicato alle disposizioni generali (artt. 67-76 TFUE), e quelle racchiuse nel capo IV, dedicato alla cooperazione giudiziaria in materia penale (artt. 82-86 TFUE), affermando che, con le nuove norme in materia criminale, l’Unione europea aspira a rivendicare definitivamente il giudizio di necessità di pena, ma certamente non ad esercitare la potestà punitiva.

In particolare si segnala l’art. 83, par. 1, TFUE, il quale sancisce, infatti, che l’Unione è in questo caso legittimata con direttive a « stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità

particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale»73.

73 Secondo taluni Il riferimento alla « particolare gravità » sembra presupporre un intervento su

settori che

devono avere già registrato a livello nazionale una reazione di tipo penale, SOTIS, Le novità in tema

di diritto penale europeo, in La nuova Europa dopo il Trattato di Lisbona, (a cura di) P.BILANCIA-M. D’AMICO, Giuffre, 2009, 144 ss.

37

Ebbene non vi è chi non veda come si possa segnare un progressivo sviluppo del diritto comunitario, anche giurisprudenziale, in considerazione del fatto che si è passati dall’obbligo per gli Stati nazionali di introdurre a protezione di determinati interessi comunitari sanzioni effettive, proporzionali e dissuasive ( ma non necessariamente «penali») alla legittimazione dell’ Unione europea nel determinare norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni.

Se dunque, alla luce dei nuovi riferimenti normativi e degli orientamenti manifestati dalla Corte di giustizia, sembrano essere più fondate le argomentazioni di quanti ritengono ormai emergenti, seppur indirettamente, obblighi comunitari di incriminazione, è bene rilevare come la Corte costituzionale avesse aperto (ancor prima del Trattato di Lisbona) la strada del riconoscimento con la sentenza n. 31 del 2000.

Con tale pronuncia la Corte ha dichiarato inammissibile la richiesta di un referendum abrogativo dell’intero d.lgs 25 luglio 1998 n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) poiché «l’eventuale abrogazione renderebbe inadempiente l’Italia agli obblighi derivanti dalla Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen e quindi del Trattato di Amsterdam».

Sebbene nella sentenza si richiamino altri precedenti giurisprudenziali si ritiene che la Corte con la pronuncia n. 31 del 2000 abbia sviluppato delle argomentazioni che vanno oltre l’impossibilità di svolgere il referendum sulle disposizioni normative strettamente collegate all’esecuzione dei Trattati internazionali74.

74

Così SOTIS, Obblighi comunitari di tutela e opzione penale: una dialettica perpetua?, in Riv.it.dir. e

proc. pen., 2002, 204. L’Autore ricorda come nella precedente giurisprudenza costituzionale il

38

Si riconosce, infatti, che in ossequio al primato del diritto comunitario, le norme penali nazionali attuative degli obblighi comunitari devono qualificarsi per una particolare «resistenza», in quanto «espressione di un preciso indirizzo normativo rigidamente vincolante, al quale il nostro legislatore non potrebbe sottrarsi»75.

Alla luce del nuovo indirizzo giurisprudenziale taluni hanno parlato di «leggi comunitariamente necessarie»76, ritenendo che la violazione del diritto comunitario sia integrata non solo quando venga adottata una legge in contrasto con i precetti comunitari, ma anche quando l’inadempimento sia sopravvenuto a seguito della creazione di un vuoto di tutela in uno spazio che, invece, doveva essere presidiato dalla sanzione penale.

Ora, se questo è il nuovo quadro che è venuto a delinearsi, occorre interrogarsi sulla possibilità di dichiarare l’illegittimità costituzionale di una norma penale che si presenti come «comunitariamente necessaria» , oppure di una norma meramente abrogatrice di una fattispecie incriminatrice emanata in attuazione di un obbligo comunitario dipenalizzazione.

Nel caso in cui il vizio di incostituzionalità della norma penale o della norma abrogatrice sia da imputare alla discrezionalità del legislatore nazionale la Corte, verosimilmente, «adotterà una sentenza interpretativa di accoglimento, o, più probabilmente di rigetto: in questo modo infatti riuscirà ad estrarre i profili di incostituzionalità senza lasciare l’ordinamento sprovvisto di una disposizione comunitariamente necessaria»77.

comunitari «risiedeva nella titolarità esclusiva in capo al Parlamento, organo sovrano e permanente, della responsabilità nei confronti della comunità internazionale».

75

C. cost. 31/2000.

76 L’espressione è di C

ARTABIA, Referendum e obblighi comunitari: verso l’inammissibilità dei

referendum su “normative comunitariamente necessarie”, in Riv.it. dir. pubbl. com., 2000, 187.

77

SOTIS, Obblighi comunitari, cit., 220.; si precisa, tuttavia, che qualora il vizio di incostituzionalità investisse un principio fondamentale dei diritti della persona a risultare prevalente sarebbe la norma costituzionale e dunque verrebbe annullata la norma interna.

39

Documenti correlati