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135Handmade in Italy Il design dei territori italian

Il design dei territori italian

135Handmade in Italy Il design dei territori italian

fondità, agli osservatori più attenti, un solido background plasmato e riplasmato nel tempo. La pubblicità, più che i prodotti stessi, ne diventa il principale indicatore quando riserva un ruolo centrale al paesaggio italiano, che, nonostante le sue ferite, è sempre radicato nell’immaginario collettivo. I Faraglioni di Capri per Dolce & Gabba- na, le cime di Lavaredo per il cioccolato NOVI, il Mulino di Chiusdi- no in provincia di Siena per la Barilla fanno viaggiare velocemente alcuni brand, perché sono sintesi potenti di tutto ciò che significa Italia con il suo stile di vita e cultura. Lo sa bene anche un marchio straniero come Mc Donald’s che per pubblicizzare un suo panino, la Gran Chianina, sfrutta il paesaggio di San Quirico d’Orcia, scate- nando l’ira del suo Sindaco. Per le industrie del food, verdi colline, campi di grano, mare blu vogliono essere rassicuranti promesse di genuinità e qualità, subliminali certificazioni di affidabilità. L’uso del paesaggio è perciò solo uno stratagemma.

Diverso invece il caso di Brunello Cucinelli che ha fondato la sua azienda nel borgo di Solomeo. Se nel suo sito web compaiono suggestive immagini del paesaggio umbro, facile pubblicità a parte, è perché questa realtà imprenditoriale (oggi quotata in borsa) è scaturita da un legame profondo tra Brunello Cucinelli e quel luogo. Gli abitanti di Solomeo non lo percepiscono come l’uomo che ha voluto fare l’affare, impiantando lì la sua azienda. Cucinelli vive a Solomeo, lo si può incontrare per le stradine del borgo umbro, tra le case che ha comprato ad un prezzo superiore del loro valore di mercato, tra gli antichi edifici che ha trasformato in scuola di arti e mestieri. Il suo è un capitalismo etico, frutto di un mix di Bello e Buono, di un’antica kalokagathia applicata al fare impresa che ha nell’opera di Adriano Olivetti e di altri illu- minati imprenditori italiani il suo principale modello. La foto dei suoi collaboratori a lavoro in uno spazio storico, con la finestra che dà sulle dolci colline dei dintorni di Solomeo, evoca le pitture del Rinascimento, come il dittico di Piero con i ritratti di Federico da Montefeltro e Battista Sforza sullo sfondo del paesaggio di Urbino. È lo stesso Cucinelli a dichiarare, un po’ enfaticamente, il legame della sua azienda con la cultura umanistica indugiando troppo spesso su titoli, con maiuscole in sovrappiù, come “Arti- giani Umanisti del Web”, “Il Giusto Lavoro”, “La Dignità come for- ma dello Spirito”, “Verso un Universalismo dell’Uomo”. Si tratta, però, di un perdonabile peccatuccio, soprattutto se il pensiero va a ben altri esempi di imprenditori italiani del nostro tempo; e que- sto mettendo anche in conto la mediocre qualità architettonica di alcuni edifici che ha ristrutturato o realizzato ex novo, non sem- pre pubblicabili su riviste di “Fascia A”…

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SID – Design su misura

Conclusioni

Se molta imprenditoria italiana continua a stare a galla, con sforzi straordinari ma senza lo slancio e le intuizioni di un tempo – per esempio nel settore dell’arredamento e più in generale del desi- gn – dei problemi esistono anche nell’artigianato. «La perdita delle maestrie ed eccellenze dell’artigianato […]», scrive Marco Vitale, «[…] rappresenta un impoverimento generale per il Paese, per tan- ti suoi territori, per il concetto stesso del Made in Italy […]. Infatti le eccellenze e maestrie artigiane creano valore ai territori in cui sono presenti e rappresentano una indispensabile testimonianza di qualità e di eccellenza del saper fare italiano che influenza posi- tivamente l’intero vissuto del Made in Italy». (Vitale)

Allora i due mondi, quello dell’imprenditoria, che nei settori mani- fatturieri cosiddetti tradizionali ha creato il Made in Italy, e quel- lo dell’artigianato, che costituisce uno dei suoi pilastri, possono consapevolmente collaborare nella costruzione di un destino comune affidando alla cultura del design e a quella universitaria non solo un ruolo di ‘mediatori culturali’, ma anche di elaboratori di nuovi linguaggi specifici. È ancora la Spadolini ad intervenire chiarendo un punto importante: «Certo è che il ruolo dell’univer- sità come attivatrice di processi e mediatrice tra le due discipli- ne è fondamentale. Il rapporto tra la scuola e il proprio territorio attraverso workshops, laboratori a azioni di reciproco scambio ‘faccia a faccia’ può essere la risposta ad alcune problematiche sopra esposte […] può essere l’ambito universitario la culla di nuove sperimentazioni tra design e artigianato? Può l’Università coinvolgere e aiutare la piccola impresa rivalutandone le caratte- ristiche manifatturiere in un’ottica di nuovo artigianato e nuovo design?». (Spadolini, 2015)

Si può allora parlare di Handmade in Italy7 che può rappresentare

l’altro futuro della produzione italiana, strettamente legata ai ter- ritori, ad una geografia produttiva italiana non delocalizzabile per- ché indissolubilmente legata ai luoghi in cui vive, quella del tessuto artigianale del nostro Paese purché scaturisca dal rapporto con la cultura del progetto che è pronta a questa sfida. Artigiano e Desi- gner rimangono perciò i due attori chiave dell’Handmade in Italy, esprimono due aspetti importanti del nostro tempo, l’essere stan- ziale e il radicamento ai territori, da una parte, e il nomadismo con l’attenzione all’internazionalizzazione, dall’altra; due aspetti non separati, però, ma tra loro legati in un processo che si potrebbe definire di ‘impollinazione culturale’ ape/fiore.

7 L’Handmade in Italy è anche la rilettura dell’artidesign, quel «[…] genere di produzione, proprio di alcuni settori merceologici e segnatamente dei mobili e degli oggetti di arredo, che si colloca fra l’artigianato e l’industrial design […] un genere terzo rispetto a due fenomeni colti in una loro profonda metamorfosi […]», un fenomeno, non una teoria, come precisato dai due studiosi che coniarono circa ventisette anni fa questo nome, Fillippo Alison e Renato De Fusco.

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