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Il “Grafton Group”: Roger Fry, Vanessa Bell e Duncan Grant, tra Postimpressionismo e Astrazione

1 «Look at it for more than two minutes!»: il New Movement di Roger Fry

2. Il “Grafton Group”: Roger Fry, Vanessa Bell e Duncan Grant, tra Postimpressionismo e Astrazione

Tra le nuove leve della cerchia di giovani artisti che ruotava intorno a Fry senza dubbio Vanessa Bell e Duncan Grant furono tra le personalità emergenti più vicine al suo progetto modernista, capaci di incarnarne, nella vita e nell’arte, le istanze progressiste nel modo più vivo e dinamico. Insieme con Fry, in veste di pittore oltre che di organizzatore, la Bell e Grant furono tra gli inglesi esposti alla seconda mostra postimpressionista dove, però, furono accolti piuttosto tiepidamente dalla critica. Mentre a Duncan Grant si riconobbe un buon talento di «colourist by nature who experiments with different methods of execution to see which will express his sense of colour best», le opere della Bell apparvero più che altro «simple and razionale». Ma l’arte classica, continua: «Produce tali effetti incidentalmente, mai ricercandoli; e parla al sentimento con troppa discrezione, si esprime in maniera troppo sobria, e ha una qualità di bellezza troppo severa, per poter soddisfare le masse», B. BERENSON, I pittori italiani del Rinascimento, BUR, Milano 2012, pp. 289-290.

168 pleasant» e alcuni paesaggi di Fry sembrarono persino più impressionisti che postimpressionisti, «heavy and dead in the masses of the rock»456.

Nel complesso gli inglesi furono classificati come imitatori, a seconda dei casi, della “maniera” di Cézanne o di quella di Matisse e, soprattutto, come coloristi più che come costruttori di forme. Sacrificando la massa al colore, il rischio intravisto già nel ’12 era quello di scadere in una pittura di vuoto decorativismo: «Without a strong underlying sense of mass and form a Post-Impressionist picture is empty rather than simple; and emptiness betrays itself more quickly in Post-Impressionist pictures than in others»457.

Muovendosi tra Cézanne e Matisse, sfiorando appena, come vedremo, Picasso e Kandinsky, Vanessa Bell e Duncan Grant riusciranno comunque a maturare negli anni uno stile personale, per noi oggi riconoscibilissimo, tanto che, senza esitazioni, possiamo definirlo “lo stile di Bloomsbury”. È vero però che, anche in tempi più recenti, ci si è interrogati sull’effettivo apporto di originalità di questi artisti, giudicati da Charles Harrison, ad esempio, non «really competent painters», così come «many of Fry’s own paintings of the period look – ancora secondo il giudizio di Harrison – like rough-hewn pastiches of Cézanne»458.

Frances Spalding, al contrario, autrice anche delle biografie ufficiali di Vanessa Bell e di Duncan Grant, ne mette in risalto l’abilità trasformista, tanto che proprio negli anni 1910-’12 riuscirono a tal punto ad assimilare le novità del linguaggio postimpressionista da passare dall’elegante ritrattistica di gusto edoardiano ad una perfetta sintesi formale “alla francese” in opere come The Tub, Grant, e Studland

Beach, la Bell459.

La «Britain’s “splendid isolation”» aveva consolidato per tutta l’epoca vittoriana il successo di una pittura narrativa e sentimentale, riflesso dei valori morali di rettitudine e rispetto delle conformità sociali in cui il pubblico amava, forse anche falsamente, riconoscere la propria buona condotta di vita, o almeno sperare di

456

The Post-Impressionists: Some French and English Work, «The Times», 21 October 1912, in Post-Impressionists in England. The Critical Reception, cit., pp. 380-381.

457

Ibidem. 458

Cfr. C. HARRISON, English Art and Modernism 1900-1939, Paul Mellon Centre for Studies in British Art, Yale University Press, New Haven 1994, in particolare p. 60 e p. 69. 459

169 eguagliare un simile modello di perfezione: proprio perché i vittoriani non furono tutti dei santi, l’arte poteva offrire loro il mezzo con cui calarsi in una catarsi etica che avrebbe ripulito la società dalle brutture dei loro stessi peccati. Le opere selezionate per le esposizioni annuali della Royal Academy erano, dunque, espressione di un mondo che trovava in se stesso le ragioni del suo vivere, la compiaciuta soddisfazione nel constatare di essere “il miglior mondo possibile”. L’Impressionismo aveva avuto il tempo di innestarsi, seppur lentamente, con la tradizione del paesaggio inglese alla Constable-Turner, senza suscitare particolari scossoni nell’establishment ufficiale, tanto che una scena marina come The Beach di Laura Knight, di chiara derivazione impressionista, poté senza problemi essere accettata dalla Royal Academy460. Siamo, però, nel 1909. Il New English Art Club, fondato nel 1886 proprio con l’intento di dar voce alle più recenti tendenze pittoriche impressioniste, finì col diventare un’istituzione accademica parallela all’Academy e, a dispetto delle intenzioni iniziali, arroccata in un conservatorismo impenetrabile che aveva fatto dell’Impressionismo il solo verbo perseguibile dai pittori moderni461. Fry, che ne fu membro, si vide costretto a dimettersi dal suo comitato nel 1908, non trovandosi più per nulla in linea con le sue scelte.

In un clima del genere, quindi, non sorprende che la Londra del 1910 gridò allo scandalo di fronte a dei dipinti che, come scrisse il critico Robert Ross, sembravano voler distruggere di colpo l’intera tradizione artistica europea, per di più sotto l’avallo di un nome autorevole come quello di Roger Fry: «When the first shock of merriment has been experienced there must follow, too – confessava – a certain feeling of sadness that distinguished critics whose profound knowledge and connoisseurship are beyond question should be found to welcome pretension and imposture»462.

460

Ivi, p. 20. 461

Grande sostenitore degli impressionisti e acerrimo nemico di Fry nella sua campagna di promozione a favore del Postimpressionismo era stato D. S. MacColl (1859-1948). Curatore della Tale Gallery dal 1907 al 1911 e, poi, della Wallace Collection fino al ’24, MacColl smontò tassativamente le teorie di Fry e di Bell sul nascere, continuando a giudicarle del tutto inconsistenti anche negli anni successivi, cfr. D. S. MacCOLL,

Confessions of a Keeper and Other Papers, Alexander MacLehose & Co., London 1931.

462

R. ROSS, The Post-Impressionists at the Grafton: The Twilight of the Idols, «Morning Post», 7 November 1910, in Post-Impressionists in England. The Critical Reception, cit., p. 101.

170 Al contrario, la nuova generazione di artisti inglesi salutò lo sbarco di quei francesi oltremanica come la riprova che qualcos’altro si stava muovendo nel vecchio continente, riconoscendo proprio nel Postimpressionismo la spinta che stava aspettando per intraprendere, su quella strada, stimolanti sperimentazioni, con Fry quale protettivo mentore al suo fianco.

Vanessa Bell (1879-1961), nata Stephen, sorella di Virginia Woolf e moglie di Clive Bell, aveva frequentato la Royal Academy School dal 1901 al 1904, passando poi alla prestigiosa Slade School of Fine Art nel 1905. L’abbandonò ben presto, però, trovando insopportabili le lezioni di disegno di Henry Tonks, riscoprendosi per nulla incline al noioso lavoro di copia dai modelli degli antichi maestri.

«I have decided not to go back to the Slade at all because I think I should waste my time there either in drawing or painting, but at this moment I have nothing to do here» – scriveva rassegnata all’amica pittrice Margery Snowden – per poi aggiungere interessanti considerazione sulla sua idea di pittura:

«It really would not be difficult to paint like Watts (this is quite serious) if one didn’t try to get something more out of paint than he thought worth while, and if one had a certain amount of artistic feeling and had looked a good deal at the Venetians. Having done these things, which it doesn’t need a great genius to do, one ought to begin the real work of mastering oil paint, and then one might have some chance of doing fine work. One thing that consoles me always in painting is that I believe all painting is worth while so long as one honestly expresses one’s own ideas»463

.

Per dar libera voce alle «one’s own ideas», Vanessa inaugurò nell’ottobre del 1905 il Friday Club, luogo di incontro e discussione di giovani artisti che, proprio come la Bell, lavoravano ai margini dell’ufficialità accademica, non riconoscendosi nei dettami dei suoi insegnamenti e, per questo, esclusi dal circuito ufficiale delle esposizioni londinesi. Gli incontri del venerdì di Vanessa, così come quelli del giovedì sera organizzati dal fratello Thoby con i suoi amici di Cambridge, costituiranno il cuore pulsante dell’intelligentia di Bloomsbury che farà del 46 di Gordon Square il teatro di uno dei circoli intellettuali più variegati e affascinanti del Novecento modernista.

463

Lettera di Vanessa Bell a Margery Snowden, 11 gennaio 1905, in Selected Letters of

Vanessa Bell, edited by Regina Marler, Moyer Bell, Wakefield, Rhode Island & London

171 È ancora quel 1910 a tornare in mente a Vanessa nelle sue memorie come l’anno della svolta, quando la mostra di Fry sembrò averle rivelato d’un tratto la strada da percorrere:

«Here was a sudden pointing to a possible path, a sudden liberation and encouragement to feel for oneself which were absolutly overwhelming. Perhaps no one but a painter can understand it and perhaps no one but a painter of a certain age. But it was as if one might say things one had always felt instead of trying to say things that other people told one to feel. Freedom was given one to be oneself and that to the young is the most exciting thing that can happen. […] That autumn of 1910 is to me a time when everything seemed springing to new life – a time when all was a sizzle of excitement, new relationships, new ideas, different and intense emotions all seemed crowding into one’s life. Perhaps I did not realize then how much Roger was the centre of it all»464.

Fortemente colpita da quanto Fry andava teorizzando nella sua campagna pro postimpressionisti, Vanessa mutò in breve tempo il proprio modo di dipingere che, fino ad allora, si muoveva tra il realismo di Sickert e le tendenze impressioniste di Whistler. Ancora all’amica Margery Snowden scriveva nel 1905:

«You see my method is the same as Whistler’s, only he used many more layers than I should because he painted very thinly – which I can’t, now at any rate, get myself to do. But the important point, which I believe I haven’t realised before, is that he didn’t put the right colour on at once. It was probably almost a monochrome to start with and I suppose he only got the right colour at the end. I expect that the most beautiful surface is got his way, but I can’t paint thinly enough to do that for one thing, and also in sketching I am not sure that it would be possible»465.

Come lei stessa racconterà molto più tardi in un’intervista del 1925, lo scopo di tutto il suo lavoro era sempre stato quello di far emergere, di rivelare, il «painter’s world of form and colour»466, trovandosi in questa sua missione in piena sintonia con le idee formaliste di Fry e di Bell. Tuttavia, nonostante l’inevitabile influenza che i due critici eserciteranno su di lei, il formalismo pittorico di Vanessa si assestò, specie nelle numerosissime nature morte, su di un sottilissimo filo di “sospensione

464

Citato in F. SPALDING, Vanessa Bell, A Harvest/HBJ Book, San Diego-New York- London 1985, pp. 92-93.

465

Lettera di Vanessa Bell a Margery Snowden, 13 agosto 1905, in Selected Letters of

Vanessa Bell, cit., p. 35.

466

172 meditativa” tra interiorizzazione visiva e azione pittorica, nell’incanto imperturbabile di una dimensione intima, familiare, materna, congeniale alla sua natura sognatrice ma al contempo pragmatica467.

Esposto al New English Art Club nel 1909, Iceland Poppies è da sempre considerato il lavoro più riuscito della “prima maniera” della Bell: una natura morta con tre papaveri distesi su di un tavolo, in primo piano, e poco più indietro un vaso da farmacista con accanto la bottiglietta di un medicinale e una ciotolina. Nella sua assoluta semplicità e nell’impalpabile delicatezza dei suoi colori «not only stirs aesthetic emotions – prescindendo dal soggetto rappresentato – but suggests a depth of feeling beyond immediate appearances»468.

In realtà, come sottolineato da Frances Spalding, per quanto la Bell rifuggisse da una pittura narrativa, il suo rapporto col soggetto fu molto più complesso di quello che può sembrare. Il più delle volte, infatti, la sua fu una “pittura di contenuto”, in cui un riferimento a fatti e persone è spesso implicito – pensiamo ai suoi numerosi ritratti di amici e familiari – così che «even her still lifes, interiors and garden scenes rarely deal with “pure form” but often seem deliberately arranged to arouse associations»469. Ciò nonostante proprio con un dipinto come Iceland Poppies, Vanessa traduce visivamente in pittura la differenza che crede esserci tra Impressionismo e Postimpressionismo: i protagonisti della sua natura morta sono costruiti interamente mediante la linea di contorno che definisce «flattened but full, boldly encompassing forms»470 e che, nel tempo, si andrà a inscurire e a inspessirsi sempre più, in concomitanza della sua crescente familiarità con le opere dei postimpressionisti francesi, di Gauguin e Van Gogh in particolare,

467

Delle nature morte di Vanessa Bell e Duncan Grant, Richard Morphet ha scritto: «The sense increased of each picture as a contained world, rich in its particular combination of associations, transmitting delight in the direct material realities of the motif, yet simultaneously exposing the painter’s means of brushstroke, accent, hue. As with the also quiet, direct yet sensous still lives of Braque or Morandi, such pictures brought the viewer close to the artist’s mind at work. They also seemed to trap the passage of time during their making», R. MORPHET, Image and Theme in Bloomsbury Art, in in The Art of

Bloomsbury, edited by Richard Shone, Princeton University Press, Princeton 1999, p. 34.

468

S. MARTIN, Before Post-Impressionism: Vanessa Bell’s Iceland Poppies, «Canvas - News From Charleston», 18, 13 January 2011.

469

F. SPALDING, Vanessa Bell, cit., p. XIV. 470

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Vanessa Bell