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La graduatoria delle «paure» in Italia

(percentuali di persone che affermano di sentirsi «frequentemente» preoccupate su ciascun aspetto per sé e per la propria famiglia- Serie storica).

*Dove il dato del 2009 non sia disponibile, il trend è stato calcolato rispetto al primo valore della sequenza temporale.

Fonte: Osservatorio sulla Sicurezza, sondaggio Demos & PI per Fondazione Unipolis, gennaio 2014 (n.casi:2016).

*I grafici riportati sono tratti dal Rapporto dell’Osservatore Europeo sulla Sicurezza, realizzato da Demos&Pi e Osservatorio di Pavia per Fondazione Unipolis. IL rapporto, diretto da Ilvo Diamanti, con la collaborazione di Paola Barretta, Fabio Bordignon; Martina Di Pierdomenico e Antonio Nizzoli, analizza la percezione sociale e la rappresentazione mediatica della sicurezza dei maggiori Paesi europei. La versione completa del Rapporto è disponibile e scaricabile dal sito

www.fondazioneunipolis.org.

Un modo per reagire davanti a questo continuo stato di paura è di cercare di controllare tutto ciò che ricade sotto il nostro controllo; ciò che si pensa ricada sotto la nostra responsabilità e che prescinde dalla nostra capacità di controllo. Secondo il sociologo della modernità liquida è questo il motivo che conduce l’attore sociale a circondarsi di tutto ciò che può garantirli maggiore sicurezza, questo è il motivo del

successo e della diffusione di sistemi di videosorveglianza, dei SUV, della maggiore attenzione ai «sette segnali del cancro», ai «cinque sintomi della depressione»; più cose possiamo controllare più ci sentiamo al sicuro e protetti.

In realtà non è così perché tutte queste reti di protezione ci fanno sembrare il mondo più infido e pauroso di quanto non lo sia realmente. «Il capitale della paura» può essere indirizzato verso qualsiasi tipo di profitto sia commerciale sia politico. E’ così è l’incolumità personale a diventare uno dei principali, se non il principale

selling point in tutti i tipi di strategie di marketing»91.

Lo Stato sociale avrebbe dovuto proteggere i cittadini dal degrado sociale ma oggi non esiste più, il suo posto è stato preso da quello che Bauman definisce «Stato dell’incolumità personale» che protegge dalle minacce rappresentate da un pedofilo in libertà, da un serial killer, da un mendicante invadente, da un rapinatore, da un malintenzionato furtivo, da un avvelenatore, da un terrorista, o meglio ancora da tutte queste minacce riunite in un’unica figura, quella dell’immigrato clandestino, dal quale lo stato moderno nella sua più recente incarnazione promette di difendere i suoi sudditi92.

Una simile reazione è possibile perché gli individui non riescono a comprendere quale sia la vera dimora della paura e finiscono per convincersi che risieda in qualcosa lontano da loro, di diverso da loro e che sfugge al loro controllo.

Convinzione non del tutto errata dato che le ragioni per cui gli individui hanno paura sfuggono, di fatti , al loro controllo; la chiusura improvvisa o con poco preavviso dell’azienda per la quale lavorano e le oscillazione delle borse sono scollegate dall’agire dell’individuo, esso n subisce solo le conseguenze.

Bauman sostiene che oggi si viva in una situazione di forte «sovraccarico di sicurezza personale», è l’istinto di sopravvivenza che porta l’individuo a sovracompensare li dove può. Questo è il risultato pienamente ottenuto del volere

                                                                                                               

91Zygmunt Bauman, Il demone della paura, op. cit., pag.19.

della classa politica: localizzare le paure. Il luogo delle paure è solitamente uno spazio anonimo, sconosciuto alla società; questo spazio oggi è quello dove oggi si muovono i mercati finanziari i quali influenzano le attività lavorative oggi sempre più precarie e instabili creando un forte stato d’ansia nei lavoratori. Le politiche locali ben poco possono fare per tenere sotto controllo le paure dei lavoratori circa tale contesto per cui promettono ai cittadini di proteggerli dagli stranieri indesiderati che cercano lavoro, dal crimine costruendo più prigioni e aumentando il numero di poliziotti. Non potendo promettere un’esistenza sicura e un futuro più stabile si preoccupano «per lo meno» di alleviare un po’ d’ansia e cercare di ottenere un po’ di consenso elettorale.

Mikhail Bachtin aveva cercato il legame esistente tra paura e potere, trovano che esso nasca dalla paura cosmica costruita dall’uomo ma superiore alla capacità dell’uomo di opporsi ad essa. Per gli antichi la paura si curava con l’obbedienza alle regole, credevano che questo fosse il patto da rispettare per poter trascorrere notti tranquille. Secondo Bachtin il «momento costitutivo «di ogni potere è «violenza, repressione, menzogna, trepidazione e paura dei soggiogati» , questo secondo lui è il crimine sovragiuridico di ogni potere. La paura politica si basa dulla vulnerabilità dell’altro e sulla paura che esso ha della punizione inflitta a chi trasgredisce le regole. Bachtin sostiene che dal Rinascimento in poi paura e riso ingaggiarono una lotta il cui esito era inatteso. Il riso si liberò dal solito contesto carnevalesco e presentò al mondo intero una realtà più festosa e meno seria. Questa realtà poteva palesarsi quando a calcare le scene non v’era la paura.

La questione che questi due mondi avevano sollevato era circa la loro coesistenza e i contesti proposti dove questo poteva essere possibile erano tre; il primo era la guerra regolare in cui si potessero alternare momenti di quiete con momenti di guerriglia; oppure mediante la divisione del lavoro che poteva venire in contro ai diversi bisogni dell’uomo sempre conteso tra disagio e piaceri; l’ultima soluzione era la complementarietà: il riso rende sopportabile la pura e la paura che contiene il riso

entro certi limiti, il riso fornisce la spinta per riprendersi dalle paure di ieri e il coraggio per affrontare quelle di domani, in fine il riso potrebbe anche svolgere una sorta di protezione dalla paura.

Sembra che la modernità abbia trovato il modo per sfruttare il riso a suo vantaggio e portare quest’acerrimo nemico dalla sua parte, così il riso è divenuto il rifugio della paura, un posto in cui essa possa nascondersi. Adorno sostiene che questa sostituzione di ruoli sia possibile per gli stessi motivi che hanno reso possibile il capovolgimento di relazione tra l’essenza e l’apparenza.. L’essenza , secondo Adorno, non è più situata nell’ unicità dell’io ma si nasconde dietro la facciata dell’immediato, per cui non è più essenza ma inessenza. L’essenza è divenuta apparenza come il riso è il suono mediante il quale la paura diventa udibile.

Il riso non è più un segno di ribellione nei confronti della paura ma è sottomesso alla paura che lo sfrutta a suo vantaggio. Il riso altro non è, con la privatizzazione della vita, che una polizza assicurativa contro la paura esistenziale 93.

Se un tempo le paure erano «costruite su misure» oggi l’individuo è libero d costruire le sue paure, chiamarle con i nome che preferisce e affrontarle come meglio crede, ecco perché si parla di paura e di riso privatizzate, questa libertà concessa l’uomo è chiamata libertà individuale.

Parlare di libertà individuale nella società moderna in realtà come parlare di non- libertà se si pensa che la libertà individuale sia esercitata in un contesto di privatizzazione della vita dell’individuo.

I pensatori della modernità quando parlavano di libertà si riferivano alla possibilità per gli individui di costruire un mondo che ben concordasse con le loro esigenze, la libertà di dare alle cose la forma più opportuna, la possibilità di agire secondo la ragione e di porre rimedio ai problemi della natura o ai loro errori passati. Nella modernità liquida è difficile dare una forma alle cose per cui l’uomo non può

                                                                                                               

creare una società che si adegui alle sue esigenze, Isaiah Berlin definisce la nuova libertà come «libertà negativa» che limita l’individuo nell’esercizio della scelta individuale.

La crisi della libertà coincide con la crisi tra sfera privata e pubblica. Il concetto di pubblico si è trasformato: da ambito in cui si discutevano cose essenzialmente collettive che non potevano essere rivendicate da un singolo ma che erano di interesse della comunità, la quale si batteva per la difesa dei diritti dei singoli; ad uno spazio in cui dar voce a eventi intimi e privati che non hanno nessuna ripercussione sulla questione sociale. La libertà individuale cammina insieme alla dissoluzione della dimensione collettiva, un tempo garante della libertà individuale. La comunicazione tra pubblico e privato e del tutto interrotta e la libertà del genere umano è stata sostituita dalla libertà del singolo.

Le uniche occasioni in cui gli individui esercitano la socialità è quando sono uniti nella lotta del nemico pubblico del momento, ma sono momenti che si consumano molto velocemente. Dunque l’individuo moderno non è libero, del resto come si può essere liberi in una società che reprime l’immaginazione e soffoca il senso comune. Solo la collettività si può ergere a difensore della libertà individuale e senza collettività non esiste nessuna libertà individuale.

Nel passato la libertà individuale era legata al processo di emancipazione che spronava i singoli a lottare e tutelare i propri diritti e a farsi consapevole che erano liberi di compiere delle scelte per la loro vita. Oggi l’individualizzazione è un destino che affligge il genere umano, un destino in cui ognuno è lasciato solo a combattere per se stesso, per la costruzione di un progetto a lungo termine.

Bourdieu però ci ricorsa che: «la capacità di proiettarsi nel futuro è necessaria per poter attivare tutti i comportamenti cosiddetti razionali (..) per concepire un progetto

rivoluzionari, vale a dire un’ambizione ragionata di trasformare il presente in riferimento ad un futuro progettato, bisogna avere un minimo di presa sul presente94».

Questa «presa sul presente» è completamente assente negli uomini e donne del presente, questa condizione rende ogni individuo vulnerabile e indebolisce la volontà di conseguenza il suo disinteresse verso la vita politica e verso la collettività.

La perdita di controllo sembra essere la principale caratteristica dell’idea di globalizzazione la quale fa pensare a qualcosa senza un centro, senza un’organizzazione. Secondo Bauman la globalizzazione ha rimpiazzato l’universalizzazione che insieme ai concetti di «civiltà», «sviluppo», «convergenza» e «consenso» racchiudeva la speranza, l’intenzione e la determinazione di creare un nuovo ordine universale. L’idea di universalizzazione nasceva in un contesto in cui le nuove potenze dispiegavano un numero copioso di risorse che avrebbero potuto portare progresso e miglioramenti a tutta l’umanità ma che in una fase embrionale, come quella in cui si trovavano, necessitava di un ordine ma che avrebbe potuto offrire a tutti la possibilità di un miglioramento e forse reso anche tutti gli individui eguali. In realtà la globalizzazione non è un fenomeno che ha coinvolto tutti e soprattutto non allo stesso modo. «l’idea di globalizzazione si riferisce alle «forze anonimie» di von Wright, che operano nella vasta «terra di nessuno» - nebbiosa e melmosa, impossibile da attraversare e da dominare, al di sopra delle capacità che ciascuno di noi ha di progettare e agire»95. Non è difficile comprendere perché l’individuo sente di non avere «presa sul presente».

Nella ricerca d maggiore ordine e sicurezza l’uomo ha ottenuto un mondo in cui regna il «nuovo disordine mondiale» fatto di incertezze e paure; dominato dalla precarietà della modernità a causa della sempre più richiesta flessibilità; un mondo in cui l’io e l’altro sono divenuti estranei, privato e pubblico hanno rotto i ponti. In questa realtà sono divenute frequenti espressioni tipo «crisi dei valori», «crisi

                                                                                                               

94Zygmunt Bauman, La società individualizzata, op. cit., pag. 69.

dell’ordine mondiale», «crisi della cultura» forse, secondo Bauman, una spiegazione potrebbe essere l’eccessiva velocità dei cambiamenti che subiamo nei nostri giorni e che con la stessa velocità invecchiano e divengono obsoleti.

Nel libro La solitudine del cittadino globale Bauman fa notare che in realtà il termine crisi è usato impropriamente in quanto esso attiene ad un momento di decisione. Habermas sosteneva che la percezione di uno stato delle cose come «crisi»è una questione di teoria. Per parlare di crisi serve una teoria: l’immagine di uno stato delle cose normali, non problematico; la «crisi» insorge quando quello stato normale, uguale e familiare si sgretola, la cose vanno in rovina, la casualità governa al posto della regolarità e gli eventi non sono più routinari e prevedibili; se prima ci sentivamo padroni della situazione, ora ci sentiamo per lo più sospinti in una direzione sconosciuta96.

Parlare oggi di crisi sembra inappropriato perché non siamo davanti ad una decisone alla quale seguirà un cambiamento in male o in peggio ma siamo dinnanzi ad una situazione in cui nessuna forma si consolida. Lo «stato di crisi» non è un momento di decisione ma piuttosto d’impossibilità a decidere.

Tutte le trasformazioni che ha subito la società post-moderne, come si è visto hanno condotto ad una serie di cambiamenti che si sono ripercossi anche sull’individuo stesso, Ernest Gellner parla di «uomo modulare» usando una metafora presa dal mondo dell’arredamento paragona i vecchi tipi di esseri umani ad armadi costruiti da un solo pezzo, che avevano una forma stabilita durante il processo lavorativo e che non poteva poi essere modificata; i vecchi armadi non si trovano più in commercio perché sono stati rimpiazzati dagli armadi modulari che hanno il vantaggio di poter essere modificati nel tempo adattandosi meglio alle esigenze delle persone. Al pari dell’armadio modulare l’uomo modulare, il prodotto più di rilievo della modernità, non ha una forma prestabilita e per questo si può facilmente

                                                                                                               

adeguare ai vari contesti della vita quotidiana. Bauman ritiene che l’uomo modulare non sia l’uomo senza qualità di Robert Musil ma che anzi, sia una creatura dotata di qualità mutevoli, monouso e scambiabili. E’ un uomo con troppe qualità ma senza un’essenza, è l’uomo che si modella da sé 97.

L’unico che può sopravvivere in una realtà liquefatta come la nostra.

                                                                                                               

Conclusioni: