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Homo Mensura Le trasformazioni dell'individuo da una società solida ad un liquida

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Academic year: 2021

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INDICE  

     

Introduzione

………... Pag. 2

Capitolo  I  

Zygmunt Bauman: La vita e il percorso intellettuale……….  

Pag. 4

CapitoloII  

L’ Individuo tra modernità e post-modernità………...……… Pag. 30

Capitolo  III  

 

Modernità liquida e globalizzazione: la dissoluzione dell’individuo………. Pag. 62

Conclusioni:  

La  globalizzazione  in  Europa  tra  pessimismo  e  ottimismo……….   Pag. 88

 

 

 

Riferimenti  Bibliografici……….……….………...   Pag. 101            

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Introduzione

L’obiettivo di questa tesi è quello d’indagare sulle trasformazioni della società dagli anni Settanta ad oggi, per cercare di comprendere le ripercussioni che queste hanno avuto sull’individuo nell’epoca attuale e ricercare delle possibili soluzioni o semplicemente fornire spunti per riflettere.

Per il raggiungimento di tale scopo mi sono avvalsa dell’ampia riflessione prodotta dal sociologo polacco Zygmunt Bauman, uno dei più attenti pensatori della modernità. Al sociologo polacco si deve il merito di aver coniato l’espressione

modernità liquida, una modernità che si contrappone ad una solida, quella degli anni

Settanta, in cui si cercava in maniera spasmodica ordine e sicurezza. Una modernità che aveva come obiettivo unico il raggiungimento della perfezione e della sicurezza, di cui era garante lo Stato.

Bauman critica la modernità solida il cui scopo è quello della classificazione degli oggetti, critica il fatto che per classificare è necessario dividere tra perfetto ed imperfetto, critica una modernità che per raggiungere l’ideale di perfezione nega le ambivalenze.

Le ambivalenze fanno parte della vita quotidiana, rifiutarle sarebbe come rifiutare la pluralità del mondo, la quale necessita di maggiore tolleranza e solidarietà. In questa ottusità concettuale della modernità solida risiede anche il suo fallimento: per rendere tutto solido la modernità ha reso le cose liquide, nel tentativo di plasmarle secondo la sua volontà, ma gli oggetti, e non solo, hanno perso la loro forma e si sono liquefatti.

Una sorte per niente diversa è toccata a tutte le certezze su cui era basata la vita degli individui che vivono oggi una vita liquida, un amore liquido e sono dominati da paure liquide.

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L’uomo di oggi ha perso la sua identità ma ne è alla continua ricerca, una ricerca che non si conclude mai.

Nel passato era il lavoro ad offrire all’individuo sicurezza e certezza, la possibilità di costruirsi una vita ed una reputazione durabili nel tempo, dalla condizione lavorativa stabile derivava la possibilità di fare progetti a lungo termine.

Con la deregolamentazione tutto è cambiato, al centro non c’è più il lavoratore con le sue esigenze ma i flussi di capitali ed i consumatori. La deregolamentazione ha prodotto maggiore flessibilità e questa induce negli individui ansia e insicurezza.

La flessibilità avrebbe dovuto combattere la routine considerata come un male che imprigiona l’immaginazione e, come sosteneva Adam Smith, uccide la spontaneità dei gesti e la volontà d’agire. Ma la flessibilità ha reso tutto precario e frammentato, non potendo fare progetti a lungo termine, si vive una vita a breve termine in cui ogni cosa ha una data di scadenza.

La fragilità della vita liquida ha reso fragili i rapporti di lavoro, le relazioni sentimentali e d’amicizia. Viviamo nell’epoca della privatizzazione in cui non esistono più responsabilità sociali e senso di comunità ma viviamo ogni cosa come se fossimo noi stessi gli unici responsabili.

La responsabilità è solo individuale è ciò fa si che anche il fallimento venga vissuto come una fenomeno imputabile esclusivamente alle capacità del soggetto.

La modernità liquida vive la dissoluzione dell’individuo trasformato in mero consumatore, la dissoluzione del gruppo accompagnata da una forte crisi di solidarietà e l’Altro non esiste se non come individuo utile all’auto-costituzione. Quando quest’ultimo diviene un intralcio se ne fa a meno senza esitazione.

Questi sono i frutti di una globalizzazione negativa. Ma è davvero tutto solo negativo?

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CAPITOLO I: La vita e il percorso intellettuale

1.1 La vita

«Combattendo con l’esercito tornai in un paese devastato dalla guerra che aveva solo la povertà e le arretratezze prebelliche. Sollevarlo dalla miseria e da un sottosviluppo secolare era un compito eccitante»1.

Questo è quanto si propose Zygmunt Bauman, nato in Polonia, a Poznan, nel 1925. Con la sua famiglia di origine ebraica sfuggì all’Olocausto scappando nell’Unione Sovietica dopo che la Polonia fu invasa dai nazisti nel 1939. Prima di dedicarsi agli studi di sociologia presso l’Università di Varsavia studiò fisica ma, dopo essersi arruolato nell’esercito polacco, affascinato da quanto i nuovi poteri promettevano, l’interesse per la fisica iniziò a venir meno e, come lo stesso Bauman dichiara, la sua immaginazione fu catturata da altre cose.

«Ma i nuovi poteri promettevano molto di più: la fine delle discriminazioni, delle piccole ostilità e della crudeltà quotidiana di persone che soffocavano in un Paese incapace di offrire abbastanza lavoro per dare un senso alla vita o abbastanza pane per garantirne la sopravvivenza. Promettevano una vita dignitosa per tutti il che era più che sufficiente a mozzare il fiato a un diciannovenne appena tornato dai boschi e dal fronte. Potevo sprecare il mio tempo sondando i misteri dei big bang e dei buchi neri? Lasciai che i buchi neri conservassero i loro misteri ancora per un po’: prima venivano il mio paese allo sfascio e il big bang della sua resurrezione»2.

Il suo sogno di «comune appartenenza umana» era però, in contrasto con l’antisemitismo che viveva la Polonia in quel momento. Non fu sorpreso infatti, Bauman, quando nel 1953 fu cacciato durante una «degiudaicizzazione

                                                                                                               

1Keith Tester, Il pensiero di Zygmunt Bauman, Erickson, 2005, pag. 14.

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dell’esercito», era evidente che l’antisemitismo andava di pari passo con una politica nazionalista.

A quel punto si rivolse al mondo accademico, nel 1954 conseguì un master in Scienze Sociali all’Università di Varsavia e divenne docente. In questi anni conobbe uno dei suoi maestri, Julian Hocfeld , nominato nel 1951 direttore del Dipartimento di Materialismo Storico all’Università di Varsavia e nel 1957, fondatore, presso la stessa università, del Dipartimento di Sociologia delle Relazioni Politiche.

Da lui Bauman imparò a non lasciarsi ingannare dalle illusioni e che il compito di uno scienziato è quello di essere immune a ogni compromesso, nel tentativo di smascherare il male che minaccia la verità.

Nel 1956 sempre all’Università di Varsavia, Bauman conobbe Ossowoski, figura di primissimo piano nel panorama intellettuale del Paese. Anche lui aveva combattuto nell’esercito polacco nella guerra contro l’Unione Sovietica nel 1920 e, nel 1926, entrò a far parte dell’Unione degli Intellettuali Socialisti.

Da Ossowski, Bauman imparò che la cosa importante per un sociologo è la dimensione etica, che impegnarsi nelle scienze sociali significa avere il «dovere» di opporsi ad ogni forma di potere e di subordinazione per rivendicare il diritto a vivere liberi.

Dei suoi due maestri egli scrive: «Sono molto riconoscente a Hocfeld e Ossowski per avermi vaccinato all’inizio della mia vita sociologica e una volta per tutte contro l’idea che la sociologia sia e debba essere una sorta di fisica che si lascia alle spalle la propria storia e non si guarda mai indietro per cui se non ha ancora raggiunto questo livello la colpa è della sua immaturità o dell’incapacità di scoprire la metodologia di ricerca più corretta e idonea a risolvere definitivamente dubbi e controversie. Da loro imparai che la sociologia non ha e non può avere alcuna utilità se non come commento in fieri sull’esperienza vissuta degli uomini, commento

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transitorio e variabile quanto l’esperienza stessa. Io ebbi la grande fortuna di trascorrere il mio periodo formativo trovando in loro istruzione e ispirazione» 3.

A confermare l’importanza che la sociologia, da poco riconosciuta come disciplina accademica, stava assumendo in quegli anni, fu il fatto che il primo numero della rivista trimestrale «Studia Socjologiczne» di cui Bauman fu il fondatore nel 1961, andò a ruba il giorno stesso in cui uscì.

Dal 1964 al 1968 Bauman tenne la cattedra di Sociologia Generale presso la stessa università sino a quando, il 25 Marzo dello stesso anno fu espulso durante una seconda ondata di antisemitismo alimentata dalle autorità polacche. Con lui abbandonò la Polonia anche Janina Lewinson, sua futura moglie.

L’espulsione questa volta era più «mirata» perchè avevano individuato in lui una delle figure di leadership intellettuale nella protesta studentesca che sarebbe scoppiata da lì a poco.

Dapprima si rifugiò in Israele, dove insegnò sociologia all’Università di Tel Aviv, poi si traferì in Austria, sino a trasferirsi definitivamente a Leeds dove è stato professore di sociologia sino all’età della pensione nel 1990.

Qui Bauman sperimenta la condizione dello straniero, ed è proprio in questi anni che scrive la maggior parte delle sue opere e riflette sulla situazione di ambivalenza alla quale è costretto da esule. Da straniero riflette sul valore della sua esperienza e arriva a comprendere che la vera essenza dell’esilio è il sentirsi «fuori posto», sensazione che non riguarda solo lo «straniero» ma la maggior parte delle persone giacché spesso nelle situazioni che viviamo diamo solo una parte di noi, non «partecipiamo mai al cento per cento». Uomini e donne fanno continuamente esperienza dell’esilio dovendo sempre scegliere fra le varie opportunità (ambivalenze) che incontriamo nello scomposto e frammentario mondo di oggi.

                                                                                                               

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Se per Kolakowski l’esilio è da identificare come una sciagura o come una sfida, per Bauman andrebbe affrontato come una possibilità per sperimentare un modo di «essere al mondo» perché essere umani per lui significa travalicare i limiti imposti dalle strutture sociali e dalle istituzioni4. Egli identifica la cultura come lo strumento che può aiutarci a diventare umani nonostante le limitazioni del mondo.

La cultura diviene, quindi, un «coltello affondato nel futuro», uno strumento d’incoraggiamento che deve spingere gli uomini a migliorare il mondo in cui vivono, lavorano e muoiono. E’ stato Gramsci a far comprendere a Bauman che l’uomo non è solo un individuo piegato dalle strutture sociali, ma anzi è l’attore, capace di creare il mondo sociale. Leggere Gramsci l’ha aiutato ad allontanarsi e depurare il pensiero comunista di stampo sovietico nel quale era rimasto bloccato sino a quel momento. Era stato Marx, infatti, a sensibilizzare Bauman contro ogni forma d’ingiustizia e discrimine e a spingerlo a voler smascherare ogni inganno a scapito della società. Il suo allontanamento dal pensiero marxista fu più che altro dovuto alla «fossilizzazione del marxismo stesso nella vulgata ufficiale», più che le idee che ne stavano alla base, ed è per questo che, come Bauman più volte ha detto, il favore che gli venne dalla lettura di Lettere dal carcere di Gramsci fu quello di aiutarlo a non diventare antimarxista5.

Un altro contributo importante gli viene da Simmel dal quale ha imparato a non dover depurare la vita sociale da tutte le incertezze e incongruenze al fine di promuovere un mondo ordinato. Simmel gli ha mostrato che: «per la matita di ogni tendenza esiste la gomma di un’altra tendenza, e desiderare di demolire queste ambivalenze per vedere meglio il funzionamento della società è come voler smantellare le pareti per vedere che cosa sostiene il soffitto6. In sostanza ambivalenza

                                                                                                               

4Keith Tester, Il pensiero di Zygmunt Bauman, op.cit., pag. 21.

5Z. Bauman e K. Tester, Società, etica, politica, op.cit., pp. 9-10.

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e incertezza sono alla base della vita sociale e il sociologo ha il solo compito di cogliere il flusso di questi elementi senza volerlo fermare.

Bauman è il più prolifico sociologo del nostro tempo, ma anche il più ascoltato, di fatto numerosi sono i suoi interventi in Italia. Nel Settembre del 2012 è intervenuto al Festival della Letteratura di Mantova, dove si è espresso sull’educazione umana. Il 6 Giugno del 2011 ha partecipato al Festival dell’Economia a Trento, ad una riflessione su Stato, mercato e protezione sociale.

Il 2 febbraio del 2011 ha preso parte al Festival della Mente a Sarzana, ha condiviso la sua idea su internet e social network. Ha ottantotto anni e ancora molto da insegnare soprattutto sui problemi dei nostri giorni. I suoi libri offrono sempre nuovi spunti per riflessioni importanti, tant’è che nel 1989 con il libro Modernità ed

Olocausto ha vinto il Premio Amalfi per la Sociologia e le Scienza Sociali7. Nel 1998 ha vinto il premio Theodor Adorno a Francoforte.

1.2 Il percorso intellettuale

In tutta l’opera baumaniana si nota un argomento che torna ripetutamente: l’interesse per le classi dei lavoratori, da qui egli parte per affrontare il tema dell’ambivalenza, della globalizzazione e della comunità. Tutte le sue opere sono intrise di un elevato spessore morale, ciò appare evidente dal fatto che egli cerca sempre di mostrare al mondo le sofferenze cui sono costretti gli individui. Riguardo al fenomeno della povertà, per esempio, Bauman sostiene che seppur sia un fenomeno sempre esistito considerarlo un evento inevitabile della vita della comunità significherebbe naturalizzarlo e invece le cause delle sofferenze umane vanno sempre ricercate, denunciate e discusse. Lui stesso si definisce un socialista, ma quando lo fa, non guarda alla politica dei partiti, afferma che per lui il socialismo «non è un

                                                                                                               

7Tale premio è consegnato a quegli autori che con la pubblicazione di un libro o di un articolo

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modello alternativo di società destinato a sostituire il sistema attuale»8.«Il socialismo è un coltello affilato premuto contro le eclatanti ingiustizie della società in quanto tale, una voce della coscienza finalizzata a indebolire la presunzione e l’auto-adorazione della «maggioranza soddisfatta» di John Kenneth Galbraith. E’ una sfida per la società perché ne mette in discussione la saggezza, cerca alternative alla sua condizione attuale e pensa a possibili correttivi . Il socialismo non è contro qualsiasi modello di società purché la società metta alla prova la propria capacità di correggere le ingiustizie e redimere le sofferenze che essa stessa ha cagionato»9.

L’unico obiettivo che un sociologo può porsi, è la realizzazione dell’umanità per la quale è necessario che vengano sconfitte la povertà e le sofferenze umane. Sembra un progetto utopico ma che ciò nonostante non si può abbandonare, l’utopia alimenta la speranza nel futuro. Con la cultura e il socialismo si può affondare il coltello nel «vivere avanti».

Sin dall’inizio della sua partecipazione alla vita politica della Polonia, ciò che lo muoveva era il desiderio che la sua diventasse una nazione in cui fossero al primo posto la dignità umana ed il rispetto per le sofferenze sociali. A questo fine Bauman ha dedicato gran parte della sua produzione degli anni Settanta e Ottanta la cui analisi è propedeutica per la comprensione dei successivi lavori volti all’elaborazione della teoria della modernità.

Il cammino che intraprese da sociologo è molto legato al contesto storico e politico della Polonia di quegli anni, perciò si rende necessario volgere uno sguardo a quel momento.

Gli eventi del Marzo 1968 ponevano una questione sociologica importante, ossia il forte divario tra i problemi che denunciavano gli intellettuali e quelli che si trovava a dover affrontare la popolazione polacca nel quotidiano. Gli intellettuali iniziavano a distaccarsi dal Partito accusandolo di invadere un campo che

                                                                                                               

8Z. Bauman e K. Tester, Società, etica, politica, op. cit., pp. 160-161.  

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consideravano prettamente di loro pertinenza. In realtà la lotta tra intellettuali e il Partito era dovuta al fatto che i primi spesso facevano leva su valori culturali ancora troppo lontani dai cittadini polacchi, di contro il Partito riusciva a sfruttare al meglio le proprie risorse politiche e sociali e toccare corde più sensibili per la popolazione. Quest’ultimo cercò con tutti i mezzi a disposizione di ostacolare il lavoro dei suoi avversari sfociando addirittura in forme di antisemitismo.

Con il comunismo la popolazione polacca era stata investita da una massiccia industrializzazione e ciò aveva rappresentato una grossa novità per un popolo che sino a quel momento aveva basato la propria economia sull’agricoltura. A seguito di questo cambiamento la società andava del tutto rivoluzionata a partire dal fatto che urgeva infondere la cultura del lavoro in una società contadina. I contadini delle campagne furono catapultati nelle fabbriche socialiste nelle quali non vi era largo spazio per la libertà di auto-organizzazione e di espressione, del resto i nuovi lavoratori non erano neanche in possesso delle risorse per garantirsi tali libertà e si affidarono allo Stato. Il risultato non fu del tutto negativo perché i lavoratori trovavano la vita di fabbrica molto più rassicurante rispetto a quella delle campagne.

Questo nuovo status permetteva ai lavoratori di avere vantaggi che prima potevano solo immaginare e di acquisire maggior sicurezza, ad essa si aggrapparono in maniera molto forte e ciò rese difficile il desiderio degli intellettuali di fare «fronte comune» con loro. A tale proposito Bauman scrive: «la libertà di espressione politica, agli occhi di chi aveva alle spalle una storia millenaria di esclusione dalla politica, non era la soluzione più appropriata per i problemi della vita.» Non si può dire nemmeno che «la libertà di stampa fosse una grande aspirazione, per gli analfabeti. O che la libertà di organizzazione fosse il sogno di chi era cresciuto nella sicurezza di comunità locali coese e integrate». Perché stupirsi, allora, se tutti costoro «sono spontaneamente sospettosi verso gli intellettuali ?»10.

                                                                                                               

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Il mito della sicurezza e del mantenimento dello status quo aveva oramai conquistato i lavoratori polacchi, tant’è che l’idea di una rivoluzione era quindi impensabile. Il regime real-socialista era stato in grado di rendere possibile tale situazione. Era nei suoi interessi far sì che tale stato durasse il più a lungo possibile e perciò era necessario ricercare tutte quelle informazioni utili a esercitare sempre più controllo sui cittadini. Era inoltre importante smorzare l’azione di chiunque provasse a realizzare strutture che si opponevano a questa e potessero intralciarne il futuro. Le tensioni accumulate lungo tutti gli anni Settanta portarono, nei primi anni Ottanta, alla nascita del movimento Solidarnosc, il quale si faceva portavoce dei bisogni dei sindacalisti dei cantieri navali sul Baltico. Solidarnosc raggiunse in breve tempo un’importanza nazionale, questo perché, al contrario di com’era avvenuto negli anni Settanta, era riuscito a unire lavoratori d’industria e contadini; creando legami stabili tra intellettuali e lavoratori aveva fatto del concetto di libertà e sicurezza la propria bandiera.

La rivoluzione del 1989 cambiava le sorti della vita polacca, si percepiva la voglia di uomini e donne di volersi riappropriare del loro futuro e sottrarsi al regime, ovvero fu una rivoluzione di sistema: «Affrontano il compito di smantellare il sistema, per costruire ex novo un sistema che lo sostituisca». Per dire meglio: «Le rivoluzioni di sistema devono ancora creare le forze sociali in nome delle quali s’intraprende la trasformazione del sistema stesso» 11.

La rivoluzione del 1989 segnò la fine del socialismo reale e sancì il capovolgimento della modernità12.

Il libro Memorie di classe, pubblicato nel 1982, è il primo del post-esilio, rappresenta un momento di svolta per l’autore.

Il soggetto del pensiero baumaniano non sarà più la classa operaia.

                                                                                                               

11Keith Tester, Il pensiero di Zygmunt Bauman, op. cit., pag. 129.

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Pur continuando a indagare sulle sofferenze e le ingiustizie queste non saranno declinate con i problemi della classe operaia.

Bauman avverte il cambiamento che sta scuotendo la società e che ha influenzato la vita del lavoratore, il quale non è più quello delle comunità locali, ma vive in residenze anonime ed è identificato dal modo in cui spende il suo denaro più che dal lavoro che gli permette di guadagnarlo. Per il sociologo l’obiettivo rimaneva sempre uno: indagare sulle ragioni della sofferenza umana. Non si poteva continuare ad imputare le responsabilità all’economia di scala, come aveva fatto il marxismo; non si poteva addossare le cause della sofferenza umana al capitalismo o al socialismo. Bisognava cercare nuovi simboli.

Nel 1989 quando scrive Modernità ed Olocausto ha trovato nell’Olocausto uno dei simboli della sofferenza umana.

La scelta non era certamente dovuta alla storia della sua vita. A riguardo il sociologo scrive: «Ero ebreo, ma era come se non se ne fosse accorto nessuno (...). Mi sarei riconosciuto come tale solo nel 1967». «Nell’esperienza della mia vita l’identità ebraica avrebbe assunto, tutto sommato, importanza marginale. La prima volta che ne ho acquisito realmente consapevolezza sarebbe stato (…) all’esplodere dell’antisemitismo»13.

Fu l’opera della moglie Janina, Inverno nel mattino, a presentare a Bauman una nuova prospettiva sulla sua condizione di ebreo. Si avvicinò di più ad autori ebrei, per esempio rilesse Simmel non più dal punto di vista del sociologo ma del sociologo ebraico e comprese che la sua storia lo aiutava a comprendere meccanismi che rimanevano ignoti ai più. L’antisemitismo aveva portato Simmel alla creazione di una «sociologia frammentaria» e nonostante ciò ha avuto una vita più lunga di quella di altri. Il contributo dei pensatori ebraici, Bauman scrive, «stava nella capacità di cogliere il legame sottile tra una condizione imposta di allontanamento dagli altri (…)

                                                                                                               

13Keith  Tester,  Il  pensiero  di  Zygmunt  Bauman,  op.cit.,  pag.  141.  

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e quella cultura moderna, intuitiva e penetrante, che sapeva intravedere l’inganno della modernità »14.

La modernità ha come obiettivo quello di rendere tutto «pulito», «ordinato», anche a costo di dovere eliminare quegli elementi che la rendono «impura». Questo porterà a una realtà in cui alcuni uomini potrebbero vedersi negata la possibilità di chiedere aiuto». Una volta accettata l’idea secondo cui la società ordinata deve essere libera da dissidenti e piantagrane, gettare gli eretici nelle prigioni sotterranee e allontanare gli anticonformisti è, ancora una volta, un mezzo razionale per raggiungere il fine»15.

Prima della lettura di Modernità e Olocausto la sociologia non si era mai occupata dell’Olocausto. Secondo Bauman ciò è dovuto al fatto che per tanti esso era stato un problema solo degli ebrei e, per altri, un’aberrazione rispetto al meraviglioso progresso della modernità che solo con la civilizzazione si sarebbe potuto controllare. Per Bauman invece l’Olocausto fu un prodotto della modernità, in fin dei conti l’obiettivo dei nazisti era di liberare il paese dalle razze inferiori, dagli ebrei, con tutti i mezzi a disposizione. La più grande tragedia dell’Olocausto stava nel fatto che era stato possibile perché gli esseri umani avevano accolto come inevitabile la costruzione della società basato sui principi della razionalità strumentale e questo «li condusse direttamente nelle camere a gas»16.

Modernità ed Olocausto è anche un libro ricco di speranze, perché ci ricorda

che sono state le persone comuni ad opporsi al potere e mettere al primo posto la loro coscienza, ed è grazie ad essa che hanno trovato la forza di comprendere che la vita non è sopravvivenza, c’è altro al di là di essa, c’è la morale. Ed è grazie a questa che non bisogna perdere la speranza.

                                                                                                               

14Keith Tester, Il pensiero di Zygmunt Bauman, op cit., pag. 143.

15Z. Bauman e K. Tester, Società, etica, politica, op. cit., pag. 61.

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Bauman, fa spesso riferimento alle metafore per spiegare alcuni concetti. Per l’Olocausto usa la metafora della finestra, guardando attraverso possiamo mettere a fuoco alcuni aspetti caratteristici della società moderna: il sistema di fabbrica esteso a tutti gli aspetti della vita sociale (Aushwitz come una sorta di «fordismo assassino»); l’intreccio tra ingegneria sociale e razionalità strumentale; la potenza del modello burocratico, «tecnicizzazione» dell’azione e depotenziamento delle sue motivazioni morali. L’Olocausto intreccia agire burocratico con agire tecnologico, s’identifica con un progetto d’ingegneria sociale volto a eliminare «sporco» e «disordine»17. Allo stesso modo Bauman interpretava la modernità come qualcosa che volesse dare ordine e direzione alla vita sociale. Questa era la convinzione che si faceva sempre più spazio in Europa dal diciassettesimo secolo e che è definita modernità.

Bauman sintetizza questo momento definendolo «una lunga marcia verso la prigione», la prigione, nella metafora di Bauman, si rifà al concetto di ordine e controllo sociale. La modernità per tanto, mira al raggiungimento della perfezione.

Il sociologo paragona la modernità alla figura del giardiniere e scrive:

«L’emergere della modernità fu un (…) processo di trasformazione delle culture spontanee in culture da giardino (…). Il passaggio da una cultura spontanea a una cultura da giardino non è solo un’operazione effettuata su un apprezzamento di terra; essa comporta anche, e forse in modo ancora più decisivo, la comparsa di un nuovo ruolo, diretto a scopi precedentemente ignoti e richiedente capacità che nel passato non esistevano: il ruolo del giardiniere»18 . Per costruire una società così organizzata è necessario un forte controllo sociale, è necessario estirpare le erbacce simbolo di fragilità dell’ordinamento. Questo sistema inevitabilmente porta alcuni soggetti all’esclusione dovuta alla chiusura nei confronti di coloro considerati imperfetti e d’intralcio al raggiungimento della perfezione e dell’ordine. Quando Bauman parla della «lunga marcia verso la prigione, si riferisce al fatto che un tale

                                                                                                               

17Maurizio Ghisleni, Walter Privitera, Sociologie contemporanee, Utet università, 2009, pp. 12-13.

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sistema per produrre risultati efficienti deve produrre «condotte su comando», tale comando può essere esercitato dalle istituzioni, penitenziari, prigioni, fabbriche, scuole. Coloro che detengono il potere stabiliscono quali siano i perfetti che possono prendere parte all’ordine sociale e gli imperfetti sono posti ai margini.

Un mondo così immaginato ci fa ripensare al Panopticon di Bentham. Nel quale le prigioni sono caratterizzate da una struttura ad anello e al centro vi è una torre con delle finestre che affacciano all’interno della struttura per sorvegliare ogni detenuto. Il sorvegliante della torre rappresenta il centro dell’esercizio del potere. L’obiettivo che Bentham voleva raggiungere era quello di massimizzare la felicità della maggior parte degli uomini e piegare a tale progetto regole morali e giuridiche. Lui stesso descrive il Panopticon come «un nuovo modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima».

Bauman, sempre in lotta contro l’ambivalenza, si rende conto che la modernità stessa è profondamente ambivalente, perché seppur combatte per l’ordine, nega la fissità, propone la razionalità attraverso l’ordine. Fa tutte queste cose pure sapendo che hanno carattere temporaneo e sono legate al percorso storico.

Nel 1991 la pubblicazione del libro Modernità e Ambivalenze segna il passaggio dalla modernità alla postmodernità. La realtà mutava e conscio di queste trasformazioni Bauman cercava un termine che potesse identificarsi con questi cambiamenti. La «postmodernità» era, tra tutti i termini disponibili, quello più sentito perché riguardava i cambiamenti del mondo e come questi si erano ripercossi sull’uomo. Sempre riprendendo la metafora del giardiniere dal libro La Decadenza

degli Intellettuali, Bauman spiega come il giardiniere classifica come erbacce da

sradicare tutte quelle piante che rappresentano una minaccia a quelle piante che invece crescono conformi al progetto. Nel libro Modernità e Ambivalenze il sociologo riprende il tema della classificazione. Per prima cosa diciamo che per classificazione Bauman intende: distinguere e segregare. Il processo di segregazione si sviluppa in due momenti: nel primo rende evidente l’esistenza di oggetti discreti e

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diversi; nel secondo considera che questi oggetti abbiano qualcosa in comune tra loro per cui possono essere classificati come simili e dei tratti che invece li differenziano da altri. Quindi classificare, significa imporre una struttura al mondo ed è su questo principio che si fonda anche la modernità, ed è da questa affermazione che parte la critica alla modernità di Bauman. Se il progetto della modernità è classificare gli oggetti, imporre delle regole per gestire la realtà allora si va in contrasto con ciò che è invece, tipicamente umano, giacché generalmente questo ha a che vedere con il possibile, con l’imprevedibile e con la malleabilità. Tutto l’opposto della razionalità strumentale che guida la modernità. Un altro problema da sollevare alla classificazione è appunto l’ambivalenza di tale strumento poiché non ci sono oggetti che rispondono precisamente a una classe. Le ambivalenze per Bauman vanno accettate, non si possono escludere dalla vita reale, la perfezione è qualcosa che si può auspicare in un mondo astratto.

La postmodernità è proprio questo: accettazione delle ambivalenze. Ci obbliga ad accettare l’accidentalità degli eventi, ci pone di continuo davanti alle differenze e ci impone solidarietà e tolleranza.

Bauman definisce la postmodernità, la modernità senza illusione, giacché ha acquisito la consapevolezza che un mondo perfetto sia impossibile. La postmodernità come la vede Bauman è «anzitutto e prima di ogni altra cosa, accettazione dell’insopprimibile pluralità del mondo; una pluralità che non si riduce a una stazione di transito, sulla strada dell’adempimento della perfezione (…) una stazione, destinata, prima o poi, a rimanere alle nostre spalle; è invece la qualità costitutiva dell’esistenza umana»19.

La modernità convinta, di poter ambire a un mondo «ordinato «e «pulito» infondeva fiducia agli individui che sentivano di poter realizzare tutto ciò che volevano. La postmodernità non può confermare la stessa fiducia per tanto gli attori sociali si trovano a dovere compiere le proprie scelte senza una guida, senza sapere se

                                                                                                               

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sono giuste o sbagliate. L’etica moderna era basata sul progetto di perfettibilità del mondo e per tale scopo si proponeva di eliminare ogni ambivalenza. L’etica postmoderna ridà vita a tutto ciò che la modernità opprimeva ed esalta le ambivalenze. Bauman sostiene che la modernità è un’etica senza morale tant’è che gli esecutori del socialismo reale e dell’Olocausto erano etici rispetto alle leggi cui dovevano obbedire, ma non erano per niente morali. La postmodernità è «una morale senza etica», come dice Bauman: «la morale non ha bisogno di codici o di regole o di conoscenza, di argomenti o di convinzioni»20.

Negli anni Settanta e Ottanta era utopico considerare la cultura e il socialismo come «un coltello premuto verso il futuro», negli anni Novanta l’utopia è rivolta «all’essere per l’Altro». In questo modo la postmodernità s’identifica anche con la tolleranza. Dopo un passato in cui tendevano a celare le differenze tra gli individui, oggi sono proprio le differenze, le ambivalenze a definire gli uomini. Esseri diversi è tutt’altro che una cosa negativa.

Il problema che si pone ora riguarda il concetto di tolleranza. Perché se per tolleranza intendiamo lasciar libero l’Altro di vivere a suo modo questo atteggiamento potrebbe sfociare nell’indifferenza. La tolleranza di cui abbiamo bisogno è invece, quella che sfocia nella solidarietà.

«Solidarietà significa (…) essere pronti a lottare; a impegnarsi a salvaguardia del rispetto degli altri, e non solo di se stessi (…)»21.

Il problema che mette in luce Bauman e che il modo di agire dettato dalla postmodernità spinge l’individuo ad un’auto-costituzione senza alcun punto di riferimento e può correre il rischio di dimenticarsi dell’Altro se questo non è direttamente in relazione con lui. Si corre il rischio di far scivolare l’Altro nell’indifferenza tutte le volte che esso non è utile all’auto-costituzione.

                                                                                                                20Ivi, pag.179.

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In un mondo così fatto il rischio è che l’auto-costituzione avvenga in un clima di incertezza, di paura.

Nella modernità l’individuo era identificato dal lavoro e dalla sua professione, ora è ciò che consuma. Il lavoratore è stato sostituito dal consumatore.

La sofferenza umana che rappresenta la postmodernità è identificata dal rapporto tra gli individui e ciò che consumano. Bauman sostiene che all’interno di questa realtà vi siano due figure rilevanti: i sedotti e i repressi.

I sedotti sono quelli che hanno gli strumenti necessari per consumare ed esercitare, secondo il loro punto di vista, la libertà. I repressi sono quelli che restano esclusi da questo meccanismo e non hanno alcun rilievo nel consumismo. La particolarità di questa classe è che se i proletari, durante la modernità, erano uniti dalla loro povertà e nell’odio verso la classe forte, i repressi, invece, vedono i consumatori non come nemici contro cui fare fronte comune ma come idoli.

Il dibattito sulla postmodernità si allargava e sempre più persone ne prendevano parte. Bauman avvertì la necessità di prendere le distanze da questo termine per due motivi: il primo era legato alla confusione semantica che si era creata tra postmodernità e postmodernismo, il primo atteneva alla dimensione sociale e il secondo alle arti e all’estetica eppure questi due termini spesso erano usati come sinonimi. Il sociologo si allontanò dal concetto di postmodernità22 anche per un secondo motivo, sembrava che si volesse fare riferimento ad una dimensione superata, a qualcosa che veniva dopo la modernità. Secondo Bauman invece: «la

                                                                                                               

22 Giddens per risolvere questo problema usa il termine «tarda modernità», poiché secondo lui non

si era oltre la modernità, ma si viveva un periodo di radicalizzazione delle principali caratteristiche della modernità, parla di tarda-modernità in quanto crede che le forze sociali della modernità siano più forti ed estese. La più importante è il disembedding: la disaggregazione del tempo e dello spazio slegati dalla realtà sociale. Lo spazio sociale, infatti, non è più quello in cui si realizza la vita quotidiana, questo perché sistemi esperti hanno sviluppato tecnologie che permettono all’individuo di essere liberi dal tempo e dallo spazio.

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modernità non è per niente rimasta alle nostre spalle, siamo più moderni che mai e «modernizziamo» ossessivamente tutto ciò su cui riusciamo a mettere le mani» 23.

Bauman non è convinto che questa modernità sia «tarda» per cui questo termine si addice meglio a qualcosa di concluso cui possiamo guardare nella sua interezza e analizzarlo. Urlich Beck usa il termine «seconda modernità» ma anche questo è troppo vago per il sociologo polacco, lo definisce «un contenitore vuoto e

aperto a ogni possibile generalizzazione» e inoltre manca di una distinzione tra prima

e seconda modernità. Sur modernitè di Georges Balandier lo trova esplicativo, anche se tradotto in italiano non ha la stessa enfasi; per cui trova l’ispirazione e giunge alla sua proposta «modernità liquida»: sembra che questo termine dia continuità con il passato ma dia anche senso ai cambiamenti24.

Modernità ed Olocausto e Le sfide dell’etica sono i libri più esplicativi dell’era

della postmodernità, erano più discorsivi e lineari. Dentro la Globalizzazione (1998),

Modernità liquida (2000), Voglia di comunità (2001), Amore liquido (2003), Vite di scarto (2004), Vita liquida (2005), Paura liquida (2006), hanno una struttura

completamente rinnovata, sono più brevi, meno lineari e rivolti ad un pubblico più vasto rispetto ai soliti «consumatori» di testi sociologici.

Se nella postmodernità gli individui avevano un «progetto di vita», ben delineato nella modernità liquida non ci sono caratteristiche definitive e lineari. Bauman vuole trasportare nei suoi libri questa sensazione di frammentarietà e incertezza ecco giustificate le nuove scelte stilistiche.

Frammentarietà e incertezza sono le caratteristiche principali della modernità liquida. Nella fase «solida» della modernità tutto era basato sul controllo e sulla definizione del futuro. Nella fase «liquida» tutto è rimodellato continuamente.

La fase liquida è una conseguenza di quella solida prodotta dall’insoddisfazione per il grado di solidità raggiunto, non sufficiente per gli standard

                                                                                                               

23Z. Bauman e K. Tester, Società, etica, politica, op.cit., pag.104.

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imposti dalla modernità. Questo ha condotto alla liquefazione dei corpi. Ora però si vive in un’era in cui tutto va ricercato e ricostruito. Bauman definisce questo un periodo d’interregno: «uno di quei momenti in cui gli antichi modi di agire non funzionano più, gli stili di vita appresi/ereditati dal passato non sono più adeguati all’attuale conditio humana, ma ancora non sono state messe in atto nuove modalità per affrontare le sfide, nuove forme di vita più adeguate alle nuove condizioni»25.

La precarietà è un’altra caratteristica della modernità liquida: l’incessante ricerca di soluzioni per i nostri problemi ci induce a continui cambiamenti, non abbiamo linee guide per cui agiamo per tentativi, per esperimenti.

L’idea di libertà collegata a quella di emancipazione è un punto cardine della modernità liquida ed è riscontrabile nella trasformazione delle relazioni sentimentali di cui Bauman parla nel libro Amore liquido. Chi vive in una società liquida-moderna non può avere legami fissi e stabili tipici della società del passato in cui parole come «finché morte non ci separi» non erano fonte di oppressione ma più che altro di sicurezza e stabilità. L’amore non è qualcosa che si può imparare o che possiamo prevedere e per cui dotarci di strumenti per gestirla l’amore arriva all’improvviso ed è incerto, instabile, non si può controllare. Richiede un impegno costante, impegno che l’uomo moderno non può dedicargli e per questo che oggi ci sono nuovi tipi di relazioni che richiedono minor fatiche e non hanno bisogno di promesse. La convivenza, relazioni virtuali e le coppie aperte sono rapporti che si possono creare con semplicità e con la stessa semplicità romperli. Rientra tutto nella logica consumistica: usa sinché non avrai un nuovo oggetto del desiderio e a quel punto potrai gettare via quello vecchio. Tutto ciò è possibile perché l’individuo sente di continuo il bisogno di essere amato e appagato per cui è sempre alla ricerca di nuove

                                                                                                               

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relazioni. L’amore liquido è proprio questo per Bauman: » un amore diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame»26.

La modernità implica: provvisorietà, vulnerabilità e tendenza a cambiare continuamente. Bauman sostiene che essere moderni significhi modernizzare, compulsivamente e ossessivamente: non tanto «essere» e tanto meno mantenere intatta la propria identità ma «divenire», restare perennemente incompiuti e indefiniti27.

In Modernità liquida Bauman analizza tutte le sfere che sono state toccate dalla fase di liquidità ovvero il lavoro, la comunità, l’individuo, il rapporto tra spazio e tempo.

Lo scrittore utilizza la metafora del camping per spiegare la fine della teorica critica: la società moderna è simile ad un camping per roulotte, accessibile ha chi ha una roulotte e chi paga e la quota per il soggiorno. I clienti vanno e vengono e nessuno fa molta attenzione alla gestione purché gli siano garantiti i servizi che hanno pagato. A volte può succedere che vi siano delle lamentele, che i clienti chiedano dei risarcimenti perché credono che il servizio non sia stato all’altezza della quota versata. Resta che finito il loro soggiorno, i clienti liberano la piazzola di sosta per continuare il loro viaggio e al camping tutto rimane com’era, a volte, dopo ripetute lamentele su alcuni servizi la gestione può decidere di apportare delle modifiche per migliorare il grado soddisfazione del cliente.

Allo stesso modo Adorno e Horkheimer avevano elaborato la teoria critica classica, nata da una modernità il cui progetto era l’ordine e la critica era orientata a un modello di casa comune con le sue norme e regole. Secondo Bauman la nostra

                                                                                                               

26Zygmunt  Bauman:  «le  emozioni  passano  i  sentimenti  vanno  coltivati».  Repubblica  delle  idee  

2012.     27Ibidem.  

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società è del tutto sorda a una critica di questo tipo e la «critica del consumatore» è sostituita da quella del produttore28.

Passando da una modernità solida a una liquida abbiamo perso tutte le nostre certezze soppiantate da una fase di forte deregolamentazione29 e flessibilità, i rapporti sociali di conseguenza sono cambiati e per cui al centro di questo sviluppo si trova proprio l’individuo con tutte le sue contraddizioni.

In passato uomini e donne sapevano per certo che i loro successi erano conseguenza delle loro capacità e sapevano di potersi fidare di un’autorità centrale, come poteva essere lo Stato, garante del progresso. Oggi come dice lo stesso Bauman: «il mondo pieno di possibilità è come un buffet ricolmo di prelibatezze che fanno venire l’acquolina in bocca, troppe perché anche il più agguerrito dei buongustai possa sperare di assaggiarle tutte. I commensali sono dei consumatori, e l’onere più gravoso e irritante che i consumatori sono chiamati a sostenere è la necessità di stabilire delle priorità : il dover abbandonare alcune opzioni e lasciarle inesplorate. L’infelicità dei consumatori nasce da un eccesso, non da una penuria»30.

Secondo Bauman, per scegliere tra le varie possibilità proposte intervengono in nostro aiuto, i talk-show i quali risolvono i problemi privati spostandoli nella sfera

                                                                                                               

28Zygmunt Bauman, Modernità liquida, op. cit., pp. 13-14.

29In un’intervista a Report il12/12/2010 Bauman spiega: «nella società che io chiamo della

modernità solida, i lavoratori e i padroni dipendevano gli uni dagli altri. I lavoratori dipendevano dai loro padroni per il loro sostentamento ma i padroni dipendevano dai loro operai per il loro lavoro .E quindi c’era una mutua dipendenza e quando c’è una mutua dipendenza nessuna delle due parti può vivere senza l’altra. C’era una situazione buona per negoziare, soddisfacente per entrambi. Potevano esserci liti, scontri, ma la fine si arrivava ad un accordo perché le parti sapevano che si sarebbero incontrate giorno dopo giorno, e per questo erano costretti ad elaborare una sorta di vita in comune.

Poi la situazione cambiò: ci fu la deregolamentazione e la possibilità di spostare i capitali in altri paesi molto velocemente, premendo il tasto di un computer. Fu così che i proprietari dei capitali cessavano di essere dipendenti dai lavoratori locali. La dipendenza ora è unilaterale, i capitali si possono spostare facilmente da un posto all’altro, dovunque ci siano condizioni più favorevoli per fare profitti, i lavoratori no. Per cui la mutua dipendenza è spezzata e con essa anche la possibilità di comunicare.».

http://www.youtube.com/watch?v=X3PGC4lhsmo.

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pubblica. La cosa più grave prodotta da questa confusione tra pubblico e privato è che, non affrontando temi pubblici nel medesimo ambiente, si ha la fine della Politica e quindi la fine dell’agire politico da parte del cittadino.

L’interesse per la politica è soppiantato dall’esclusiva preoccupazione dell’individuo circa i suoi consumi, giacché in essi s’identifica. Infatti, il consumo non è più legato alla sfera dei bisogni ma esclusivamente a quella dell’appagamento dei desideri.

Anche la concezione dello spazio è mutata: si tratta in realtà di quelli che il sociologo francese Marc Augè definisce non-lieuxintendendo per essi strutture in cui gli individui si muovono, come per esempio le autostrade, i centri commerciali, spazi in cui tanti individui si muovono senza avere nessuna interazione ma spinti solo dal desiderio di consumare. Augè parla di non-lieux in contrapposizione al luogo antropologico. L’etnologi definiscono luogo antropologico quel luogo abitato da individui legati al territorio, che si identificano con il luogo in cui vivono, pieno di storia. Augè definisce il luogo antropologico come quel luogo che non tutti conoscono ma in cui tutti riconoscono. Una società localizzata è quella in cui esiste una trasparenza fra cultura, società ed individuo: è un luogo geometrico fatto di linea, intersezioni e punti d’intersezione. Itinerari che gli uomini percorrono e che sono statti tracciati da altri uomini. Strade che conducono in centri dove si svolgono attività religiose e politiche, strade che conducono alle chiese e al municipio. La localizzazione del municipio nel centro della città indica l’importante vicinanza che esiste tra lo svolgimento della vita politica e i cittadini. I non-lieux sono i prodotti di quella che Augè definisce la surmodernitè, termine da lui creato per indicare la fase successiva a quella della postmodernità e fa riferimento a fenomeni sociali e culturali sviluppati con la globalizzazione. Per spiegare il concetto di surmodernitè l’antropologo si rifà a tre figure dell’eccesso:

1. L’eccesso di tempo: il tempo diventa qualcosa che non si riesce a pensare perché tempestati da un eccesso di fenomeni economici, sociali e storici;

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2. L’eccesso di spazio: dovuto al restringimento del pianeta e ai mezzi di trasporto che rapidamente accorciano le distanze e alle immagini della televisione che permettono di riconoscere posti che in realtà non conosciamo, 3. L’eccesso di ego: l’individuo si considera un mondo a sé e si propone di

interpretare da sé le informazioni che arrivano dall’esterno.

I non-lieux sono frutto di questa realtà così composta: spazi anonimi in cui l’individualità è persa, in cui l’antichità è qualcosa che non si cancella ma come dice Starobinski: «la modernità non li cancella ma li lascia sullo sfondo»31.

Prima viaggiando si potevano vedere diversi paesi ora si percorrono autostrade che di tanto in tanto informano di posti antichi, di monumenti e questo basta per pensare di conoscere la storia. I luoghi antropologici creavano socialità, collettività, i non-lieux creano quella che Augè definisce «contractualité solitaire» concentrata nel presente.

Bauman interpreta questi nuovi spazi come dei luoghi all’interno dei quali si muovono solo flussi di capitale, cercando sempre nuovi mercati per produrre profitti ottimizzando i costi. Con quest’osservazione anticipa le problematiche della globalizzazione che affronterà nelle opere successive.

Il nucleo dell’opera baumaniana è la teoria della modernità articolata in tre diversi momenti: modernità, postmodernità, modernità liquida.

Nell’ultimo periodo il sociologo affronta i problemi causati dalla globalizzazione, ma non abbandona i temi relativi alla liquidità. Più che altro secondo Tester, Bauman articola i suoi studi in metalivelli: al primo livello si occupa della «politica della vita» e quindi della globalizzazione, al secondo della condizione umana ovvero della modernità liquida. La globalizzazione è un fenomeno che si realizza fuori dalle nostre finestre ma anche all’interno data la «compressione dello

                                                                                                               

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spazio e del tempo» possibile grazie alla rapidità con cui possiamo muoverci se vicini a strumenti elettronici, le nostre azioni si muovono in uno spazio e non nel territorio da cui si sono originate.

La modernità degli ultimi due secoli si era preoccupata principalmente di garantire sicurezza ai cittadini, e lo Stato controllava i movimenti degli individui, proprio a tutela di questa sicurezza, e per bloccare ogni eventuale gesto incontrollato. La modernità così descritta agiva tramite quella che Bauman definisce «combinazione trinitaria» di territorio, Stato, nazione. Secondo Tester tutti questi aspetti erano legati l’uno con l’altro dato che il territorio era lo spazio entro il quale lo Stato rivendicava il suo monopolio; la nazione giustificava l’esistenza dei confini territoriali e legittimava lo Stato; lo Stato vigilava i confini del territorio 32.

La globalizzazione ha portato alla rottura di questa combinazione tant’è che Bauman definisce questo il periodo della «post-trinità». Il potere è detenuto dai flussi di capitali che circolano liberamente all’interno dei mercati indebolendo le economie nazionali che rivendicano la loro autonomia, ma in realtà non si reggerebbero se non si supportassero le une con le altre. Nell’analisi del sociologo, un mondo così impostato può produrre due tipi di guerre: le «guerre globalizzanti «al fine di conquistare nuovi territori in cui far circolare capitali e merci; e le «guerre indotte dalla globalizzazione»: la globalizzazione ha tolto valore economico agli spazi locali ma uomini e donne stanno sviluppando un attaccamento morboso a questi spazi, gli unici nei quali s’identifichino. Bauman sostiene che l’individuo è alla ricerca incessante di sicurezza e certezza per cui «il corpo, la casa, il vicinato, il quartiere diventano oggetto di preoccupazione e di ansia da protezione».

Questi tipi di guerre cercano in tutti i modi di contrastare i meccanismi globali facendo leva sulle risorse locali.

La conseguenza più drammatica cui ci costringe la globalizzazione è la crisi della politica, la sua perdita di potere non è diventata globale, al massimo può essere

                                                                                                               

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internazionale. Il potere che si è globalizzato è quello detenuto dalle banche, dalla finanza, dai media, dalla criminalità, dal terrorismo, dalla mafia.

La finanza globalizzata riesce ad imporre il suo potere cosa che non riescono a fare i governi e per ciò non riescono a imporre politiche valide.

Nel settembre 2012, Bauman interviene al festival della letteratura a Mantova parla della globalizzazione come qualcosa che ci succede oggi, senza che noi possiamo controllarla. Dice: «è come trovarsi seduti in aeroplano da passeggeri e ascoltare gli annunci pronunciati da una voce suadente e scoprire all’improvviso che nella cabina di pilotaggio non c’è assolutamente nessuno, che quella voce è stata registrata molto tempo fa, non sappiamo neanche dove»33.

Bauman prosegue dicendo che è un processo completamente fuori controllo e ogni qualvolta che qualcuna prova a suggerire che fare per migliorare la situazione sorgono interrogativi ancora più difficili: » chi sarà a fare qualcosa, chi saranno gli agenti e le agenzie che agiranno? In base a quale autorità, quale potere, con quali risorse potrà essere eventualmente attuata qualsiasi buona idea che venga avanzata per risolvere la globalizzazione del sistema, il disordine globale che contraddistingue la nostra situazione odierna».

Il problema della globalizzazione è, secondo Bauman, il fatto che è un processo unilaterale ossia si è globalizzato un solo aspetto della vita dell’individuo: «il movimento dei capitali, del denaro, delle merci da una parte all’altra del globo».

Nel libro la Solitudine del Cittadino Globale, l’autore affronta proprio questo problema. La confusione nata dalla multidimensionalità delle nostre vite, l’assenza d’istituzioni capaci di sostenere qualunque tipo di valori ha condotto gli individui al totale disinteresse per tali istituzioni, per tanto i cittadini hanno ormai rinunciato all’idea di poter «cambiare il mondo », l’uomo caduto nell’apatia si ritrova solo.

                                                                                                               

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Bauman sintetizza questo tema con il termine Unsicherheit che in inglese può essere tradotto come uncertainty e insecurity ( incertezza) e unsafety ( precarietà), sembrano tutti sinonimi ma in realtà il sociologo attribuisce un valore diverso a ciascun termine.

Per spiegare il termine Insecurity fa ricorso all’ossimoro «sicurezza insicura» e paragona la sensazione dei passeggeri sull’aeroplano quando scoprono che la cabina di pilotaggio è vuota a quella che prova il lavoratore in un mondo fatto di contratti a tempo determinato e flessibilità. Questa situazione lavorativa in continua trasformazione non motiva i lavoratori poiché le loro competenze non sono massimizzate da un meccanismo che rende obsolete conoscenze e specializzazioni appena acquisite.

Da qui non è difficile immaginare il motivo di allontanamento dell’uomo dall’attività politica e dalla sfera pubblica e quindi la perdita del senso di collettività.

L’individuo oggi è chiuso in se, le incertezze lavorative lo spingono a chiudersi in un mondo virtuale, a nascondersi in una realtà fittizia come quella che rende possibile la chat. Bauman rappresenta l’uomo di oggi come un «uomo modulare»: come i mobili componibili così la nostra identità, non è data alla nascita, ma costruita giorno per oggi e sempre aperta a nuove possibilità.

«L’uomo di oggi non è senza qualità, ne ha troppe»34.

Certezza incerta, così si potrebbe tradurre il termine Uncertainty, e così che agisce il mercato, anzi è questa la sua forza. Bauman vede il mercato come un gioco d’azzardo ma se il giocatore sceglie il rischio solo per gioco, il mercato invece lo impone come un destino cui non ci possiamo sottrarre. Il mercato ci impone uno stile di vita incerto e precario e questo indebolisce tutte le nostre certezze. Bauman paragona la condizione umana a quella di un viaggiatore e scrive : «Il viaggiatore non può scegliere quando arrivare né quando partire: nessuno ha scelto di essere inviato nel mondo, né sceglierà il momento in cui partire. L’orario degli arrivi e delle

                                                                                                               

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partenze non è compilato dai viaggiatori, e non c’è nulla che essi possano fare per modificarlo»35. La precarietà è paragonabile alla mortalità dell’uomo destino al quale nessuno può sottrarsi . Nel passato la fatalità di questo destino era placata dalla religione, dalle nazioni che riuscivano a dare un valore alla vita degli individui. La globalizzazione ha indebolito tutte le nostre certezze e anche il controllo dello Stato è ormai superfluo, persino la famiglia, istituzione forte per eccellenza, tende a sgretolarsi indebolita dalla fugacità delle nostre vite.

L’individuo è solo davanti ai talk-show ad ascoltare problemi di gente che non conosce, quando spegne la tv è ancora più chiuso nella sua solitudine.

La «sociologia morale» di Bauman non perde mai di vista il problema della sofferenza umana, sia quando parla degli operai degli anni Settanta e Ottanta che oggi quando si riferisce ai «nuovi poveri» prodotti dalla globalizzazione. Ad essa, il sociologo attribuisce la maggiore responsabilità per lo stato d’infelicità e vergogna cui sono costretti gli individui.

Bauman citando Cornelius Castoriadis afferma che il problema della nostra società nasce dal fatto che abbiamo «smesso di farci delle domande», la cosa più grave che possiamo fare è rassegnarci a vivere così. L’individuo preso dalla velocità con cui scorre la sua vita reputa superfluo porsi delle domande su ciò che siamo e facciamo oggi perché tanto sa che all’indomani le carte sul tavolo verranno mischiate. Gli oggetti liquidi non possono mantenere la loro forma costante nel tempo ma mutano in maniera imprevedibile, la fragilità della loro essenza richiama la debolezza dell’identità degli individui che vivono nella globalizzazione, costretti perciò, ad autodeterminare la propria identità per ottenere uno spazio nel mondo.

La continua ricerca d’identità provoca uno stato di forte ansia perché all’inizio la possibilità di reinventarsi di continuo per cercare il nostro io pare eccitante ma, tale eccitazione nel corso del tempo viene soppiantata dalla paura e dall’incertezza.

                                                                                                               

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Per liberarsi da questa situazione è necessario che uomini e donne si emancipino dalla sofferenza e dall’umiliazione, qui entra in gioco la sociologia che deve essere in grado di fornire gli strumenti affinché ciò sia possibile.

E’ questa la soluzione che Bauman propone a tutte le domande che ha sollevato: affidarsi alla sociologia «oggi è necessario più di quanto non lo sia mai stato in passato», perché la ragioni della sofferenza umana, non vanno solo mitigate, ma comprese.

«La sociologia è un ramo della conoscenza per cui il problema pratico che si sforza di risolvere è illuminazione volta alla comprensione dell’uomo»36.

                                                                                                               

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Capitolo II: L’Individuo tra modernità solida e post-modernità

Secondo Karl Polanyi il punto di partenza della grande trasformazione che sancì l’atto di nascita del nuovo ordine industriale fu la separazione dei lavoratori dai loro mezzi di sussistenza37.

I contadini perdevano il loro legame con la natura per iniziare a muoversi nei corridoi delle grandi fabbriche dove, da quel momento in poi, si sarebbe svolta la loro vita. Una volta che i lavoratori compresero che il lavoro era produttore di ricchezza divenne subito chiaro che il loro compito era di sfruttare tale risorsa il più possibile. L’individuo sembrava inebriato dalla sua stessa capacità di cambiare le cose, niente sembrava irraggiungibile e nulla doveva essere lasciato com’era se poteva essere più bello, utile ed efficace.

In questi anni, nell’industria fordistail destino dei capitali e del lavoro era il medesimo poiché tra i due vi era una mutua dipendenza e s’incontravano tutti i giorni nello stesso ambiente. Non era da escludere che chi iniziava a lavorare in fabbrica come apprendista avrebbe potuto terminare la carriera lavorativa nella stessa fabbrica. Questi rapporti a lungo termine, ovviamente consolidavano i rapporti legando il futuro del lavoratore a quello del possessore di capitali, entrambi erano perciò interessati a raggiungere una forma di collaborazione quanto più tollerante possibile.

Bauman definisce questo momento della storia come l’era della modernità solida in cui regnano sovrani bellezza, ordine e pulizia. Cose alle quali non si poteva più rinunciare senza che ciò producesse dolore e dispiacere.

Anche Freud nel suo libro Disagio della civiltà, parla dell’ordine come fattore importante della modernità, anzi come punto di partenza per la realizzazione della modernità stessa..

                                                                                                               

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Scegliere l’ordine comportava anche fare delle rinunce e gli individui preferirono sacrificare un po’ della loro libertà a vantaggio della sicurezza che scaturiva dall’ordine.

Bauman sostiene che la parola chiave della modernità fosse la parola «creare», infatti l’individuo moderno fu il primo a porsi il problema dell’identità come qualcosa che andava costruita e che doveva rimanere solida e stabile. Il problema principale della costruzione dell’identità era la sua durabilità nel tempo e per questo doveva essere costruita «in acciaio e cemento».

Bauman in La società dell’incertezza ricorre alla figura del pellegrino per spiegare la vita moderna. Per i pellegrini l’unico mondo possibile è quello che si trova sempre a una certa distanza da loro. Nella terra che abitano, chiamata società moderna, vivono di pellegrinaggio per necessità, per non rischiare di perdersi in un deserto, per evitare di vagabondare senza una meta. In concreto, per l’uomo moderno o per il pellegrino, questo significa essere sempre lui a scegliere dove andare e quando fermarsi, in altre parole è lui il costruttore della sua identità.

Nel lungo pellegrinaggio alla ricerca della sua identità l’uomo moderno non ha risolto il problema di come conservarla, il deserto sembrava un luogo dove si potesse disegnare con facilità un percorso, data la mancanza di configurazione che lo caratterizza, ma non avevano considerato che nel deserto ogni cosa poteva essere spazzata via con molta facilità dal vento che improvvisamente può alzarsi.

Nel tentativo di rendere le cose solide e durature l’uomo ha compiuto degli errori che hanno reso queste cose leggere e flessibili al solo scopo di riuscire a plasmarle in base alla sua volontà.

Inseguendo l’obiettivo di una società ordinata la modernità ha condotto una battaglia ai danni dello straniero, visto come chi, non essendo in grado di procurarsi una propria identità e rispettare i canoni di ordine, seminava incertezza dove doveva crescere certezza e trasparenza.Lo straniero era visto come un difetto da correggere, come un momento della storia che non sarebbe esistito nell’ordine futuro.

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