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Olio su tela Tate Gallery, Londra

182 Il profilo di Grant, così come tracciato da Fry nel testo, delinea precisamente quell’ideale di artista immaginativo da sempre da lui ricercato, tanto negli antichi quanto nei moderni.

«Why did Bloomsbury take Duncan up?» – si è chiesto Kenneth Clark, per poi rispondere:

«I think it must have been largely through the influence of Roger Fry – notava – who recognized that he was the only painter in England since Sickert whose work could be shown without embarrassment to a cultivated Frenchman. When Fry first praised them, he was painting quasi-abstract decorative pictures of the kind that fitted in well with Fry’s theories. But no one who loved life and visual experience as much as Duncan did could have remained an abstract painter for long, and very soon flowers began to appear on his canvases, and seductive nudes in pastel on large sheets of paper. Roger Fry accepted them, although he may secretly have wished that Duncan had stuck to his brown and green still lives, which to some extent he did, painting seriously worked out pictures which were hard to distinguish from those of Vanessa»486.

La testimonianza di Lord Clark è particolarmente significativa perché ci suggerisce degli spunti di riflessione davvero interessanti su quelle che furono le influenze reciproche intercorse tra Duncan Grant, Vanessa Bell e Roger Fry. Il loro caratteristico “stile Bloomsbury”, strettamente legato al Postimpressionismo parigino all’indomani delle due mostre alle Grafton Galleries, fu in realtà ben poco scandaloso negli anni successivi. Soprattutto i prodotti dell’Omega e le opere che Duncan e Vanessa realizzeranno a Charleston, la farmhouse nel Sussex dove si trasferiranno nel 1916 per sfuggire al soffocante clima di ansie e paure in cui Londra era piombata a causa della guerra, rispecchiano un intimo desiderio di armonia, gioia, serenità. Poco preoccupati di ottenere una resa finita perfetta, non mostrando particolare attenzione per i dettagli, Grant e la Bell realizzeranno opere dai colori vivaci e accattivanti, ma per alcuni fin troppo semplificate, a volte quasi lasciate volutamente in uno stato di abbozzo. La loro era una tendenza all’evocazione più che alla descrizione, ed è per questo che è ancora più sorprendente vedere quanto ci sia di Virgina Woolf nei celebri Faceless Portraits che Vanessa fece alla sorella: percepiamo la sua presenza, intuiamo che si tratta di lei, è riconoscibilissima per il suo modo di sedere, la testa leggermente reclinata,

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K. CLARK, Duncan Grant, in D. BLAIR TURNBAUGH, Duncan Grant and the

183 quasi a voler sostenere il peso della sua macchinosa mente di scrittrice, l’ingombro della sua stessa personalità. É lei – «it’s more like Virginia in its way than anything else of her», dirà Leonard487 – è lì, la vediamo ma è come se non la vedessimo. Il suo viso ci è negato, il suo sguardo ci è precluso. É per una volta privata della parola, è cieca e muta di fronte a noi, disarmata: è in questo momento che capiamo che a parlarci non può essere la bocca di Virginia, semplicemente perché non c’è bocca che possa parlare. È, invece, la mano di Vanessa pittrice a indicarci la via: siamo “in ascolto” di un quadro di Vanessa, non di un libro di Virginia e inutile sarebbe da parte nostra metterci in attesa di un sibilo della sua voce perché, nella tela, Virginia forse non c’è neppure, ma è Vanessa che si sta rivelando, è lei che ci sta parlando della grande sorella scrittrice, è lei che ci sta invitando ad immergerci nel loro mondo, ad entrare nella loro casa, per partecipare, con lei e Virginia, ad una conversazione silente, senza bocche e senza occhi488.

Meno intimista ma più liberamente sperimentatrice, la pittura di Grant. «I never took very much notice of what people said – ammetteva l’artista – but kept to my instincts and to what I had learned from painters like Piero della Francesca, Masaccio, Chardin, and of course Cézanne»489.

Alla spontaneità di uno spirito libero ed anticonformista, si univa, quindi, un grande amore per la più alta tradizione pittorica, terreno fecondo sul quale seminare coraggiosamente le “trovate” dei moderni. Se la tecnica del mobbling e la cosiddetta

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Così Leonard Woolf nel 1965 riferendosi al ritratto Virginia Woolf in a Deckchair, dipinto da Vanessa nel 1912, citato in R. SHONE, The Artists of Bloomsbury: Roger Fry,

Vanessa Bell and Duncan Grant, in The Art of Bloomsbury, cit., p. 99.

Nella serie dei Faceless Portraits Frances Spalding suggerisce l’idea di vedere «even if Bell did not follow a logical progression», il graduale spostamento della pittrice «from representation to abstraction», F. SPALDING, Virginia Woolf. Art, Life and Vision, National Portrait Gallery Publications, London 2014, p. 83.

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Sulla complessità del mutamento dell’immagine in parola di fronte ad una «pittura silenziosa» come quella di Vanessa Bell e sul confronto costante tra l’art writing di Virginia Woolf e l’approccio critico di Roger Fry, si legga J. R. QUICK, Virginia Woolf,

Roger Fry and Post-Impressionism, «The Massachusetts Review», Vol. 26, N. 4, Winter

1985, pp. 547-570; T. MARINO, Dall’ekphrasis alla narrazione: la scrittura visiva di

Virginia Woolf, «Arabeschi», N. 1, gennaio-giugno 2013, pp. 51-62; F. ORESTANO, La parola e lo sguardo nella letteratura inglese tra Ottocento e Modernismo, Adriatica

Editrice, Bari 2005, in particolare pp. 321-375 e il volume di F. DE GIOVANNI, La pagina

e la tela. Intersezioni in Virginia Woolf, Giannini Editore, Napoli 2007.

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Citato in D. BLAIR TURNBAUGH, Duncan Grant and the Bloomsbury Group, cit., pp. 36-37.

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Vanessa Bell