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Augusto, Livia, Tiberio. Tre ritratti da Arsinoe.

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHEOLOGIA

Augusto, Livia, Tiberio

Tre ritratti da Arsinoe

Candidato:

Alessia Di Santi

Relatori:

Prof. Maurizio Paoletti

Dott.ssa Flora Silvano

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Riassunto analitico

Questo lavoro esamina il contesto di provenienza dei ritratti di Augusto, Livia e Tiberio conservati alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen. Attraverso un'analisi delle lettere inviate dal mercante che vendette le sculture e uno studio della documentazione archeologica, papirologica ed epigrafica relativa ad Arsinoe romana, si esclude che i tre busti fossero collocati in un antico anfiteatro, un fatto finora considerato probabile dalla maggior parte degli studiosi.

This work examines the archaeological context of the Copenhagen Ny Carlsberg Glyptotek's portraits of Augustus, Livia and Tiberius. Through an analysis of the letters sent by the art dealer who sold the sculptures and a study of the archaeological, papyrological and epigraphic documents of Roman Arsinoe, we exclude that the three busts were placed in an ancient amphitheatre, an event considered probable by most scholars till now.

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7

Indice

Introduzione

11

I. Tre ritratti imperiali dal Fayum

13

I.1. Una breve descrizione

13

I.1.1. Augusto 13

I.1.2. Livia 14

I.1.3. Tiberio 15

I.2. Materiale e luogo di produzione

17

I.3. Datazione

18

II. Dall'Egitto a Copenaghen

29

II.1. Stato degli studi

29

II.2. I protagonisti

30

II.3. Le lettere del mercante

32

II.4. La questione delle tessere

35

III. Arsinoe: la città scomparsa

43

III.1. La città

43

III.2. Le testimonianze di alcuni viaggiatori

46

III.3. Gli scavi e le esplorazioni

50

III.3.1. Le ricerche di J.J. Rifaud 50

III.3.2. La descrizione di K.R. Lepsius 59

(8)

8

III.3.4. La scoperta dei papiri 61

III.3.5. L'esplorazione di G. Schweinfurth 62 III.3.6. Gli scavi di W.M.F. Petrie 65

III.3.7. Gli inizi del Novecento 66

III.3.8. Alcuni rinvenimenti sporadici 67 III.3.9. Gli scavi del Service des Antiquités 68 III.3.10. Gli scavi dell'Istituto Papirologico "G. Vitelli" 68 III.3.11. Gli ultimi interventi e le misure di tutela 71

IV. Arsinoe romana

91

IV.1. L'evidenza archeologica

91

IV.1.1. Un vasto bagno pubblico 91

IV.1.2. Un bagno privato 95

IV.1.3. Qualche altra traccia di Arsinoe romana 96

IV.2. L'importanza dei papiri

97

IV.3. La documentazione epigrafica

109

V. Le immagini di Augusto e della sua famiglia dall'Egitto

115

V.1. Le immagini di Augusto

115

V.2. Le immagini di Livia

121

V.3. Le immagini di Tiberio

121

V.4. Alcune osservazioni

125

VI. Il contesto di provenienza dei tre ritratti

139

Conclusioni

147

Indice delle figure

151

(9)

9

Bibliografia

159

Sitografia

169

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(11)

11

Introduzione

Alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen si conservano tre busti marmorei che raffigurano Augusto (inv. n. 1443)1, Livia (inv. n. 1444)2 e Tiberio (inv. n. 1445)3. Essi furono acquistati da un commerciante d'arte del Cairo alla fine del XIX secolo. Questi disse agli acquirenti danesi che le opere provenivano dal Fayum (Egitto), probabilmente da un anfiteatro di Arsinoe.

Da allora i ritratti sono stati ampiamente studiati dal punto di vista iconografico e stilistico, ma finora nessuno studioso ha tentato di far luce sul loro contesto di provenienza. A tal riguardo, nelle pagine dedicate alle tre sculture viene semplicemente riportata la proposta del commerciante: si legge, infatti, che i busti probabilmente provengono dall'anfiteatro di Arsinoe nel Fayum e in certi casi tale provenienza non viene presentata come un'ipotesi, ma come una certezza.

Scopo di questo lavoro è cercare di capire dove fossero realmente collocati i ritratti conservati alla Ny Carlsberg Glyptotek. Per far ciò, si esaminerà tutta la documentazione a disposizione: le lettere inviate dal mercante agli acquirenti danesi, le testimonianze archeologiche, le fonti papiracee e i documenti epigrafici.

Nel capitolo I si fornirà una descrizione dei tre busti e si affronteranno le questioni riguardanti il luogo di produzione delle opere e la loro datazione. Nel capitolo II, dopo un paragrafo dedicato allo stato degli studi sul contesto di provenienza dei tre ritratti, ci si soffermerà sulle figure degli acquirenti e del venditore delle opere, per poi analizzare le lettere inviate dal mercante ai danesi. I capitoli III e IV saranno dedicati ad Arsinoe, la città dalla quale si ritiene che provengano i ritratti. In particolare, nel capitolo III, dopo un breve excursus sulla città e sulla sua storia, si esamineranno le testimonianze dei viaggiatori che visitarono le rovine di Arsinoe e si riporteranno i risultati degli scavi

1 Johansen 1994, pp. 90-91. 2 Ivi, pp. 96-97. 3 Ivi, pp. 114-115.

(12)

12

e delle esplorazioni che vennero effettuati nella città fin dalla prima metà del XIX secolo. Il capitolo IV, invece, sarà incentrato su Arsinoe in età romana: per prima cosa, si esaminerà la documentazione archeologica relativa a questa fase; poi, si prenderanno in considerazione i dati forniti dalle fonti papiracee; infine, si farà riferimento alle testimonianze epigrafiche. Una rassegna sulle immagini di Augusto, di Livia e di Tiberio provenienti dall'Egitto verrà presentata nel capitolo V al fine di illustrare alcuni aspetti della ritrattistica imperiale egiziana. In conclusione, nel capitolo VI si affronterà la questione dell'originaria collocazione dei busti conservati alla Ny Carlsberg Glyptotek utilizzando tutti i dati raccolti nei precedenti capitoli.

(13)

13

I.

Tre ritratti imperiali dal Fayum

I.1. Una breve descrizione

I.1.1. Augusto (Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1443)

Il busto di Augusto (alt. 55 cm) è in ottimo stato di conservazione: solo la punta del naso è andata perduta (figg. 1.1-1.4).

Il petto, del quale è riprodotta solamente la parte superiore, è raffigurato nudo. La testa, che si erge su un collo piuttosto robusto, è rivolta energicamente verso destra. La frangia è caratterizzata da grosse ciocche che formano una "coda di rondine" e una "tenaglia"; meno voluminose sono le ciocche ondulate del resto della capigliatura. La superficie liscia dell'ampia fronte è movimentata da lievi rughe d'espressione. È evidente l'intento di rendere con lo sguardo, di grande impatto, l'auctoritas del primo imperatore di Roma. Il naso ha un profilo regolare. Tratti realistici sono le orecchie a sventola e gli zigomi pronunciati; questi ultimi vengono ulteriormente evidenziati dalle lunghe basette appuntite che li sfiorano. La bocca, lievemente aperta, contribuisce alla realizzazione di un'espressione di pacata solennità. Il mento è lievemente prominente. Il volto di Augusto, idealizzato secondo i modelli dell'arte classica, appare senza età. Il ritratto è una delle più fedeli repliche del tipo detto "Prima Porta"4, ideato per il

princeps in occasione del conferimento del titolo di Augustus nel 27 a.C. Gli studiosi

hanno chiamato questo tipo ritrattistico "Prima Porta" facendo riferimento alla testa della statua di Augusto da Prima Porta (Musei Vaticani, Braccio Nuovo, inv. n. 2290),

4

Poulsen 1951, pp. 423-424; Gross 1959, pp. 160-161; Poulsen 1962, pp. 63-64; Die Bildnisse des Augustus 1979, p. 53; Johansen 1984, pp. 108-110; Kaiser Augustus 1988, p. 326; Boschung 1993, pp. 156; Johansen 1994, p. 90.

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14

considerata la copia migliore del prototipo (fig. 1.13)5. La somiglianza tra il ritratto di Copenaghen e quello della Città del Vaticano è notevole, soprattutto per quanto riguarda i lineamenti del viso e la disposizione dei capelli sulla fronte (figg. 1.14-1.17), mentre si rilevano delle differenze nella sistemazione delle ciocche dietro la testa (figg. 1.18-1.19)6. Questo nuovo tipo di ritratto, replicato in tutto l'impero anche dopo la morte di Augusto, è senza dubbio il più diffuso (circa centosettanta esemplari noti, tra repliche e varianti)7: è il ritratto ufficiale dell'imperatore che, come sottolinea P. Zanker, «"mette

in immagine" la qualifica di augustus nella pienezza dei suoi significati»8.

Tornando al ritratto di Copenaghen, W.H. Gross fa notare la presenza di un solco presso l'estremità destra del margine inferiore del busto. Egli ritiene che si tratti di una scanalatura di colonna e, di conseguenza, che il ritratto sia stato scolpito riutilizzando un tamburo di colonna9. V. Poulsen respinge questa ipotesi10, mentre altri studiosi la accettano11.

Infine, il busto presenta un supporto quadrangolare.

I.1.2. Livia (Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1444)

Il busto di Livia (alt. 34 cm) si presenta in uno stato di conservazione quasi perfetto: fatta eccezione per una frattura che taglia obliquamente il petto, del quale rimane solo l'estremità superiore di sinistra, e per la parte destra della crocchia, che è andata perduta, l'opera è integra (figg. 1.5-1.8).

La testa è lievemente rivolta verso destra e sul collo si notano due leggere pieghe. L'acconciatura è caratterizzata dal nodus, cioè un rigonfiamento dei capelli sulla fronte, dal quale si dipartono ciocche ondulate che elegantemente incorniciano il volto della donna fino ad arrestarsi in corrispondenza delle orecchie, delle quali coprono la parte superiore. Uno chignon avvolto da una treccia completa la pettinatura della sposa di Augusto. Sul viso e sulla nuca si notano piccoli riccioli che, sfuggiti all'elaborata

5

Johansen 1994, p. 17; Zanker 2006, pp. 105-107; Augusto 2013, pp. 154-156, 203, 299.

6

Fittschen 1991, p.166; Boschung 1993, pp. 156-157.

7 Boschung 1993 a, pp. 42-43; Zanker 2006, pp. 105-107; Augusto 2013, pp. 156, 203, 299. 8 Zanker 2006, pp. 105-107. 9 Gross 1959, p. 161; Johansen 1994, p. 90. 10 Poulsen 1962, p. 63. 11

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acconciatura, costituiscono un particolare realistico. Del volto di Livia, dalla forma arrotondata, perfettamente ovale, colpisce la grandezza degli occhi. Le sopracciglia arcuate, il naso dalla punta arrotondata e la piccola bocca contribuiscono alla creazione di un'immagine armoniosa che si distingue per la sobria eleganza. Il ritratto è idealizzato, senza età. Livia è qui rappresentata in un atteggiamento di dignitoso distacco12.

Di questo tipo ritrattistico si conoscono molte repliche e varianti: è senza dubbio il più comune per le raffigurazioni della sposa di Augusto. Esso è stato denominato "tipo del Fayum" in riferimento al luogo di provenienza del ritratto appena descritto, considerato la migliore replica del prototipo. Verosimilmente elaborato nell'ultimo ventennio del I secolo a.C., questo tipo ritrattistico, divenuto il ritratto ufficiale di Livia, venne replicato fino al regno di Claudio (41-54 d.C.). Il "tipo del Fayum", caratterizzato dall'idealizzazione dei tratti fisiognomici e da un atteggiamento solennemente distaccato, può essere considerato la controparte femminile del "tipo Prima Porta"; così come il nuovo ritratto di Augusto doveva esprimere l'autorevolezza del princeps, quello

di Livia aveva la funzione di presentare la moglie di Augusto come matrona modello13. Osservando la porzione rimanente del petto del ritratto di Copenaghen, si nota che

Livia indossa un leggero indumento dotato di strette pieghe, che viene ritenuto un abito di tipo alessandrino14.

I.1.3. Tiberio(Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1445)

Anche il ritratto di Tiberio (alt. 47 cm) è in ottimo stato di conservazione: solo una piccola parte del busto, l'estremità inferiore di sinistra, è mancante (figg. 1.9-1.12). In questa scultura, come in quella di Augusto precedentemente descritta, il petto, del quale è riprodotta solo la parte superiore, si presenta nudo. Inoltre, anche in questo caso il ritratto è caratterizzato da una forte torsione della testa, ma, a differenza di quello di Augusto, verso sinistra. I capelli sulla fronte sono disposti in modo piuttosto complesso:

12

Poulsen 1951, p. 427; Furnée-van Zwet 1956, p. 14; Gross 1962, pp. 89-91; Poulsen 1962, p. 65; Kaiser Augustus 1988, p. 326; Johansen 1994, p. 96; Winkes 1995, p. 115; Bartman 1999, pp. 174-175.

13

Bartman 1999, pp. 4-5, 74-75, 145; Augusto 2013, p. 319.

14

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una frangetta obliqua al centro, alcune ciocche modellate a "tenaglia" a destra e altre che formano una "coda di rondine" e una "tenaglia" a sinistra. Le ciocche ondulate del resto della capigliatura non sono rappresentate secondo uno schema fisso. Il volto, dalla forma triangolare, è caratterizzato da una fronte piuttosto alta, delimitata inferiormente da arcate sopracciliari tese e sporgenti. Ciò che colpisce maggiormente sono gli occhi, molto grandi e distanti. Il naso aquilino domina la piccola bocca, la quale si presenta serrata e con il labbro inferiore rientrante. Infine, il volto è completato da un mento abbastanza sporgente. L'espressione è seria, fredda e distaccata.

In questo ritratto è evidente la straordinaria somiglianza dei lineamenti di Tiberio con quelli della madre, Livia: occhi grandi e piuttosto sporgenti, guance tondeggianti, bocca piccola e mento robusto accomunano le loro immagini.

Tiberio è qui raffigurato secondo il tipo iconografico "dell'adozione". Si tratta di un ritratto ufficiale creato in occasione dell'adozione del figlio di Livia da parte di Augusto nel 4 d.C. In questo tipo di ritratto il volto di Tiberio, che aveva allora quarantasei anni, è ringiovanito di almeno vent'anni. Il ritratto di Copenaghen è considerato la migliore replica di tale tipo15.

Il busto della Ny Carlsberg Glyptotek presenta un foro quadrangolare sul retro della testa. Esso, certamente risalente ad una fase successiva alla realizzazione del ritratto, con ogni probabilità serviva per l'alloggiamento di un puntello che doveva fissare la scultura ad una parete16.

Del supporto del busto si conserva solo una piccola parte, ma si può supporre che fosse simile a quello del ritratto di Augusto.

15

Poulsen 1951, p. 431; Polacco 1955, pp. 118-119; Poulsen 1962, p. 82; Fabbrini 1966, p. 848; Kiss 1975, p. 77; Johansen 1987, p. 81; Kaiser Augustus 1988, p. 326; Boschung 1993 a, p. 57; Johansen 1994, p. 114; Bartman 1999, p. 107; Augusto 2013, p. 178.

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I.2. Materiale e luogo di produzione

I tre ritratti sono in marmo bianco. Si notano venature color ruggine sul petto del busto di Tiberio17. V. Poulsen parla di marmo greco18, ma nessuno studioso ha finora specificato il tipo di marmo impiegato per queste opere.

In ogni caso, il marmo è stato lavorato accuratamente e senza durezze. Il taglio degli occhi e delle labbra è preciso e le ciocche dei capelli sono definite in modo netto19. I tre ritratti sono eccellenti repliche dei rispettivi modelli20. È noto che copie dei prototipi formulati nell'entourage del princeps venivano realizzate nelle botteghe incaricate di Roma e poi esportate in tutti i territori dell'impero, dove venivano a loro volta copiate; in tal modo, le immagini di Augusto e dei membri della sua famiglia erano onnipresenti. Talvolta le repliche provenienti dalle province sono così simili a quelle realizzate a Roma, da far pensare che si tratti di copie giunte direttamente dall'Urbs per servire da modello agli scultori locali21.

Ipotesi divergenti sono state avanzate sul luogo di produzione dei tre ritratti conservati a Copenaghen:

1) Per F. Poulsen, V. Poulsen e Z. Kiss si tratterebbe di opere importate in Egitto da Roma, dal momento che il loro stile sarebbe vicinissimo a quello delle produzioni della capitale22.

2) W.H. Gross sostiene invece che i busti siano stati realizzati in una bottega locale, greco-egiziana, che si sarebbe ispirata a modelli giunti da Roma. Lo studioso ritiene che il busto di Augusto sia stato creato riutilizzando un tamburo di colonna e che tale riconversione trovi una giustificazione nell'assenza di marmo bianco nel territorio egiziano. Inoltre, poiché egli ritiene che i busti di Tiberio e di Livia non possano essere separati da quello di Augusto e che le tre sculture costituissero senza alcun dubbio un gruppo caratterizzato da unità stilistica, anche i ritratti dell'erede e della sposa di Augusto sarebbero stati realizzati in una bottega locale23.

17 Poulsen 1962, p. 82. 18 Poulsen 1945, p. 2. 19 Polacco 1955, p. 119; Kiss 1984, p. 34. 20

Kaiser Augustus 1988, p. 326; Boschung 2002, p. 132.

21

Augusto 2013, pp. 298-299.

22

Poulsen 1951, p. 423; Poulsen 1962, p. 64; Kiss 1984, p. 34.

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Attualmente non ci sono elementi sufficienti per stabilire con certezza il luogo di produzione dei tre busti. È vero che l'assenza di influenze stilistiche locali farebbe propendere per l'ipotesi dell'importazione da Roma, ma essa non esclude la possibilità che le opere siano state prodotte in una bottega locale particolarmente attenta ai modelli della capitale. Per quanto riguarda la teoria di W.H. Gross, essa non è completamente convincente dato che si basa solo sull'ipotesi, formulata dallo stesso studioso e non unanimemente accettata, che il busto di Augusto sia stato ricavato da un rocchio di colonna. Ammesso che tale ipotesi sia corretta, essa non costituirebbe di certo una prova evidente a favore della produzione locale: la riconversione della colonna potrebbe essere avvenuta anche a Roma.

La definizione del tipo di marmo impiegato per la realizzazione dei ritratti fornirebbe indubbiamente degli elementi utili alla determinazione del luogo di produzione delle opere.

I.3. Datazione

Poiché i modelli vennero replicati per un periodo piuttosto lungo, non è facile datare con esattezza le copie.

Accettando l'ipotesi che i tre ritratti facessero parte di un gruppo unitariamente concepito, si può ragionevolmente datarli tra il 4 e il 14 d.C. Difatti, le immagini di Tiberio appartenenti al "tipo dell'adozione" risalgono al periodo che va dal 4 d.C., anno dell'adozione di Tiberio da parte di Augusto, al 14 d.C., quando Tiberio successe ad Augusto e venne creata un'altra immagine ufficiale, più adatta al nuovo imperatore, quella del "tipo imperium maius". Inoltre, tale datazione sembra essere confermata dalle dimensioni dei busti, che verosimilmente rispecchiano una differenza gerarchica: il fatto che il ritratto di Augusto sia il maggiore dei tre suggerisce appunto una datazione al periodo augusteo piuttosto che a quello tiberiano. Ancora, si può aggiungere che Augusto, Livia e Tiberio costituirono una vera triade politica proprio a partire dal 4

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19

d.C.24. Questa proposta di datazione all'ultimo decennio del principato di Augusto è accettata dalla maggior parte degli studiosi25.

D. Boschung affronta la questione diversamente. In primo luogo, egli non dà per scontato che i tre ritratti costituissero un gruppo; secondariamente, sulla base di differenze stilistiche riscontrate nella resa delle sopracciglia, delle palpebre e delle guance, egli ritiene che i busti di Livia e di Tiberio siano stati realizzati in un secondo momento rispetto a quello di Augusto. Ciononostante, la proposta di datazione dello studioso non contrasta con quella comunemente sostenuta: per Boschung è infatti possibile datare il busto di Augusto all'ultima fase del principato dell'imperatore, dal momento che a questo periodo risalirebbero dei ritratti simili a quello di Copenaghen nella resa della capigliatura26.

24

Poulsen 1962, p. 70.

25

Poulsen 1951, p. 431; Gross 1959, pp. 161-162; Gross 1962, p. 89; Poulsen 1962, p. 70; Horster 1973, p. 11; Die Bildnisse des Augustus 1979, p. 53; Johansen 1984, pp. 108-110; Johansen 1994, pp. 90, 96, 114; Rose 1997, pp. 188-189; Bartman 1999, p. 175; Augusto 2013, p. 178.

26

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20

Fig. 1.1: Busto di Augusto. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1443 (veduta frontale).

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21 Fig. 1.2: Busto di Augusto. Copenaghen,

Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1443 (lato destro).

Fig. 1.3: Busto di Augusto. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1443 (lato sinistro).

Fig. 1.4: Busto di Augusto. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1443 (retro).

(22)

22

(23)

23 Fig. 1.6: Busto di Livia. Copenaghen, Ny

Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1444 (lato destro).

Fig. 1.7: Busto di Livia. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1444 (lato sinistro).

Fig. 1.8: Busto di Livia. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1444 (retro).

(24)

24

Fig. 1.9: Busto di Tiberio. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1445 (veduta frontale).

(25)

25 Fig. 1.10: Busto di Tiberio.

Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1445 (lato destro).

Fig. 1.11: Busto di Tiberio.

Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1445 (lato sinistro).

Fig. 1.12: Busto di Tiberio.

Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1445 (retro).

(26)

26

Fig. 1.13: Statua di Augusto da Prima Porta. Città del Vaticano, Musei Vaticani, Braccio Nuovo, inv. n. 2290.

Fig. 1.14: Testa della statua di Augusto da Prima Porta. Città del Vaticano, Musei Vaticani, Braccio Nuovo, inv. n. 2290 (veduta frontale).

Fig. 1.15: Busto di Augusto. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1443 (veduta frontale).

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27

Fig. 1.16: Testa della statua di Augusto da Prima Porta. Città del Vaticano, Musei Vaticani, Braccio Nuovo, inv. n. 2290 (veduta dall'alto).

Fig. 1.17: Busto di Augusto.

Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1443 (veduta dall'alto).

Fig. 1.18: Testa della statua di Augusto da Prima Porta. Città del Vaticano, Musei Vaticani, Braccio Nuovo, inv. n. 2290 (retro).

Fig. 1.19: Busto di Augusto. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1443 (retro).

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29

II.

Dall'Egitto a Copenaghen

II.1. Stato degli studi

I tre ritratti conservati a Copenaghen sono stati esaminati in numerosi studi, ma finora nessuno studioso si è realmente interessato al loro contesto di provenienza. In passato, infatti, le ricerche sulla ritrattistica romana si sono occupate prevalentemente, se non esclusivamente, di problemi di ordine tipologico, trascurando le problematiche riguardanti l'originaria collocazione delle opere.

Nelle pagine dedicate ai busti in esame si trovano indicazioni di questo tipo: «...found at the amphitheatre at Arsinoë (Fayum)»27; «...from Arsinoë (Fayum) in

Egypt, where all three busts were placed in the amphitheatre of Arsinoë»28; «Drei

zusammengehörige Bildnisköpfe wurden in Arsinoe, angeblich im Amphitheater der Stadt, gefunden...»29; «...rinvenimento ugualmente accertato del busto 623 di

Copenhagen nell'anfiteatro di Arsinoe (Fayūm)»30

; «...found at Fayûm in Egypt, was

once placed in the Amphitheatre of that city together with the busts of Livia, his consort, and her son Tiberius»31; «Gefunden im Amphitheater des Fayum (Ägypten)...»32; «Hovedet er fundet i amfiteateret i Fajum i Ægypten...»33; «...im Amphitheater von

Arsinoe-Krokodilopolis (Medinet el Fayum) in Unterägypten gefunden»34; «Nach

27 Poulsen 1951, p. 423. 28 Ivi, p. 431. 29 Gross 1959, p. 161. 30 Bonacasa 1962, p. 174. 31 Poulsen 1966, p. 48. 32

Die Bildnisse des Augustus 1979, p. 53.

33

Johansen 1984, p. 108.

34

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30

Angaben des Verkäufers im Amphitheater von Arsinoë im Fayum gefunden...»35; «The

bust is said to have been found in the amphitheater in Fayum...»36; «The Glyptotek's

Augustus...was found in the amphitheater in Fayum, Egypt, where it stood beside the portrait of Augustus' wife, Livia, and her son, Tiberius»37; «original location: the

amphitheater»38; «...said to have been found in niches in the amphitheater of

Arsinoe...»39; «...allegedly found in the amphitheatre of Fayum in Egypt»40.

Dunque, la provenienza dei tre ritratti dall'anfiteatro di Arsinoe nel Fayum viene presentata da alcuni come un fatto del tutto plausibile e da altri come una certezza. Ma quali sono i dati di cui disponiamo per individuare il contesto di provenienza di queste opere? Ad Arsinoe è documentata l'esistenza di un anfiteatro? È possibile che i tre ritratti provengano da un edificio del genere? Queste sono le domande a cui tenteremo di rispondere nel corso di questo lavoro.

II.2. I protagonisti

È noto che nel 1896 Carl Jacobsen, tramite la mediazione di Valdemar Schmidt, acquistò i ritratti di Augusto, Livia e Tiberio da un commerciante d'arte di nome Alexander Dingli41.

C. Jacobsen (1842-1914), il fondatore della Ny Carlsberg Glyptotek, all'epoca era uno dei principali collezionisti d'arte ed era particolarmente interessato alla scultura (fig. 2.1)42.

V. Schmidt (1836-1925), affascinato fin da bambino dall'antico Egitto, studiò Egittologia alle Università di Berlino e di Parigi e nel 1883 diventò il primo professore di Egittologia e di Assiriologia all'Università di Copenaghen (fig. 2.2). Pochi anni dopo, l'orientalista danese divenne uno dei principali collaboratori di Jacobsen, che stava

35 Boschung 1993, p. 156. 36 Johansen 1994, pp. 90, 114. 37 Ivi, p. 17. 38 Rose 1997, p. 189. 39 Bartman 1999, p. 174. 40 Fejfer 2008, p. 232. 41

Poulsen 1962, pp. 63, 65, 82; Poulsen 1968, p. 17; Johansen 1994, pp. 90, 96, 114.

42

Poulsen 1966, p. 9; Carl Jacobsen - the greatest collector of his day,

http://www.glyptoteket.com/explore/history/carl-jacobsen-the-greatest-collector-of-his-day-0 (visitato il 16 febbraio 2014).

(31)

31

accrescendo la propria collezione. La sezione di antichità egiziane della Ny Carlsberg Glyptotek deve molto a Schmidt: durante le sue frequenti visite in Egitto, tra il 1892 e il 1911, egli acquistò molti pezzi che entrarono a far parte della collezione egiziana del museo43. Nell'autobiografia di Schmidt, Af et langt Livs Historie. 1836-1925, si legge che lo studioso nel 1894, durante uno dei suoi viaggi in Egitto, visitò il Fayum in compagnia dello stesso mercante d'arte che due anni dopo gli avrebbe venduto i tre ritratti44.

Purtroppo, non abbiamo molte informazioni su A. Dingli (o Dingly). Grazie all'autobiografia di Schmidt, sappiamo che egli era un greco-egiziano45 e che, prima di dedicarsi al mercato di antichità, si occupò del commercio di piume di struzzo46. La sua bottega si trovava al Cairo, ma di certo i suoi affari lo portavano a spostarsi di frequente. Essendo un mercante, il suo unico interesse era il guadagno e possiamo immaginare che non esitasse a omettere dettagli o ad aggiungerne di falsi pur di vendere la propria merce. Un'interessante conferma di ciò si trova nel diario del collezionista tedesco Wilhelm Froehner (1834-1925), il quale venne deluso da Dingli, che per un periodo fu il suo principale fornitore di antichità, quando si accorse della non autenticità di una tessera che gli era stata data dal mercante: «21 mai 1895: Dingly (du Caire)...m'a

apporté une tessère»; due giorni dopo Froehner aggiunse: «elle était fausse» [trad. fr. di

M.C. Hellmann]. Inoltre, in una lettera a G. Schlumberger (Bibliothèque de l'Institut de France, Ms. 4257), datata al 6 luglio 1900, il collezionista parla del «brigand Dingli»47; evidentemente Froehner nutriva ancora delle riserve nei confronti del commerciante. Sebbene Dingli fosse solo un venditore e non un attento studioso, non si può dubitare a priori delle sue indicazioni ed è anzi necessario partire proprio da esse per cercare di far luce sul contesto di provenienza dei tre ritratti di Copenaghen.

43

Egypt, back to the source 2008, p. 7.

44

Schmidt 1925, p. 96; Poulsen 1945, p. 1; Poulsen 1968, p. 17.

45

Schmidt 1925, p. 96; Poulsen 1945, p. 1; Poulsen 1962, p. 63; Poulsen 1968, p. 17; Johansen 1994, pp. 90, 114.

46

Schmidt 1925, p. 96; Poulsen 1945, p. 1; Poulsen 1968, p. 17.

47

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32

II.3. Le lettere del mercante

Dingli parla del ritrovamento dei tre busti in due lettere indirizzate a Schmidt. Nella prima, datata al 7 novembre 1895, si legge:

«Caire le 7 Novembre 1895. Cher Monsieur Schmidt, J'ai reçu vos aimables

lettres ainsi que les deux chèques... Je regrette vivement ne vous avoir pas repondue plus tòt, le motif en est que j'étais absent; c'est surtout au Fayoum que j'ai eu la main heureuse, car j'ai acheté trois magnifiques bustes en marbre d'un bel art grecque, malgré que les personnages qui sont réprésenté soit Romain. Par les photographies vous juguez facilement que l'un est Auguste (Octave), le second est Tibère, le femme serait Lyvie. A còté des niches ou étaient les trois buste, on a trouvé une statuette en marbre de la Victoire qui tenait dans sa main droite une statuette en bronze représentant la suicide de Cléopatre, l'aspic qu'elle tient dans sa main je le possède à part. Malheureusement la statuette de la Victoire était en petit morceau et a été dispersé. Ces quattres pièces offrent un grand interêt car elles ont été trouvé en Egypte méme, ces pièces hystorique, ne serait pa a dédaigner, si votre Musée ètait disposé à en faire l'acquisition...».

Nella seconda lettera, del 15 marzo 1896, il commerciante greco-egiziano scrive:

«Caire le 15 Mars 96. Cher Ami,... Vous ne pouvez croire combien je

regrette que Mr. le Professeur Stenstrup, ne soit pas en Egypte, pour pouvoir l'émmener au Fayoum, et lui montrer l'emplacement où se sont trouvé les trois bustes en marbre. Pour moi je suis convaincu que l'emplacement est d'un ancien amphitéàtre, car j'ai trouvé sur la méme place une dizaine de tessère en os, fiche d'entrée de l'amphithéàtre, d'un coté le titre du spectacle, du revers le No. ainsi le rang. Ces pièces ou tessère, je les ai il y a quelques temps vendue à M. le Comte Tyskiewicz, qui

(33)

33

les a fait cadeau a Mr. Froener, le savant qui a fait le catalogue des marbres existant au Musée du Louvre...»48.

Infine, in una lettera del 30 marzo 1896 Dingli esprime la propria soddisfazione per l'acquisto dei tre busti da parte di C. Jacobsen49.

L'importanza di questi documenti è innegabile: da essi, infatti, si possono ricavare preziose informazioni.

Prima di tutto, è evidente che Schmidt e Dingli già si conoscevano: nella prima missiva il commerciante greco-egiziano afferma di aver ricevuto le cortesi lettere dell'orientalista danese. Del resto, come si è precedentemente detto, nel 1894 i due visitarono insieme il Fayum. Inoltre, si capisce che Schmidt aveva già acquistato qualche antichità da Dingli, che dice di aver ricevuto due assegni.

Poi, il mercante inizia a parlare dei tre busti con l'intento di venderli a C. Jacobsen, come è evidente nell'ultima parte della lettera: «...ces pièces hystorique, ne serait pa a

dédaigner, si votre Musée ètait disposé à en faire l'acquisition...».

È importante sottolineare che Dingli comprò i ritratti da qualcun altro, la cui identità non è nota: dice, infatti, «...j'ai acheté trois magnifiques bustes...». Si potrebbe quindi pensare che egli non sia stato presente al momento del ritrovamento delle opere e che abbia ricevuto da altri le informazioni riguardanti la loro scoperta. Tuttavia, non si può escludere il contrario, cioè che egli abbia assistito al rinvenimento delle sculture: dà, infatti, delle informazioni abbastanza dettagliate sul loro contesto di provenienza: «A

còté des niches ou étaient les trois buste, on a trouvé...».

Alla luce di quanto si è appena osservato, non è detto che i busti siano stati trovati nel 1895, vale a dire nell'anno in cui Dingli scrisse la prima lettera con la quale informò i clienti danesi della propria acquisizione. È molto probabile che il commerciante greco-egiziano abbia comprato le sculture in quell'anno, ma, come precedentemente detto, non sappiamo se le abbia acquistate al momento del ritrovamento o se, invece, le abbia comprate da un altro mercante. In quest'ultimo caso non si potrebbe dire quando e come il "collega" di Dingli avesse ottenuto le opere.

48

Poulsen 1968, p. 17.

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L'acquisto fu fatto sicuramente nel Fayum: «c'est surtout au Fayoum que j'ai eu la

main heureuse...», ma nella prima lettera non si parla in modo chiaro del luogo di

provenienza dei busti.

A prescindere dal modo in cui Dingli acquisì le sculture, si deve notare che egli era abbastanza esperto di antichità, dal momento che riconobbe i personaggi rappresentati nei tre ritratti, cioè Augusto, Livia e Tiberio. Tuttavia, il commerciante greco-egiziano, pur identificando i membri della famiglia imperiale romana, pensava che i ritratti fossero capolavori dell'arte greca: «... trois magnifiques bustes en marbre d'un bel art

grecque, malgré que les personnages qui sont réprésenté soit Romain».

Ciò che dice Dingli sulla collocazione dei tre busti all'interno di nicchie è del tutto plausibile: le sculture di questo tipo, infatti, dovevano essere generalmente collocate in nicchie oppure dovevano essere appoggiate su mensole o su tavole marmoree50.

Il commerciante afferma che accanto alle nicchie in cui erano situati i tre ritratti fu rinvenuta una statuetta in marmo raffigurante una Vittoria che teneva nella mano destra una statuetta in bronzo rappresentante il suicidio di Cleopatra; di tale scultura, a quanto pare ridotta in frammenti e dispersa subito dopo il rinvenimento, si conservava solo il piccolo aspide bronzeo. È probabile che Dingli abbia inventato la storia di questo particolare ritrovamento per rendere più interessanti le tre sculture oppure per vendere il piccolo serpente in bronzo che, secondo le parole del mercante, sarebbe stato l'unico pezzo rimanente di quel capolavoro. In ogni caso, non sappiamo dove sia finito l'aspide, ma di certo non fu acquistato da Jacobsen insieme ai tre ritratti, dato che nella lettera del 30 marzo 1896 Dingli manifesta la propria soddisfazione solo per la vendita dei busti. La seconda lettera venne scritta a quattro mesi di distanza dalla prima. Senza alcun dubbio, essa fu inviata per convincere i danesi ad acquistare i tre busti.

Per prima cosa, in questa seconda missiva il commerciante greco-egiziano esprime il proprio dispiacere per non poter mostrare al Professor Steenstrup, «Mr. le Professeur

Stenstrup», il luogo del ritrovamento dei tre ritratti. Johannes Japetus Smith Steenstrup

(1813-1897) era uno zoologo norvegese, professore all'Università di Copenaghen51, ed evidentemente era un amico di Dingli e di Schmidt.

In questa seconda missiva, a differenza della prima, il commerciante dice esplicitamente che le sculture furono ritrovate nel Fayum: «...au Fayoum

50

Fejfer 2008, pp. 242-244.

51

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...l'emplacement où se sont trouvé les trois bustes en marbre». L'indicazione potrebbe sembrare vaga, dal momento che il Fayum è una regione dell'Egitto, caratterizzata da città e villaggi. Tuttavia, con ogni probabilità Dingli intendeva il capoluogo della regione, l'odierna Medinet el-Fayum52, il cui nome arabo è Al-Fayum53 e che spesso viene semplicemente chiamata Fayum54. Questa città sorge sui resti dell'antica Arsinoe. Poi, Dingli dà la propria opinione sul contesto di provenienza dei ritratti. Egli afferma di essere convinto che i tre busti fossero collocati in un antico anfiteatro, perché dice di aver trovato, nello stesso posto in cui furono rinvenute le sculture, delle tessere in osso che egli interpreta come gettoni d'entrata per gli spettacoli che si svolgevano negli anfiteatri. Egli, quindi, ipotizza l'esistenza di un anfiteatro solo sulla base di queste tessere.

II.4. La questione delle tessere

Nella lettera del 15 marzo 1896 Dingli afferma di aver venduto al conte «Tyskiewicz» le tessere in osso trovate nello stesso posto in cui furono rinvenuti i tre ritratti. Il conte Michael Tyszkiewicz (1828-1897) era un collezionista polacco. Sappiamo che trascorse l'inverno tra il 1861 e il 1862 in Egitto e in Nubia visitando antichi monumenti, conducendo scavi e acquistando antichità. Egli tornò in Egitto tra il 1867 e il 186855. Probabilmente durante una di queste visite Tyszkiewicz acquistò da Dingli le tessere di cui il mercante parla nella lettera.

Il commerciante greco-egiziano aggiunge che il conte regalò quelle tessere a «Mr.

Froener, le savant qui a fait le catalogue des marbres existant au Musée du Louvre...».

Dingli si riferisce senza alcun dubbio a Wilhelm Froehner, che nel 1869, quando era vice conservatore al Museo del Louvre, scrisse il Catalogue des sculptures antiques du

musée du Louvre56. 52 Poulsen 1945, p. 2. 53 Casarico 1987 a, p. 161. 54 Schweinfurth 1887, p. 56 (1); El-Khachab 1978, p. 65. 55 Dawson, Uphill 1995, pp. 420-421. 56

M.C. Hellmann 2009, Froehner, Wilhelm, in Dictionnaire critique des historiens de l'art actifs en

France de la Révolution à la Première Guerre Mondiale, http://www.inha.fr/spip.php?article2325

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36

Interessato a tutti gli aspetti dell'antichità, Froehner raccolse oggetti d'ogni tipo, epoca e provenienza, formando così una collezione che si distingue per la propria eterogeneità57. Egli lasciò un inventario sommario della sua raccolta di antichità in quindici quaderni redatti in francese, attualmente conservati a Parigi presso il Département des Monnaies, Médailles et Antiques della Bibliothèque Nationale de France. Alle informazioni fornite da questi quaderni si aggiungono quelle presenti nel

Tagebuch del collezionista, un diario costituito da sedici quaderni scritti in tedesco e

conservati al Goethe- und Schiller- Archiv di Weimar58.

Leggendo il diario di Froehner, si capisce che a partire dal 1893 egli frequentò con assiduità Dingli:

«24 mai 1893: le matin chez Dingly du Caire. J'ai vu chez lui un morceau

de basalte d'usage astronomique, avec les noms des mois égyptiens.

5 juin 93: chez Dingly j'ai vu une superbe tête en marbre. Quand je l'ai conduit chez Hoffmann, il m'a promis des fragments de papyrus grecs. 21 juin 93: visite de Dingly du Caire, qui m'a apporté des tessères et des papyrus.

30 janvier 1894: Dingli m'écrit du Caire qu'il a acheté pour moi 5 belles tessères.

16 mai 94: ce matin Dingli est venu (les tessères sont plus chères que ce qu'il m'avait dit).

17 mai 94: une nuit entière chez Dingly. Hoffmann a acheté chez lui des petits bronzes, de la bijouterie en or, et un canard égyptien en terre émaillée» [trad. fr. di M.C. Hellmann]59.

Poi, come si è precedentemente visto, il rapporto tra il collezionista e il mercante si incrinò nel 1895, quando Froehner si accorse che Dingli gli aveva dato una tessera falsa60.

57

Bakhoum, Hellmann 1992, p. 155; Hellmann 1992, pp. 251, 254.

58

Bakhoum, Hellmann 1992, p. 156; Hellmann 1992, p. 253; M.C. Hellmann 2009, Froehner, Wilhelm, in Dictionnaire critique des historiens de l'art actifs en France de la Révolution à la Première Guerre

Mondiale, http://www.inha.fr/spip.php?article2325 (visitato il 25 febbraio 2014). 59

Bakhoum, Hellmann 1992, pp. 163-164.

60

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37

Dagli appunti sul diario di Froehner risulta evidente che Dingli conosceva bene il collezionista tedesco, col quale fu in ottimi rapporti dal 1893 al 1895. Viene quindi da pensare che la notizia che il mercante dà sull'acquisizione da parte di Froehner di quelle tessere vendute tempo prima a Tyszkiewicz sia vera. Possiamo infatti immaginare che Dingli abbia avuto questa informazione dallo stesso Froehner nel periodo in cui i contatti fra i due erano frequenti.

Inoltre, ancora una volta grazie alle indicazioni date da Froehner nel suo diario, sappiamo che effettivamente il collezionista tedesco ricevette dal conte M. Tyszkiewicz delle tessere:

«16 octobre 1890: Barracco m'écrit que le Comte [Tyskiewicz] a trouvé

une tessère pour moi, avec le nom d'Aphrodite.

8 novembre 1894: lettre du Comte, qui a acheté une tessère pour moi. 14 mai 1895: le Comte m'a apporté des tessères qui m'ont fait grand plaisir. J'en ai maintenant 30, rondes, à reliefs et inscriptions grecques» [trad. fr. di

M.C. Hellmann]61.

Probabilmente fra queste tessere c'erano anche quelle ricordate da Dingli, ma non possediamo elementi che possano confermare ciò.

Purtroppo, salvo rare eccezioni, negli scritti di Froehner non ci sono indicazioni sul luogo di provenienza delle antichità che egli raccolse e questo rende impossibile individuare nella sua collezione le tessere di cui parla Dingli. Il collezionista non dava importanza alle informazioni riguardanti l'origine e le date d'acquisto o di scoperta degli oggetti collezionati: la sua principale preoccupazione era possedere quelle antichità62. Froehner aveva una grande passione per le tessere in osso e in avorio, che iniziò a collezionare dal 1883. Questi piccoli oggetti monetiformi, spesso caratterizzati dalla presenza di iscrizioni, suscitavano l'interesse del collezionista, che era appassionato di epigrafia63. Inoltre, le tessere, poiché venivano vendute a prezzi relativamente bassi rispetto ad altre antichità, erano accessibili a lui che, a differenza di altri collezionisti

61 Ivi, pp. 162-163. 62 Ivi, p. 161. 63 Hellmann 2006, p. 33.

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38

del tempo, non godeva di ingenti risorse economiche64. Froehner riuscì a raccogliere ben 248 tessere, creando così la più importante collezione di questo tipo di oggetti, paragonabile solo a quella del Museo Greco-Romano di Alessandria65.

Egli lasciò in eredità la sua collezione di oggetti al Cabinet des Médailles della Bibliothèque Nationale de France66. Tuttavia, non possiamo dare per scontato che le tessere menzionate da Dingli siano fra quelle conservate al Cabinet des Médailles: niente esclude che Froehner le abbia vendute o regalate a un altro collezionista.

Il carattere eterogeneo della Collezione Froehner, costituita da circa 3450 pezzi, rende difficile una pubblicazione completa di tutto il materiale che la compone67. Per quanto riguarda le tessere in osso e in avorio della collezione, esse sono state pubblicate in diversi studi, fra i quali i più recenti sono quelli condotti da E. Alföldi-Rosenbaum68. Nell'articolo del 1976 la studiosa fa notare che le tessere, dopo essere state studiate tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo, non sono state più prese in considerazione dagli studiosi69 e ancora oggi manca uno studio dettagliato e aggiornato su questa tipologia di oggetti.

Le tessere in osso e in avorio, molto diffuse tra il I e il III secolo d.C. in tutto l'impero romano70, sono di diversi tipi. Il gruppo più numeroso è costituito da quelle tessere circolari che presentano raffigurazioni di vario tipo sul dritto e sono contrassegnate da numeri greci e romani, da I a XV, sul rovescio. In alcuni casi, sul rovescio compaiono anche delle iscrizioni, che identificano le rappresentazioni sul dritto. Sul lato principale di questi gettoni sono raffigurati dei, dee, eroi, sovrani, atleti, filosofi, poeti, personaggi della commedia (schiavi ed etère, talvolta resi in modo caricaturale), maschere teatrali, uccelli, quadrupedi, pesci, molluschi, segni zodiacali, vasi, ceste, frutta e, infine, un'interessante serie di edifici rappresentanti vari quartieri e punti di riferimento della città di Alessandria e dell'area del Delta del Nilo (fig. 2.3)71. A causa della natura di alcune figure (atleti, personaggi della commedia e maschere teatrali) presenti sul dritto delle tessere, a lungo si è pensato che i gettoni in osso e in

64

Bakhoum, Hellmann 1992, pp. 161, 166-167; Hellmann 1992, pp. 251, 253.

65 Bakhoum, Hellmann 1992, p. 176. 66 Hellmann 1992, p. 253. 67 Ivi, pp. 253-254. 68 Bakhoum, Hellmann 1992, p. 176. 69 Alföldi-Rosenbaum 1976, pp. 205, 207. 70 Rostovtzew 1905, p. 122. 71 Alföldi-Rosenbaum 1975, p. 13.

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avorio avessero la funzione di biglietti per assistere agli spettacoli che si svolgevano nei circhi, negli anfiteatri e nei teatri e che i numeri incisi sul rovescio di tali oggetti indicassero il posto che gli spettatori dovevano occupare. Tuttavia, M. Rostovtzew, in un fondamentale studio del 1905, ha dimostrato che in realtà questi gettoni venivano utilizzati come pedine da gioco72. Il primo a mettere in dubbio l'interpretazione delle tessere come biglietti per accedere agli spettacoli fu proprio Froehner, che in un articolo del 1884 scrisse:

«Les tessères d'ivoire, romaines ou gréco-romaines, ont une importance que

nous sommes loin de soupçonner. Elles présentent une grande variété de formes; mais ni les chiffres ni les légendes qu'elles portent n'en indiquent d'une façon positive la destination première. Généralement, on croit que ce sont des marques de théâtre, des amulettes ou des ex-voto. J'ai la conviction qu'elles n'ont de rapport ni avec le théâtre ni avec le culte; les unes sont des jetons de jeu, les autres des jetons de comptoir»73.

Anche se, non avendo individuato le tessere descritte da Dingli, non ne conosciamo le caratteristiche, degli elementi sembrano essere a favore di una loro interpretazione come pedine da gioco. Innanzitutto il numero: il fatto che una serie completa di pedine fosse in genere costituita da quindici tessere per ciascun giocatore, come dimostrato da Rostovtzew74, fa pensare che anche le tessere di cui parla Dingli, che erano «une

dizaine», facessero parte di una serie dello stesso tipo. Inoltre, sebbene non si

conoscano ancora i dettagli del gioco in cui venivano utilizzate queste tessere75, pare che esso abbia avuto origine nell'ambiente alessandrino76; dunque, doveva essere un gioco molto popolare nell'Egitto romano.

È interessante notare che, fra i tipi di tessere giunti fino a noi, non sono attestati esemplari con il titolo dello spettacolo iscritto su un lato. Si potrebbe quindi supporre che Dingli, influenzato dalla diffusa convinzione che le tessere fossero utilizzate come

72

Rostovtzew 1905; Bakhoum, Hellmann 1992, p. 176.

73 Froehner 1884, p. 232. 74 Rostovtzew 1905, pp. 117-118. 75 Rostovtzew 1905, p. 118; Alföldi-Rosenbaum 1975, p. 13. 76 Rostovtzew 1905, pp. 123-124; Alföldi-Rosenbaum 1975, p. 19.

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biglietti teatrali, abbia dato un'interpretazione arbitraria delle iscrizioni presenti sulle tessere vendute al conte Tyszkiewicz.

Infine, non possiamo escludere che le tessere di cui parla Dingli fossero dei falsi. In effetti, questi oggetti erano molto apprezzati e ricercati dai collezionisti del XIX secolo e dell'inizio del XX secolo77 e i commercianti non si facevano scrupoli a mettere in circolazione pezzi non autentici. Del resto, abbiamo visto come lo stesso Dingli abbia dato a Froehner una tessera falsa. Sappiamo che i falsari, ispirandosi all'interpretazione delle tessere come biglietti per spettacoli, aggiungevano negli esemplari che producevano particolari che negli originali non c'erano, come, ad esempio, la data del giorno in cui si sarebbe svolto lo spettacolo78.

In ogni caso, indipendentemente dal fatto che le tessere di cui parla Dingli fossero autentiche o meno, esse, alla luce di quanto viene affermato da Rostovtzew e ribadito da Alföldi-Rosenbaum, non erano gettoni d'entrata per l'anfiteatro. Di conseguenza, vengono a mancare gli elementi alla base dell'ipotesi di Dingli sulla provenienza dei tre ritratti di Copenaghen da un edificio di questo tipo.

77 Alföldi-Rosenbaum 1976, p. 205. 78 Rostovtzew 1905, pp. 111-112.

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Fig. 2.1: Carl Jacobsen. Fig. 2.2: Valdemar Schmidt.

Fig. 2.3: Tessera in osso. Dritto: aedicula e obelisco. Rovescio: IIII - ΝΙΚΟΠΟΛΙC - Δ.

Vienna, Kunsthistorisches Museum, inv. n. AS 1033.

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III.

Arsinoe: la città scomparsa

III.1. La città

Fin da tempi molto remoti Arsinoe fu la principale città del Fayum.

La regione del Fayum, situata a circa 80 km a sud-ovest del Cairo, è una vasta depressione naturale particolarmente fertile (fig. 3.1). Si tratta di una pseudo-oasi, in quanto è collegata al Nilo tramite un canale naturale, il Bahr Yusuf ("il fiume di Giuseppe"), dal quale si dipartono diversi corsi d'acqua. Il Bahr Yusuf, come altri fiumi della regione, sfocia nel lago situato nella parte nord-occidentale del Fayum, il Birket Qarun, chiamato dagli scrittori classici lago Moeris (fig. 3.2). Arsinoe sorgeva al centro del Fayum, sul Bahr Yusuf, in una zona caratterizzata dalla presenza di numerosi canali; essa aveva dunque una posizione strategica per il controllo dei corsi d'acqua della regione79.

In passato la città assunse diversi nomi:

Shedet (Šdt) fu il nome usato durante tutta l'epoca dinastica.

All'inizio dell'epoca tolemaica venne chiamata Crocodilopolis (Κροκοδίλων πόλις), cioè "la città dei coccodrilli", perché fin dall'Antico Regno fu il principale centro di culto del dio coccodrillo Sobek.

Dal 116 a.C. assunse il nome di Ptolemais Euergetis (Πτολεμαὶς Εὐεργέτις) in onore di Tolomeo VIII Evergete II, morto in quell'anno.

79

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Dal IV secolo d.C. fu chiamata Arsinoiton polis (Ἀρσινοιτῶν πόλις), "la città degli Arsinoiti". Gli Arsinoiti erano gli abitanti del nomo del Fayum, che dal III secolo a.C. venne chiamato Arsinoites nomos (Ἀρσινοίτης νομός) in onore di Arsinoe II.

Durante l'età copta o bizantina (337-641 d.C.), oltre ad Arsinoiton

polis, sono attestate anche la forma abbreviata Arsinoe e la

denominazione copta Phiom.

Oggi Arsinoe è il nome comunemente adottato dagli studiosi per indicare l'antico capoluogo del Fayum80.

Purtroppo non si sa molto della storia di Arsinoe. Secondo Diodoro Siculo (Biblioteca storica I, 89, 3), la città venne fondata dal re Menes (fine IV millennio a.C.), indicato nel Canone di Torino come il primo «re dell'Alto e del Basso Egitto»81:

[...] ϕασὶ γάρ τινες τῶν ἀρχαίων τινὰ βασιλέων, τὸν προσαγορευόμενον Μηνᾶν, διωκόμενον ὑπὸ τῶν ἰδίων κυνῶν καταϕυγεῖν εἰς τὴν Μοίριδος καλουμένην λίμνην, ἔπειθ᾽ ὑπὸ κροκοδείλου παραδόξως ἀναληϕθέντα εἰς τὸ πέραν ἀπενεχθῆναι. τῆς δὲ σωτηρίας χάριν ἀποδιδόναι βουλόμενον τῷ ζῴῳ πόλιν κτίσαι πλησίον ὀνομάσαντα Κροκοδείλων· καταδεῖξαι δὲ καὶ τοῖς ἐγχωρίοις ὡς θεοὺς τιμᾶν ταῦτα τὰ ζῷα καὶ τὴν λίμνην αὐτοῖς εἰς τροϕὴν ἀναθεῖναι· [...].

[...] Alcuni, infatti, sostengono che uno degli antichi re, che aveva nome

Menas, inseguito dai propri cani giunse in fuga al lago chiamato Meride, e quindi, straordinariamente, fu preso sul dorso da un coccodrillo e trasportato sull'altra riva; volendo manifestare la propria riconoscenza per la salvezza all'animale, fondò una città lì vicino, dandole il nome di "città dei coccodrilli". Insegnò anche alla gente del posto a onorare questi animali come dei e a dedicare il lago al loro sostentamento [...]82.

80

Casarico 1987, pp. 133-135; Casarico 1987 a, pp. 161-165; Davoli 1998, p. 149; Bagnall, Rathbone 2004, pp. 152-153.

81

Grimal 2008, pp. 58, 61.

82

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Certamente Arsinoe fu una delle più antiche città egiziane e fin dall'Antico Regno (2650-2150 a.C.) fu il capoluogo del Fayum83. Inoltre, già da allora essa assunse una rilevante importanza dal punto di vista religioso: divenne, infatti, il principale luogo di culto del dio Sobek (il greco Suchos, Σοῦχος)84, che secondo la tradizione fu venerato nella regione dai tempi del re Menes. Con il Medio Regno (1976-1794 a.C.), grazie alla particolare attenzione dei faraoni della XII dinastia per la regione del Fayum, Arsinoe fiorì; in questo periodo venne costruito il grande tempio di Sobek-Suchos, con ogni probabilità fondato da Amenemhat I e abbellito da Amenemhat III. Anche nelle fasi successive la città dovette avere una certa importanza, dal momento che il grande tempio della divinità locale fu restaurato in età ramesside (1292-1070 a.C.) e durante la XXVI dinastia (664-525 a.C.). Ma è soprattutto durante le epoche tolemaica (304-31 a.C.) e romana (30 a.C.-337 d.C.) che Arsinoe, così come il resto del Fayum, visse momenti di grande splendore. La città si rinnovò e si espanse fino alla conquista araba (640 d.C.), quando a sud di essa venne fondata Medinet el-Fayum (o Al-Fayum), l'odierno capoluogo della regione (fig. 3.3). Da allora il sito di Arsinoe, ormai abbandonato, fu sfruttato come cava di materiali edilizi per le nuove costruzioni.

Un tempo l'area delle rovine di Arsinoe era costituita da numerosi kiman, cioè collinette di detriti dalle quali emergevano i resti della antica città; il più famoso di questi monticelli, il Kom Fares, diede il nome all'intera zona archeologica, generalmente nota come Kiman Fares. All'inizio del XX secolo Medinet el-Fayum, in continua crescita, raggiunse l'area delle rovine di Arsinoe e da allora l'antica città fu progressivamente invasa dalla nuova. Fino agli anni '60 del Novecento i Kiman Fares, sebbene ridotti a pochi cumuli di macerie, erano ancora visibili a nord della città moderna. Oggi delle vestigia dell'antico capoluogo restano solo cinque aree tutelate, situate tra i quartieri di Medinet el-Fayum; il resto delle rovine, invece, fu in buona parte distrutto dalle operazioni di smantellamento rese necessarie dall'espansione edilizia della nuova città85.

83

Bernand 1975, p. 12; Davoli, Ahmed 2006, p. 86.

84

Ćwiek 1997, pp. 18-19.

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III.2. Le testimonianze di alcuni viaggiatori

La città di Arsinoe era nota agli autori classici: è infatti menzionata non solo da Diodoro Siculo (Biblioteca storica I, 89, 3), ma anche da Erodoto (Storie II, 148,1), da Strabone (Geografia XVII, 1, 38), da Plinio il Vecchio (Storia naturale V, 11, 61) e da Claudio Tolomeo (Geografia IV, 5, 57)86. Tuttavia, si tratta solo di brevissime citazioni e per una prima descrizione della città bisogna attendere la seconda metà del XVII secolo, quando ormai di Arsinoe non restavano che le rovine.

Il primo a descrivere i resti dell'antico capoluogo fu il domenicano R.D. Vansleb, che nel 1672 ebbe modo di constatare lo stato di distruzione e di abbandono in cui versavano le vestigia di Arsinoe:

«La ville de Fiúm [Medinet el-Fayum], capitale de la province dont elle

porte le nom, est grande, et fort peuplée: elle est bâtie des ruines de l'ancienne Arsinoë, qui en est tout proche du côté du Ponant...»87.

«On voit dans cette ville beaucoup de restes de l'antiquité, comme des

chapiteaux, des corniches, des colonnes de granite et de marbre, brisées. Au marché au blé, on voit une grande colonne toute entière, couchée par terre, et une grosse meule de moulin, toutes deux de granite. Il y a même peu de maisons, où l'on ne trouve quelque chose de remarquable pour son antiquité»88.

«L'ancienne ville d'Arsinoé, sise tout proche de Fium, du côté de

Nord-Oüest, est à présent entièrement ruinée; et l'on n'y voit plus rien qui en conserve la mémoire, qu'un très grand nombre de montagnes fort hautes, faites de ses ruines, qui font assez connaître qu'elle était autrefois une des plus grandes et des plus magnifiques villes d'Égypte...»89.

86

Trismegistos, http://www.trismegistos.org/geo/authors_georef_list.php?tm=327 (visitato il 19 aprile 2014). 87 Vansleb 1677, p. 252. 88 Ivi, p. 254. 89 Ivi, p. 258.

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Per prima cosa, Vansleb notò che Medinet el-Fayum venne costruita con i resti di Arsinoe; inoltre, egli rilevò la presenza, nelle strade e nelle case della nuova città, di molti elementi architettonici che un tempo facevano parte delle costruzioni dell'antico capoluogo. A quel tempo, di Arsinoe non restavano che delle alte colline di rovine, cioè i kiman, unici testimoni della grandezza della città.

In seguito, nel 1704 i resti dell'antico capoluogo vennero visitati dall'esploratore francese P. Lucas, la cui descrizione non aggiunge elementi a quella di Vansleb:

«La ville [de Phioume] est bâtie au bout des ruines de l'ancienne ville

d'Arsinoé, du côté du Levant»90.

«Il y a encore au Phioume quantité de monumens antiques; comme des

colonnes de marbre et de granite, des chapiteaux et des piédestaux. Je vis dans une de ses places une colonne de granite de plus de 40 pieds de long: elle y est couchée par terre; et apparemment elle étoit jadis élevée avec quelque figure dessus»91.

«De Phioume j'allai me promener aux ruines d'Arsinoé. On n'y voit plus de

loin que de petites montagnes faites des demolitions de cette ville; elles font assez connaître qu'Arsinoé était autrefois une des villes les plus superbes de l'Egypte... Au reste j'y vis peu de choses; et tout y est trop enfoui, pour nous donner aucune connaissance...»92.

L'ingegnere francese E. Jomard, uno degli studiosi che collaborarono alla

Description de l'Égypte93, vide le rovine di Arsinoe nel 1800. Egli rilevò la stessa situazione riscontrata dai precedenti visitatori:

«La ville actuelle, qui a succédé à l'ancienne, est encore très florissante;

mais elle n'est pas tout-à-fait au même lieu. Les ruines d'Arsinoé en sont

90 Lucas 1712, p. 59. 91 Ivi, p. 60. 92 Ivi, p. 61. 93 Dawson, Uphill 1995, p. 218.

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distantes de quelques centaines de mètres, vers le nord. Elle a été détruite de fond en comble. Les colonnes de granit et de marbre dont ses édifices étaient ornés, ont été transportées à Medinet el-Fayoum, où on les trouve, partie dans les mosquées, partie en débris isolés au milieu de la ville; quelques-unes sont d'une grandeur considérable. Il ne reste plus de l'ancienne ville d'Arsinoé qu'une grande montagne de ruines et de décombres, dont l'étendue a environ trois à quatre mille mètres du midi au nord, et deux à trois mille dans l'autre sens; des fragments de statues en granit et en marbre; enfin les débris d'une multitude de vases, en terre et en verre. Partout on trouve des constructions en brique, démolies»94.

A differenza degli altri viaggiatori, Jomard dà delle preziose indicazioni sull'estensione dell'area delle rovine di Arsinoe: agli inizi dell'Ottocento la superficie occupata dai resti dell'antica città misurava circa 4 × 3 km; si trattava dunque di un'area notevole. Inoltre, l'ingegnere francese parla delle antichità che erano visibili sulla superficie: parti di statue in granito e in marmo, una grande quantità di frammenti di contenitori sia ceramici che vitrei e, infine, i resti di costruzioni in mattoni.

L'esploratore italiano G.B. Belzoni visitò i resti dell'antica città il 7 maggio del 1819:

«On the morning of the 7th I went to see the ruins of the ancient Arsinoe. It

had been a very large city; but nothing of it remained, except high mounds of all sorts of rubbish. The chief materials appear to have been burnt bricks. There were many stone edifices, and a great quantity of wrought granite. In the present town of Medinet I observed several fragments of granite columns, and other pieces of sculpture, of a most magnificent taste... Among the ruins at Arsinoe I also observed various fragments of statues of granite, well executed, but much mutilated; and it is my opinion, that this town has been destroyed by violence and fire. Among the rubbish there are pieces of stones and glass, which have evidently been nearly melted by fire. It is clearly seen, that the new town of Medinet is built out of the old materials of Arsinoe, as the fragments are to be met with in every part of the town. The

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large blocks of stone have been diminished in their sides, but enough is left to show the purposes for which they originally served. About the centre of these ruins I made an excavation in an ancient reservoir, which I found to be as deep as the bottom of the Bahr Yousef, and which was no doubt filled at the time of the inundation for the accommodation of the town. There are other similar wells in these ruins, which proves that this was the only mode they had of keeping water near them, as the river is at some distance from the town. Among these mounds I found several specimens of glass of Grecian manufacture and Egyptian workmanship; and it appears to me, that this town must have been one of the first note in Egypt.

Having seen all I wished in that place, I visited the obelisk...»95.

Anche Belzoni notò la notevole estensione dell'area delle rovine di Arsinoe e che dell'antico capoluogo non restavano che gli alti kiman. Dopo aver rilevato tra i resti della città la presenza di una grande quantità di mattoni cotti, l'esploratore italiano ipotizzò che la maggior parte degli edifici fosse costruita con questo tipo di materiale, anche se molte dovevano essere le costruzioni in pietra. Inoltre, egli notò, come Jomard, frammenti di statue abbandonati sul sito. Lo stato di devastazione di Arsinoe fece pensare a Belzoni che la città fosse stata distrutta con la violenza e, in particolare, appiccando il fuoco alle sue costruzioni; questa teoria gli sembrava essere confermata dal fatto che i frammenti di vetro presenti sul sito presentavano tracce di fusione. Dalla descrizione si apprende che l'esploratore italiano non si limitò a visitare i resti dell'antico capoluogo, ma effettuò anche un breve sondaggio presso un antico serbatoio situato al centro dell'area delle rovine; in seguito a tale indagine, egli capì che il serbatoio aveva la stessa profondità del Bahr Yusuf. Successivamente, notò la presenza di altri pozzi simili situati tra le rovine. Belzoni comprese l'importanza dei serbatoi e dei pozzi per l'approvvigionamento idrico della città: infatti, grazie ad essi gli abitanti di Arsinoe che vivevano più lontano dal Bahr Yusuf potevano avere a disposizione l'acqua del fiume in ogni momento. Anche l'esploratore italiano, come Jomard, trovò molti frammenti di vetro, che riteneva di fattura greca ed egiziana. Infine, visitò il cosiddetto

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"obelisco di Abgîg" (in realtà una stele eretta da Sesostri I), oggi situato presso una piazza di Medinet el-Fayum 96.

A conclusione di questa breve esposizione sulle testimonianze lasciate dai visitatori di Arsinoe, si osserva in primo luogo che tutti i viaggiatori constatarono che dell'antico capoluogo non restavano che ammassi di rovine e che molti dei suoi resti si trovavano nella città moderna; in secondo luogo, bisogna notare che i visitatori, vedendo la grande quantità di rovine, intuirono che Arsinoe dovette essere una delle più grandi e importanti città dell'Egitto.

III.3. Gli scavi e le esplorazioni

III.3.1. Le ricerche di J.J. Rifaud

I primi scavi effettuati ad Arsinoe sembrano essere stati quelli compiuti da J.J. Rifaud nel 1823-182497:

«Je vins aussi, cette même année [1823], dans la province de Fayoum, où je

creusai également le sol; je m'en occupais encore en 1824»98.

Le indagini di questo esploratore marsigliese non avevano fini scientifici, ma erano finalizzate soltanto alla ricerca di antichità99:

«...le 20 septembre 1823, j'arrivai à Medinet, principale ville de Fayoum...

De là, je parcourus la province dans tous les sens, pour rechercher les endroits qui pouvaient offrir quelques traces de l'antiquité, et me promettre une abondante moisson de ruines, de débris et de monumens, objet principal de mes investigations»100. 96 Aufrere, Golvin 1997, pp. 188-189. 97 Davoli 1998, p. 149. 98 Rifaud 1829, p. 4. 99

Dawson, Uphill 1995, p. 358; Davoli 1998, p. 149.

100

Figura

Fig. 1.1: Busto di Augusto. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1443 (veduta  frontale)
Fig. 1.4: Busto di Augusto. Copenaghen,  Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1443  (retro)
Fig. 1.5: Busto di Livia. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. n. 1444 (veduta frontale)
Fig. 1.11: Busto di Tiberio.
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