Nel Settecento, in particolare con il pensiero di Rousseau il lavoro diventa ambito di educabilità. Con Rousseau il bambino non è più concepito come un piccolo adulto imperfetto, ma viene visto come un essere umano e persona avente differenti bisogni. Il bambino è un soggetto per natura buono, dotato di potenzialità naturali da fare fiorire. La natura si occupa dello sviluppo delle facoltà e della crescita degli organi, gli uomini dell’uso che viene fatto e le cose forniscono la possibilità al discente di acquisire esperienza; il tutto seguendo il principio della gradualità poiché la natura presenta una dinamicità interna e un suo ritmo di evoluzione57. È l’esperienza diretta, attraverso l’esplorazione dell’ambiente, a permettere il passaggio delle conoscenze sensibili a quelle intellettuali58. Di particolare importa è l’introduzione del lavoro come dispositivo pedagogico di formazione del fanciullo nella pre-adolescenza. Nel III e IV libro dell’Emilio, Rousseau mostra la necessità dell’introduzione nell’insegnamento del lavoro manuale. All’adolescente gli viene trasmesso il mestiere dell’artigiano, non più limitato alla dimensione ludica o ricreativa, in quanto occupazione utile a fornirgli sussistenza: l’artigiano non dipende da altro se non dalle sue capacità, mentre infatti il contadino necessita di un campo e di mezzo che gli possono venire portati via, l’artigiano ha in sé tutto il necessario. Sempre attraverso il lavoro manuale tipico dell’artigiano passa la formazione del carattere, l’abbattimento di pregiudizi attinenti al lavoro concreto e lo sviluppo della riflessione (Costa, 2014).
Sempre nel Settecento si afferma una energica rivalutazione dell’esperienze tramite l’apporto dello scetticismo, grazie a D. Hume. Questo pensatore scozzese riesce a mantenere assieme la parte distruttiva e la fecondità del pensiero scettico all’interno della disposizione scettica.
57 Primo principio del metodo, presente nel primo e secondo capitolo “dell’Emilio”.
58 In questo contesto il ruolo del precettore è indiretto: deve costruire un ambiente in cui il fanciullo, agendo
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In particolare, come la disposizione scettica dà nuovo vigore ed impulso all’uomo per prendere scelte e formulare giudizi anziché sfociare in un atteggiamento di atarassia o di costante epochè.
Essa non è oscillazione tra dubbi, non corrisponde ad un atteggiamento irrisoluto o ad una sospensione di giudizio. È la volontà di non consegnarsi in modo pregiudiziale ed inerziale alle abitudini ed ai pregiudizi per avere un conforto gnoseologico od ontologico.
Per evitare “Princìpi accettati ciecamente, conseguenze mal dedotte dai princìpi, mancanza di
coerenza nelle parti ed evidenza nell’insieme (…) che ha fatto cadere in discredito la filosofia stessa.”
(cit. in Hume, 1978, pag. 5). Hume invita a:
“Dobbiamo, quindi, nei nostri ragionamenti aggiungere sempre un giudizio che serva di freno e di
controllo al giudizio o credenza precedente, e allargare il nostro orizzonte” (cit. Ivi, 1,IV, 1).
Hume, pone l’atteggiamento scettico a servizio della filosofia, come un filtro diaframmatico che da un lato soffoca, togliendo “aria”, gli errori in cui cadono le facoltà umane, e dall’altro allarga il “respiro” della ragione umana: indirizza tutte le energie del pensiero allo studio della natura umana.
“La mente, …, al pari del corpo, pare dotata di una determinata quantità di forza e di attività, che
non è mai adoperata in un’azione se non a spese di tutte le altre;” (cit. Ivi).
L’uomo giudica, sceglie ed agisce nel mondo perché è parte della natura.
Hume afferma:
“La ragione non è altro che un meraviglioso istinto delle nostre anime, che ci trasporta per una serie
di idee e le arricchisce di qualità particolari, secondo le particolari situazioni e relazioni. (…) l’abitudine non è altro che uno dei principi della natura, e da questa origine trae la sua forza” (cit.
Ivi,I, Parte III, Sezione XVI)
La natura viene vista positivamente come garante della conoscenza e capacità umana, oltre cui l’uomo non può andare perché non può spingersi oltre i sensi.
Lo stesso pensiero è originato da una base materiale:
“Ci voleva poco a fare una dissezione immaginaria del cervello, e mostrare come, concepita un’idea,
gli spiriti animali si precipitano in tutti i solchi contigui a risvegliare le idee che sono in relazione con quella.” (Ibidem, 1, II, 4).
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Lo svelare ciò che siamo, la natura umana è natura ed i principi della natura sorreggono la natura umana, ha l’effetto salutare di liberare la filosofia dallo studio di come la realtà e l’uomo dovrebbero essere. La sfida è capire come l’uomo valuta, si comporta, in base a quali credenze agisce.
Il metodo adottato da Hume per questa investigazione è il metodo scientifico sperimentale di Newton. Tutto ciò che può essere investigato è all’interno della nostra esperienza e non la eccede.
All’interno della natura
“La nostra ragione deve essere considerata come una specie di causa, della quale la verità sia
l’effetto naturale: ma tale effetto, sia per l’irrompere di altre cause, sia per l’inconsistenza che le nostre facoltà mentali, spesso può essere impedito. In questo modo la conoscenza degenera in probabilità” (cit. Ivi, 1, IV, 1).
In questo passo possiamo vedere come Hume ha una convinzione positiva sulla natura: le nostre idee, le loro relazioni e le abitudini, nascono dall’immagine che i nostri sensi producono nella nostra mente e la natura viene posta a garante ed origine di questi processi. A differenza di Cartesio non c’è Dio come garante della mia esistenza o un “io-penso” diviso da un “io-corpo”. Tutto ciò che pensiamo esiste perché lo abbiamo ricevuto nella mente dalle nostre percezioni. Le relazioni e i ragionamenti che la ragione e l’immaginazione producono ci possono condurre in errore. A volte è la stessa natura che spezza le nostre abitudini con un evento inaspettato.
Anche le nostre facoltà umane ci possono condurre in errore. Quando le nostre percezioni offrono alla nostra mente le impressioni, queste hanno un grande impatto sul nostro pensiero perché sono vivaci e forti. Quando si creano relazioni tra le impressioni, diventano idee e vengono rielaborate dall’immaginazione e perdono di vivacità e forza. Più “lontane” sono le idee dall’impressione chiara e semplice, meno forza persuasiva hanno in noi. L’esperienza insegna che la nostra sicurezza su di un’opinione riguardo alla natura di un oggetto non è mai assoluta, ma varia a seconda del grado di autorità che per noi ha59. La conoscenza si risolve in probabilità60. Questo implica che:
“La dimostrazione è sottoposta al controllo della probabilità, così la probabilità è sottoposta ad una
nuova correzione mediante un atto riflesso dell’intelletto ed il ragionamento delle probabilità precedente.” (cit. Ibidem).
59 Ivi, pag. 195. L’autorità di una nostra opinione, per Hume, può avere diversi gradi a seconda che sia: attestata
dall’esperienza, approvata dagli amici, approvata universalmente ed appoggiata dalla comunità scientifica.
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A questo punto nella nostra mente si apre una nuova incertezza: un nuovo dubbio sulla possibilità della nostra ragione di giudicare e valutare ciò che le nostre facoltà mentali elaborano. Questo dubbio, sommato al dubbio dato dal carattere probabilistico della dimostrazione, anziché produrre idee semplici e chiare, come le impressioni, crea concetti sempre più complessi e confusi, indebolendo sempre di più l’impressione semplice precedentemente percepita. Lo stesso Hume a questo punto afferma che perde fiducia sulle sue stesse opinioni, ma nello stesso tempo ci affranca:
“Per un’assoluta e irresistibile necessità, la natura ci porta a giudicare come a respirare e a sentire
(…) tutti i nostri ragionamenti riguardo alle cause e agli effetti derivano dall’abitudine, e che la credenza è propriamente più un atto sensitivo che un atto cogitativo della nostra natura” (cit. Ivi).
Il nostro pensiero, dislocato nel cervello, è come un muscolo allenato a dare giudizi ed a costruire relazioni di idee da ricomporre coerentemente, creando credenze e finzioni, che altrimenti sentiremmo come contradditorio61.
L’artigiano per canalizzare efficientemente le energie non deve perdersi in ragionamenti complicati ed astrusi, scollegati dall’esperienza, poiché la credenza o l’ipotesi, se non è fondata su qualcosa di semplice, chiaro e vivo, è irreale e lontana dalla natura. La ricerca così intesa viene ad essere adattabile e flessibile rispetto ad ogni possibile esperienza.
Il luogo di incontro tra l’artigiano e l’esperienza è il rapporto tra “la mano e la testa”, ovvero la modulazione e la strutturazione della ripetizione al fine di apprendere o affinare o modificare un’abilità. Questo tipo di apprendimento è basato sul ruolo positivo dell’errore, in quanto permette al lavoratore di fare proprio lo strumento di lavoro, evitando di usarlo solo come attrezzo per uno scopo specifico, come nel caso del CAD per gli architetti. Sostando momentaneamente nell’errore l’artigiano esperisce il caos. Il disordine costringe l’uomo a comprendere meglio i procedimenti del suo lavoro in modo da poterli ristrutturare a seconda del contesto. In questo senso il ruolo delle macchine e dei software è quello di potenziare e non di sostituire le capacità umana.
La ricorsività strutturata dell’azione dà la possibilità al lavoratore di esercitare la riflessività intenzionale. È attraverso questa capacità che l’artigiano può esperire in modo attivo le proprie abilità. La riflessività, durante l’allenamento, consente di congiungere l’immaginazione con la
61 Ivi, 1, IV, 2, pag. 228. Ciò accade ad esempio alla nostra mente quando vuole risolvere la contraddizione tra
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pratica. Quando l’artigiano agisce, portando nella realtà l’obiettivo immaginato nella sua mente, è la riflessività che informa l’artigiano sull’efficacia delle sue azioni.
Con Pestalozzi si concretizza il ruolo formativo dell’esperienza come portatore di senso al vissuto della persona: l’esperienza, guidata dall’educatore, è il solo mezzo di formazione valido per la persona. Questo implica porre l’attenzione pedagogica sui meccanismi dell’apprendimento e sullo sviluppo armonioso della persona. Per tenere fermi questi capi saldi la formazione delle facoltà deve coinvolgere trasversalmente la sfera del cuore, della mente e della mano. Si viene così a delineare una “pedagogia dell’industria” (Costa, 2014): la pedagogia deve creare un equilibrio tra le esigenze di sviluppo socio-economico e una armoniosa educazione del popolo, che passa attraverso il lavoro. La competenza, acquisita tramite un’esperienza diretta guidata, diventa una qualità che l’individuo genera per dare senso al suo agire. Il lavoro non è più concepito come mezzo di riscatto dei poveri, bensì come una realtà dell’uomo. A completamento del pensiero di Pestalozzi, Fröebel afferma il ruolo pedagogico dell’agire lavorativo: il fanciullo, per arricchire il proprio essere, deve fare proprio il mondo esterno. Con la formula “rendere interno l’esterno” Fröebel vuole indicare solo il fare che permetta all’uomo di avere una conoscenza completa (Costa, 2014).