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I possibili sviluppi del nuovo sindacato di costituzionalità Le ipotesi «sospette».

Dopo i falsi elettorali nessuna altra norma sottoposta allo scrutinio di costituzionalità è stata etichettata come «norma penale di favore»; come è logico sorgono dunque delle perplessità sulla effettiva generale capacità selettiva della nozione enucleata dalla Corte.

Se, pertanto, in quest’ottica l’individuazione di possibili ulteriori ambiti applicativi del sindacato di costituzionalità non sembra agevole, si può tuttavia prospettare, ad esempio, che venga sollevata di nuovo la questione di legittimità costituzionale rispetto al trattamento di favore previsto per le lesioni colpose connesse alla circolazione stradale, attratte nella giurisdizione dei giudici di pace. La questione, già sollevata dalla Corte d’appello di Napoli, è stata respinta dalla Corte con ordinanza n. 187 del 2005, in quanto il giudice remittente aveva omesso di estendere la censura anche all’art. 4, comma 1, lett. A, del d.lgs 274 del 2000, che, attribuendo al giudice di pace la competenza per le lesioni personali colpose connesse alla circolazione stradale, costituiva il necessario presupposto del sistema sanzionatorio di favore denunciato dal giudice a quo.

Un ulteriore possibile sviluppo dell’intervento della Corte è stato prospettato nel settore fallimentare da parte di chi ha intravisto l’esistenza di un rapporto di specialità tra la bancarotta da «reato societario» e la bancarotta fraudolenta per distrazione.

In particolare, si è detto, la bancarotta societaria da infedeltà patrimoniale potrebbe assumere le vesti di «norma di favore» e, dunque, come tale sindacabile; la sottrazione dall’ambito di applicazione della norma generale (la bancarotta fraudolenta per distrazione) avrebbe ad oggetto atti dispositivi compiuti da organi gestori in danno della società in presenza di un conflitto di

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interessi ed il trattamento irragionevolmente “di favore” si sostanzierebbe nella richiesta, proprio nei casi più gravi, del nesso causale con il dissesto204.

Desta qualche sospetto anche la previsione contenuta nell’art. 97 bis del Testo unico bancario (inserito dall'art. 8, D.Lgs. 9 luglio 2004, n. 197), laddove si prevede che Le sanzioni interdittive indicate nell'articolo 9, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, non possono essere applicate in via cautelare alle banche205. Tale norma sembra infatti sottrarre categorie di soggetti (le banche) alla disciplina della norma generale più severa che prevede l’applicazione in via cautelare delle misure interdittive.

Al di fuori di queste ipotesi i possibili scenari applicativi più che avere riguardo al positivo dato positivo si proiettano verso futuribili interventi legislativi206.

Si muove, ad esempio, in questa prospettiva chi ipotizza una riforma con la quale si attenui in misura consistente la pena prevista per il peculato d’uso; sarebbe plausibile ritenere che tale novella non superi il vaglio di ragionevolezza «per la ragione assorbente e destinata a rimanere implicita, che il peculato, anche quando è solamente d’uso, è espressivo comunque di un malcostume che rende il fatto inviso»207.

Si pensi poi a cosa potrebbe accadere qualora il legislatore decidesse di abolire o di attenuare la pena per l’omicidio del consenziente: qui la

204 L’esempio è proposto da N

APOLEONI,Le mariage qui a mal tournè: lo strano caso dell’infedeltà

patrimoniale e della bancarotta da «reato societario», in Cass.pen., 2009, 311.

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Un previsione sostanzialmente identica è preveduta nell’art. 60 bis del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria per le sim, sgr e sicav.

206

Si riportano qui alcuni esempi avanzati da GIUNTA, Il controllo di costituzionalità delle norme di

favore, cit., 30 e s.

207 G

IUNTA, Il controllo di costituzionalità delle norme di favore, cit., 31. L’autore ritiene, invece, che un’eventuale depenalizzazione del furto d’uso possa sfuggire al controllo di legittimità, ove la fattispecie concreta sottoposta al vaglio del giudice avesse ad oggetto una cosa mobile di modesto valore, sempre che il giudice a quo condivida la valutazione politico-criminale di lasciare esenti da pena le sottrazioni bagatellari.

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questione di costituzionalità implicherebbe valutazioni sulla ragionevolezza di una previsione che presuppone il riconoscimento della disponibilità del bene vita.

Infine, ancora, ci si può occupare di una recente vicenda legislativa che ha avuto risalto anche sulla stampa in considerazione del (riconosciuto) manifesto errore in cui è incorso il legislatore.

Con il d.lgs. n. 66 del 2010 (art. 2268 comma 1 n. 297, codice dell'ordinamento militare) si è espressamente abrogato il d.lgs. n. 43 del 1948 e, di conseguenza, si è verificata l'abolizione della incriminazione ivi contenuta all'art. 1, la quale vieta associazioni di carattere militare per scopi politici. L'"espulsione" della norma incriminatrice dal sistema giuridico è avvenuta in mancanza di una espressa delega legislativa in tal senso al Governo: la legge delegante non conteneva, infatti, l'indicazione della abrogazione.

Il Ministro della difesa il 3 ottobre 2010 attraverso il suo portavoce ha dichiarato che "l'inserimento del reato di associazione militare tra quelli da abrogare è un errore materiale e che il suo ministero si attiverà immediatamente per ottenere la rettifica in Gazzetta ufficiale"208 . Rettifica che poi non c'è stata, e dunque l'8 ottobre la norma abrogatrice è entrata in vigore e la figura di reato di conseguenza risulta essere tutt'ora abolita.

Nonostante la palese illegittimità costituzionale della norma abrogatrice per il vizio di eccesso di delega, bisogna tuttavia chiedersi se sia possibile un effettivo sindacato di legittimità costituzionale sulla norma che ha abolito l'incriminazione di associazione militare. Si pone qui il problema della

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reviviscenza della norma abrogata, e del conseguente rispetto del principio della riserva di legge in materia penale (art. 25, comma 2, Cost.)209.

Si osserva come il reato di associazione militare non sembri però inquadrabile nella categoria delle norme penali di favore sindacabili, in quanto non si trova(va) in rapporto di specialità sincronico con nessuna altra norma incriminatrice: non vi è nell'ordinamento penale un'altra norma incriminatrice contemporaneamente vigente in relazione di genere a specie.

Sotto tale profilo, dunque, non si pongono le problematiche relative alla sindacabilità delle norme penali di favore, potendosi semmai sollevare una diversa questione.

Qualora il legislatore, in considerazione dell’errore materiale - l'abolizione della incriminazione di associazioni di carattere militare per scopi politici – decidesse di reintrodurre la fattispecie di reato si porrebbe il problema della sindacabilità della norma abrogatrice intermedia che, in quanto più favorevole, continuerebbe ad applicarsi retroattivamente.

Il tema della sindacabilità di norme espressamente abrogatrici, come si è già visto, è strettamente connesso a questioni - che emergono anche nel caso in esame - implicanti l’ammissibilità di fenomeni di reviviscenza e l’esistenza di obblighi costituzionali di incriminazione.

La vicenda legislativa, allora, potrebbe trovare una soluzione soltanto ritenendo che se il legislatore rendesse di nuovo vigente la norma incriminatrice abrogata, occorrerebbe pur sempre sollevare la questione di costituzionalità della norma abrogatrice, in quanto norma illegittima, sul

209 Sulla questione cfr. G

AMBARDELLA, Abrogazione del reato di associazione militare per scopi politici e

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presupposto che dall'art. 18, comma 2, Cost. possa desumersi un obbligo di penalizzazione e che questo si assuma violato dall’intervento abolitivo.210.

Né pare che tale prospettiva possa trovare un ostacolo nella asserita impossibilità di sindacare norme di favore intermedie abrogate, in quanto l’ammissibilità di una simile operazione dovrebbe essere stata già ammessa dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 28 del 2010211.

210

In questo senso GAMBARDELLA, Abrogazione del reato di associazione militare, cit., 3730.

211 Per l'affermazione secondo cui la Corte può dichiarare l'illegittimità costituzionale di norme già

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APITOLO

III

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A LEGALITÀ COSTITUZIONALE

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ZONE FRANCHE

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