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3.2 Gli uffici possono sindacare sui compensi attribuiti agl

3.2.1 I compensi agli amministratori rilevano l'inerenza

Altra questione molto dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza è quella relativa alla cosiddetta congruità, ovvero la possibilità che l'Agenzia delle Entrate avrebbe di valutare l'entità delle spese e dei costi sostenuti dagli imprenditori, con la conseguenza che nel caso in cui li ritenga sproporzionati o insoliti, può procedere alla rettifica dei componenti negativi.

La congruità è definita un corollario del principio di inerenza, principio in base al quale vi deve essere un collegamento tra un componente economico e l'attività che viene esercitata dall'imprenditore. Proprio in relazione al principio di inerenza, è stato chiarito come lo stesso sia considerato quale condizione necessaria per la deducibilità dei componenti negativi di reddito. Il riscontro analitico-normativo dell'osservanza del principio di inerenza deve mirare, a verificare la sussistenza di causa-effetto, ossia il collegamento fra costo e

88 V.Sangiovanni,”La quantificazione del compenso dell'amministratore di srl”, in www.academia.edu

l'oggetto e/o l'attività svolta89.

L'esistenza di detti requisiti inerenza e congruità risulta inevitabile, dal momento che la loro assenza, può determinare distorsioni nella determinazione del reddito d'impresa. Poiché la visione unitaria che il legislatore tributario ha inteso attribuire al risultato economico dell'attività imprenditoriale impedisce di ipotizzare che la deduzione dei singoli costi ed oneri possa essere sorretta da differenti principi, purchè il diverso trattamento non tragga origine da motivate scelte del legislatore tributario. Intendo dire che non appare ragionevole operare una distinzione oggettiva tra la generalità dei componenti negativi di reddito e i compensi dovuti a favore degli amministratori.

Ciò sta dunque a significare che la contestazione da parte degli organi di controllo dell'Amministrazione finanziaria sui compensi, non potrà che essere effettuata sulla base dei principi generali (art. 83 e 109 del Tuir) applicabili alla generalità dei costi ed oneri sostenuti dalla società. Ne deriva che la disciplina tributaria dei costi di cui si parla, al pari di quella civilistica, non deve affatto ritenersi speciale, rispetto a quella prevista per la generalità degli altri costi ed oneri. Deve dunque, respingersi la tesi secondo cui il legislatore tributario avrebbe conferito all'articolo 95, comma 5 del Tuir, natura di norma derogatoria solo perchè ne ha operato uno specifico trattamento90.

89 M.Villani e A.Rizzalli “ Compensi agli amministratori tra antieconomicità, abuso del diritto e

denuncia penale”, in il Fisco 2013; F.Meini, “Il compenso agli amministratori sproporzionato e la deducibilità dal reddito d'impresa”,in Dir. Prat. Trib., 2001; G.Zoppini, “Sul difetto di inerenza per antieconomicità manifesta”, Riv. Dirit. Trib. , 1992; R.Lupi, “A proposito di inerenza, il fisco può entrare nel merito delle scelte imprenditoriali”, Riv. Dirit. Trib., 1992

90 M.Procopio “L'annosa ed irrisolta problematica dei compensi agli amministratori: una possibile

Ovviamente, alla base dell'evoluto concetto di inerenza ciò che si rileva è la necessaria esistenza di un nesso di correllazione tra i costi e l'attività, sebbene possono considerarsi deducibili anche quelle spese che non sono immediatamente produttive di ricavi, ma che si presume lo siano in futuro. Ne discende che la relazione esistente tra il costo e l'attività di impresa non può fondarsi sulla necessità dello stesso in quanto in caso contrario comporterebbe la sindacabilità di inerenza in merito a spese che una volta sostenute si rilevassero superflue o produttive di una perdita. Allo stesso modo la valutazione di un determinato elemento economico non può essere effettuata ex post, sulla base dei risultati reddituali dallo stesso conseguiti, o ancora, in base all'entità della spesa sostenuta.

Alla luce dei principi sopra esposti dovrebbe, pertanto, risultare pacifico che il principio di inerenza, cardine della determinazione del reddito d'impresa, abbia un ambito d'applicazione unicamente qualitativo, ossia volto ad individuare se una determinata componente possa essere considerata inerente all'attività e pertanto, vada fatta concorrere al reddito d'impresa. In caso contrario, non si spiegherebbe l'altrettanto orientamento, secondo cui l'imprenditore è libero di impostare la propria strategia d'impresa. Mentre il corollario della congruità attiene all'aspetto strettamente quantitativo di tali spese, ossia se questa risulta essere sproporzionata ai ricavi o all'oggetto dell'attività.

Questi due concetti spesso sono confusi, in quanto l'Amministrazione finanziaria sostiene sempre di più la propria facoltà di sindacare sui costi sostenuti

dall'impresa, sovrapponendo il giudizio di inerenza qualitativa con quella quantitativa (congruità). Ossia gli uffici vanno a contestare l'entità di tali compensi se li ritengono sproporzionati (valutazione di congruità) ricollegandolo al fatto che non sia rispettato il principio di inerenza. In questo modo, viene però attribuito al fisco il potere di sindacare sulle scelte imprenditoriali.

Tale impostazione, non sembra essere condivisa dall'Amministrazione finanziaria, la quale sostiene sempre di più la propria facoltà di sindacare l'inerenza dei costi sostenuti dall'impresa91.

La posizione degli organi verificatori si fonda su un motivo molto semplice: nel precedente Tuir (Dpr n. 597 del 1973) era prevista una soglia massima per legittimare la deducibilità fiscale del compenso degli amministratori soci, ma con l'entrata in vigore del nuovo testo questo parametro è stato abrogato. Sia nel precedente art 62 che nell'attuale 95 del Tuir non vi è traccia di alcun tetto limite, condizione necessaria per la deduzione del compenso.

Malgrado la giurisprudenza92 abbia richiamato la tesi degli atti antieconomici

anche ai fini dell'inerenza, evidenziando che in queste ipotesi il contribuente debba fornire una prova di ragionevolezza della spesa sostenuta, ma la dottrina93

è generalmente contraria ad amettere tale sindacato poiché consentirebbe all'Amministrazione di entrare nel merito delle scelte imprenditoriali.

91 R.Artina “La Cassazione ritorna sull'indeducibilità dei compensi agli amministartori”, in Bilancio e Reddito d'impresa, 2014

92 Si veda Cassazione, n. 25684 del 24 Ottobre 2008

93 F.Meini, “Il compenso agli amministratori sproporzionato e la deducibilità dal reddito

d'impresa”,in Dir. Prat. Trib., 2001; G.Zoppini, “Sul difetto di inerenza per antieconomicità manifesta”, Riv. Dirit. Trib. , 1992; R.Lupi, “A proposito di inerenza, il fisco può entrare nel merito delle scelte imprenditoriali”, Riv. Dirit. Trib., 1992

In ugual modo comporterebbe lo stesso risultato, se venisse concesso all'Amministrazione di escludere in tutto o in parte l'inerenza dei costi sostenuti i quali risultano sproporzionati rispetto all'attività d'impresa nel suo compleso, o eccessivi rispetto al volume d'affari o al singolo investimento.

Nonostante si sostenga che pur non esistendo un limite legale all'entità della retribuzione, una limitazione è comunque legata alle dimensioni della società, in quanto l'autonomia riconosciuta non può essere tale da eccedere l'utile operativo, e quindi la possibilità da parte dell'Amministrazione finanziaria di evidenziare eventuali tentativi elusivi94.

Rientra nei poteri dell'Amministrazione finanziaria la valutazione della congruità dei costi e ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrono irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell'esercizio dell'impresa, con negoziazione della deducibilità di un costo ritenuto sproporzionato. Quindi, gli uffici non sono vincolati ai valori o corrispettivi indicati in delibere o contratti. Perciò il recupero fiscale di un costo non congruo potrà avvenire sulla base di riscontri documentali e fattuali o sulla base di un confronto dell'entità della spesa con parametri oggettivi.

Tale impostazione interpretativa è stata affermata dalla stessa Agenzia delle Entrate95, la quale sostiene che gli uffici possono disconoscere la deduzione

qualora siano presenti anomalie, ovvero se i compensi risultino insoliti o

94 A.Bonafini, “I compensi degli amministratori di società per azioni”, 2005 95 Si veda Ris.n. 113/E del Dicembre 2012

finalizzati al raggiungimento di vantaggi indebiti.

Risulta essere chiaro che in presenza della formulazione dell'articolo 95 del Tuir secondo cui “i compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all'articolo 73,comma 1, sono deducibili nell'esercizio in cui sono corrisposti”, non può essere consentito alle società di deliberare i compensi a favore dei loro amministratori senza che vi possa essere un sindacato di merito da parte degli uffici locali dell'Agenzia delle Entrate. In mancanza di tale vincolo, i competenti organi sociali potrebbero deliberare di riconoscere, per le più svariate ragioni, compensi irragionevoli ai componenti dell'organo amministrativo.

In tal caso si sarebbe in presenza di una erogazione non sorretta da elementi obiettivi, si sarebbe cioè in presenza, oltrechè di un fenomeno elusivo, anche di una parziale inesistenza dell'essenziale requisito dell'inerenza, e in particolare di inerenza quantitativa, ritendendo innegabile quella qualitativa. È tuttavia evidente, che detto sindacato essendo proteso ad incrementare il gettito tributario, deve essere ispirato a principi di trasparenza, buona fede e imparzialità.

In pratica, con riferimento alla inerenza di tipo qualitativo occorrerà verificare che il costo si riferisca all'attività d'impresa mentre con riferimento al principio di inerenza quantitativo si andrà a sindacare le scelte effettuate dall'impresa.

Ad oggi, le più recenti pronuncie hanno ritenuto non contestabili eventuali accertamenti dell'Amministrazione finanziaria che traggono origine dall'irragionevolezza dei compensi corrisposti. A tale conclusione siamo giunti sulla base di una serie di ragionevoli e giustificati motivi.

Innanzitutto, perchè il legislatore sulla base dell'originaria formulazione del Tuir, introduceva un limite alla deducibilità dei compensi corrisposti ai soci- amministratori da ricollegarsi all'inerenza della spesa con l'attività e con la congruità dei compensi versati, perciò tale remunerazione doveva essere collegata all'attività e adeguata al contributo lavorativo prestato. Quindi, si andava a consentire tale sindacato esclusivamente nei confronti dei compensi degli amministratori che fossero anche soci, evitando ogni riferimento agli amministratori non soci.

Con le recenti modifiche intervenute, il Testo Unico ha eliminato il limite di deducibilità per gli amministratori che non ricoprono la carica di soci, subordinando la sola deduzione nell'esercizio in cui avviene il pagamento. Resta fermo il limite dell'inerenza96.

Sebbene, la recente giurisprudenza97 abbia espressamente negato il potere

specifico di valutazione di congruità, escludendo all'Amministrazione finanziaria

96 Si veda, A. Bonafini, “I compensi degli amministratori di società per azioni”, 2005, dove si sostiene che la tesi per cui gli uffici non possono entrare nel merito si è avuta con le modifiche normative intervenute dal passaggio dal Dpr 597 del 1973 al Dpr 917 del 1986, nella specie articolo 59

97 Cassazione, Sez. Trib, 9 Maggio 2002, n. 6599 del, in M.Procopio “L'annosa ed irrisolta

problematica dei compensi agli amministratori: una possibile soluzione de iure condendo”, in

Riv. Dir e pratica Trib, 2014, ricorda che: “l'articolo 59 del previgente Dpr n.597 del 1973 aveva tentato di porre un limite a tale fenomeno,sottoponendo i compensi degli amministratori soci al limiti delle misure correnti per gli amministratori non soci. Il fatto che, tale requisito non sia più presente nelle disposizioni sucessive, elimina ogni possibilità di applicabilità alle ipotesi di specie. Inoltre gli uffici non potrebbero neanche attaccare il comportamento dell'impresa sul piano dell'inerenza, dovendo tale requisito essere riferito alla qualità e non alla sua quantità”. In senso diametralmente conforme si veda la Cassazione. Civile, 31 Ottobre del 2005,n. 21155, la quale ribadisce: “la formulazione del nuovo articolo 62 non prevede più un parametro da utilizzare nella valutazione dell'entità dei compensi, per cui l'interprete deve prendere atto delle modifiche normative e concludere per l'inesistenza del potere di verifica da parte dell'amministrazione”; Cassazione, Sez.Trib., 2 Dicembre 2008, n. 28595 la quale ha negato la legittimità di un potere al fisco, visto l'assenza di una norma che fissi parametri massimi di spesa oltre i quali i compensi non possono essere dedotti. Tale ragionamento poggia le proprie basi sul fatto che l'articolo 95 del Tuir non contiene limiti oggettivi ai fini della deducibilità

di ricorrere ad una nozione di inerenza del costo di tipo quantitativo correlata alle dimensioni dell'impresa, poiché ai fini impositivi rileva tendenzialmente il profilo della “qualità” del costo piuttosto che la “quantità”, proprio per il fatto che l'ordinamento riconosce all'imprenditore la libertà di impostare la propria strategia d'impresa.

Concludendo all'Amministrazione finanziaria non è attribuito nessun potere di valutazione di congruità delle retribuzioni accordate agli amministratori, i quali possono essere determinati liberamente, poiché ad oggi, non esite nessuna norma con riferimento a tabelle o altre indicazioni vincolanti sul piano della deducibilità fiscale degli emolumenti all'organo amministrativo. Vincolo che invece esistevano nella precedente formulazione del Tuir con l'articolo 59 ammettendo la deducibilità “nei limiti delle misure correnti”.

In buona sostanza, l'ex articolo 62, oggi articolo 95 del Tuir, prevede che i compensi spettanti agli amministratori, erogati anche in forma di partecipazione agli utili, si deducono nell'anno fiscale in cui sono corrisposti.

Solo, qualora, tali compensi risultino eccessivamente sproporzionati rispetto alle caratteristiche dell'impresa, gli uffici potranno chiedere al contribuente di fornire una prova giustificativa di tale spesa e nel caso in cui risulti in difetto di chiare spiegazioni, potrà concludere che si tratta di una erogazione del reddito mascherata98.

L'inerenza del costo all'attività d'impresa deve essere provata, secondo le regole generali del contribuente. A tal fine con l'abrogazione del vecchio comma 6

dell'articolo 75, che imponeva l'iscrizione del costo nelle scritture contabili, il contribuente può provare l'esistenza e l'inerenza anche con mezzi diversi dalle scritture. La dottrina, tuttavia ha sottolineato che l'onere della prova deve essere diversamente ripartito a seconda del tipo di costo oggetto di contestazione: in quanto i costi di dubbio collegamente con l'impresa, l'onere di provare l'inerenza spetta al contribuente, mentre per quelli riconducibili alla sfera imprenditoriali, sarà l'Amministrazione finanziaria a provare l'inesistenza del nesso di inerenza99.

99 M.Falsitta, M.Fantozzi, Commentario breve alle leggi tributarie, Tomo III, Tuir e leggi

CONCLUSIONI

Partendo da quello che era l'obiettivo di questo elaborato, ossia inquadrare la disciplina civilistica e fiscale sui compensi agli amministratori e le relative problematiche connesse, possiamo concludere che agli amministratori di società per la carica svolta godono di un compenso a condizione che non vi sia una pattuizione di gratuità atta a superare la prescrizione di onerosità.

Tale compenso per quanto previsto dalla normativa fiscale viene ricompreso nei redditi di collaborazione coordinata e continuativa.

È utile ricordare che l'articolo 95, comma 5, Dpr 917 del 1986 prevede che i compensi spettanti agli amministratori di società di capitali ed enti commerciali siano deducibili nell'esercizio in cui sono corrisposti e quindi secondo quanto previsto per il principio di cassa, purchè siano espressamente previsti dallo statuto o deliberati dall'assemblea dei soci, deduzione subordinata al fatto che il pagamento sia effettuato entro e non oltre il 12 Gennaio dell'anno successivo a quello di maturazione secondo il principio della “cassa allargata”.

Sussite però, una diversa imputazione a seconda del soggetto che percepisce il compenso, a seconda che si tratti di reddito assimilato a quello di lavoro dipende o reddito di lavoro autonomo. Infatti, nel caso in cui l'amministratore agisca in qualità di professionista non è applicabile il principio della cassa allargata, il quale permette di portare in deduzione nell'esercizio precedente rispetto a quello in cui vengono corrisposti, ma sarà applicato il principio della cassa “puro”.

Con riferimento all'imposizione di tale remunerazione, gli amministratori ai fini delle imposte sui redditi subiranno una ritenuta alla fonte, secondo quanto disposto dal Dpr 600 del 1973, mentre con riguardo all'assoggettabilità o meno all'Iva, la norma prima della riforma tributaria condizionava tale tributo solo a quelle prestazioni di servizio rese nell'esercizio di attività per le quali fosse obbligatoria l'iscrizione in albi o elenchi professionali. Ad oggi, invece, l'applicazione di tale tributo è determinata dal fatto di esercitare attività di lavoro autonomo (rientrano nel campo di applicazione i compensi percepiti dagli amministratori, sindaci, revisori qualora tali cariche siano attribuite a professionisti). Quindi, al fine di una corretta applicazione di tale tributo, occorre identificare il soggetto che effettua la prestazione e nell'ipotesi di professionista sarà soggetto ad Iva, a differenza di quanto non è previsto per il lavoratore dipendente.

Oltre al compenso prestabilito, la società può riconoscere all'amministratore una indennità, ossia una forma di compenso che non nasce da specifiche norme di legge, come è previsto per il Tfr per i lavoratori dipendenti, ma da un semplice accordo stabilito in sede di atto costitutivo o successiva delibera assembleare. Nonostante il fatto di non avere una disciplina specifica all'interno del codice civile, il trattamento di tali indennità è alla pari di quello previsto per i lavoratori subordinati grazie al rinvio effettuato dall'articolo 105 al 17 comma 1 lett.c del Tuir, richiamando la fattispecie dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Perciò tale indennità sarà sottoposta alla tassazione separata e sarà

deducibile in capo alla società secondo il principio di competenza, in deroga a quanto stabilito per i compensi agli amministratori.

In pratica, la quota accantonata annualmente è destitata al Tfm ed interamente deducibile dal reddito d'impresa, mentre a scadenza i destinatari della liquidazione, ossia gli amministratori godranno della tassazione separata.

In ragione del rinvio ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, all'articolo 17 del Tuir, il quale ammette la possibilità della tassazione separata in presenza del fatto che tali indennità siano determinate da atto avente data certa e anteriore all'incarico, è lecito chiedersi se tali requisiti debbano essere necessari purchè si applichi la deducibilità per compentenza in capo alla società prevista dall'articolo 105. Ad oggi, sulla base dei diversi interventi, si è ritenuta favorevole l'opinione secondo la quale tali requisiti siano richiesti per la fattispecie della tassazione separata, altrimenti il legislatore avrebbe subordinato la deducibilità degli accantonamenti alle condizioni previste dall'articolo 17. In verità, ciò che determina la deducibilità fiscale di tale costo è la delibera di riconoscimento dell'indennità. Altrimenti, ammettendo l'opinione favorevole si sarebbe comportanto alla società di effettuare dei raggiri nel caso in corso di mandato dell'amministratore, andando ad interrompere il rapporto con conseguente delibera di nomina che prevede tale indennità.

Con riferimento al fatto se è riconosciuto all'Amministrazione finanziaria il potere di disconoscere i compensi se questi non siano espressamente previsti e conseguentemente non sia rispettato il requisito della certezza, è ormai

consolidato l'orientamento favorevole, in modo tale da garantire il requisito della certezza, data certa e un idoneo titolo di pagamento.

Mentre, con riferimento alla possibilità riconosciuta da parte degli uffici di sindacare sull'entità di tali compensi qualora risultino sproporzionati e conseguentemente non ritenuti inerenti. In relazione a questo, si è concluso che non è riconosciuto nessun sindacato di merito, sulla base del fatto che non esistono disposizioni che prevedono limiti o tabelle di deducibilità. È ovvio che, le società dovranno comuque determinare i compensi secondo criteri di razionalità, non andando a determinare compensi superiori all'utile operativo. In questo caso l'unica possibilità riconosciuta agli uffici è quella di chiedere al contribuente di fornire prove giustificative a tale spesa, ma non andando a sindacare sul concetto di inerenza quantitativa altrimenti il giudizio di inerenza verrebbe influenzato da una valutazione di congruità, in modo da attribuire al fisco un sindacato di merito su scelte aziendali, non giustificando il principio secondo il quale l'imprenditore è libero di improntare la propria strategia d'impresa.

Ovviamente, in difetto di chiare spiegazioni, concluderà che si tratti di una erogazione del reddito infondata con il tentativo di ridurre la tassazione in capo alla società.

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