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Olio su pannello di legno Collezione privata

198 problema quello che la critica si è trovata ad affrontare in questo senso. Senza dubbio il fervido ottimismo che animò gli ambienti artistici negli anni prebellici, a Londra come nelle altre capitali europee, favorì una spinta alla sperimentazione e un’apertura intellettuale che si sarebbero purtroppo spente all’indomani della guerra.

Come Vanessa Bell scrisse nei suoi diari, nel 1904, con la scomparsa del padre, Leslie Stephen, un eminet victorian, le sembrò che anche tutto quell’asfissiante bagaglio di buoni costumi di rettitudine e di compostezza sociale, di cui la regina Vittoria era stata per decenni l’esempio più illustre e decoroso per qualsiasi inglese rispettabile, fosse all’improvviso svanito per sempre. Sgomberata la mente dagli obblighi e dalle costrizioni familiari, finalmente, poteva considerarsi affrancata dalle catene di un’esistenza precocemente spenta, impolverata com’era dalla coltre di angoscia in cui, con i fratelli, aveva trascorso le sue giornate nella casa di Hyde Park Gate, adesso felicemente abbandonata per la ben più ariose stanze bianche di Gordon Square512. Ma dopo dieci anni, nel 1914, le sembrava che la guerra si stesse

512

Frequenti, anche nelle memorie di Virginia Woolf, i rimandi alle case ove abitò insieme ai propri cari, quasi a sancire un connubio inscindibile tra lo scorrere delle stagioni della propria vita e gli ambienti che gli fecero da sfondo; negli anni Trenta, ricordando l’adolescenza trascorsa ad Hyde Park Gate, scriverà: «Here of course, from my distance of time, I perceive what one could not seen then – the difference of age. Two different ages confronted one another in the drawing room at Hyde Park Gate: the Victorian Age and the Edwardian Age. We were not his children, but his grandchildren… The cruel thing was that while we could see the future, we were completely in the power of the past. That bred a violent struggle. By nature, both Vanessa and I were explorers, revolutionists, reformers. But our surroundings were at least fifty years behind the times», V. WOOLF, Moments of

Being, p. 33, citato in N. E. GREEN, From Little Holland House to Charleston: Bloomsbury’s Victorian Inheritance, in A Room of Their Own. The Bloomsbury Artists in American Collections, edited by Nancy E. Green and Christopher Reed, Herbert F. Johnson

Museum of Art, Cornell University, Ithaca-New York 2008, p. 28.

Decise a lasciare Kensington, Virginia ricorda come, con Vanessa, con alla mano una cartina di Londra, avessero alla fine scelto il quartiere di Bloomsbury per iniziare lì una nuova «life afresh». Come ricorderà Vanessa: «It seemed as if in every way we were making a new beginning in the tall, clean, rather frigid rooms, heated only by coal fires in the old-fashioned open fireplaces. It was a bit cold but it was exhilarating to have left the house in which had been so much gloom and depression, to have come to these white walls, large windows opening onto trees and lawns, to have one’s own rooms, be master of one’s own time, have all the things in fact which come as a matter of course to many of the young today but so seldom then, to young women at least», V. BELL, Sketches in Pen and Ink, edited by Lia Giachero, Pimlico, London 1997, p. 99.

Sugli “spazi di Bloomsbury”, si legga C. REED, Bloomsbury Rooms. Modernism,

Subculture and Domesticity, cit., e A. TROTTA, “It’s Heaven!”. Atelier e case d’artista da Kensington a Bloomsbury, in Atelier d’artista. Gli spazi di creazione dell’arte dall’età moderna al presente, a cura di Stefania Zuliani, cit., pp. 85-98.

199 già portando via le sue belle speranze di giovane pittrice e quelle di tutti gli altri

Bloomsberries che, come lei, avevano creduto di poter continuare a vivere la

propria esistenza immersi tra le parole delle loro conversazioni tra amici e circondati dall’allegria dei colori dell’arte che, in uno «spirit of fun», Fry aveva insegnato loro ad apprezzare. Per fortuna, però, l’arte di Vanessa, così come quella di Duncan, avrebbe loro concesso, e ancora per molti anni, «the magic power to produce a world of their own»513.

3. Art: il “triangolo estetico” di Clive Bell

«Art is nature seen in the light of its formal significance»514. È Leo Stein a condensare in questa citazione molto delle riflessioni di Roger Fry e Clive Bell sul significato dell’arte. A pensarci bene, infatti, non è difficile immaginare, idealmente, i due critici dalla parte di Leo, che preferì ritirarsi a Firenze con i suoi Cèzanne, i Renoir e i Matisse, che non dalla parte della ben più ardita Gertrude che, rimasta a Parigi, continuava a comprare opere di Picasso del più fervido periodo cubista515. E in linea con i due inglesi, è anche l’apprezzamento di Leo Stein nei riguardi di Cézanne:

513

A. GARNETT, The Eternal Moment, Puckerbrush Press, Orono 1998, p. 38. 514

Citato in J. JOHNSON SWEENEY, Gertrude Stein’s Brother Leo: A Gifted and Lonely

Figure, cit., p. 7.

515

Con questo non si vuole suggerire l’idea che Fry e Bell preferissero Matisse a Picasso. Al contrario, sebbene sia stata l’influenza di Matisse la presenza dominante nelle scelte stilistiche degli artisti di Bloomsbury, sia Fry che Bell riconsiderarono con toni positivi, retrospettivamente, il ruolo svolto da Picasso all’interno del New Modern Movement inaugurato nel ’10. Siamo ormai negli anni Venti quando i due critici sono pronti a insignirlo del titolo di “maestro”, esattamente come avevano fatto dieci anni prima con Cézanne (Cfr. C. BELL, Matisse and Picasso, «The New Republic», 19 May 1920). Sebbene non riuscisse ancora a cogliere l’effetto emozionale delle sue astrazioni cubiste, Fry si dice, nel 1921, ammirato dalla costante ricerca sperimentatrice di Picasso: «Whether the abstract picture succeeds in ex pressing and arousing emotion as fully and more purely than representative pictures or fails, the effort in either case has been of immense importance to art in throwing us back on the internal necessities of design. It has forced us to explore and understand those laws which artists are always tending to lose sight of under pressure of the interest and excitement of representation. Many first ago, when first these abstraction paintings were brought to our notice, I said that it would be impossible to judge at once how far they would succeed; that we must wait to see how much our response to such abstract appeals to the visual sense could be developed. I think the lapse of time has

200 «Cézanne’s essential problem is mass and he has succeeded in rendering mass with a vital intensity that is unparalleled in the whole history of painting. No matter what his subject is – the figure, landscape, still life – there is always this remorseless intensity, this endless unending gripping of the form, the unceasing effort to force it to reveal its absolute self-existing quality of mass. There can scarcely be such a thing as a completed Cézanne»516.

Potremmo leggere dietro la qualità della massa menzionata da Leo Stein, la qualità della plasticità intorno a cui si concentrerà l’analisi formalista dell’arte suggerita da Fry. Con piglio più deciso, sarà però Clive Bell a sancire con la pubblicazione di

Art nel 1914, la creazione di quell’intricato binomio forma-emozione intorno a cui

si è costruita di lì in poi la sua fama, al fianco di Fry, di padre teorico del formalismo inglese.

A differenza di Bell, però, Fry ha affrontato le insidie del formalismo anche dal punto di vista dell’artista. Pittore tra i pittori, ha vissuto con loro le difficoltà del perseguimento di un riconoscimento ufficiale nella società e nella cultura artistica del tempo, vivendone al contempo le preoccupazioni operative, pratiche, di chi per la prima volta tentava di lavorare al di fuori dei canoni imposti dallo “splendido isolamento” insulare della Gran Bretagna.

Nel suo lavoro di pittore, così come in quello di critico, Fry procedeva dalla pratica alla teoria. Il fatto che spesso non fosse riuscito a riconvertire la teoria formulata in una pratica critica che andasse di pari passo con la pratica pittorica ha sicuramente complicato, persino compromesso, una lettura chiara del suo apporto di critico formalista allo studio della storia dell’arte. Ricordando Fry, Desmond MacCarthy ha scritto:

«His intellectual integrity matched the genuineness of his sensibility. There is no trace of “bug-bear” verbiage in his writings. In reading him you never feel that you shown that our sensibility in this direction is capable of development», R. FRY, Picasso, «The New Statesman», 29 January 1921, in A Roger Fry Reader, cit., pp. 344-345.

Similmente Bell, che frequentava abitualmente Picasso e Derain durante i suoi soggiorni in Francia, scriverà di lui nel ’36: «Picasso, one realizes, whether one likes it or not, Picasso, the most visual of poets, is a literary painter. He always was: again and again his pictures express an emotion that did not come to him through the eyes alone. Matisse, by comparison, is aesthetic purity itself; and that may account to some extent for the wider influence of Picasso», C. BELL, Picasso’s Mind, «The Living Age», August 1936, p. 532. 516

Citato in J. JOHNSON SWEENEY, Gertrude Stein’s Brother Leo: A Gifted and Lonely