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Principio di inerenza: la dibattuta questione dei compensi agli amministratori e le connesse problematiche applicative

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE...pag 2 CAPITOLO PRIMO - PRINCIPI GENERALI DI REDAZIONE DEL

REDDITO DI IMPRESA...«6

1.1 Competenza...«8

1.1.1 Certezza e oggettiva determinabilità...«13

1.2 Previa imputazione...«14

1.3 Inerenza...«17

1.3.1 Onere della prova...«22

CAPITOLO SECONDO - LA DISCIPLINA SUI COMPENSI AGLI AMMINISTRATORI...«25

2.1 Determinazione del compenso agli amministratori...«28

2.2 Inquadramento sul trattamento fiscale...«38

CAPITOLO TERZO - PROBLEMATICHE RELATIVE AGLI AMMINISTRATORI...«51

3.1 Le modifiche intervenute con il passaggio dal “vecchio” al “nuovo” Tuir...«52

3.2 Gli uffici possono sindacare sui compensi attribuiti agli amministratori?...«58

3.2.1 I compensi agli amministratori rilevano l'inerenza quantitativa?...«62

CONCLUSIONI...«71

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INTRODUZIONE

La nozione di reddito d'impresa si riconduce nell'ambito dell'ordinamento civilistico, in quanto il codice civile, all'articolo 2082, definisce imprenditore colui che esercita professionalmente un'attività organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi.

In realtà, la nozione fiscale di esercizio dell'attività d'impresa è più ampia, in quanto, oltre a comprendere quella civilistica, include anche l'esercizio di attività di natura commerciale non organizzate in forma di impresa, mentre agli effetti civilistici l'organizzazione, seppure minima, è indispensabile affinchè si possa parlare di impresa.

Nel nuovo Testo Unico (D.p.r. 22 Dicembre 1986, n.917), in vigore dal 1° Gennaio 2004 a seguito dell'introduzione della nuova imposta Ires con il D.legs 344 del 2003 si è assistito ad una inversione delle norme rispetto a quanto previsto dal vecchio Tuir.

Infatti, a seguito dell'introduzione della nuova imposta Ires, le norme che disciplinano la determinazione del reddito d'impresa sono state spostate dalla sezione dedicata all'Irpef a quella Ires ( Sezione I, Capo II, Titolo II). Pertanto, per la determinazione del reddito d'impresa per i soggetti Irpef, occorre rifarsi, in linea generale alle disposizioni emanate in materia Ires, salvo quanto appositamente previsto per le persone fisiche ( Capo IV , Titolo I)1.

Il reddito d'impresa da assoggettare a tassazione è determinato dall'articolo 83 del

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Tuir (ambito Ires)2, la cui disposizione si caratterizza per l'introduzione nel

sistema tributario del principio di derivazione, in base al quale per la determinazione del reddito complessivo ai fini fiscali è necessario assumere quale base di riferimento il risultato che emerge dal bilancio redatto ai fini civilistici, al quale andranno apportate variazione in aumento e in diminuzione conseguenti all'applicazione delle norme tributarie. Ciò comporta che il risultato fiscale può divergere anche in modo sostanziale da quello civilistico.

Nella pratica, può accadere che, nel bilancio civilistico, alcune componenti di reddito siano valutate secondo criteri differenti rispetto a quelli fiscali, in questo caso, dovranno essere operate, nella dichiarazione dei redditi, variazioni rispetto al risultato civilistico. Si tratta, evidentemente, di adeguamenti imposti dalla legge, che il contribuente dovrà effettuare al momento della dichiarazione.

Le variazioni in parola possono accrescere il reddito fiscale rispetto a quello civilistico (in questo caso si tratta di variazioni in aumento) oppure diminuirlo (si tratta di variazioni in diminuzione). In generale tra le variazioni in aumento, sono assai frequenti quelle dovute all'indeducibilità fiscale prevista per alcuni costi esposti in bilancio. Viceversa, quelle in diminuzione si riferiscono ad elementi positivi evidenziati nel conto economico i quali risultano non tassabili o tassabili in modalità differenti.

Ovviamente, il significato dell'articolo 83 induce a chiedersi come mai il

2 Art 83 Tuir, comma 1, definisce: “ il reddito complessivo è determinato apportando all'utile o

alla perdita risultante dal conto economico, relativo all'esercizio chiuso nel periodo di imposta le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti l'applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione”

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legislatore tributario non abbia fatto coincidere il reddito fiscale con il risultato civilistico del conto economico. La ragione tipicamente, è quella di evitare comportamenti elusivi o evasivi da parte del contribuente3.

Pertanto il nostro ordinamento tributario italiano prevede quattro principi generali di determinazione del reddito: competenza, obiettiva certezza e oggettiva determinabilità, previa imputazione e principio di inerenza.

Da tutto ciò, nasce l'intenzione di prendere in considerazione uno dei principali requisiti che deve essere rispettato, affinchè un costo possa stabilire una riduzione della base imponibile: l'inerenza. Si tratta di uno dei principi essenziali ritenuto condizione indispensabile ai fine della determinazione del reddito d'impresa.

L'inerenza non è altro che un nesso che collega il costo all'attività per stabilire se risulta essere deducibile o meno.

Il tema dell'inerenza, rappresenta uno degli ambiti su cui si concentrano numerose controversie tra Amministrazione finanziaria e contribuente, e nonostante la fissazione da parte della giurisprudenza su alcuni punti fermi nella relativa ricostruzione giuridica, presenta molte sfaccettature che ne rendono interessante l'analisi.

Il tema principale della ricerca è quello di ripercorrere il principio di inerenza dandone una definizione, delineando le regole ad essa connessa e richiamando le più significative pronunce giurisprudenziali e interpretazioni fornite

3 L.Abritta,L.Cacciapaglia,V.Carbone,M.R.Gheido, Codice Tuir commentato, II ed., Ipsoa, Gruppo Wolters Kluwer, 2013, commento all'articolo 83 del Tuir.

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dall'Amministrazione finanziaria nel corso degli anni. Verrà infine esaminata la problematica relativa ai compensi agli amministratori.

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CAPITOLO PRIMO - PRINCIPI GENERALI DI REDAZIONE DEL REDDITO DI IMPRESA

I principi che presiedono alla determinazione della base imponibile sono enunciati nell'articolo 109 del T.U e consistono nel principio di competenza, obiettiva certezza e oggettiva determinabilità, previa imputazione e infine principio di inerenza. Tali principi sono considerati fondamentali in quanto permettono di determinare, sul piano strutturale ed anche su quello temporale, come e quando gli elementi positivi e negativi costitutivi del reddito fiscale vengono in considerazione ai fini della sua determinazione.

I principi di previa imputazione e di inerenza, in particolare, si riferiscono ai soli componenti negativi del reddito.

Il principio della competenza, della certezza e obiettiva determinazione della componente reddituale interagiscono e si limitano a vicenda, nel senso che l'imputazione di costi deve avvenire nell'esercizio di competenza, sempre che nello stesso si raggiungono gli obiettivi di certezza e determinabilità. Perciò, la regola generale del principio della competenza subisce una deroga con riferimento a quei componenti positivi e negativi di cui nell'esercizio di competenza non sia certa l'esistenza o determinabile l'ammontare, per i quali la concorrenza alla formazione del reddito è rinviata nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni. Certezza e determinabilità sono condizioni necessarie e concorrenti, nel senso che la tassazione e la deducibilità sono rinviate quando

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manca anche una sola di queste.

Quindi, il principio generale, tendenzialmente è quello della competenza, ossia nel momento in cui si perfeziona giuridicamente la fattispecie da cui le stesse componenti traggono origine.

Sul principio della previa imputazione dei componenti negativi al conto economico, la dottrina4 si è sempre interrogata di individuare quale fosse la ratio

di questa regola. In generale, la regola della previa imputazione non può essere apprezzata prevalentemente in una prospettiva sistematica, tanto se la si riduce ad un corollario del principio di derivazione del reddito dall'utile civilistico. Se si condivide la scelta normativa di assumere le risultanze di bilancio come elemento di partenza per il calcolo del reddito, è fisiologico che elementi estranei restino fiscalmente irrilevanti.

Quindi, il principio dell'imputazione preventiva attesta il ruolo del bilancio di esercizio nella determinazione del reddito.

Infine il principio di inerenza, costituisce il perno centrale del sistema di determinazione del reddito d'impresa dal lato dei costi, ritenuta una nozione pre-giuridica, di origine economica, legata all'idea del reddito come entità calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione.

4 M.Falsitta, M.Fantozzi, Commentario breve alle leggi tributarie, Tomo III, Tuir e leggi

comparate, commento all'articolo 109 del Tuir; G.Zizzo, “I redditi d'impresa”, in Falsitta,

“Manuale di diritto tributario”, Padova, 2005; G.Zizzo, “Regole generali sulla determinazione

del reddito d'impresa”, in AA.VV, Imp.sul red. delle pers.fis., Giur. Sist. Dir. Trib., diretta da

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1.1 Competenza

Il comma 1 dell'articolo 109 del Tuir, sancisce, ai fine dell'imputazione al periodo d'imposta, il principio della competenza temporale dei componenti positivi e negativi di reddito. In particolare, i ricavi, le spese e gli altri componenti concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza. In sostanza, tali componenti, concorrono alla formazione del reddito, nel periodo d'imposta in cui si verificano i presupposti di fatto e di diritto cui si ricollegano, a prescindere dal momento in cui avviene la relativa percezione o pagamento5.

La diretta conseguenza dell'applicazione del principio di competenza è che, alla data di chiusura dell'esercizio, i componenti di reddito siano certi nell'esistenza e determinati o oggettivamente determinabili nell'ammontare6.

Ad integrazione del generico riferimento all'esercizo di competenza contenuto nel 1° comma, il successivo comma 2 indica dei criteri specifici ancorchè non esaustivi, perchè riferiti a due principali fattispecie di operazioni, ossia cessione di beni e prestazioni di servizi. La norma non fornisce una definizione di entrambe, ma la distinzione tra cessione e prestazione si può desumere in via interpretativa e può trovare fondamento nella prevalenza dell'obbligo di dare (cessione) o nell'obbligo di facere (prestazioni).

Il criterio individuato dal legislatore si rifà sostanzialmente alle norme di diritto civile che attengono al passaggio della proprietà; infatti, per le cessioni di beni

5 C.Attardi, “Inderogabilità del principio di competenza del calcolo dei redditi di impresa”, in Riv. Dir.Trib., 2008; L.Abritta, L. Cacciapaglia, V.Carbone, M.R.Gheido, Codice Tuir commentato, II ed., Ipsoa, Gruppo Wolters Kluwer, 2013, commento all'articolo 109 del Tuir

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mobili i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data in cui si verifica l'effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale. Il legislatore fiscale, rispetto al generico momento traslativo ha privilegiato un dato oggettivo, di più agevole accertamento. Detto criterio non si identifica con lo spostamento fisico del bene, bensì con il passaggio della disponibilità giuridica.

Per la cessione di beni mobili l'individuazione dell'esercizio di competenza si basa sulla data di consegna o spedizione dei medesimi, indipendentemente dai passaggi di proprietà anteriore a tale data, per i beni immobili e le aziende si utilizza il criterio della stipula dell'atto. Qualora, per questi ultimi il trasferimento della proprietà sia posticipato rispetto alla stipula dell'atto, l'individuazione del periodo di competenza avviene con riferimento al momento costitutivo o traslativo della proprietà o di diritto reale. Nessun rilievo assume la circostanza che il contratto non rivesta la forma dell'atto pubblico, essendo sufficiente a determinare la competenza la semplice scrittura privata.

La regola fiscale, con riferimento ai beni immobili ed alle aziende comprensive di beni immobili, non prevede particolari difficoltà in quanto coerente con le regole civilistiche che prevedono l'obbligo della forma scritta per i contratti con oggetto beni immobili. Il problema si solleva, nel caso in cui l'azienda, oggetto di cessione, non comprenda beni immobili. In questo caso quando il contratto sia solo verbale, si fa concidere l'esercizo di competenza con quello in cui avviene il passaggio del possesso.

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Per la prestazione di servizi invece, l'esercizio di competenza si fa coincidere con quello dell'ultimazione della prestazione, fatta eccezione i contratti da cui derivano corrispettivi periodici. Nei casi in cui dai contratti derivino corrispettivi periodici, come per i contratti di mutuo, di locazione, di assicurazione, l'esercizio di competenza è determinato in funzione della maturazione dei corrispettivi. L'elemento distintivo dei contratti con corrispettivi periodici, è dato dal fatto che la maturazione è proporzionale al decorrere del tempo.

In sostanza, l'esercizio di competeza fa riferimento alla quota di costo e di ricavi in corso di maturazione alla chiusura dell'esercizio, e non all'aspetto finanziario7.

Il criterio di competenza previsto dall'articolo 109, deve ritenersi un principio inderogabile, in caso contrario si consentirebbe l'arbitraria determinazione del reddito da parte del contribuente, mediante artificiosi spostamenti di ricavi ad esercizi precedenti o successivi, ovvero l'anticipata deduzione di costi. Su questo punto si deve ritenere del tutto consolidata la giurisprudenza8 che ha più volte

affermato come le regole sull'imputazione temporale delle componenti di reddito hanno appunto carattere inderogabile, sia per il contribuente che per l'ufficio. In particolare, il recupero a tassazione dei ricavi relativi ad un determinato esercizio finanziario non è impedito dalla circostanza che i costi siano stati dichiarati e detratti in un esercizio diverso: ciò, infatti, finirebbe per lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i

7 L.Abritta, L.Cacciapaglia, V.Carbone, M.R.Gheido, Codice Tuir commentato, II ed., Ipsoa, Gruppo Wolters Kluwer, 2013, commento all'articolo 109 del Tuir

8 Cassazione, 25 Gennaio 2006, n.1427, in Banca Dati Big, Ipsoa; id Cassazione, 25 Gennaio 2006, n.1428, ivi; Cassazione, 29 Marzo 2006, n.7319, in Banca Dati Big, Ipsoa

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propri componenti di reddito, con evidenti riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile.

Anche nell'ipotesi favorevole all'erario, ossia d'imputazione dei ricavi ad un esercizio anteriore a quello di competenza, il contribuente potrebbe anticipare la tassazione di tali ricavi ad un esercizio in cui si verificherebbero perdite, evitando la corresponsione dell'imposta e sottraendo al contempo gli stessi a dichiarazione nell'esercizio successivo.

Perciò, le fattispecie in cui si verificano una posticipata o anticipata iscrizione di tali elementi rispetto all'esercizio di competenza, ossia che detti proventi siano stati tassati, e quindi non si sia causato un danno erariale, se non per il tardivo versamento d'imposta nel caso di posticipata imputazione, o addirittura nel caso opposto di anticipata tassazione in cui il gettito è stato incassato prima del dovuto, non impedisce all'ufficio di ricondurre a tassazione detti componenti positivi nell'esercizio in cui essi devono essere imputati secondo le previsioni legislative9.

In seguito ad errata applicazione del principio di competenza segue il problema della doppia imposizione. In realtà, tale fattispecie nasce da un comportamento illegittimo del contribuente e pertanto deve essere lo stesso contribuente a porvi rimedio attraverso l'azione di rimborso. Tale recupero può essere azionato con la rettifica della dichiarazione originaria dall'errore commesso, oppure è ammessa la

9 C.Pino “La competenza economica è un principio inderogabile”, in Corr. Trib. n.25/2007, nota a Comm. Prov. di Reggio Emilia del 19 Aprile 2007, n.225; C.Magnani, “L'emenabilità della

dichiarazione tributaria viziata da errorea danno del contribuente”,in Riv.Giu.Trib, n1/2003;

C.Attardi, “Inderogabilità del principio di competenza del calcolo dei redditi di impresa”, in Riv. Dir.Trib., 2008

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facoltà di presentare l'istanza di rimborso entro i termini di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso. Ulteriore possibilità riconosciuta al contribuente è quella secondo la quale è possibile non solo la compensazione fra debiti e crediti tributari riferiti a diverse imposte e fattispecie, ma anche la compensazione interna di imponibili, connessi al solito tributo, al fine di evitare duplicazioni d'imposta10.

Un caso pratico che conferma quanto appena detto è stata la questione esaminata dalla Commisione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia11, con riferimento ad

un contratto di permuta immobiliare di cosa presente con cosa futura.

In questa fattispecie gli uffici verificatori avevano contestato il mancato rispetto del principio di competenza economica, poiché la società aveva contabilizzato fra i ricavi la vendita della cosa futura nell'esercizio in cui avvenne la stipula dell'atto e non in cui la cosa fu costruita. Gli uffici chiedevano il recupero a tassazione dei ricavi, mentre la società obiettava che detti ricavi erano già confluiti al conto economico, e come tali sottoposti a tassazione. La Commissione ha respinto il ricorso compensando le spese di giudizio.

10 Secondo quanto previsto dall'art 8 dello Statuto del Contribuente al comma 1: “L'obbligazione

tributaria può essere estinta anche per compensazione”

11 C.Pino “La competenza economica è un principio inderogabile”, in Corr. Trib. n.25/2007, nota a Comm. Prov. di Reggio Emilia del 19 Aprile 2007, n.225; in particolare l'oggetto della questione riguardava una società la quale aveva stipulato un atto acquistando alcuni immobili, impegnandosi a costruire e trasferire al cedente, a titolo di corrispettivo, altri beni immobili ancora da realizzare. La commissione ha respinto il ricorso, poiché tale decisione si fondava sul fatto che l'articolo 109 del Tuir in relazione alla cessione di beni immobili, prevede che i corrispettivi, si considerano conseguiti al momento della stipulazione dell'atto, ovvero, se diverso e successivo, alla data in cui si verifica l'effetto traslativo o costitutivo della proprietà. Secondo le regole previste del codice civile all'articolo 1472 il passaggio della proprietà che ha ad oggetto la cosa futura si verifica non appena la cosa viene ad esistenza. Perciò sulla base di tali principi appena citati, la società aveva contabilizzato i ricavi in modo errato, conseguentemente risultava lecito il recupero a tassazione dei ricavi. In riferimento, al richiamo della doppia imposizione lamentata dal contribuente, deriva da un comportamento erroneo a cui può porre rimedio lui stesso con il rimborso

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Va ricordato che, in alcuni casi espressamente previsti, è possibile applicare il principio di cassa invece che quello di competenza12. Esso, consiste nel

considerare i compensi materialmente percepiti e le spese effettivamente sostenute, mediante un corrispondente movimento finanziario, nel periodo d'imposta.

1.1.1 Certezza e oggettiva determinabilità

Il principio di obiettiva certezza, sancito nell'ultima parte del comma 1, articolo 109 del Tuir13, chiarisce che l'elemento, attivo o passivo, possa essere imputato

all'esercizio solo in quanto ne sia certa l'esistenza e sia determinato o determinabile in modo obiettivo l'ammontare: diversamente, l'imputazione riguarderà un successivo esercizio del quale tali requisiti siano venuti in essere. La certezza si riferisce all'esistenza dell'elemento reddituale, all'an, e va intesa in linea di massima come certezza giuridica ossia come esistenza di un titolo giuridico idoneo a costituire la fonte genetica del componente. La certezza deve essere distinta dalla definitività, che coincide con la manifestazione finanziaria (pagamento o incasso).

L'obiettiva determinabilità si riferisce alla quantificazione dell'elemento

12 S.Cinieri “Principi generali in materia di redddito d'impresa-2”, 2005, in www.fiscooggi.it Tra le fattispecie per le quali si applica il principio di cassa, previste espressamente dalla legge possiamo elencare: i compensi agli amministratori, ai fondatori e promotori; percezione di dividendi in società ed enti soggetti Ires; imposte pagate nell'anno diverse da quelle sui redditi e da quelle per le quali è prevista la rivalsa; contributi associativi e sindacali; contributi in conto capitale; proventi derivanti dalla partecipazione a fondi di investimento

13 Art 109, comma 1 Tuir (ultima parte): “Tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui

nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni”

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reddituale, ossia il quantum, e deve ritenersi soddisfatta nel periodo in cui emergono tutti gli elementi necessari al relativo calcolo.

L'individuazione della certezza e oggettiva determinabilità deve seguire dei criteri oggettivi, nel senso che non può essere rimessa alla volontà delle parti, lasciandoli liberi di spostare la competenza da un periodo d'imposta ad un altro, secondo una valutazione di convenienza. Per questo motivo, questi due principi possono prescindere sia dal momento in cui le parti raggiungono un accordo sull'elemento reddituale, sia dal momento di acquisizione o di esibizione di un documento giustificativo (come una fattura)14.

1.2 Previa imputazione

Altro principio che sta alla base della determinazione del reddito d'impresa è la previa imputazione a conto economico dei componenti negativi e positivi, condizione necessaria purchè siano ammessi in deduzione. Tale principio è disciplinato dall'articolo 109, comma 3 e 4 del Tuir.

Per quanto attiene ai componenti positivi, il citato comma 3, dispone che essi concorrono a formare il reddito a prescindere dalla loro previa imputazione a conto economico. Mentre, per quanto concerne i componenti negativi, l'argomento risulta essere più articolato. Infatti, il comma 4 detta la regola secondo cui i componenti negativi non sono deducibili se e nella misura in cui non risultano imputati a conto economico dell'esercizio di competenza.

14 M.Falsitta, M.Fantozzi, Commentario breve alle leggi tributarie, Tomo III, Tuir e leggi

comparate, commento all'articolo 109 del Tuir; L.D.Federico, Rass. Trib. 98, 1088; G.Nanula,

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La ratio di ciò è di intuitiva evidenza: è difficile ipotizzare che un contribuente possa dedurre ai fini fiscali le spese sostenute, come per esempio l'acquisto di materie prime, se queste non sono state contabilizzate a conto economico. Il reddito imponibile, in tal modo dipende dal conto economico ed è la risultante della somma algebrica del risultato economico, apportando le variazioni in aumento e diminuzione.

La circolare n.31/E del 24 Settembre 2013 dell'Agenzia delle Entrate15, ha

chiarito, nel caso di mancata contabilizzazione in bilancio di un elemento negativo o positivo e di una loro successiva rilevazione, come sia possibile regolare la situazione anche sul piano fiscale. La circolare richiamata, ha precisato che nel caso di un componente non contabilizzato nel corretto esercizio di competenza, le regole consentono di correggere gli errori di esercizi precedenti nel primo bilancio pubblicato dopo la scoperta, determinando nuovamente gli importi per gli esercizi precedenti in cui è stato commesso l'errore. In questa

15 Circ. 24 Settembre 2013, n. 31/E, Agenzia delle Entrate, in ww.agenziaentrate.gov.it, in dettaglio la circolare richiamata prevede le diverse modalità di correzioni contabili da poter apportare al bilancio derivanti dalla mancata imputazione sia di componenti negativi che di componenti positivi, suddividendo le soluzioni a seconda del fatto che siano adottati i principi contabili nazionali o internazionali. Per chi adotta i principi contabili nazionali la correzione avviene imputando a conto economico dell'esercizio in cui si individua l'errore un componente a rettifica della voce patrimoniale. Fanno eccezione quelle correzioni che attengono ad errori commessi nel rilevare fatti che non hanno avuto impatto sul conto economico (come rivalutazioni iniziali di un immobilizzazione a seguito di specifiche norme). Per chi adotta principi contabili internazionali la correzione avviene nel primo bilancio dopo la scoperta,apportando la rettifica nello stato patrimoniale. In quest'ultimo caso, la correzione effettuata attraverso una voce di patrimonio netto, comporta l'applicazione di cui all'art 109 del Tuir per la quale “si considerano imputati a

conto economico i componenti imputati direttamente per effetto dei principi contabili internazionali”. Infine, tale circolare analizza quale sia il trattamento fiscale: in particolare

riguardo ad un componente negativo non imputato correttamente, con correzione adottata successivamente, il contribuente in sede di dichiarazione dei redditi riferito al periodo in cui registra la correzione, eseguirà una variazione in aumento, annullando sul piano fiscale il componente transitato dal conto economico o adotterà una variazione in diminuzione in modo tale da far concorrere alla determinazione del reddito tale componente se imputato a patrimonio netto. Qualora si tratti di un componente positivo non imputato in modo corretto, la soluzione sarà opposta a quella precedente.

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ipotesi la correzione di un errore avvenuto nell'esercizio precedente non deve incidere sul risultato economico dell'esercizio in cui l'errore viene scoperto.

Errori contabili possono derivare dalla mancata o impropria applicazione di un principio contabile, errori matematici, erronee interpretazioni di fatti, negligenza nel raccogliere tutte le informazioni ed i dati disponibili per un corretto trattamento contabile.

Una volta effettuata tale correzione sarà necessario stabilire se al contribuente sia consentito il recupero del compenente negativo non contabilizzato nel periodo d'imposta nel quale è stato commesso l'errore, oppure la possibilità di assoggettare a tassazione il componente positivo, anch'esso non rilevato nel perido d'imposta corretto. Tale circolare attribuisce la possibilità attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa di evitare fenomeni di doppia imposizione o recuperare la deduzione nel periodo d'imposta di competenza. A quanto afferma il citato articolo, seguono però tre deroghe, tra cui i componenti imputati ad esercizi precedenti, la cui deducibilità è stata rinviata in applicazione a specifiche disposizioni tributarie. Tra le disposizioni che rendono obbligatorio il rinvio, è sufficiente ricordare il primo comma dell'articolo in esame in cui impone che i componenti siano certi e oggettivamente determinabili. L'introduzione di tale norma intende evitare il verificarsi di situazioni fortemente sfavolevoli per il contribuenti il quale potrebbe altrimenti vedersi accertati maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati, senza la possibilità di dedurre quei costi non risultanti dalla dichiarazione che avevano costituito la base per

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l'acquisizione a tassazione dei ricavi stessi.

Altra deroga afferisce a quei componenti che nonostante non siano imputati a conto economico, la loro deducibilità è riconosciuta ex lege. A tale categoria è ricondotta pacificamente la previsione prevista dall'articolo 95 del Tuir, sulla partecipazione agli utili degli amministratori, per i quali è prevista la loro deducibilità a prescindere dall'imputazione al conto economico.

Infine, ulteriore deroga attiene ai componenti negativi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito purchè derivanti da elementi certi e precisi.

1.3 Inerenza

Il principio di inerenza rappresenta uno dei fontamentali principi generali per la determinazione del reddito d'impresa, sancito dall'articolo 109, comma 5, Tuir16.

Per poter entrare nel vivo dello studio, è necessario, in via preliminare fornire una definizione minima. Il principio di inerenza potrebbe essere sintetizzato secondo cui la deducibilità di un costo è consentita se tale spesa è connessa alla sfera dell'impresa, nell'intento di fornire a questa una utilità e al contrario non è inerente tutto ciò che si collega alla sfera personale o familiare dell'impreditore, del socio o del terzo. L'inerenza rappresenta la clausola generale individuabile in una relazione di causa ed effetto dei singoli componenti economici all'attività che

16 Art 109, comma 5 Tuir: “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi,

tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che vi concorrono in quanto esclusi”

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costituisce la fonte del reddito17.

Tuttavia, in passato questo principio prezioso è stato più volte alterato, in occasione di alcuni interventi normativi, in quanto in giurisprudenza18 si sono

opposti due orientamenti in merito, ossia uno riguarda l'orientamento giurisprudenziale “allargato” e l'altro orientamento opposto cosiddetto “rigoroso”.

In base all'orientamento “rigoroso”19, l'inerenza di un componente negativo di

reddito risulta essere correlato al conseguimento di ricavi o comunque di componenti positivi di reddito. In sostanza, è stato ritenuto che un bene non impiegato nel processo economico dell'impresa, se determina comunque il conseguimento di componenti positivi di reddito, diviene a tutti gli effetti

17 G.Zizzo, “Regole generali sulla determinazione del reddito d'impresa ”, in AA.VV, Imp.sul red. delle pers.fis., Giur. Sist. Dir. Trib., diretta da F.Tesauro, vol II, Torino, 1994; O.Nocerino, “Il

problema dell'individuazione di un principio generale (inespresso) di inerenza”, in Rass. Trib.,

1995

18 Ris. 18 Giugno 2009, n.162/E; D.L. 138 del 2011;Circ. G.d.F., n. 1 del 2008; Cassazione, 21 Gennaio 2009, n.1465; Cassazione, 16 Novembre 2011, n. 24065; Cassazione 12 Settembre 2012, n.15250

19 In merito alla visione limitata del principio di inerenza si veda D.L 138/11 in Corr. Trib.n.45/2012 con commento di D.Deotti., “L'inerenza è un principio prezioso: deve essere

salvaguardato”. Precisamente tale decreto con l'art 2, comma 36 quaterdecies il quale è stato

stabilito che "i costi relativi ai beni dell'impresa concessi in godimento a soci familiari

dell'imprenditore per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato non sono ammessi in deduzione dal diritto imponibile".La ratio dell'intervento è quella di sancire l'indeducibilità dei

componenti negativi di reddito relativi ai beni dell'impresa utilizzati gratuitamente dai soci o dai familiari degli stessi soci, oppure ad un corrispettivo irrisorio o perlomeno inferiore al valore normale del diritto di godimento dei beni stessi. Il principio ispiratore risulta in qualche modo corretto: se un bene dell'impresa viene utilizzato dai soci o dai familiari, vuol dire che quel bene non è inerente rispetto all'attività svolta, per cui i componenti negativi riferiti allo stesso non devono essere ammessi in deduzione. Il fatto che i soci o familiari paghino un prezzo, congruo o meno, per l'utilizzo del bene appare, irrilevante per determinare l'inerenza del bene, in quanto utilizzato per fini privatistici da parte dei soci e dei familiari è da ritenersi comunque non inerente a prescindere dal fatto che i familiari corrispondano un prezzo. In merito a questa disposizione Deotti ha ritenuto affermare la inutilità di una norma per disciplinare l'indeducibilità dei componenti negativi di reddito relativi ai beni che non vengono utilizzati per finalità imprenditoriali, perchè, in quanto non inerenti, ed è altrettanto sbagliato emanare una norma che ritenesse inerente un bene utilizzato dai soci o familiari, i quali corrispondano un corrispettivo congruo

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inerente. Si registra, quindi, un notevole arretramento nell'individuazione del principio dell'inerenza: è come se si tornasse ad una vecchia impostazione, secondo alcuni, l'inerenza di un componente negativo di reddito risulta correlata al conseguimento di ricavi, o comunque, di componenti positivi di reddito.

Pertando, considerare una spesa come inerente, ed in quanto tale deducibile, si ritiene opportuna una valutazione di congruità dell'elemento stesso, il cui ragionamento parte dal fatto che l'Amministrazione finanziaria in sede di accertamento ha il potere di valutare la congruità dei costi e dei ricavi indicati in bilancio ed in dichiarazione, con la conseguenza talvolta dell'esclusione dal calcolo del reddito d'impresa di un costo che appare sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa.

In verità, è da ritenersi che il requisito di inerenza di un costo prescinda dalla congruità dello stesso, ed irrilevante deve infine essere ritenuta la congruità dell'importo dell'onere considerato rispetto al volume d'affari dell'impresa. Se l'onere viene sopportato per l'acquisto di un bene o un servizio destinato esclusivamente all'impresa esso deve essere inserito nel calcolo del reddito indipendentemente dall'ammontare.

Ad oggi, risulta ormai consolidato l'orientamento “allargato”20, sostenuto da 20 Si veda Cassazione Civile, Sez.Tributaria, 16 Novembre 2011, n. 24065, in Banca Dati Fisconline, la quale rigettava l'appello proposto dall'ufficio di Roma della Agenzia delle Entrate, annullando l'avviso di accertamento in rettifica emesso nei confronti dell'impresa Scientec Italia s.r.l, con il quale era stato recuperato a tassazione spese per sponsorizzazioni. Tale impresa, che agiva nel settore delle ricerche e studi di mercato, aveva sostenuto costi per pubblicizzare altra ditta che operava nel campo della commercializzazione di prodotti di vernici in alcun modo riconducibili al marchio od alla immagine del contribuente. I giudici di appello, hanno ritenuto non sufficiente il rilievo della incongruità tra la spesa sostenuta ai fini promozionali è quindi deducibile tra i costi inerenti, anche se proiettata ad utilità future, non essendo necessario un riscontro immediato nei ricavi conseguiti nello stesso anno. Pertanto, la norma fiscale consente la deducibilità delle spese di pubblicità nell'esercizio in cui sono state sostenute od in quote costanti

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recenti procunce le quali hanno esplicitato l'importanza del legame che c'è tra spesa e oggetto dell'impresa. Le massime comuni a queste pronunce che si possono trarre sono: a) la caratteristica di inerenza si desume dalla stretta connessione tra funzione/utilità del bene o del servizio acquistato e la ragione stessa dell'impresa, ossia la mission; b) è deducibile, in quanto inerente, un costo che, pur non essendo stato sostenuto per realizzare una specifica componente attiva del reddito, è corrrelato in senso ampio all'impresa, ossia che tale costo sia sostenuto per lo svolgimento di un'attività potenzialmente idonea a produrre utili; c) il costo sostenuto nell'interesse di un terzo è considerato comunque inerente all'attività d'impresa se si riescono a dimostrare le potenziali utilità che ne può derivare oppure i futuri vantaggi conseguibili; d) il contribuente non si vede imputato l'onere di provare l'inerenza non solo di quelle spese strettamente necessarie alla produzione del reddito o fisiologicamente legate alla sfera imprenditoriale, come ad esempio l'acquisto di materie prime, l'investimento in macchinari ed attrezzature, ma altresì in tutte quelle ipotesi di costi intrinsecamente riconducibili all'attività d'impresa.

Sul concetto generale di inerenza è intervenuta anche la Guardia di Finanza con una circolare21, definendo il principio di inerenza una condizione necessaria per

la deducibilità dei componenti negativi di reddito. Il riscontro

analitico-nell'esercizio stesso e nei due successivi; Cassazione Civile, sez. Tributaria Civile, 21 Gennaio 2009, n.1465, in Riv. Giur. Trib n.3/2009, con commento di A.Lovisolo e in Banca Dati Big Suite, Ipsoa, seconda la quale l'inerenza va interpretata come una relazione tra due concetti, la spesa e l'impresa, che implica un avvicinamento concettuale tra due circostanze, con la coseguenza che il costo assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con una attività potenzialmente idonea a produrre utili

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normativo dell'osservanza del principio di inerenza deve mirare, in sintesi, a verificare la sussitenza del rapporto di causa ed effetto, ovvero del collegamento funzionale fra il costo e l'oggetto e/o l'attività dell'impresa, si tratta generalmente, di una valutazione di diritto. Perciò per quanto detto dalla Guardia di Finanza, è anch'essa favorevole che il concetto di inerenza non sia legata ai ricavi dell'impresa, ma all'attività di questa. Si riconosce quindi, anche la deducibilità degli oneri che non sono collegati in maniera diretta ed immediata agli elementi positivi, essendo sufficiente una correlazione fra il componente negativo che si intende dedurre e l'attività produttiva di ricavi imponibili, ossia un rapporto di causa ed effetto o un collegamento funzionale fra il costo e l'oggetto dell'impresa. Pertanto, possono essere considerati deducibili anche costi e oneri sostenuti in proiezione futura, quali le spese promozionali e, comunque quelle dalle quali si attendono ricavi in tempi successivi.

Concludendo la visione ad oggi favorevole risulta essere quella “allargata” secondo la quale possiamo definire inerente tutto ciò che è stato sostenuto per la produzione del reddito. In passato, invece, l'inerenza era molto limitata, in quanto riferita alle sole spese per l'acquisto di beni e servizi destinati ad incorporarsi nei beni e servizi oggetto dell'attività d'impresa, o alle spese necessarie alla produzione del reddito. È inerente tutto ciò che appartiene alla sfera dell'impresa, nell'intento di fornire a questa una utilità e al contrario non è inerente tutto ciò che si ricollega alla sfera personale o familiare dell'imprenditore, del socio o del terzo22.

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1.3.1 Onere della prova

Altro aspetto che merita di essere approfondito concerne la prova dell'inerenza del costo e la spettanza del relativo onere della prova.

La dottrina23 ha in svariati casi affrontato il tema partendo proprio

dall'individuazione del soggetto in capo al quale grava l'onere di dimostrare l'inerenza (contribuente) o la non inerenza (fisco). Partendo dalla visione della recente pronuncia della Corte di Cassazione24 si è ormai concluso che tale onere

grava sul contribuente.

Quanto affermato si basa sul fatto che l'onere della prova debba essere in capo alla parte che si trova nelle migliori condizioni per eseguirlo. Se così fosse, si dovrebbe concludere che tale onere grava sul contribuente, anche se non è certo che il contribuente si trova nelle condizioni migliori di fornire tale prova della deducibilità. È ovvio pensare, però che il contribuente sarà il soggetto più agevolato ad accedere alle scritture contabili, ai contratti, alle documentazioni bancarie e tutti quei mezzi di prova documentali25.

L'inerenza non è un fenomeno naturale visibile, ma il risultato di un giudizio

F.Graziani, “L'evoluzione del concetto di inerenza ”; L.Rosa, “Il principio di inerenza”, in AA.VV, 1997

23 R.Succo “Principio di inerenza e anti-economicità della remunerazione degli organi societari tra

determinazione e attribuzione del reddito”,in Riv. Dir. Trib. 2014 (Letteralmente,

Procopio,L'inerenza nel sistema delle imposte sui redditi, Milano, 2009); A.Ballancin “Inerenza,

congruità dei costi e onere della prova” , in Rass.Trib., 2012

24 Cassazione, 4 Aprile 2012, n. 5374, in Banca Dati Fisconline, la quale ha affermato il proprio orientamento in tema di onere della prova ricadente in capo al contribuente che voglia sostenere la deducibilità di tali costi da esso inseriti in bilancio e in dichiarazione dei redditi, purchè ci sia stata contestazione da parte dell'amministrazione finanziaria

25 R.Succo “Principio di inerenza e anti-economicità della remunerazione degli organi societari tra

determinazione e attribuzione del reddito”, in Riv. Dir. Trib., 2014 (Letteralmente Lupi, L'inerenza e il sindacato delle scelte imprenditoriali sul versante dei costi, in Il reddito

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fondato su fatti.

Oltre a ciò, tale opinione è confermata sulla regola generale posta dal codice civile in merito al fatto che grava sull'amministrazione l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa tributaria mentre grava sul contribuente la prova, in caso di contestazione da parte dell'amministrazione della sussitenza di un fatto modificativo, impeditivo o estintivo della suddetta pretesa26. Secondo la Suprema

Corte quindi tale principio generale vale anche con riferimento alla prova della sussitenza del requisito di inerenza di un componente negativo di reddito. Ne deriva in linea generale, affinchè un costo possa essere incluso fra le componenti negative del reddito d'impresa, non soltanto è necessario che sia certa l'esistenza, ma occorre altresì, che in caso di corretta contestazione da parte dell'Amministrazione finanziaria ne sia comprovata l'inerenza. L'onere della prova a carico del contribuente si riferisce alla strumentalità della spesa rispetto all'attività di impresa. Non è infatti, in linea di principio, inerente all'impresa tutto ciò che si può ricondurre alla sfera personale o familiare dell'imprenditore, ovvero del socio o del terzo.

Dal punto di vista operativo gli elementi richiesti per dimostrare l'effettività e l'inerenza dei costi, possono essere riconducibili ad un contratto in forma scritta, regolare fatturazione da parte della società emittente, regolare contabilizzazione da parte della società ricevente e presenza di documentazione contabile atta a dimostrare l'entità. Se i soli dati fattuali o documentali afferenti la spesa o la sua

26 Art 2697 c.c.: “Chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono

il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda”

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destinazione non sono, di per sé, sufficienti a formulare un preciso giudizio sull'effettivo impiego dei beni o servizi, né sulle originarie finalità sottese al costo, e quindi sull'inerenza, è possibile prendere in esame aspetti diversi, bensì riconducibili alle caratteristiche generali dell'impresa, come: la dimensione dell'azienda, condizioni del mercato in cui opera, dinamica della relativa domanda e tipologia della clientela. Le motivazioni di eventuali riprese a tassazione fondate su tali parametri devono essere adeguatamente argomentate27.

La deducibilità dei costi è condizionata non solo “se” ma anche “nella misura” in cui gli stessi si riferiscano all'attività o all'oggetto dell'impresa, per la possibilità di un disconoscimento anche parziale, della deducibilità di un onere e, quindi, per una valutazione dell'inerenza anche sul piano “quantitativo”.

L'Amministrazione finanziaria ha più volte riconosciuto, la possibilità di subordinare la deducibilità alla loro congruità rispetto ai ricavi o alla natura dei beni acquistati o delle prestazioni ricevute. Rientra nei poteri dell'Amministrazione finanziaria la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrono irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell'esercizio dell'impresa, con negoziazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa28.Pertanto, l'onere

della prova dell'inerenza dei costi gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità di quei costi29.

27 Circ. G. di F. N1/2008 in www.gdf.gov.it

28 Articolo “L'assenza di vizi non è sufficiente”, del 26 Aprile 2010, www.ilsole24ore.com

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CAPITOLO SECONDO - LA DISCIPLINA SUI COMPENSI AGLI AMMINISTRATORI

Il compenso degli amministratori è uno dei temi delicati e di fondamentale importanza poiché costituisce l'organo cui è affidata la gestione e di regola anche la rappresentanza della società.

Attualmente la disciplina in merito risulta essere un pò scarsa. In particolare, la disciplina codicistica disciplina quale sia l'organo demandato alla determinazione di tali compensi e quali sono le diverse modalità di remunerazioni possibili, ma non dice alcunchè con riferimento all'onerosità della carica e se esistono criteri o limiti alla determinazione di questi.

Questo aspetto, comunque, non sembrerebbe essere in discussione in quanto è opinione largamente diffusa che la prestazione dell'amministratore deve essere considerata onerosa, a meno che non ci sia una espressa rinuncia dell'interessato30.

riguardava la contestazione del principio di inerenza per le spese di commissione sostenute per l'attività di intermediazione svolta da una società con sede in una località con regime fiscale privilegiato, diretta a promuovere l'acquisizione di appalti e commesse mediante pagamenti illecite di denaro a terzi insider nelle strutture dei committenti. Al riguardo la Suprema Corte ha affermato che non è determinante né decisiva in sé l'ipotizzata destinazione illecita delle risorse costituenti il costo dichiarato dalla società contribuente, ma la contestata sproporzione delle somme erogate rispetto ad una mera attività di consulenza, e la mancata prova da parte del contribuente, in presenza di un sifatto rilievo, della loro adeguatezza, vale a dire del carattere economico delle attività svolte.

30 In tal senso si esprime la Suprema Corte di Cassazione, 18 Marzo 2003, n. 3964, in Diritto e

Pratica delle società del 2003, con nota adesiva di G.Pizzirusso, “Presunzione di onerosità del rapporto di società-amministratori”, il quale commenta: “la Cassazione ha ribadito che l'attività

svolta dall'amministratore si presume onerosa. Tale presunzione si ricava da una serie di norme: in primo luogo dall'articolo 2364, comma 1, n.3 c.c (in quanto sarà l'assemblea a stabilire il compenso se questo non è stabilito statutarialmente), nonché l'articolo 2389 c.c (che riguarda più nel dettaglio la remunerazione e che andremo ad analizzare nei capitoli successivi). Ma si ricava anche dall'articolo 2392 c.c, che richiama la figura del mandato e infine l'articolo 2383, comma 3 c.c che prevede il risarcimento del danno in caso di revoca per giusta causa. E' proprio il richiamo

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Oltre a ciò, considerando che l'Italia è una “Repubblica Democratica fondata sul

lavoro” e che il lavoro non può non trovare largo spazio nei principi

fondamentali e, in particolare, nella prima parte dedicata ai “Diritti e Doveri dei

cittadini”, si dichiara che il lavoratore ha diritto a ricevere una retribuzione

adeguata in modo da garantirgli una vita dignitosa. Tale affermazione si riferisce indifferentemente al lavoro subordinato e a quello di tipo autonomo31.

Perciò, concludendo si ammette che il lavoro degli amministratori di società costituisce parte integrante del lavoro tutelato, e per questo si applicano le regole della retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro.

Inoltre, ritenere gratuita una attività di tale portata, così complessa, impegnativa e ricca di responsabilità risulta essere irragionevole e antieconomico.

Una clausola del genere è per altro rara e sensata solo laddove vi sia perfetta coincidenza personale fra soci e gestori della società, titolari della medesima percentuale di capitale sociale, in questo caso i soci sono compensati con gli utili e possono rinunciare a ricevere un compenso ulteriore per l'attività svolta di amministratori.

Di fronte ad una eventuale attività svolta in assenza di ricompensa, sarà il contribuente che dovrà fornire prova di non aver incassato compensi e non è sufficiente che lo attesti con una dichiarazione, ma precisando che la delibera di nomina non prevede alcun emolumento. Non rileva neache dimostare che la

alla disciplina del mandato, il quale prevede l'applicazione dell'articolo 1709 c.c che presume l'onerosità del mandatario”

31 Art 36, comma 1 Cost: “ Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità

e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa ”

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società in tale anno fosse stata in perdita: il compenso dell'amministratore che la società gestisce è una cosa e la distribuzione degli utili un'altra.

Appurato che agli amministratori di società debba essere riconosciuto un compenso, resta da stabilire se esistono delle regole da applicare a proposito dell'entità di tali remunerazioni all'interno dell'ordinamento. La verifica constata che non si trovano disposizioni in merito, ma si è in grado di stabilire quale organo della società è competente a deliberare. Di fronte alla carenza delle norme inerenti all'entità di tali compensi non resta che procedere autonomamente sulla base di criteri razionali, tenendo conto di accordare gli interessi dell'amministratore con quello della società.

Nonostante l'articolo 36 della Costituzione, non trovi una immediata applicazione, tuttavia da questa prescrizione si ricava il principio generale per cui l'attività debba essere retribuita in proporzione alla qualità e quantità del lavoro prestato, ossia in proporzione alla natura, all'estensione e allo scopo del servizio. A proposito della qualità del lavoro dell'amministratore, essendo un'attività di una certa rilevanza, trovandosi spesso a prendere decisioni di spessore, valutazioni basate su rischi, riflettendosi poi sul futuro della società,non può che tener conto della dimensione della società, ma analizzando caso per caso la situazione in cui verte la società, sia che si tratti di piccole o grandi imprese32.

La verità è che non è possibile delineare una linea guida, proprio perchè la

32 A. Ghini, “I compensi degli amministratori”, 2005; G.Minervini, “Gli amministratori di società

per azioni”, Milano, Giuffrè, 1956; O.Bosisio, “Retribuzione degli amministratori e dei sindaci”,

in Riv. Dott.Comm., 1958; I.G.Minguzzi, “Gli amministratori di società per azioni. I poteri”, Rimini, Maggioli, 1980

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funzione amministrativa ha un contenuto variabile, perciò la ricerca va effettuata in concreto e con riferimento ad ogni realtà societaria33.

I riferimenti normativi in materia di compensi agli amministratori sono offerti dal codice civile, rispetto al combinato disposto degli articoli 2364 comma 1, n.3, e articolo 2389, comma 1, in quanto prevedono che il compenso è rimesso in primo luogo a quanto previsto nello statuto, e nel caso in cui quest'ultimo non lo preveda, all'assemblea ordinaria. Nel caso di amministratori investiti di particolari cariche, il compenso è fissato dal consiglio di amministrazione, sentito il collegio sindacale. A seguire l'articolo 2389 ai commi successivi detta le diverse possibili modalità concesse di attribuzione dei compensi.

Per quanto invece, concerne gli aspetti fiscali l'articolo di riferimento è il 95, in particolare con riferimento al comma 5, il quale ammette la deducibilità dei compensi spettanti agli amministratori nell'esercizio in cui sono corrisposti.

2.1 Determinazione del compenso agli amministratori

La determinazione dei compensi spettanti agli amministratori per le proprie prestazioni è disciplinata dall'articolo 2389 c.c34, infatti tale disposizione ammette

tre possibili modalità di pagamento: il compenso può essere fisso, l'eventualità di

33 Come rileva C.Amatucci,”La remunerazione degli amministratori nelle società di capitali”, 2010, esprimendosi sul fatto che “ci possiamo fondare su due ordini, da un lato, si potranno considerare, per individuare in concreto il perimetro ed il contenuto della funzione amministrativa, l'attività esercitata dalla società, le dimensioni della società, la sua articolazione territoriale, il mercato di riferimento, le modalità amministrative adottate, le caratteristiche dell'organizzazione interna, e dall'altro lato, non potremo fare a meno di tener conto delle qualità personali, professionali e l'esperienza delle persone chiamate a comporre il consiglio”

34 Art 2389, comma 2 c.c : “Essi possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli

utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione”

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partecipazione agli utile, infine sottoscrivere azioni (le cosiddette stock option)35.

Nell'ipotesi in cui l'amministratore accetti un compenso aleatorio, legato quindi al successo dell'impresa, la sua posizione si avvicina a quella dell'azionista, coinvolto al rischio di impresa, poiché in assenza di utili non matura ne la remunerazione del capitale, ne di quello amministrativo36.

Il fatto che il compenso dell'amministratore sia legato agli utili può comportare due effetti. Il primo legato al fatto che il gestore potrebbe essere indotto a compiere operazioni pericolose al fine di massimizzare gli utili e dunque, il suo compenso. Dall'altra parte se tali operazioni messe in atto non producono i risultati che ci si aspetta, ne risente anche il compenso. Altro effetto che si può generare relativo ad un sistema retributivo collegato agli utili può consistere nel fatto che l'amministratore sia incentivato a conseguire utili nel breve periodo, trascurando investimenti che potrebbero massimizzare gli utili nel medio e lungo periodo.

È ovvio che, la nozione di utili non va confusa con quella di dividendo, in quanto se all'amministratore viene attribuito un compenso connesso agli utili, esso ne

35 Si veda A.Bonafini “I compensi degli amministratori di società per azioni”, 2005, afferma che: “rispetto alla formulazione precedente, si individuano tre modifiche: la prima di natura testuale, che riguarda tale previsione in un comma a sé,a differenza di quanto era previsto nel vecchio testo il cui richiamo al compenso quotativo era nel primo comma, la seconda di natura contenutistica, che sancisce la legittimazione del sistema retributivo sotto forma di stock option, e infine la terza di natura esplicativa, la quale prevede una semplice precisazione in merito all'ammissibilità di una remunerazione che nasce da una combinazione tra componente fissa e variabile”

36 Come rileva A.Bonafini “I compensi degli amministratori di società per azioni”, 2005 La differenza di rischio a cui è sottoposta l'azionista rispetto all'amministratore è ben più grave, poichè rischia di non vedere remunerato il proprio apporto e di perdere il capitale conferito nel caso in cui si avessero perdite. Inoltre, il diritto dell'amministratore non è subordinato ad alcun provvedimento formale, nel caso in cui si ipotizzi un autofinanziamento della società con riserve o riporto a nuovo di utili, si vedrà il sacrificio del socio al dividendo, ma tale scelta non intaccherà l'amministratore, il quale si vedrà comunque soddisfatto

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avrà diritto indipendentemente dal fatto che i soci deliberino di distribuire gli utili sotto forma di dividendi, altrimenti se così non fosse i soci potrebbero deludere ogni aspettativa degli amministratori al compenso variabile deliberando di auto-distribuirsi utili37.

Altra possibilità riconosciuta all'amministratore è quella di poter sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione38. La motivazione per cui

l'amministratore può essere spinto a tale tipologia, non è tanto l'attribuzione gratuita del diritto, ma quanto al fatto che le potenzialità di guadagno sono commisurate alla possibilità che alla scadenza il titolo si rivaluti sul mercato, rispetto al prezzo pattuito al momento della cessione. Il fine della società è quello di accrescere la motivazione del management, con l'intento di creare valore per l'azionista, ma purtroppo la realtà ha dimostrato il contrario, in quanto gli amministratori sono tesi a migliorare le performance della società in modo da creare valore per se.

Perciò saranno sottoposti ad una duplice tentazione, ossia quella di praticare una politica di autofinanziamento nel periodo anteriore alla scadenza del termine di maturazione delle opzioni in modo da far salire il valore e quella di simulare profitti in modo da gonfiare le quotazioni.

37 V.Sangiovanni “La quantificazione del compenso dell'amministratore di srl”, in www.academia.edu

38 A.Bonafini, “I compensi degli amministratori di società per azioni”, 2005, definisce Stock

Option “Il contratto bilaterale di durata intercorrente fra società e amministratore, con cui si

assegna al secondo il diritto di acquisire o sottoscrivere titoli rappresentativi del capitale della prima ad un prezzo predeterminato ed entro una scadenza prefissata. Il beneficiario è libero di esercitare o meno il suo diritto, mentre la società è vincolata all'obbligo di far acquisire i titoli. Tale fattispecie risulta diversa dalle option call perchè in questo caso il beneficiario ha l'obbligo di versare un corrispettivo, a differenza di quanto previsto per le stock option che non prevede nessun costo iniziale”

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Infine è, oggetto di discussione se la remunerazione possa essere legata al fatturato della società. In linea di principio sembra non esserci ostacoli ad ammettere tale possibilità, ma una pattuizione del genere potrebbe non convincere i soci, i quali hanno come obiettivo la realizzazione di utili. Al contrario, l'interesse dell'amministratore è quello di incrementare le vendite, senza tener sotto controllo i costi. Perciò, la risultanza di questa ipotesi sarebbe quella di una società con fatturato elevato ma utili bassi. Per questa ragione non risulta spesso nella realtà che i soci decidano di legare il compenso dell'amministratore al fatturato. Tuttavia, nel caso in cui ciò avvenisse, la clausola prevista o la decisione dei soci debbano essere considerate legittime39.

L'analisi relativa al terzo comma dell'articolo 2389 c.c40 stabilisce la possibilità di

attribuire un'ulteriore remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto, la quale dovrà essere stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Si tratta di una retribuzione ulteriore rispetto a quella stabilita dall'assemblea.

Tra gli amministratori investiti di particolari cariche rientrano gli amministratori delegati (se la delega è prevista dallo statuto), il presidente del consiglio di amministrazione e il vicepresidente del consiglio.

Lo speciale compenso attribuito all'amministratore investito della delega è giustificato dall'aggravio di lavoro che la concentrazione di attività in capo allo

39 V.Sangiovanni “La quantificazione del compenso dell'amministratore di srl”, in www.academia.edu

40 Art 2389, comma 3 c.c: “La remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche

in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede,l'assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche”

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stesso comporta.

La riforma del diritto societario ha provveduto a modificare l'ultimo comma della disposizione, attraverso una prescrizione finale che consente di inserire nell'atto costitutivo una clausola che assegni all'assemblea la facoltà di determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori inclusi quelli investiti di particolari cariche. Se tale compenso globale è fissato, non è richiesto il parere dei sindaci, mentre è richiesto quando il consiglio di amministrazione, in base al potere riconosciuto dalla legge, determina la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto.

Decisa l'entità dell'assemblea dei soci, non resta che attribuire la competenza al consiglio di amministrazione per effettuare il riparto, non essendo pensabile il ricorso ad un diverso organo. La formalizzazione avviene, attraverso una delibera consigliare, assunta se possibile, con voto unanime e se questo non si consegue, a maggioranza. Alcuni autori41 riconoscono la legittimità del compenso globale ma

nello stesso tempo mettono in guardia contro l'irregolarità che si commette con la determinazione di un secondo compenso a cura del consiglio di amministrazione. In relazione a chi compete la determinazione del compenso, l'articolo 2389 c.c.

41 P.Cecchi, “Gli amministratori delle società di capitali, 1999, afferma “che non può considerarsi illegittima, salvo che non contrasti con specifiche disposizioni statutarie, la deliberazione assembleare con la quale il compenso venga stabilito in misura cumulativa nei confronti di tutti gli amministratori, lasciando implicitamente o espicitamente al consiglio la concreta ripartizione interna”, “sarebbe incoerente attribuire al consiglio la facoltà di stabilire ulteriori remunerazioni al di fuori di un controllo dell'assemblea dei soci. Controllo che si realizza in modo efficacie con la predeterminazione dell'importo complessivo, lasciando al consiglio di stabilire i singoli importi”; L.Forni, “Commento all'articolo 2389”, cit 696, il quale sottolinea l'incoerenza della disciplina che dispone la competenza assembleare per la remunerazione del comitato esecutivo e la competenza cosiliare per la remunerazione degli organi delegati, essendo entrambi di nomina consiliare

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ha subito delle lievi modifiche. Infatti nel testo anteriore alla riforma di cui al D.legs n.6 del 2003, tale articolo stabiliva che i compensi e le partecipazioni agli utili spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo erano stabiliti nell'atto costitutivo o dall'assemblea. Quanto al vecchio testo dell'articolo di riferimento, va osservato che la congiunzione “o” consente soltanto sul piano letterale di stabilire che la competenza a determinare il compenso degli amministratori spetta allo statuto ovvero all'assemblea, ma non permette di stabilire se, una volta intervenuta la previsione statutaria residui un ulteriore potere all'assemblea di incidere sul compenso già determinato dallo statuto. L'articolo 2389 c.c, comma 142, va peraltro letto unitamente all'articolo

2364 c.c , comma 1, n.343, che dispongono l'alternanza della compentenza alla

determinazione della remunerazione tra atto di nomina o altrimenti l'assemblea. La norma, che è rimasta sostanzialmente invariata nel testo introdotto con la riforma societaria, chiarisce in termini evidenti che la determinazione del compenso è rimessa in primo luogo allo statuto e che, soltanto ove lo stesso non provveda, l'assemblea ordinaria può deliberare in proposito.

La nuova formulazione dell'articolo in esame, oltre a specificare che il compenso degli amministratori può essere interamente costituito dalla partecipazione agli utili sociali o dal diritto di sottoscrizione di azioni a prezzo stabilito, sostituisce, alla vecchia previsione l'alternativa tra statuto e delibera assembleare, una nuova

42 Art 2389, comma 1 c.c : “I compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del

comitato esecutivo sono stabiliti all'atto della nomina o dall'assemblea ”

43 Art 2364, comma 1 n.3 c.c: “Nelle società prive di consiglio di sorveglianza, l'assemblea

ordinaria: determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto”

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alternativa tra atto di nomina e delibera assembleare. Tuttavia, l'alternativa prevista, non consente di stabilire se, una volta intervenuta la previsione statutaria, l'assemblea abbia il potere di incidere sul compenso già determinato dallo statuto. Ciò, anche in considerazione del fatto che, attribuendo all'assemblea un potere di modifica dei compensi già previsti dallo statuto, si avrebbe una modificazione dell'atto costitutivo, preclusa all'assemblea ordinaria. Peraltro, l'assemblea può validamente deliberare sul compenso degli amministratori anche se nell'ordine del giorno compare solo l'argomento relativo alla nomina degli amministratori, poiché essendo il compenso un diritto dell'amministratore, la sua determinazione è da ritenersi connessa con l'argomento di nomina. Inoltre, quando la fissazione del compenso è di competenza dell'assemblea ordinaria, si ritiene che questa possa anche incrementarlo successivamente all'assunzione o addirittura alla conclusione dell'incarico44.

Ciò posto, è indubbio che qualora si sia in presenza di una clausola statutaria che preveda e attribuisca agli amministratori un determinato compenso, l'eventuale delibera assembleare che modifichi tali compensi, vada leggittimamente annullata. Qualora l'atto costitutivo stabilisce un dato modo di retribuzione dell'amministratore, o addirittura anche l'entità della retribuzione, l'assemblea ordinaria che delibera sul contenuto del singolo contratto di amministrazione non può contravvenire.

44 M.Cupido “Determinazione del compenso degli amministratori:prevalenza delle disposizioni

statutarie sulle delibere dell'assemblea ordinaria”, Le Società n. 6/2007, nota a Cass. sentenza

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È chiaro che, la quantificazione del compenso nell'atto di nomina, risulta essere una soluzione poco flessibile, in quanto la modifica di tali compensi comporterebbe una modifica dell'atto costitutivo. Questa rigidità si rileva ogni qualvolta che si procede alla nomina di un nuovo amministratore, procedendo perciò alle modifiche con costi aggiuntivi, tempi lunghi e conseguentemente può risultare difficile attirare in tempi rapidi un amministratore.

In relazione alla necessità della delibera, le Sezioni Unite, n.21933 del 29 Agosto 2008 della Corte di Cassazione45, ha stabilito che il diritto alla remunerazione dei

compensi degli amministratori delle società di capitali deve essere stabilita in modo obbligatorio da una specifica delibera. Non risulta quindi sufficiente la delibera di approvazione del bilancio, nella quale i compensi venivano indicati in passato, per ratificare, nella pratica, la legittimità dei compensi stessi e, quindi, anche il riconoscimento dal punto di vista fiscale ai fini della deducibilità del relativo costo. Gli amministratori non possono determinare in modo autonomo il proprio compenso e ottenere successivamente poi la ratifica dei soci in sede di approvazione del bilancio annuale.

Non è possibile, in altre parole, sostenere che con l'approvazione del bilancio, i soci possano approvare implicitamente anche i compensi riconosciuti

45 Cassazione, Sezioni Unite,29 Agosto 2008,n. 21933, con commento di G.Ferranti, in Banca Dati Big Suite Ipsoa, la quale opinione risulta essere in accordo con quanto confermato dalle Sezioni Unite ossia ritiene preferibile l''orientamento che richiede l'esplicita delibera assembleare di determinazione dei compensi e che nega che tale delibera possa considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio. Peraltro, dall'articolo 2364 c.c, emerge che la legge considera la delibera di approvazione del bilancio e quella di determinazione dei compensi degli amministratori, come aventi oggetto e contenuto diversi, l'una diretta a controllare la legittimità di un atto di competenza degli amministratori e l'altra avendo la funzione di stabilire il compenso. Poiché è chiaro che il bilancio contiene la posta relativa ai compensi. Dalla lettura della sentenza si evince come la Corte di Cassazione afferma che l'approvazione del bilancio ha la mera funzione di accertamento della tenuta regolare delle rappresentazioni contabili.

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