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Hotspot: un termine polisemico

di Jacopo Anderlini

2. Hotspot: un termine polisemico

Seguendo la riflessione di Neocleous e Kastrinou (2016), possiamo rico-struire l’origine dei diversi significati del termine hotspot.

Uno dei significati originali del termine si riferisce all’ambito militare e può essere fatto risalire alla seconda guerra mondiale, in cui assume il signi-ficato di warzone: una porzione di territorio dove lo scontro bellico è partico-larmente intenso, dove ci si trova faccia a faccia col nemico, in cui i rischi per la propria incolumità e sicurezza sono molto alti. Questo significato viene poi esteso nella definizione propria delle relazioni internazionali in cui il termine identifica delle zone di conflitto, interessate da attività “mili-tari e politiche” contrastanti – terrorismo o conflitti tra fazioni interne a uno Stato – e in cui lo scenario che si presenta viene descritto come di crisi. Crisi per la risoluzione della quale, secondo la dottrina del responsibility to

protect, è necessario un intervento di pacekeeping. Queste attività

finalizza-te al “manfinalizza-tenimento della pace” corrispondono anche a una delle funzioni cardine della polizia e in questo senso si parla di “azioni di polizia” anche in un ambito militare.

A partire dagli anni ’80 hotspot è utilizzato negli Stati Uniti dalla crimino-logia come termine per identificare zone dove sia stata rilevata la presenza – attraverso rilevazioni statistiche, demografiche e analisi di tipo quantitativo – di attività criminali o in cui se ne prevede – con l’impiego di modelli proba-bilistici – un incremento. Si parla di community policing, in cui l’intervento di polizia assume una funzione disciplinare circoscritta spazialmente attra-verso attività di pattugliamento, quindi controllo, e sorveglianza ma anche di interventi che si risolvono nella detenzione o nell’espulsione.

Oltre ai significati del termine individuati da Neocleous e Kastrinou, ne possiamo enucleare altri in continuità con alcuni elementi già evidenziati dagli autori.

Il primo significato afferisce alla statistica e riguarda una modalità di analisi fondata sulla dimensione spaziale. L’hotspot si definisce come un tipo di anali-si statistica in cui vengono individuati gruppi dal proprio set di dati, a partire da una determinata area geografica, che presentano una particolare proprietà in maniera difforme rispetto alla totalità dei casi rilevati. Questo tipo di analisi viene utilizzata per definire modelli predittivi di tipo probabilistico sull’incidenza di un determinato fenomeno in una specifica area geografica. La

funzione del sapere prodotto è la pianificazione di un intervento regolativo una volta delineati e circoscritti statisticamente gli hotspot così definiti.

Il secondo significato riguarda più specificatamente l’epidemiologia e per estensione la salute e l’igiene pubblica. La parola “hotspot” viene im-piegata da parte di istituzioni governative e non governative che si

occupa-no di tutela della salute pubblica e prevenzione dalle malattie, in particolare di quelle infettive. In questo campo il termine è usato diffusamente ma, come hanno rilevato alcuni autori (Lessler et al., 2017), ad esso vengono attribuiti significati diversi e la sua definizione assume tratti sfocati e ambi-gui. Hotspot può significare un’area dall’elevata efficienza di trasmissione e infettività, caratterizzata dell’emergere o del riemergere di particolari ma-lattie o dall’elevata presenza e incidenza di un fenomeno patologico. In tutti i significati l’elemento cardine ricorrente è il rischio, che diviene un para-metro quantificabile e calcolabile.

È possibile fare risalire l’utilizzo del termine in ambito epidemiologico anche al suo impiego in medicina, dove fa riferimento alla presenza di in-fiammazioni e irritazioni o al rischio dell’insorgere di malattie in specifiche zone del corpo.

Il termine hotspot presenta in sintesi alcune connotazioni specifiche: una zona circoscritta spazialmente attraversata da conflitti, abitata da una popolazio-ne che può essere contemporapopolazio-neamente un rischio e a rischio (Aradau, 2004), sulla quale si produce un sapere e che diviene soggetta a interventi specifici di police volti al governo e alla regolazione di quella porzione di territorio.

In parallelo e in chiara continuità, possiamo rilevare come l’insieme di significati afferenti alla dimensione della salute e dell’igiene pubblica, in-troducano una razionalità e producano delle categorie specifiche. L’intreccio che vede combinati piano securitario e piano umanitario è costi-tutivo di ciò che chiamiamo approccio hotspot: l’elemento della cura intro-duce nuovi meccanismi nel governo della popolazione in movimento che si sviluppano a partire dai corpi, dalle loro caratteristiche, dall’essere contem-poraneamente un rischio – “portatori di epidemie”, “untori”, pericolo per la popolazione nazionale – e a rischio – in pericolo per la propria vita e quindi bisognosi di essere salvati e curati – in entrambi i casi soggetti al controllo.

L’hotspot quindi si propone come spazio privilegiato dove osservare la duplice dimensione di cura e controllo nel ridefinire la governance del con-fine umanitario.

3. “To identify and channel”: i caratteri dell’approccio hotspot

Secondo Neocleous e Kastrinou (2016) il termine hotspot viene utilizza-to per la prima volta nel campo della gestione dei movimenti migrautilizza-tori da parte dell’Unione Europea in un report del Frontex Risk Analysis Network (Fran). Qui si parla infatti di “hotspots of irregular migration” riferendosi a luoghi particolarmente interessati da sconfinamenti irregolari, quindi spazi attraversati da una “rotta” migratoria (Fran, 2011b). A un’analisi più

appro-fondita, il termine compare anche in precedenza, già a partire da quello del secondo quadrimestre del 2010 (Fran, 2010a) in cui a essere definito come “hotspot for irregular migration” è il confine di terra greco. Stesso riferi-mento al confine terrestre tra Grecia e Turchia compare nel report del quar-to quadrimestre dello stesso anno (Fran, 2010b), mentre nel report del pri-mo quadrimestre del 2011 il medesipri-mo viene definito “hotspot for illegal border-crossings” (Fran, 2011a). In questi casi ci si riferisce all’intero con-fine come zona in cui si sono verificati il maggior numero di accessi irrego-lari al territorio europeo nel corso del 2010. Successivamente, a partire pro-prio dal report del terzo quadrimestre del 2011, gli “hotspots of irregular migration” sono tutte quelle aree del confine europeo interessate da un’intensa attività di attraversamento irregolare.

Nel tempo, il termine passa quindi a identificare aree geografiche più circoscritte, interessate da una maggiore concentrazione di attraversamenti regolari: zone “di crisi”.

Ed è proprio con questo significato che viene istituito a partire dall’Agenda europea sulla migrazione del maggio 2015 il sistema basato sugli hotspot – tradotti in italiano con punti di crisi.

Si tratta, per gli estensori, di un sistema all’interno del quale i punti di crisi sono funzionali a effettuare rapidamente una selezione tra i migranti e quindi a un loro “instradamento” in un predeterminato percorso: accoglien-za o rimpatrio (European Commission, 2015a).

Il sistema hotspot viene inquadrato inizialmente in una “nota esplicati-va” del 15 luglio 2015 del Commissario Avramopoulos (European Com-mission, 2015b) e ribadito nell’allegato II alla Comunicazione 490 del 23 settembre 2015 della Commissione (European Commission, 2015c).

In particolare, la nota esplicativa risulta un documento chiave nel dare una definizione di hotspot:

A “Hotspot” is characterized by specific and disproportionate migratory pressure, consisting of mixed migratory flows […] an external border section should be considered to be a “Hotspot” for the limited period of time during which the

emergency or crisis situation subsists (European Commission, 2015b: 3).

Si tratta di una definizione che descrive l’hotspot come luogo attraversa-to da fenomeni fuori dall’ordinario, eccezionali, cui si ritiene necessario ri-spondere con procedure ad hoc, temporanee. Questo inquadramento del termine richiama il concetto utilizzato dal Frontex Risk Analysis Network in relazione a zone o porzioni dei confini esterni interessate da attraversa-menti irregolari. In questo senso, questo documento traccia una linea di con-tinuità tra la definizione di hotspot come luogo attraversato da fenomeni

straordinari – da una crisi – con determinate qualità e caratteristiche e hotspot come spazio di governo dell’eccezione, particolare dispositivo di governo della mobilità al confine in cui predomina una logica dell’intervento in rispo-sta a una situazione considerata d’emergenza. Hotspot ancora una volta come area interessata da una serie di eventi statisticamente rilevanti – i movimenti migratori sono descritti come “sproporzionati”, cioè con un’incidenza supe-riore alla media – e dall’altro come luogo dell’intervento urgente, ad hoc, tecnico, eccezionale, cioè in cui si agisce in deroga alle normative vigenti.

Per capire i caratteri di questo intervento e il modo in cui questi concor-rono a dare forma a determinati luoghi è utile mettere a fuoco il caso del centro di Pozzallo e ricostruire la storia di questo dispositivo di confine.

4. Il caso della Dogana di Pozzallo: sviluppo di una tecnologia