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Il contesto di provenienza dei tre ritratt

Come dimostrato dai rinvenimenti, i busti decoravano sia edifici e spazi pubblici (ninfei, terme, teatri, piazze) che edifici privati (ville). Con ogni probabilità, tali sculture dovevano essere collocate in nicchie oppure dovevano essere appoggiate su mensole o su tavole marmoree233. È indubbio che il busto venisse disposto in modo da essere ben visibile: infatti, l'osservatore doveva essere in grado di riconoscere dai dettagli del volto il personaggio rappresentato. Inoltre, non bisogna dimenticare che di solito le sculture venivano commissionate appositamente per un determinato contesto234.

L'eccezionale cura nell'esecuzione e la fedeltà ai modelli romani suggeriscono che i ritratti di Augusto, Livia e Tiberio conservati alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen avessero una certa importanza e che, di conseguenza, dovessero essere collocati in un luogo di rilievo.

Come si è visto, le tre sculture furono acquistate sul mercato antiquario. Questo costituisce certamente una difficoltà per la determinazione del contesto di provenienza delle opere. Tuttavia, in questo caso siamo fortunati: abbiamo, infatti, le lettere che il commerciante greco-egiziano, Alexander Dingli, inviò a Valdemar Schmidt con lo scopo di vendere a Carl Jacobsen i tre ritratti. Questi documenti sono particolarmente preziosi perché forniscono delle indicazioni sul luogo in cui furono ritrovati i tre busti. Ovviamente tali informazioni non possono essere giudicate subito attendibili: le lettere furono scritte per vendere le opere e la possibilità che in esse siano stati aggiunti, omessi o modificati alcuni dati è alta. D'altro canto, il fatto che si tratti di lettere scritte da un mercante non autorizza a considerare a priori false o non utilizzabili tutte le indicazioni in esse contenute.

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Fejfer 2008, pp. 242-244.

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Le informazioni che si ricavano dalle lettere circa il contesto di provenienza delle sculture sono le seguenti:

1) Nella prima lettera Dingli dice di aver acquistato i tre ritratti nel Fayum/ nella città di

Fayum e che essi si trovavano in nicchie.

2) Nella seconda missiva il commerciante afferma che i busti furono ritrovati nel Fayum/ nella città di Fayum e che, secondo lui, essi erano collocati in un antico anfiteatro perché nello stesso luogo in cui furono rinvenute le sculture egli trovò delle tessere in osso da lui interpretate come gettoni d'entrata per gli spettacoli che si svolgevano negli anfiteatri.

Come si è osservato nel secondo capitolo, non sappiamo se Dingli abbia assistito o meno al ritrovamento delle opere. Nel caso in cui egli non sia stato presente, si deve pensare che abbia ricevuto delle informazioni sulle circostanze del rinvenimento da chi gli vendette le sculture. In ogni caso, non cambierebbe la qualità dei dati forniti nelle lettere: infatti, si tratterebbe sempre delle indicazioni di un mercante!

Detto ciò, si deve ammettere che le informazioni fornite da Dingli sulla città di provenienza dei tre ritratti non sono particolarmente precise. Nella seconda lettera il commerciante afferma esplicitamente che i busti furono ritrovati «au Fayoum», ma tale indicazione sembra piuttosto vaga, in quanto il Fayum è una regione dell'Egitto di cui fanno parte diversi villaggi e città. Tuttavia, alcuni elementi fanno pensare che i tre ritratti provengano da Medinet el-Fayum, la città che sorge sui resti dell'antica Arsinoe:

il nome arabo di Medinet el-Fayum è Al-Fayum235 e spesso la città viene semplicemente chiamata Fayum236;

 la provenienza dei tre ritratti imperiali da Arsinoe risulterebbe del tutto plausibile, dal momento che essa fu la città più importante del Fayum;

 nell'area delle rovine di Arsinoe furono da sempre effettuati numerosi scavi clandestini (vd. cap. III).

La provenienza dei tre busti da Arsinoe è accettata dalla maggior parte degli studiosi. È probabile che i ritratti siano stati trovati in nicchie, come affermato da Dingli. In tal caso si tratterebbe di un rinvenimento eccezionale perché è difficile che i busti vengano ritrovati in posto237.

235 Casarico 1987 a, p. 161. 236 Schweinfurth 1887, p. 56 (1); El-Khachab 1978, p. 65. 237 Fejfer 2008, p. 242.

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Per quanto riguarda la seconda lettera, si deve notare che in essa, scritta a quattro mesi di distanza dalla prima, compaiono nuovi dati. È probabile, ma non è certo, che tali informazioni vennero aggiunte per rendere più interessanti le sculture agli occhi degli acquirenti.

È in questa seconda missiva che Dingli parla del famoso anfiteatro del Fayum, presentato da un gran numero di studiosi come il luogo in cui probabilmente o certamente furono trovati i tre busti. A tal proposito, è necessario sottolineare che il mercante non vide un anfiteatro, ma ne suppose l'esistenza solo sulla base delle tessere in osso che egli disse di aver trovato nello stesso luogo in cui furono rinvenute le tre sculture e che egli interpretò come gettoni d'entrata per gli spettacoli che si svolgevano negli anfiteatri. Come visto nel secondo capitolo, l'esistenza di queste tessere, vendute al conte M. Tyszkiewicz e poi divenute parte della collezione di W. Froehner, non è confermata. È dunque probabile che Dingli abbia inventato la storia del ritrovamento dei gettoni per avvalorare la sua ipotesi sulla provenienza delle sculture dall'anfiteatro, una proposta che evidentemente venne costruita per vendere le opere. D'altro canto, non si può escludere che Dingli, o più verosimilmente qualcun altro, abbia trovato delle tessere nei pressi del luogo in cui furono ritrovati i busti. In ogni caso, le tessere in osso non dimostrerebbero l'esistenza di un anfiteatro: infatti, all'inizio del XX secolo si è scoperto che non si trattava di biglietti per spettacoli, ma di pedine da gioco. Così, gli elementi a sostegno dell'ipotesi di Dingli vengono a mancare.

In conclusione, dalle lettere del mercante si ricava solo che le opere furono rinvenute ad Arsinoe. Detto ciò, rimane da stabilire il luogo esatto in cui si trovavano i tre busti. Prima di tutto, bisogna chiedersi se i ritratti fossero collocati nello stesso posto e se costituissero un gruppo unitariamente concepito. A tal riguardo, H. von Heintze afferma: «From a methodological point of view, we must object that these three busts

were bought on the market and are not positively to be associated with each other... They may come from the same place but from different buildings...»238. Anche D. Boschung non dà per scontato che i tre ritratti facessero parte di un gruppo: sulla base di un'analisi stilistica, egli ritiene che i busti di Livia e di Tiberio siano stati realizzati in una fase successiva rispetto a quello di Augusto; lo studioso, inoltre, dubita anche della

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provenienza delle sculture da Arsinoe, in quanto acquistate sul mercato antiquario239. Di parere contrario è C.B. Rose, per il quale i tre ritratti furono realizzati con la stessa tecnica e costituivano certamente un gruppo240.

Senza voler analizzare nei dettagli la questione delle differenze stilistiche, che si ritiene più opportuno lasciare agli esperti del settore, in questa sede ci si limita a dire che le disuguaglianze riscontrate da alcuni potrebbero trovare una spiegazione nella derivazione delle sculture da modelli differenti.

Comunque, a prescindere dallo stile delle opere, diversi elementi fanno pensare che le tre sculture costituissero un gruppo:

 tutte e tre sono realizzate interamente in marmo bianco;

 tutte e tre sono repliche fedelissime dei rispettivi prototipi;

 tutte e tre sono caratterizzate dall'assenza di influenze locali;

 sia nel busto di Augusto che in quello di Tiberio è raffigurata solo la parte superiore del petto nudo.

A ciò si aggiunga che la presenza in tutti i territori dell'impero di gruppi di immagini raffiguranti i membri della famiglia di Augusto241 rende plausibile l'ipotesi che i tre busti siano stati commissionati per essere collocati nello stesso posto, l'uno in funzione dell'altro. Inoltre, come già osservato, Augusto, Livia e Tiberio costituirono una triade politica a partire dal 4 d.C.242, vale a dire dall'anno in cui Augusto adottò Tiberio. Probabilmente, il gruppo si Arsinoe fu commissionato proprio in occasione dell'adozione di Tiberio da parte di Augusto. Non si hanno notizie su chi commissionò le sculture, ma si può supporre che si trattasse di un personaggio importante, verosimilmente molto legato alla famiglia imperiale. A giudicare dalla fedeltà dei ritratti ai modelli creati nell'Urbs, è probabile che i busti siano stati realizzati in qualche bottega di Roma, per essere poi esportati nel capoluogo del Fayum. In tal caso, le opere avrebbero potuto avere anche la funzione di modelli per altre immagini che si sarebbero dovute diffondere nel territorio egiziano.

Per quanto riguarda la disposizione nello spazio dei tre ritratti, C.B. Rose fa notare che le teste di Augusto e di Livia sono rivolte verso destra, mentre quella di Tiberio è

239 Boschung 2002, pp. 131-132. 240 Rose 1997, pp. 188-189. 241 Balty 1988, pp. 38-43; Rose 1997, pp. 11-32. 242 Poulsen 1962, p. 70.

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rivolta verso sinistra; questo farebbe pensare che in origine il busto di Augusto fosse situato al centro, con alla sua sinistra il busto di Livia e alla sua destra quello di Tiberio. In questo modo, l'imperatore e la sua sposa avrebbero avuto lo sguardo rivolto verso il figlio, l'erede di Augusto243. Il fatto che il busto di Augusto sia il maggiore dei tre potrebbe essere un ulteriore elemento a conferma della posizione centrale dell'immagine dell'imperatore.

Come visto, il foro quadrangolare presente sul retro della testa di Tiberio probabilmente servì per l'alloggiamento di un puntello che doveva fissare la scultura ad una parete. Si ritiene inverosimile l'ipotesi di un reimpiego del busto di Tiberio in un contesto diverso da quello originario per i seguenti motivi: in primo luogo, Dingli afferma che il ritratto fu ritrovato insieme a quelli di Augusto e di Livia e, nel caso in cui non si voglia credere al mercante, il fatto che le tre opere siano state vendute insieme costituisce un elemento a sfavore della loro provenienza da luoghi completamente differenti; secondariamente, si nota che sulla superficie del busto di Tiberio non sono presenti fratture o tracce di danneggiamento, perciò si deve escludere un suo reimpiego come materiale da costruzione, sorte che accomunò molte antichità provenienti da Arsinoe (vd. cap. III).

Adesso non resta che riflettere sull'esatto luogo in cui i ritratti di Augusto, Livia e Tiberio dovevano essere collocati.

Il fatto che si trattasse di opere di una certa importanza, non solo per i soggetti raffigurati ma anche, come detto più volte, per la particolare cura con cui furono realizzate, fa pensare che esse fossero situate in un edificio o in un luogo pubblico. Purtroppo le evidenze archeologiche riguardanti Arsinoe in epoca romana sono assai scarse e le nostre conoscenze sulla città si basano quasi esclusivamente sulla documentazione papiracea.

Innanzitutto, si può certamente escludere che le tre sculture fossero situate in un antico anfiteatro: un edificio di questo tipo non è attestato né dalle evidenze archeologiche, né dalle fonti papiracee, né tantomeno dai pochissimi documenti epigrafici noti. Inoltre, pare che gli anfiteatri non fossero diffusi in Egitto: infatti, fatta eccezione per l'anfiteatro di Alessandria, nessun edificio del genere è noto244. Anche D.M. Bailey, autore di un saggio sull'architettura classica nell'Egitto romano, ritiene

243

Rose 1997, p. 189.

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improbabile l'esistenza di un anfiteatro ad Arsinoe: «Even more hazy is the

amphitheatre at Arsinoe-Crocodilopolis, cited by the vendor as the provenience of portrait heads of Augustus, Livia and Tiberius in Copenhagen; this seems more likely to have been an exedra»245. Lo studioso, inoltre, propone un'esedra come alternativa all'anfiteatro. A tal proposito, senza nulla togliere alla proposta di Bailey, è bene ribadire che Dingli ipotizzò l'esistenza di un anfiteatro non perché vide dei resti di un edificio dalla forma circolare o semicircolare.

Ad Arsinoe è, invece, ben documentata l'esistenza di un teatro. Al contrario dell'anfiteatro, esso è attestato sia dalla documentazione archeologica che dalle fonti papiracee ed epigrafiche. Purtroppo, non sappiamo molto su questo edificio: negli anni '60 del Novecento, quando ad Arsinoe furono effettuati degli scavi da parte dell'Istituto Papirologico "G. Vitelli" di Firenze, del teatro non rimaneva che «un tratto di muratura

in blocchi di calcare»246, ma le informazioni contenute nei papiri fanno pensare che si trattasse di una struttura grandiosa247. È possibile che i tre busti fossero collocati in questo edificio, ma attualmente non esistono elementi a conferma di questa teoria. Grazie alle fonti papiracee sappiamo che nella città si trovava anche un Σεβαστεῖον: ad Arsinoe è dunque documentato il culto di Augusto. Come nota P. Glare, sembra che i tre ritratti di Copenaghen avessero una funzione onorifica piuttosto che cultuale248. Ciò comunque non escluderebbe la possibilità che tali sculture fossero collocate nel Σεβαστεῖον. In Egitto, infatti, come dimostra la documentazione papirologica, i Σεβαστεῖα (detti anche Καισάρεια) non erano solo luoghi destinati al culto dell'imperatore, ma erano anche luoghi importanti per la vita amministrativa della città: sappiamo, ad esempio, che nel Σεβαστεῖον di Arsinoe venivano aperti i testamenti. Si trattava quindi di edifici che rappresentavano il potere centrale249. Tuttavia, anche in questo caso non disponiamo di dati a favore della provenienza dei busti da questo edificio.

Inoltre, si può anche ipotizzare che i tre ritratti fossero collocati nella piazza che si trovava nei pressi del Σεβαστεῖον e che era dedicata ad Augusto, vale a dire la Σεβαστὴ ἀγορά (forum Augustum), o nel ginnasio, oppure nel ninfeo, o ancora in qualche edificio

245 Bailey 1990, p. 123. 246 Bosticco 1997, p. 285. 247 Casarico 1995, p. 77. 248 Glare 1994, p. 552. 249 Strassi 2007, pp. 405, 407, 410-412.

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termale, forse nel grande complesso scoperto nel 1963 durante gli scavi del Service des Antiquités. Anche queste proposte non sono altro che semplici congetture.

Infine, non si deve escludere la possibilità che le sculture di Copenaghen fossero collocate in un luogo non documentato. Dunque, la questione rimane aperta.

Si ritiene opportuno concludere questo capitolo con un'ultima osservazione. Finora si è parlato delle tessere in osso, a cui fa riferimento Dingli, solo per confutare la proposta del mercante sulla provenienza dei tre ritratti da un antico anfiteatro: si è, infatti, stabilito che tali oggetti non servivano come biglietti d'ingresso per gli spettacoli che si svolgevano in anfiteatri, teatri o circhi, ma come pedine da gioco. Adesso proviamo a trarre delle conclusioni considerando le tessere come pedine da gioco.

Come già detto, il ritrovamento di queste tessere nel luogo in cui furono rinvenute le sculture non è un fatto certo: in effetti, potrebbe trattarsi di un'invenzione di Dingli. Tuttavia, si deve notare che nelle lettere viene dedicato ampio spazio a questi oggetti: il commerciante ne indica il numero, le descrive e soprattutto fa riferimento a delle persone (il conte M. Tyszkiewicz e il collezionista W. Froehner) che eventualmente avrebbero potuto confermare ai danesi il racconto del commerciante.

Se provassimo a dare fiducia a Dingli sul ritrovamento delle tessere, dovremmo senza dubbio considerare questi oggetti come un elemento-chiave per cercare di individuare il contesto di provenienza delle tre sculture di Copenaghen. In tal caso, la prima domanda da porsi riguarderebbe il luogo da cui le pedine da gioco potrebbero provenire. Da M. Rostovtzew, autore di un fondamentale studio su questa tipologia di oggetti, apprendiamo che in varie circostanze serie complete di quindici pedine vennero trovate in sepolture250. Il fatto che Dingli parla di una decina di pedine farebbe pensare che si trattasse di una serie.

Dal Medio Regno fino a tutto il periodo greco-romano la necropoli di Arsinoe era situata ad Hawara (una località posta a circa 8 km di distanza dalla città, ma facilmente raggiungibile tramite il Bahr Yusuf)251, ma G. Schweinfurth individuò nell'area delle rovine di Arsinoe, presso il Kom el-Addama, una necropoli del V-VI secolo d.C.252. Come si ricorderà, della necropoli di Kom el-Addama non si sa molto: già al tempo dell'esploratore tedesco essa appariva alquanto sconvolta, verosimilmente a causa

250 Rostovtzew 1905, pp. 117-118. 251 Davoli 1998, pp. 153-154. 252

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dell'attività distruttiva di sebbakhin e di cercatori di antichità. Di conseguenza, non possiamo confermare, ma neanche escludere, la provenienza delle pedine da questa necropoli. Inoltre, non sappiamo se il tipo di tessere descritte da Dingli fosse ancora diffuso nel periodo in cui viene datata la necropoli di Kom el-Addama. In ogni caso, si deve notare che poco a sud di questa necropoli Schweinfurth individuò i resti di un edificio che interpretò come un tempio di epoca romana. Potrebbero essere stati i resti del Σεβαστεῖον? Tutta questa riflessione potrebbe essere un elemento a favore della provenienza dei tre busti di Copenaghen dal tempio di Augusto? Attualmente è impossibile confermare tutto ciò.

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Conclusioni

I busti conservati alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen rientrano tra le più note opere che raffigurano Augusto, Livia e Tiberio: il ritratto di Augusto è una delle più fedeli repliche del "tipo Prima Porta"; il ritratto di Livia è considerato la migliore copia del tipo ritrattistico che, facendo riferimento proprio alla scultura di Copenaghen, è stato chiamato "del Fayum"; infine, anche il ritratto di Tiberio viene comunemente ritenuto la più fedele replica del "tipo dell'adozione".

Tali opere entrarono a far parte della collezione danese nel 1896, quando Carl Jacobsen, fondatore della Ny Carlsberg Glyptotek, tramite la mediazione dell'orientalista Valdemar Schmidt, le acquistò da un commerciante d'arte del Cairo, Alexander Dingli. Di quest'ultimo si sa pochissimo: grazie all'autobiografia di V. Schmidt, che nel 1894 visitò il Fayum in sua compagnia, sappiamo che questo mercante era un greco-egiziano e che, prima di dedicarsi al commercio di antichità, si era occupato della vendita di piume di struzzo; dal diario del collezionista W. Froehner apprendiamo che Dingli non si faceva scrupoli a vendere oggetti falsi.

Per far luce sul luogo in cui erano originariamente collocati i tre busti di Copenaghen, non si può prescindere dalle lettere inviate da Dingli a Schmidt con lo scopo di vendere a Jacobsen i ritratti. Da esse si ricava che i busti provenivano da Arsinoe, l'antico capoluogo della regione del Fayum.

Attualmente di Arsinoe, che fu senza dubbio una delle più grandi città egiziane, non restano che poche rovine, situate tra i quartieri della città moderna di Medinet el-Fayum. Quest'ultima, fondata in epoca araba immediatamente a sud dell'antico capoluogo, si espanse progressivamente verso nord inglobando i resti dell'antica città.

Purtroppo, non possediamo descrizioni di Arsinoe anteriori alla seconda metà del XVII secolo. A quel tempo, la città era caratterizzata da una serie di alte colline di rovine, i cosiddetti kiman, e molti dei suoi resti si trovavano a Medinet el-Fayum.

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Il secolare sfruttamento del sito come cava di materiali edilizi da riutilizzare nella nuova città non fu l'unica causa della scomparsa di Arsinoe: l'antica città, infatti, subì a lungo l'azione distruttiva dei sebbakhin e dei cercatori di antichità, prima di essere smantellata per far posto alle costruzioni moderne.

A partire dalla prima metà del XIX secolo ad Arsinoe furono effettuati scavi ed esplorazioni, ma non vennero mai intraprese ricerche sistematiche. Si trattò per lo più di indagini finalizzate solamente al recupero di antichità. Le poche ricerche con finalità scientifiche furono tutte di breve durata e di esse non abbiamo che brevi resoconti, nei quali spesso mancano indicazioni precise sui settori in cui furono eseguite le indagini e sulla tipologia e la datazione di strutture e reperti rinvenuti.

Le evidenze archeologiche di età romana portate alla luce nel corso di tali indagini non sono numerose: oltre a diversi complessi termali e ad alcune abitazioni, risalgono probabilmente a questa fase i resti di un acquedotto ed alcuni elementi architettonici che l'esploratore G. Schweinfurth ritenne essere pertinenti a due templi; è inoltre documentato l'utilizzo del viale d'accesso al tempio di Sobek-Suchos.

Le lacune dovute alla scarsità della documentazione archeologica vengono parzialmente colmate dalle informazioni contenute nelle fonti papiracee. Infatti, grazie a numerosi papiri, di natura economica e risalenti soprattutto al II-III secolo d.C., sono noti quartieri, edifici e strade di Arsinoe, altrimenti sconosciuti. Tuttavia, questi testi non consentono una ricostruzione della planimetria della città, in quanto le indicazioni topografiche in essi contenute sono limitate ai nomi di quartieri e di costruzioni, dei