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1. Il noi dei politici italiani

1.3 Il noi “in grigio” di Romano Prodi

Nel contributo di Maria Vittoria Dell’Anna (2006: 33) relativo a Romano Prodi, la studiosa definisce “grigia” la lingua di Prodi, intendendo dire da una parte che si tratta di «una lingua un po’ fuori dagli schemi del “politichese” della Seconda Repubblica» dall’altra, in positivo, si tratta di «una lingua che non va mai oltre le righe, che stenta ad adeguarsi ai toni urlati dell’ultima fase della propaganda politica e che può risultare anonima, “grigia” appunto, e poco incisiva». Nonostante ciò alcuni aspetti del linguaggio di Prodi nel tempo subiscono un cambiamento e il suo discorso tende ad accogliere via via alcune caratteristiche generalmente attribuite ai propri avversari (primo fra tutti Berlusconi, suo rivale nelle campagne elettorali 1996 e 2006), tra queste vi è la personalizzazione i cui tratti «si individuano nella scelta della persona e dell’agente che si vuol far percepire come soggetto parlante e quindi innanzitutto nella scelta dei pronomi personali soggetto, della persona e del numero e della forma verbale e degli aggettivi possessivi» (Dell’Anna 2006: 38). Tale caratteristica, nota Dell’Anna, subisce infatti un’evoluzione lungo la carriera politica di Romano Prodi con un progressivo aumento della I persona singolare fino quasi a raggiungere la I persona plurale. La studiosa divide in tre periodi il corpus che utilizza per le sue analisi:

a) primo periodo: costituzione dell’Ulivo e campagna elettorale per le elezioni politiche del 21 aprile 1996

b) secondo periodo: governo Prodi (22 maggio 1996 – 7 ottobre 1998) e primi mesi successivi alla crisi

c) terzo periodo: candidatura alle elezioni politiche del 9 e 10 aprile 2006 (gennaio 2004 – marzo 2006)

Riportiamo di seguito alcuni risultati tenendo conto che tali dati raccolgono «solo le forme del pronome personale espresso e non anche tutte le forme verbali con soggetto sottinteso» (Dell’Anna 2006: 38):

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b) secondo periodo: io 0,71%, noi 2,88%, soggetto impersonale 1,74%; c) terzo periodo: io 1,09%, noi 1,25%, soggetto impersonale 0,82%.

Relativamente alla I persona plurale, oggetto del nostro interesse, pur essendo presente la crescente “concorrenza” di io, noi rimane il pronome più frequente senza contare che nell’analisi di Dell’Anna (2006: 38) «per le occorrenze di noi sono state conteggiate solo quelle con funzione di soggetto riferite alla parte politica di appartenenza; si sono escluse, quindi, quelle che hanno valore inclusivo pieno, che si riferiscono cioè alla popolazione italiana, all’insieme di emittente singolo e/o collettivo e di destinatario (uso che rientra nella generale tecnica comunicativa di émbrayage attanziale solitamente adottata dai politici)». Le percentuali considerate sono dunque solamente in parte indicative del reale uso che Prodi fa del noi nelle sue diverse sfumature. A partire dagli stessi confini di analisi si raggiungono esiti simili anche relativamente alle occorrenze degli aggettivi possessivi (Dell’Anna 2006: 38):

a) primo periodo: mio 1,44%, nostro 2,77%; b) secondo periodo: mio 1,02%, nostro 5,87%; c) terzo periodo: mio 1,08%, nostro 1,49%.

Sulla base dei dati riportati si osserva come l’uso del noi sia comunque ancora molto presente anche nel terzo periodo dello sviluppo del linguaggio politico di Prodi, dal quale portiamo ad esempio un intervento riportato da Dell’Anna (2006: 41-42):

[…] Entrano nella nostra Europa paesi poveri, ma entrano paesi intelligenti. E per tutti e due i motivi noi dovremo cambiare la nostra struttura produttiva. […] Tutto ciò richiede nuove politiche. E noi ne saremo capaci perché noi, tutti noi che siamo qui dentro, sappiamo che esiste il mercato ma sappiamo anche che esiste il

governo. E sappiamo che la storia degli allargamenti è felice o infelice a seconda

della capacità dei governi. […] E la credibilità di tutti noi che ci troviamo qui oggi, noi dell’Ulivo, partecipi e portatori di un progetto politico di ormai dieci anni che ha avuto e continua ad avere nell’Europa la sua stella polare. Di un progetto che non ha bisogno di lifting per tenere il passo coi tempi. E dopo quello che io vi ho detto dell’Europa, e dell’importanza che l’Europa ha per l’Italia, io credo che tutti voi comprenderete le ragioni di questa scelta. […] A tutte queste paure, a tutti

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questi problemi rispondiamo che noi ce la possiamo fare perché noi lavoriamo

assieme, possiamo mobilitare delle energie, non imponiamo niente a nessuno. Noi

proponiamo qualcosa che viene accolto, perché il paese è con noi, perché sono

con noi coloro che non si accontentano di chiacchiere ma vogliono costruire

insieme il loro futuro. […] Ma lo possiamo fare noi perché sappiamo che esiste il

mercato, ma esiste anche il governo.

Del terzo periodo fanno parte anche alcune locuzioni ricorrenti, che «appartengono alla fraseologia comune e non presentano particolari valori semantici; costituiscono però evidentemente elementi intenzionali e ricercati di ripetizione, concentrate come sono in porzioni di testo piuttosto brevi attraverso le consuete tecniche di ripetizione (prima tra tutte l’anafora)» (Dell’Anna 2006: 63). Tra queste avere bisogno è presente alla III persona singolare o alla I plurale, «il soggetto è in tal caso un noi inclusivo pieno, espresso o sottinteso, riferito alla comunità e alla popolazione italiana tutta» (Dell’Anna 2006: 63). Un esempio:

[…] L’Europa ha bisogno di istituzioni solide e di una politica forte. […] Abbiamo

bisogno di istituzioni solide e di una politica forte. Ne abbiamo bisogno all’interno

dei nostri singoli paesi e sul piano europeo. Per far fronte a queste sfide, non

abbiamo bisogno soltanto di istituzioni politiche efficienti e programmi di

governo rigorosi. Abbiamo bisogno di rinnovare la politica, di mettere in gioco le nostre identità.

Su 101 occorrenze di avere bisogno, osserva Dell’Anna (2006: 63), 24 compaiono alla I persona plurale e tutte tranne due appartengono al terzo periodo. Tra le altre locuzioni vi sono: «noi siamo quelli che… e farcela (ce la faremo, ce la facciamo,

dobbiamo/possiamo farcela, ce la dobbiamo/possiamo fare, etc.)». La costruzione del noi

varia per le due locuzioni «per la prima il soggetto è sempre un noi di parte, relativo alla coalizione di appartenenza. Per la seconda esso è invece di volta in volta costituito da noi (a indicare il “partito” o come inclusivo pieno) e da Italia, Europa, Paese, o dagli elementi lessicali posti a tema della discussione». Tra gli esempi di Dell’Anna (2006: 42):

[…] Noi ce la possiamo fare. Perché noi siamo quelli che ce l’hanno già fatta quando la sfida era più difficile. Siamo quelli che tutti i giorni ce la fanno nel

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governo delle città, delle provincie, delle regioni. Siamo quelli che le promesse le

mantengono. Non servono miracoli, non c’è bisogno di bacchette magiche. Serve

un lavoro duro, serio, continuo, giorno dopo giorno, senza trucchi. Attento ai problemi veri.