• Non ci sono risultati.

Il guinzaglio e lo strappo

3. Situazioni di confine

Se Pozzallo, come altri punti dell’arcipelago hotspot (Lampedusa, Le-sbo, Melilla etc.), può essere considerato il momento della marchiatura e dell’apposizione di questo particolare apparato di cattura (biografica e bio-metrica3 al tempo stesso), ovvero il luogo in cui i soggetti vengono classifi-cati, filtrati e “legati” a un dispositivo di accoglienza e controllo, Ventimi-glia e Como  come del resto tutti i confini interni attorno a cui emerge vi-sibile il carattere carsico della mobilità secondaria (Calais, Idomeni, Stra-sburgo, il Brennero, la Stiria etc.)  rappresentano i punti limite del raggio di azione del guinzaglio, le estremità dove i soggetti agganciati tentano di sottrarsi alla forza centripeta delle strategie di contenimento. A definire e quasi produrre queste localizzazioni sono allora due forze contrapposte, due movimenti di pari intensità e opposta direzione. Per semplificare, si potreb-be dire la forza (sovversiva) della mobilità, intesa anche come sottrazione, strappo o fuga, contrapposta a quella reattiva del richiamo e del disciplina-mento. Nella tensione particolare che si instaura fra il movimento di fuga in avanti e quello di cattura/contenimento/deportazione si crea quindi una straordinaria intensità, essenzialmente politica, che produce territori, fron-tiere, limiti ma che fa anche emergere, o perlomeno lascia intravedere, al-trettante stazioni, tappe, trincee e casematte di una possibile Underground

Europe. In questa particolare cornice spazio-temporale è possibile

inqua-drare la proliferazione di campi e contro-campi, eminentemente etnografici, generati dalla frizione (Tsing, 2004) che si instaura fra istituzioni confinarie che contengono/detengono e pratiche che provano ad aggirare e sovvertire la morsa del guinzaglio.

In questa prospettiva, il contributo di Jacopo Anderlini a qeusto numero di Mondi Migranti mostra come già nel momento dello sbarco, saperi di polizia e sguardo medico, logiche scritturali e ragioni umanitarie convocate per decidere sul destino dei soggetti entrino in cortocircuito generando traiettorie meno prevedibili. La dimensione biopolitica dell’apparato di controllo, funzionale alla classificazione e alla selezione, può allora

inne-3. Con l’introduzione da parte dell’Unione Europea nel 2015 dell’approccio hotspot, è or-mai difficile scappare alle impronte e alla banca dati Eurodac in cui queste confluiscono; come documentato dalle numerose testimonianze raccolte da Amnesty International (2016, 2017), spesso le impronte vengono prese attraverso l’uso di misure coercitive che violano i diritti umani dei migranti e rifugiati, mentre violenze istituzionali di diverso ti-po appaiono come endemiche nelle situazioni di confine. I dati ufficiali dell’Unione Eu-ropea confermano la crescita esponenziale delle impronte digitali presenti in Eurodac dal 2015 al 2017; se alla fine del 2015 erano 3.179.353, alla fine del 2017 sono quasi il dop-pio: 6.106.992 (EU-Lisa, 2017; 2018).

scare contro-saperi, produrre una particolare “arte della resistenza” (Scott, 1990), costruita sulla complicità fra i corpi indocili dei migranti e le dia-gnosi complici e disobbedienti degli operatori della salute sul confine. Ga-briele Rizzo e Marta Menghi, nei loro resoconti etnografici su Como e Ven-timiglia, esplorano un’analoga tensione nella contrapposizione tra campi istituzionali e contro-campi informali, tra accoglienza umanitaria e forme di auto-organizzazione che danno vita a zone temporaneamente abitate e a strategie di border-crossing.

Sempre a proposito di Ventimiglia, come ci ricorda Juan Pablo Escarce-na, una simile dinamica di confine si costituisce come risultante di sguardi, codici e tecniche che contribuiscono a riprodurla non meno che a confon-derla. Chi gestisce il guinzaglio si affida infatti a criteri di “razza, nazione e classe” per distinguere un richiedente asilo da un cittadino francese post-coloniale, un lavoratore migrante regolare da un soggetto irregolarizzato privo di titolo di soggiorno e di passaggio. Se però la linea del colore (Du Bois, 1900) agisce come una bussola nell’articolazione dei controlli e delle possibilità legali di viaggio, questa stessa è anche destinata confondersi at-traverso un gioco mimetico di sovrapposizioni. Arbitrarietà e discrezionali-tà, incertezza e dubbio, fluidità e rischio divengono l’innesco di pratiche oblique: dall’organizzare il passaggio del confine durante i giorni di merca-to, quando i turisti francesi affollano la riviera e incrinano la presunzione di bianchezza della cittadinanza, al camouflage della propria condizione di accampato indossando tute di lavoro o completi da colletti bianchi.

Un guinzaglio in ultima istanza ha la pretesa di condurre i soggetti im-ponendo una sorta di moto orbitale. Ciò può avvenire attraverso un sadico gioco dell’oca, all’insegna di allontanamenti e deportazioni che riportino alla casella di partenza4 corpi docili ed eventualmente sfruttabili in

prossi-4. Si osservi come, prima dell’implementazione dell’approccio hotspot e dell’archiviazione di massa delle impronte – dispositivi che legano amministrativamente e politicamente asylum seekers e paese di primo ingresso – l’interesse dei funzionari del-la frontiera sul del-lato italiano era piuttosto quello di del-lasciar passare i transitanti, in chiave di alleggerimento della pressione sociale e migratoria sul territorio nazionale. Con la progressiva messa a regime del nuovo approccio, al contrario, le autorità italiane “de-comprimono” la frontiera interna attraverso continui respingimenti dei transitanti verso Taranto e altre destinazioni nel Sud. Dal maggio 2016 sino ad oggi, migliaia di persone sono state coinvolte in questi costosi viaggi a ritroso; secondo le stime di Idos (2017), il costo di un pullman è pari a 5000 euro, mentre i viaggi del ritorno forzato sono regolar-mente organizzati con una cadenza bisettimanale. Nel corso delle nostre ricerche a Ven-timiglia abbiamo intervistato persone che pur avendo collezionato sino a dieci deporta-zioni continuano a insistere nel desiderio del passaggio; la funzione di tale dispositivo è molteplice: distruggere psicologicamente la motivazione al transito ed evitare la stabi-lizzazione di grandi campi al confine, oltre a forzare i transitanti a ritornare dentro il si-stema della protezione e accettare come orizzonte lavorativo l’inserimento nei mercati

mità di vecchi agrumeti e/o nuovi latifondi labour-intensive; o ancora attra-verso la proposta di un rimpatrio economicamente assistito nel paese di ori-gine; infine, attraverso l’invito a rientrare nel limbo dell’accoglienza istitu-zionale, sanando il crimine della sottrazione e lo “scandalo” dell’autonomia. Per questo l’insieme di pratiche che si oppongono all’imposizione pastorale propria del guinzaglio possono essere interpretate come tentativi di condursi in modo diverso, letteralmente come “contro-condotte”: azioni collettive che mimano e apparentemente assecondano quelle di un guinzaglio fino a sovvertirne direzione e senso, liberandosi dal-la sua presa. Così, a Ventimiglia come in altre situazioni di confine, dal-la podal-la- pola-rizzazione tra l’accoglienza umanitaria-istituzionale dentro al “centro di transito” gestito dalla Croce rossa e le forme autorganizzate che si esprimo-no negli accampamenti “sotto il ponte” o in ogni altro interstizio urbaesprimo-no, si riarticola in una serie di flussi e transiti quotidiani da un campo all’altro, alla ricerca ora di un pasto e una doccia, ora di un momento di decompres-sione o di un passeur. Definire queste pratiche come contro-condotte signi-fica vedere nella loro capacità di allentare la presa del guinzaglio la produ-zione di spazi di abitabilità che eccedono la sua portata. L’obiettivo ultimo di una contro-condotta è pero quello di rovesciare un ordine e una direzione imposta. All’estremità del guinzaglio si può allora generare uno strappo che, varcando e trasgredendo un confine, restituisce ai soggetti nuove pos-sibilità di movimento, prefigurazioni concrete di uno spazio radicalmente Altro rispetto a quello soffocante e mortifero imposto dalla borderland eu-ropea.

Bibliografia

Amnesty International (2017). Des contrôles au confin du droit. Violations de

droits humains à la frontière française avec l’Italie; https://amnestyfr.cdn.

pris-mic.io/amnestyfr%2F97f9ee3c-f7f6-4549-bf7d-d04483c7ec01_aif_synthese_ mission+a+la+frontiere+franco-italienne_2017_fr+.pdf.

Amnesty International (2016). Hotspot Italia: come e politiche dell’Unione

euro-pea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti; https://d21zrvtkxtd6

ae.cloudfront.net/public/uploads/2016/11/18155810/Report_Hotspot_Italia.pdf. Arendt H. (1967). Le origini del totalitarismo. Milano: Ed. Comunità.

informali su cui si regge una grossa quota dell’economia italiana. Secondo i dati raccolti nell’agosto del 2017 da Rrdp (2017) su un campione pari al 20% dell’universo degli ac-campati a Ventimiglia, il 61% degli intervistati dichiara di essere stato deportato a Ta-ranto almeno una volta.

Balibar E. (2009). Europe as Borderland. Environment and Planning D: Society

and Space, 27, 2: 190-205.

De Genova N., ed. (2017). The Borders of Europe. Autonomy of Migrations,

Tac-tics of bordering. Durham: Duke University Press.

Du Bois W.E.B. (2007). Le anime del popolo nero. Roma: Le lettere.

EU-Lisa (2018). Eurodac – 2017 statistics; https://www.eulisa.europa.eu/ Publica-tions/Reports/Eurodac%20Statistics%202017.pdf.

EU-Lisa (2017). Annual report on the 2016 activities of Eurodac; https://www.eu lisa.europa.eu/Publications/Reports/2017-088_2016%20Eurodac %20Annual %20Report.pdf.

Fleischmann L. (2017). The Politics of Helping Refugees Emerging Meanings of Political Action around the German ‘Summer of Welcome’. Mondi Migranti, 3: 53-73; doi: 10.3280/MM2017-003003.

Foucault M. (2011). Spazi altri. I luoghi delle eterotopie. Milano: Mimesis. Ghosh A. (2008). Mare di papaveri. Roma: Neri Pozza.

Idos, ed. (2017). Dossier Statistico Immigrazione. Roma: Idos.

Koselleck R. (2012). Crisi. Per un lessico della modernità. Verona: ombre corte. Mbembe A. (2016). Necropolitica. Verona: ombre corte.

Mezzadra S. (2001). Diritto di fuga. Migrazioni, cittadinanza, globalizzazione. Ve-rona: ombre corte.

Mezzadra S. e Neilson B. (2014). Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro

nel mondo globale. Bologna: il Mulino.

Noiriel G. (1998). Réfugés et sans papiers. La Republique et le droit d’asile. Paris: Hachette.

Rrdp - Refugee Rights Data Project (2017). In dangerous transit. Filling

infor-mation gaps relating to refugees and displaced people in Ventimiglia, Italy;

http://refugeerights.org.uk/wp-content/uploads/2017/10/RRDP_InDangerous Transit. Pdf.

Scott J. (1990) Domination and the art of resistance: hidden transcript. London: Yale University Press.

Tazzioli M. e Garelli G. (2018). Containment beyond detention. The hotspot sys-tem and disrupted migration movements across Europe. Environment and

Planning D: Society and Space; doi: 10.1177/0263775818759335.

Tsing A.L. (2004). Friction. An Ethnography of Global Connection. Princeton N.J: Princeton University Press.

39

Intorno alla frontiera: politiche di contenimento