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La stazione come nodo di visibilità e spettacolarizzazione dell’emergenza

di Gabriele Rizzo

1. La stazione come nodo di visibilità e spettacolarizzazione dell’emergenza

Questo articolo è il risultato di un lavoro di ricerca svolto tra giugno e ottobre del 2016 tra le stazioni ferroviarie di Milano, Bolzano, Brennero e Como. Obiettivo della ricerca è stato quello di “de-naturalizzare l’emergenza” (De Genova, 2016), di cartografare pratiche e discorsi del governo della mobilità all’interno della cosiddetta emergenza umanitaria che ha occupato il discorso pubblico tra il 2013 e il 2016. Questa emergen-za è stata caratterizemergen-zata da un incremento del numero degli arrivi sulle coste italiane, da una forte mobilità secondaria e dal conflitto tra l’Italia e gli Sta-ti confinanSta-ti nel controllo della mobilità, con la conseguente reintroduzione di controlli alle frontiere interne che hanno “incastrato” centinaia di mi-granti sul territorio italiano, in particolare vicino a snodi ferroviari o al con-fine. Questa fase ha visto l’emergere di procedure di fast-track processing dei migranti in arrivo, di selezione dei “veri” e “falsi” richiedenti asilo negli

hotspot (cfr Vassallo Paleologo, 2016), ma anche il rafforzamento di forme

di controllo della mobilità all’interno del territorio italiano e, in particolare, nelle zone di confine. Attraverso interviste a operatori, volontari e attivisti, e pratiche di osservazione partecipante, ho cercato di delineare relazioni, connessioni e rapporti di forze contemporaneamente locali e translocali (cfr Comaroff e Comaroff, 2003). Focalizzando l’analisi sulla situazione della frontiera italo-svizzera e della stazione ferroviaria di Como S. Giovanni, ho cercato dunque di individuare discorsi, razionalità strategiche, relazioni tra attori di un dispositivo di governo della mobilità irriducibile a un solo con-fine o un solo luogo, ma fondamentalmente diffuso e translocale.

È possibile individuare un nucleo di significati che, pur nell’eterogeneità di spazi, configurazioni, rappresentazioni e modalità operative dei regimi confinari, struttura quello che potrebbe essere definito un immaginario del

confine. Con il termine immaginario mi riferisco qui a quell’insieme di

nu-clei di significato fondamentali che, secondo Castoriadis (1975: 231-274), definiscono il modo in cui oggetti e relazioni sociali esistono e si riprodu-cono in una società. L’immaginario, insieme storicamente determinato di significati sociali fondamentali, definisce il modo in cui possono esistere in una specifica configurazione e articolazione attori, oggetti e relazioni. L’immaginario del confine struttura processi di selezione, differenziazione e gerarchizzazione della mobilità secondo alcuni complessi di significato fondamentali: il governo delle popolazioni e la regolazione dei processi so-ciali, il rapporto tra sicurezza e gestione della mobilità, l’assistenza umani-taria e la protezione della vita.

Questo immaginario può essere esplorato solo a partire da concrete arti-colazioni del confine, a partire da quei luoghi dove si intrecciano pratiche e discorsi di selezione e classificazione, di agevolazione, limitazione o inibi-zione della mobilità. Ed è nella cosiddetta crisi umanitaria legata al transito di migranti tra il 2013 e il 2016 in Italia che alcuni luoghi come le stazioni ferroviarie, si sono configurati come spazi di confine dove poter rintraccia-re alcuni nuclei di significato di questo immaginario e osservarne il funzio-namento vivo. La stazione è diventata palcoscenico di un’intensa spettaco-larizzazione del confine (cfr Cuttitta, 2012), argomento cruciale e centrale nel discorso pubblico e nell’agenda politica (cfr Sasso, 2015). Uno spetta-colo di cui è possibile individuare trame ed elementi fondamentali, copioni e attori: in primo luogo i migranti, persone prive di mezzi di sostentamento e in condizione di profonda precarietà (economica, sociale, politica e giuri-dica), spesso stereotipizzati in immagini vittimizzanti e rappresentazioni di sofferenza. A questa rappresentazione compassionevole e pietistica è stata spesso accostata quella di volontari e operatori umanitari, colti nell’atto di fornire cure e assistenza. In secondo luogo è possibile identificare una nar-razione securitaria: le stesse persone, raccontate questa volta come pericolo per il decoro urbano o per la sicurezza dei cittadini, in quanto potenziali criminali o devianti; a questa rappresentazione è stata subito associata la presenza costante di forze dell’ordine e militari, intenti a sorvegliare la crisi e custodire l’ordine pubblico. L’emergenza migratoria ha attivato alternati-vamente paranoie securitarie e protocolli umanitari da parte delle autorità e della società civile: le prime innescate da potenziali problemi di ordine pubblico e dal degrado urbano legati alla presenza di stanziamenti informali semipermanenti in luoghi di forte visibilità e transito, le seconde dalla

compassione per persone prive di informazioni, risorse, reti sociali o mezzi per vivere sul territorio italiano.

Stazioni ferroviarie come quella di Milano Centrale, di Bolzano, di Ven-timiglia o di Como S. Giovanni sono esse stesse confine, regimi di visibilità aumentata dove la mobilità indesiderata dei migranti è diventata oggetto di discorso e di intervento; ma sono anche veri e propri nodi governamentali, luoghi dove attori, discorsi, pratiche del dispositivo europeo di governo del-la mobilità – quello che Geiger e Pécoud (2010) chiamano migration

ma-nagement – si rendono visibili e rendono evidente il funzionamento del

confine. La stazione ferroviaria e le aree circostanti hanno rappresentato dunque un luogo di frizione (Tsing, 2005). All’interno delle geografie del transito dei migranti, la stazione si è configurata come luogo in cui si ren-dono visibili quelle forze che dirigono e ostacolano il movimento o le resi-stenze che ne impediscono il fluire; frizioni, appunto, all’interno della mo-bilità forzata locale e globale. Questi spazi rendono possibile individuare alcune linee di forza – politiche di regolazione della mobilità, pratiche di securitizzazione e di controllo, interventi e assistenza umanitaria, lotte e re-sistenze – evidenziandone il carattere translocale e multiscalare.

Negli scenari di crisi dell’emergenza migratoria la stazione è diventata prima di tutto oggetto di un forte investimento securitario. La stessa archi-tettura delle stazioni metropolitane, in alcuni casi, ha subìto modifiche, per esempio mediante l’installazione di gate e cancelli, configurando una speci-fica esperienza normativa dello spazio e un disciplinamento dei soggetti che lo attraversano. Questi regimi di sicurezza dissuasori e di controllo proattivo (cfr Bigo, 1997; De Giorgi, 2000), finalizzati all’inibizione della devianza e alla prevenzione di qualsiasi atto considerato “a rischio” (cfr Campesi, 2014), limitano la possibilità di usufruire degli ambienti della sta-zione a un’utenza selezionata, principalmente viaggiatori e consumatori privilegiati. Una trasformazione che ha funzionato anche come sistema di governo della mobilità: nel caso dell’aumento del numero di migranti in transito nelle stazioni, agenti di polizia e militari hanno presidiato i gate, controllando all’occorrenza il possesso di documenti validi per la presenza sul territorio italiano. D’altronde queste articolazioni del controllo, median-te l’inmedian-terruzione della mobilità e la produzione di regimi di visibilità au-mentata che hanno per oggetto i migranti, sono anche luoghi di raccolta di dati e di materializzazione di uno specifico confine virtuale, finalizzato a governare il movimento mediante dispositivi informatici di identificazione e registrazione (per esempio, in quanto luogo di interruzione della mobilità e di verifica della presenza dei migranti in banche dati come Eurodac) (cfr Pallister-Wilkins, 2016).

È nella stazione dunque che l’emergenza migratoria ha materializzato e reso evidente l’immaginario del confine nella spettacolarizzazione del con-trollo e dell’assistenza; sebbene gli scenari di questo spettacolo non si siano limitati allo spazio materiale della stazione ferroviaria, è in questo luogo che hanno trovato il proprio focus discorsivo e operativo, in un certo senso la propria scena principale. In alcuni contesti territoriali l’emergenza ha in-nescato un protocollo securitario inserito all’interno di dispositivi transloca-li di governo delle migrazioni, per esempio per ciò che riguarda scenari e pratiche della “rotta del Brennero” (Idos, 2015: 121-124; Idos, 2016: 129-132). La gestione della sicurezza e della mobilità nelle città di Bolzano e Como, in questo senso, deve essere inserita in quadri di collaborazione po-liziesca che regolamentano i rapporti tra Italia, Austria e Svizzera in mate-ria di controllo del confine; la vicinanza del confine definisce specifiche dimensioni translocali del controllo, frutto di investimenti non semplice-mente locali ma anche nazionali e regionali. Nella città di Bolzano questa collaborazione è stata esemplificata dalla costituzione delle cosiddette “pat-tuglie di polizia tripartite”, cioè dalla presenza sui treni internazionali della linea Verona-Monaco e Verona-Innsbruck di contingenti misti di agenti di polizia italiana, austriaca e tedesca, impegnati a individuare e bloccare i migranti in condizione di irregolarità (Meletti, 2015). Tra l’estate del 2015 e l’estate del 2016 la stazione ferroviaria di Bolzano, insieme a quella del Brennero, ha visto un aumento di attori del controllo, determinato anche dalla necessità di rassicurare un’opinione pubblica sempre più preoccupata dal transito di migranti attraverso il territorio (cfr Francese, 2015).

In altri contesti territoriali, come nel caso di Milano, le modalità opera-tive dell’emergenza sono state invece il risultato di una negoziazione degli spazi del controllo tra attori della sicurezza e operatori umanitari, concre-tizzata in forme di accoglienza temporanea per i migranti in transito. Qui, tra la fine del 2014 e il 2016, si è creata una rete di strutture di accoglienza temporanea il cui accesso non è stato subordinato al rilascio delle impronte e alla registrazione in Eurodac (Errera, Moraschini, 2015). Questa negozia-zione ha potuto ridefinire le forme del controllo sociale territoriale, coin-volgendo organizzazioni del terzo settore nella gestione del disordine urba-no. Il ruolo degli operatori della sicurezza è stato quello di una sospensione del controllo sulla mobilità, limitandosi a funzioni di supporto e conteni-mento, per esempio, nella presenza costante nelle aree della stazione e delle strutture di accoglienza. Questa gestione del disordine tollerabile, tuttavia, ha riguardato solo i migranti in grado di raggiungere il territorio milanese e di superare una specifica selezione delle mobilità rivolta alle persone “in

clear need of protection”, secondo la terminologia del nuovo approccio ho-tspot, cioè ai migranti riconosciuti come potenziali richiedenti asilo.

Com-passione e assistenza, nel dispositivo tecnologico-politico del confine uma-nitario, possono talvolta funzionare come strumenti di selezione di mobilità differenziali, tra i migranti meritevoli e non meritevoli, tra coloro che pos-sono avere accesso alle forme di protezione del regime europeo d’asilo e quelli da deportare, respingere o irregolarizzare. Le categorie umanitarie dell’assistenza e della protezione canalizzano spesso insiemi di valori e giudizi che, invece di definire una condizione, non fanno altro che trasfor-mare le esistenze individuali in casi, “etichette” funzionali alla gestione bu-rocratizzata dell’assistenza umanitaria (Zetter, 1991). Queste costruzioni sociali artificiali diventano uno strumento essenziale per la selezione dei rifugiati, all’interno della vasta e complessa mobilità migrante diretta verso il nord globale, e per il governo differenziale delle mobilità (Zetter, 2007).