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Gli scavi dell'Istituto Papirologico "G Vitelli"

Arsinoe: la città scomparsa

III.3. Gli scavi e le esplorazion

III.3.10. Gli scavi dell'Istituto Papirologico "G Vitelli"

Nel marzo 1964 il Prof. V. Bartoletti, direttore dell'Istituto Papirologico "G. Vitelli" di Firenze, si recò in Egitto per effettuare una missione esplorativa finalizzata all'individuazione di un sito adatto alle ricerche papirologiche. Quando egli chiese al Service des Antiquités una concessione di scavo, la scelta cadde sui Kiman Fares. In quel momento il settore settentrionale dell'area archeologica era completamente occupato dai campi coltivati, mentre nei settori occidentale e meridionale si stava livellando il terreno con mezzi meccanici per costruirvi complessi abitativi e impianti

151 Habachi 1955, p. 107. 152 Davoli, Ahmed 2006, p. 85. 153 Leclant 1967, p. 191. 154 Yacoub 1968, pp. 55-56; Leclant 1970, p. 334.

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sportivi. Lo spazio occupato dalle rovine dell'antico capoluogo si era drasticamente ridotto e appariva alquanto sconvolto:

«Il sito superstite si presentava come una desolata successione di monticoli

e di avvallamenti caratterizzati in superficie da uno spesso strato di materiali ceramici scartati dai cercatori di sebbakh, da cui emergevano frammenti sparsi di colonne, capitelli, basamenti e statue, avulsi dai contesti originari, frammenti erratici di spoliazioni e depredazioni secolari. Gli unici resti di una struttura in pietra identificabile erano costituiti da un tratto di muratura in blocchi di calcare, situata nella zona centrale, con frammenti di una iscrizione riferibile all'età tolemaica, che attestava trattarsi di un teatro. Di alcuni edifici termali in mattoni cotti, in gran parte depredati, si poteva leggere in negativo la planimetria originale»155.

Dato che le rovine di Arsinoe stavano per scomparire sotto le nuove costruzioni di Medinet el-Fayum, lo scavo assunse il carattere di un intervento d'urgenza. I lavori si svolsero dal 5 dicembre 1964 al 24 febbraio 1965 sotto la direzione del Prof. S. Bosticco; altri membri della missione furono il Prof. M. Manfredi, l'Arch. F. Forte e il Dott. C. Barocas; inoltre, collaborarono il Prof. S. Donadoni e la Prof. E. Bresciani. Purtroppo, un rapporto di scavo dettagliato non è stato ancora pubblicato e le uniche notizie che abbiamo sulle ricerche condotte dall'Istituto Papirologico si devono a brevi resoconti del Prof. Manfredi e del Prof. Bosticco e alle informazioni fornite dai rapporti annuali di J. Leclant.

L'area concessa alla missione era situata nel quadrante sud-orientale della zona archeologica superstite. Per prima cosa, venne rimossa la coltre di frammenti ceramici, che in alcune zone raggiungeva 2 m di spessore e che, come notò già Petrie, ricopriva tutto il sito; dopodiché si scavò in quattro settori principali:

1) I primi lavori furono effettuati nel luogo in cui si trovavano i frammenti di colonne in granito rosso che, secondo Habachi, costituivano i resti di una grande sala di un tempio della XII dinastia. Scavando in quel settore, gli italiani speravano di trovare delle tracce del tempio faraonico, ma i risultati dei sondaggi furono negativi. Si capì che

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le colonne si trovavano in un livello databile ad una fase più tarda, quando verosimilmente vennero riunite in quel luogo per essere tagliate e riutilizzate come materiale da costruzione; esse, infatti, furono rotte intenzionalmente, come dimostrato dai segni lasciati dai cunei. Lo scavo mise in evidenza che tali frammenti erano situati lungo l'asse di una grande opera di canalizzazione, con ogni probabilità un acquedotto di età romana, che attraversava la città in direzione nord-sud. Dunque, si ipotizzò che le colonne fossero state riutilizzate dai romani per sistemare un tratto dell'acquedotto. Nei pressi dei resti delle colonne fu rinvenuto anche un basamento quadrato di 2,20 m di lato, costruito con blocchi di calcare e di cui non si riuscì a capire la funzione.

2) In un settore situato più a sud-est, sotto uno spesso strato di frammenti ceramici alto circa 2 m, fu individuata una pavimentazione di epoca romana; essa era verosimilmente connessa con un complesso termale dello stesso periodo, di cui si conservavano le condutture. In seguito, furono effettuate delle ricerche per chiarire il sistema di approvvigionamento e di distribuzione dell'acqua. Due pozzi furono rinvenuti in prossimità della zona con le colonne di granito: il primo, da cui emersero anfore, olle e coppe riferibili al periodo romano, aveva una profondità di 2 m e la sua superficie interna era rivestita con blocchi di calcare reimpiegati; il secondo, profondo 1,20 m e con un rivestimento di mattoni cotti e pietre, sembrava essere stato realizzato con minore cura. Più a sud venne trovata una doppia serie di canalette, poste a differenti livelli, che rifornivano una grande cisterna di forma ellittica, che presentava un diametro di 3,20 × 1,90 m e una profondità di 2,70 m; all'interno di essa furono rinvenuti resti di anfore.

3) Spostandosi più ad est, furono rinvenuti i resti di un complesso architettonico, di cui si conservavano dodici vani costruiti interamente in mattoni crudi. Poiché tali ambienti erano situati a livelli bassi ed erano caratterizzati dalla presenza di anfore infisse nei pavimenti, si ipotizzò che si trattasse di scantinati. Sulla base della tipologia delle anfore e di alcune monete ritrovate nei vani, il complesso venne datato al IV secolo a.C.

4) Nel settore settentrionale dell'area indagata furono portati in luce i resti di alcune abitazioni di epoca tolemaica.

L'antico capoluogo aveva restituito fino agli inizi del Novecento migliaia di papiri, ora conservati al Museo Egizio del Cairo e in varie collezioni europee, perciò

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«sussisteva ancora la speranza che qualche "pezzo" fosse sfuggito al sistematico

setacciamento dei sebbahin»156. Tuttavia, questa aspettativa venne delusa: a causa delle condizioni di notevole sconvolgimento degli strati superiori e della presenza di infiltrazioni di umidità in quelli inferiori, non fu rinvenuto neanche un papiro.

Furono molti, invece, gli altri tipi di reperti trovati dalla missione. Quasi tutti gli oggetti rinvenuti furono concessi dal Service des Antiquités all'Istituto Papirologico "G. Vitelli" e sono oggi conservati nei depositi della Sezione Egizia del Museo Archeologico di Firenze. Essi comprendono: più di 250 lucerne; circa 300 terrecotte, tra le quali molte statuette di buona fattura; numerosi vasi e contenitori di varie dimensioni; oltre 250 anse di anfore, molte delle quali presentano timbri di fabbrica rodiota; gruppi di monete bronzee risalenti a diversi periodi e altri oggetti metallici. La maggior parte di questi reperti, risalenti soprattutto al periodo greco-romano, non fu rinvenuta in situ, ma derivò dal lavoro di cernita dei detriti che ricoprivano le strutture157.

Lo scavo dell'Istituto Papirologico "G. Vitelli" di Firenze rappresentò l'ultima possibilità per indagare scientificamente un settore abbastanza ampio delle rovine di Arsinoe, destinate a scomparire in breve tempo.